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La mostra di Poussin al Grand Palais Paris,
Grand Palais
Natalia Gozzano
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 11 luglio 2000, n. 11 (19 dicembre 1994)
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Area Mostre

La grande mostra dedicata a Poussin non è soltanto una straordinaria manifestazione della grandeur culturale parigina ma anche una tappa imprescindibile per la conoscenza dell'artista. La sua vasta produzione pittorica viene affiancata dagli interessantissimi disegni, attraverso i quali si possono leggere le fasi di preparazione delle opere presenti in mostra; ma, soprattutto, i disegni offrono un'altra lettura della libertà creativa e dell'essenzialità del linguaggio poussiniano. Ogni quadro è accompagnato da una dettagliata didascalia informativa del soggetto trattato, estremamente utile per conoscere tutti gli episodi biblici e soprattutto mitologici che connotano la produzione poussiniana. Ma proprio tanto zelo illustrativo fa risaltare la mancanza di una sia pur minima spiegazione di tale profusione di soggetti mitologici, che avrebbe meglio definito la cultura del pittore e dei suoi mecenati.

Certamente la lezione dell'arte italiana, in un pittore vissuto quasi sempre a Roma, si coglie in misura marcata in tutta la sua opera. Decisivo è l'apporto di Tiziano, a cui rimanda la brillantezza dei colori e delle luci che a sprazzi illuminano le scene. E così si può dire per tutta la grande tradizione pittorica italiana, con vere e proprie citazioni da Raffaello come nel Giudizio di Salomone del 1649. Più singolari appaiono dunque le affinità con un pittore come Beccafumi, le cui figure animate da una drammatica forza interiore sembrano venir rievocate nella Battaglia di Giosuè contro gli Amalaciti (1625). La tensione interiore è l'elemento che caratterizza gran parte della pittura di Poussin; una tensione essenzializzata in un movimento contenuto. In un disegno raffigurante un Uomo che rapisce una donna (1633) la ripresa del Ratto di Proserpina del Bernini è palese; ed è qui, dunque, che emerge limpida l'eliminazione del decorativismo barocco a favore della pura tensione dinamica dell'evento. Questa tensione tradotta in termini di rigorosa semplificazione formale, tendente alla schematizzazione di verticali e orizzontali, verrà poi esaltata da David: esemplare in tal senso è La morte di Germanico (1627). Ma di questo quadro colpisce anche il contrasto fra il tono scuro uniforme che avvolge la scena e le macchie di colori accesi che lampeggiano sulle vesti, le armature.

La rigorosa struttura geometrica con cui viene costruita la composizione è uno degli elementi centrali della celebre prima serie dei Sacramenti realizzata per Cassiano dal Pozzo tra 1636 e 1642. Di fondo, è la classicità il motivo dominante della serie. In tutti i quadri risalta l'equilibrio compositivo, la sobrietà, la squisita delicatezza cromatica, il senso di una superiore armonia. Straordinariamente evidente risulta dunque il contrasto con la seconda serie dei Sacramenti, eseguita per Chantelou fra il 1644 ed il 1648. La disposizione delle due serie lungo due pareti, l'una di fronte all'altra, fa balzare in evidenza le profonde differenze che le distinguono. Alla chiarezza cromatica e compositiva, all'equilibrio, alla limpida definizione delle forme del ciclo commissionato da Cassiano del Pozzo si contrappone, in quello destinato a Chantelou, un accentuato dinamismo, una tavolozza varia ma dal timbro scuro e un disegno frastagliato, una forte carica drammatica e un'intensa espressività e, infine, una spiccata teatralità. In definitiva in questi ultimi dipinti si respira decisamente un'atmosfera "nordica", nettamente contrastante -e la disposizione speculare delle due serie risulta in tal senso particolarmente stimolante- con quella classicheggiante dei quadri di Cassiano. Oltre al marcato carattere drammatico espresso attraverso una pittura quasi "sporca" ed un dinamismo disordinato, l'impronta nordica dei quadri emerge anche attraverso alcuni elementi estremamente indicativi: in diverse composizioni si notano alcune figure atteggiate in una maniera particolare (raffigurate a tre quarti di spalle in un angolo della scena), la cui origine risale direttamente alla tradizione iconografica fiamminga.

Subito dopo la prima serie dei Sacramenti si colloca un quadro dalla struggente e contenuta carica emotiva, Il Testamento di Eudamidas, del 1643-1644. La composizione sembra regolata da un ritmo giocato sulle verticali e le orizzontali, e dominata da pacata cupezza che, nella penombra avvolgente, si traduce in accese note cromatiche nelle singole individualità delle figure. Ed una bellissima, sapiente fusione di Michelangelo e Caravaggio viene sublimata nella figura dello scrivente (che sembra ispirato ai Profeti della Sistina) e nella illuminazione del gesto sommesso ma eloquente del vecchio in secondo piano (che ricorda le ambientazioni caravaggesche).

Fra i paesaggi voglio segnalare il San Matteo e l'angelo di Berlino (1639-1640) che dispiega una splendida vallata intorno al fiume. Il linguaggio essenziale, lineare, e la cromia opaca rischiarata dal graduale passaggio del bianco delle nuvole fanno pensare ai futuri paesaggi tenui ma solidi di Camille Corot.



	
 

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