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Intervista a Stefano Turchetti Roma
Veronica Briganti
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 11 luglio 2000, n. 9 (14 novembre 1994)
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Area Interviste

L'incontro con il restauratore Stefano Turchetti si è svolto nello studio della sua abitazione romana sull'Aventino.

D. L'idea del recupero, della valorizzazione e della conservazione dell'opera d'arte risale al secolo XV. E' soltanto nel '7OO però, che la figura del restauratore ha assunto una sua propria fisionomia e un'identità rispetto a quelle del pittore e dell'artigiano. Chi è il restauratore moderno ?

R. Oggi il restauratore deve essere anzitutto un tecnico, deve conoscere a fondo l'opera d'arte su cui mette le mani. Un tempo, specialmente il restauratore era soltanto un pittore che, mediocre o eccellente, si occupava più o meno occasionalmente di restauro. Si può citare, ad esempio, Carlo Maratta che, già alla fine del Seicento, dimostrava di avere un'idea già "moderna" di restauro e che si conferma quindi ai nostri occhi come un avveduto restauratore oltre che un ottimo pittore. Ma lui, probabilmente, rappresentò l'eccezione piuttosto che la regola. Credo che il restauratore debba avere molta umiltà personale perché ha di fronte l'opera di un'altra persona che deve essere tramandata nel modo più corretto possibile. Fino a qualche tempo fa si tendeva ad intervenire su di un dipinto per renderlo godibile, ma ad alterarlo nei caratteri magari per soddisfare il mutamento del gusto. Un dipinto, invece, va rispettato non trasformato.

D. Da un approccio empirico all'opera d'arte si è andata formando una concezione scientifica di restauro, cosa è cambiato negli ultimi tempi per quel che riguarda tecniche e procedure ?

R. Un esempio banale: spesso ci si trova a pulire dei quadri con ridipinture a olio difficilissime da eliminare che rendono la fase della pulitura molto complessa; già questo è cambiato, oggi si possono usare dei colori che hanno una maggiore reversibilità, sono colori a vernice, specifici per il restauro, privi di leganti oleosi.

D. L'uso del computer ha facilitato in qualche modo il vostro lavoro?

R. Sicuramente si. E' sempre uno strumento in più, ma l'uso del computer è legato al restauro di grande risonanza. Il restauratore che lavora per il privato non ne ha generalmente bisogno.

D. Quali sono le sostanziali differenze tra restauro pubblico e restauro privato ?

R. Quando una committenza è statale il lavoro è frutto della collaborazione di più persone, il restauratore, il chimico, lo storico dell'arte. Il restauro per il privato è nelle mani della sensibilità del restauratore. Sarebbe bene che quello che abbiamo definito un tecnico conosca anche la storia dell'arte.

D. I restauri più famosi, diciamo "da prima pagina": Il Giudizio Universale, La Cappella Brancacci, Il Cenacolo: tutti realizzati grazie al moderno mecenatismo degli enti privati che sponsorizzano solo l'opera più famosa per farsi pubblicità. E le opere di minore importanza, chiamiamole così, come sopravvivono a questa politica ?

R. Esistono sommi capolavori che vanno conservati a tutti i costi, ma non per questo è giusto che una gran parte del nostro patrimonio artistico venga lasciato al degrado e all'abbandono solo perché giudicato di secondaria importanza. Credo che questo sia un atteggiamento pericoloso e che quindi la politica del moderno mecenatismo sia una politica che possa nuocere, o meglio, diciamo che, sarebbe auspicabile una politica di restauro basata sul concetto di conservazione di ogni bene che abbia un qualche significato artistico o semplicemente storico. Ma il problema, in realtà, è anche quello dei fondi, che sono scarsi, mentre i costi dei restauri sono così elevati per cui spesso neanche sostenibili dagli stessi privati.

D. Cosa consiglia a chi vuole intraprendere questa professione ? Ci sono reali possibilità di inserimento nel mondo del lavoro ?

