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Pino Pascali:
uno sguardo attraverso
 
Francesco Scura
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 11 luglio 2000, n. 14 (18 dicembre 1994)
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"Io mi propongo di vendere il frutto del mio ingegno, presupponendo di avere tale ingegno, e pertanto mi colloco nella schiera di quei pennivendoli, cortigiani, sicari, mercenari che sono la gloria delle nostre lettere. Sono ambizioso o sono pronto a degradarmi in ogni modo?"

GIORGIO MANGANELLI


INDICE

Pino Pascali come esperienza poliedrica: un'introduzione? pag. 3

Pino Pascali come metafora dell'esistenza: non solo cronologia. pag. 5

Pino Pascali come tentativo di capire e unificare le arti: un fallimento inevitabile? pag. 11

Pino Pascali come bellezza dell'esperienza ludica: favole, giochi e giocattoli. pag. 14

Pino Pascali come allegoria della natura: un legame spirituale? pag. 18

Pino Pascali come gestione dello spazio: teatro e teatralità. pag. 22

Pino Pascali come Pino Pascali: una conclusione? pag. 24


PINO PASCALI COME ESPERIENZA POLIEDRICA:
UN'INTRODUZIONE?


Chi è, cosa è stato, cosa significa oggi Pascali? Queste domande sono estremamente legittime... Peccato che si possa rispondere solo in modo approssimativo.

Avvicinarsi a delle risposte accettabili è comunque possibile: questo lavoro mira alla creazione di punti di riferimento che permettano, allo stesso tempo, di avere una solida base di partenza e di creare uno stimolante punto di arrivo. Si cercherà, inoltre, di scoprire il rapporto che lega i dati oggettivi (?) e le esperienze quotidiane, i rapporti umani e gli stimoli professionali, in sostanza, tutto ciò che fa parte del "fenomeno" Pascali.

In ultima analisi, non si deve dimenticare il "personaggio". A titolo di esempio ecco una sua dichiarazione (non ha importanza il contenuto, è sulla "metodologia mentale" che bisognerebbe riflettere!): "Se l'uomo americano usa la plastica è veramente uno spazio - 3 - nuovo, capisci? Un italiano che usa la plastica, a meno che non viva in un paese dove si fabbrica solo plastica... Che ti devo dire... Non è che voglio fare delle polemiche." Illuminante... - 4 -


PINO PASCALI COME METAFORA DELL'ESISTENZA:
NON SOLO CRONOLOGIA




 

La parabola artistica di Pascali comincia nel 1935 e finisce nel 1968. Prendere come rigidi punti di riferimento la nascita e la morte, delimitare rigorosamente l'ambito di analisi, significa perseguire un obbiettivo preciso: l'arte di Pascali non è nelle opere, è nell'idea, nel linguaggio, nella vita.

"Sono nato nel 1935. I miei primi giochi erano basati sulla guerra. I miei giocattoli erano mucchi di oggetti trovati in casa che rappresentavano armi. Un fagiolo diventava una pallottola, una pentola un elmetto..." Pascali, nell'infanzia, crea e sviluppa dei giochi (intesi nel duplice senso di materiale e metodo) che saranno rivisitati e ricostruiti nella fase di vera e propria affermazione artistica; non a caso porterà avanti temi desunti direttamente dalla (sua) psicologia infantile: il fascino dell'ambiente primario (la natura, quindi, come fonte di emozioni e stimoli), il gioco illogico e positivo delle favole, il gusto reiterato per la contraddizione... - 5 -

Cronologicamente queste tendenze sono difficilmente collocabili; diventeranno serio oggetto di analisi in un momento successivo: lo studio di itinerari tematici attinenti l'esperienza "totale" di Pascali.

Nato in Puglia, in un paese della provincia barese, e "vittima consapevole" di un ambiente fortemente provinciale e primitivo (nell'accezione positiva del termine) comincia a viaggiare: arriva a Napoli, ma la svolta è a Roma quando si iscrive, nel 1955, all'Accademia di Belle Arti. Comincia un periodo nel quale si sovrappone ogni tipo di esperienza e di progetto: l'entusiasmo per il corso all'Accademia tenuto da Toti Scialoja (non solo scenotecnica, ma anche filosofia e arte contemporanea) si congiunge ad una voglia, allo stesso tempo razionale e sfrenata, di vivere l'arte, la città, il quotidiano stesso "en bohème". Ecco, in un'intervista concessa nel 1967, cosa dice in proposito: "Io cerco di fare quello che mi piace, in fondo è l'unico sistema che per me va bene. Non credo che uno scultore faccia un lavoro pesante: gioca, come un pittore gioca, come qualsiasi persona che fa quello che vuole gioca. Non è che il gioco sia solo quello dei bambini, è tutto un gioco, no?"

Se le sperimentazioni "accademiche" su materiali nuovi - 6 - (sabbia, polvere di marmo), i primi lavori in campo pubblicitario (Incom, Agip) e alcuni bozzetti di scenografie continuano a risentire dell'influenza di Scialoja, Pascali comincia, seguendo un itinerario più personale, a sperimentare tecniche di chiara ascendenza americana: crea, modifica e distrugge plastiche bruciate e lamiere crivellate convinto del "carattere privato" di questi esperimenti.

Nel 1963 comincia a lavorare per la televisione. Significativo il rapporto di lavoro che aveva instaurato: più che consegnare dei veri e propri lavori finiti, creva degli spunti che venivano poi liberamente gestiti dai laboratori televisivi e adattati alle più svariate esigenze (sarebbe troppo facile, nonché sterile, polemizzare con l'ottusa sacralità dell'opera d'arte che opprime la maggior parte degli artisti; peraltro questa sarebbe tutta un'altra storia...)

Tra il 1964 e il 1965 Pascali comincia a esporre con frequenza in alcune gallerie romane: sono di questo periodo il "Colosseo", i "Ruderi su prato", i "Pezzi anatomici di donna". Analizzeremo in dettaglio alcune di queste opere successivamente, per adesso è importante sottolineare come siano sempre più frequenti i tentativi di collocare il "fenomeno" Pascali in restrittivi ambiti - 7 - di studio: superamento dell'Informale, rivisitazione Pop, Action Painting mediterranea oppure Living Theatre non più dinamico? Ileana Sonnabend aveva notato, intelligentemente, come il contrassegno specifico dei pop italiani fosse la mancanza di surrealismo, rinunciando così a qualsiasi collocazione specifica e fuori luogo.

Verso il 1966, con la serie dei "Cannoni", Pascali affronta anche il problema di un'arte che "sfonda" i limiti dello spazio espositivo. Nello stesso tempo elabora l'idea di costruire una nuova arca di Noè con animali preistorici e marini: le successive "Finte sculture". Da notare che rinuncia a diverse commissioni pubblicitarie e di scenografie per lavorare a questo progetto. Alla fine dell'anno avviene la definitiva consacrazione (anche al di fuori dei confini nazionali) dovuta soprattutto alla stretta collaborazione con la galleria L'attico di Fabio Sargentini.

Di Pascali, a distanza di anni, ha scritto: "[...] Era contagioso, endemico, travolgente: attraversava una stanza, [...] cavalcava una motocicletta con la stessa presa di possesso dello spazio, vitale ma non arrogante; anzi, venata di una fragilità e di una dolcezza impensabili in una forza della natura così [...] - 8 - dirompente".

Dal 1967 comincia a cercare un'integrazione sempre più difficile e stimolante tra cultura agraria (nel senso di primaria) e civiltà industriale. Inizia a studiare la "struttura intima" degli elementi base: l'acqua, la terra. Questi esperimenti porteranno alle opere sul mare e alle "Pozzanghere".

Il 1968 rappresenta un anno particolare: da un lato la presenza di un nuovo fenomeno culturale, l'arte povera "di" Germano Celant, favorisce nuove collocazioni (rispetto alle quali Pascali, peraltro, si mantiene sempre laterale); dall'altro la contestazione generale dell'estate interviene pesantemente sui suoi progetti: non riesce a realizzare l'annunciata Antibiennale veneziana e interrompe un progetto che avrebbe dovuto interessare alcune città italiane: le "Attività immaginarie".

11 settembre 1968. Pascali muore in un incidente motociclistico: facile cadere nell'iconografia squallida del mito che vive di sé e muore per sé. Significative sono, allora, le parole di Cesare Brandi in occasione del quindicesimo anniversario della morte: "C'era qualcosa di inesauribile, in Pascali, c'era il gusto dell'avventura e la certezza della riuscita, la mossa della fantasia e l'arresto di ogni volgarità... Di colpo gli oggetti - 9 - parlavano, i monti si muovevano, Maometto aveva finalmente accettato il colloquio". - 10 -


PINO PASCALI COME TENTATIVO DI CAPIRE E UNIFICARE LE ARTI:
UN FALLIMENTO INEVITABILE?