R. Il lavoro c'è, anche se adesso è un momento difficile. Esistono delle scuole private alcune delle quali riconosciute a livello regionale che danno un'idea di base, ma il restauro è qualcosa di complesso: esiste il restauro del dipinto, dell'affresco, della carta, delle stampe: credo che il restauro andrebbe indirizzato verso la specializzazione, magari si creano così, maggiori possibilità di occupazione. In alternativa alle scuole un giovane dovrebbe frequentare lo studio di un restauratore che sia riconosciuto e che lavori con criterio. L'Istituto Centrale per il Restauro è un discorso a parte, è selettivo, riservato ad una minoranza strettissima.

D. Nell'ottica dell'integrazione al mercato europeo, quale professionalità e quale livello qualitativo offre il restauratore italiano rispetto ai colleghi delle altre nazioni ?

R. Bisogna dire che la tradizione del restauro in Italia è secolare e ben fondata. I restauratori italiani sono dei buoni tecnici ed esecutori, sicuramente il livello qualitativo è molto alto.

D. In che modo si è avvicinato a questa professione ? Parliamo un pò della sua esperienza personale accanto al maestro Cellini.

R. Fin da piccolo amavo girare per le gallerie d'arte, c'era già l'interesse per i dipinti. Ho conosciuto casualmente il professor Cellini, una persona di grande esperienza, che ci tiene, soprattutto, a trasmettere il suo sapere. Non esistevano i famosi segreti di "bottega" ed ho potuto osservare certi procedimenti e sperimentarli. Il professor Cellini ha cominciato a restaurare in giovanissima età e quindi parecchi anni fa, ma è riuscito ad aggiornarsi, a stare al passo con le innovazioni e con i cambiamenti. Infatti è importantissimo per un restauratore tenersi aggiornato, conoscere sempre a fondo i materiali che utilizza.

D. Qual è l'opera più famosa che le è passata tra le mani ?

R. Sicuramente quelle arrivate nello studio di Cellini, come ad esempio la tavola della Pietà di Giovanni Bellini del museo di Stoccarda oppure alcune opere del Caravaggio. Bisogna aggiungere che il quadro da restaurare è come un malato che va curato. Se è bene eseguito e se si tratta dell'opera di un maestro è, in genere, tecnicamente perfetto, e, in un certo senso, più facile da restaurare. L'opera minore presenta in genere più problemi, ma l'attenzione del restauratore deve essere sempre la stessa.

D. Un restauratore professionista affermato quanto si sente un tecnico e quanto un artista ?

R. Il lato artistico, anche se si possiede, deve essere il più possibile tralasciato. Il restauratore deve essere come una specie di medico che, senza essere eccessivamente freddo, cerchi di entrare nel carattere dell'opera che ha di fronte, e nello spirito con il quale è stata concepita ed eseguita.

D. E' intellettualmente onesto secondo lei che il critico e lo storico dell'arte diano un giudizio su un'opera molto ridipinta e che presumibilmente ha perso il suo significato

originario ?

R. Si può capire un'opera solo quando si escludono gli elementi estranei quali le ridipinture e i restauri successivi che incidono sulla lettura che viene in qualche modo falsata.

D. Alcune tesi storiografiche si basano paradossalmente, su restauri sbagliati, eseguiti nel Settecento o nell'Ottocento. Molti sostengono che la storia dell'arte sia tutta da riscrivere. Lei cosa ne pensa ?

R. Credo che il restauratore deve essere almeno un po' storico dell'arte, come lo storico dell'arte deve essere un po' restauratore nel senso che, dovrebbe almeno riuscire a "vedere" un restauro, a saperlo leggere, dovrebbe insomma avere un occhio allenato a fare questo pur senza naturalmente dover agire sull'opera. E' accaduto che lo storico dell'arte abbia fatto delle attribuzioni basando le proprie tesi sulle parti restaurate o ridipinte di un quadro, parti che, magari, ne avevano mutato anche il significato.

D. Si serve il restauratore di fonti scritte per comprendere meglio l'opera che ha davanti ?

R. Tutti gli elementi sono utili, soprattutto se si lavora su opere d'arte di una certa importanza, che hanno quasi sempre una documentazione alle spalle, una loro storia. In genere però quaste fonti scritte, questi documenti, non esistono.



	
 

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