 

Rispondiamo subito: l'artista non può fallire perché non agisce in funzione di un obbiettivo palpabile e commensurabile... L'artista immagina, prova, sperimenta, raggiunge delle "conclusioni" che non sono altro che punti di partenza per nuovi, ulteriori percorsi futuri. "Un'evoluzione, se determina un fatto conoscitivo, penso che vada bene. Importante è fare sempre delle cose nuove, non nuove per gli altri, nuove per se stesso."

Pascali si evolve artisticamente in modo tutt'altro che uniforme: è come se attraversasse in modo trasversale (forse casuale?) tutte le correnti culturali del tempo; ogni opera ha certamente innumerevoli e innegabili riferimenti, ma credo sia più utile (e soprattutto più interessante) soffermarsi sull'approccio e sul rapporto che Pascali ha con il concetto "filosofico" della creazione artistica.

Dire che le opere (cioè la manifestazione effettiva, - 11 - la realtà palpabile) contano relativamente poco non vuole essere una provocazione: Pascali ha una visione estremamente complessa e sfaccettata del mondo, vive in perenne contraddizione (ludica, mai drammatica) con se stesso, agisce (anche) in funzione di una coscienza collettiva che tutti abbiamo dentro di noi.

Un esempio: alcune opere richiamano, semanticamente, lavori di Brancusi, Warhol e Burri; Pascali risponde così: "La struttura di quella specie di serpentone poteva anche sembrare qualcosa di Brancusi. Mi è venuta così proprio perché anche Brancusi fa parte di un mondo che chiamiamo quasi naturale, no? Brancusi fa parte ormai di una specie di immaginazione già compiuta. Non che mi interessi una partenza formale da Brancusi, Brancusi già esiste e già è la scultura... Forse mi faceva solo comodo risolvere in quella maniera..."

Pascali è stato scultore, pittore e scenografo, ha lavorato in pubblicità e per la televisione, si è interessato al teatro, ha ideato e interpretato un vero e proprio happening e ha lasciato scritti, disegni, poesie.

Non essendosi mai particolarmente interessato a un'esasperata e discriminante ricerca formale, ha realizzato sculture che "hanno un'anima", che si - 12 - trasformano in scenografie, in architetture, che bucano (ma l'operazione è ancora più violenta: i limiti, le pareti vengono letteralmente annientati) i confini del rigido spazio espositivo entrando direttamente nello spazio mentale (l'immaginario?) del pubblico. E' ancora Pascali che si spiega (?) perfettamente da solo: "Io penso di non essere uno scultore, ho questa impressione verso me stesso: è una cosa che potrebbe anche essere grave, ma chissà se è grave, per me anche quello è divertente.

Quando facevo i cannoni dicevo "che bello mettere un cannone in un posto degli scultori", riuscire a metterlo veramente, in quel mondo così sacro, così finto..."

Concludendo, l'eventuale intreccio, l'ipotetica compromissione tra espressioni artistiche diverse non rappresenta che un problema marginale... La "soluzione" forse si trova in quella sua volontà costante di trasfigurazione fantastica del reale ossia, in parole povere, il rapporto di interscambio per cui la vita è un gioco, ma il gioco più divertente rimane la vita... Ma questo è l'argomento del prossimo paragrafo... - 13 -


PINO PASCALI COME BELLEZZA DELL'ESPERIENZA LUDICA: FAVOLE, GIOCHI E GIOCATTOLI.




 

Maurizio Calvesi, per la presentazione di una mostra di Pascali nel 1966, affronta la questione dell'arte come gioco: "Pascali non vuole farvi giocare con questi presunti balocchi; tutto è già fatto, ci si è già baloccato lui, la sua favola se l'è già costruita e vuole soltanto portarvene al cospetto". Quindi propone un'ipotesi: "Opere come giocattoli, allora, più che arte come gioco".

Alberto Boatto fa riferimento alle opere. Sulla serie dei "Cannoni": "L'arma in Pascali manca alla sua funzione, il perfetto ordigno bellico soffre della grave imperfezione di non sparare; l'aggressività non arriva al suo fine". Sulla serie delle "Finte sculture": "Se il grosso calibro è privato della sua potenza di fuoco, il dinosauro, il rinoceronte, le giraffe sono privi di gambe, corna, teste".

Sulla serie dei "Pezzi anatomici di donna": "I rilievi di - 14 - donna sono anatomie, parti del corpo uscite dalle mani gentilmente sadiche di un Jack lo Squartatore il cui teatro d'azione resta l'immaginario". Boatto infine propone un riferimento alla Pop Art americana: "La testa della Monroe e della Taylor di Warhol non rimanda al corpo delle dive, ma all'apparecchio fotografico e all'impaginazione tipografica che taglia, inquadra e monta. [...] Invece le labbra-vulva di Pascali, il petto, il mons veneris appartengono al mondo compatto dell'inconscio, [...] e non sono, come l'effigie riprodotta della star, una proiezione di anonimi desideri".

Il problema, quindi, non è tanto capire se Pascali gioca, ma come gioca, secondo quali presupposti e con quali obbiettivi.

Personalmente non condivido l'opinione di chi legge, ad esempio, nei "Pezzi anatomici di donna", ancestrali riferimenti alla "Grande Madre Mediterranea"; molto più probabile un gioco (ma non un giocattolo!) erotico che esalta la fantasia inesauribile di che si diverte a "scoprire" cose che già conosce. I "Seni" non potrebbero rappresentare semplicemente l'esaltazione di una forma perfetta? Oppure non potrebbero riferirsi ad una memoria - 15 - divertita che guarda compiaciuta a se stessa ?

Anna D'Elia esplicita chiaramente questo "gioco erotico": "Al gioco può essere paragonato solo l'eros.

Entrambi posseggono la medesima forza di liberazione, l'unica che può sostenere la volontà creatrice dell'artista". Ma è di nuovo Pascali stesso che spiega (?) il suo punto di partenza: "Io fingo di fare delle sculture, ma che non diventino quelle sculture che fingono di essere, io voglio che diventino una cosa leggera, che siano quello che sono, il che non spiega proprio niente, le ho fatte così, è andata così".

La creatività di Pascali non nasce solo dall'istinto. Una "problematicità congenita" lo porta ad intraprendere un estenuante lavoro di ricerca che, secondo Boatto, si svolge lungo tre direzioni concomitanti: sul piano autobiografico in direzione dell'infanzia; sul piano antropologico in direzione del selvaggio; sul piano materico in direzione degli elementi che sostengono l'impalcatura del mondo. "Pascali apre e chiude in fretta cicli tematici e creativi; lascia che il tempo lo consumi al suo interno con la febbre che lo muove a fare, a manipolare, a costruire".

La favola. I giochi. I giocattoli. L'aspetto ludico non rappresenta semplicemente - 16 - un'interpretazione, ma il vero e proprio oggetto dell'esperienza artistica di Pascali; è la favola, con la sua "elaborata semplicità", che invece esprime il mezzo tramite il quale Pascali comunica. Dunque, la metodologia della favola (cioè i suoi schemi mentali) porta ad una visione del mondo come gioco (cioè la sua stessa vita) che genera dei giocattoli "già giocati" (cioè le sue opere d'arte).

E la "realtà" della natura? Ecco di cosa ci occuperemo nel prossimo paragrafo... - 17 -


PINO PASCALI COME ALLEGORIA DELLA NATURA: UN LEGAME SPIRITUALE?




 
"Quello che mi piacerebbe è di essere il più naturale possibile, ma non naturale... Boh, non lo so spiegare mica questo fatto del naturale io".

Che sia questo il vero Pascali? Oppure siamo di fronte ad una delle tante sfaccettature dell'insondabile e inesauribile "fenomeno" Pascali? Difficile rispondere con certezza, ma sicuramente non si può liquidare questo modo di affrontare le cose come puro e semplice divertimento.

La "natura" rappresenta un campo di indagine incredibilmente vasto: concezione filosofica, riferimento ancestrale, tentativo di estraniarsi, oppure, più semplicemente, analisi delle proprie origini? La frase di Pascali, che avrebbe dovuto risolvere la questione, non fa altro che complicare un panorama già alquanto confuso. Il riferimanto alle opere, per quanto necessario, non è sufficiente dato che risulta incomprensibile il presupposto di partenza: anzi, il problema è in una compresenza (davvero troppo numerosa!) di presupposti - 18 - ugualmente significativi.

Sentiamo ancora Pascali: "[...] Un punto che gira in un foglio senza fermarsi mai; lo si può riempire tutto, ma senza aver fatto neanche un'immagine. [...] Questo è un lungo percorso, si possono creare incroci in quella maniera, però alla fine, non lo so, rimane un punto o una linea. Poi uno può vederci, in questo foglio, una specie di planimetria, tirar fuori altre storie, ma non è il mio modo di... Non sono talmente introverso in questo senso".

Se si volesse concludere in modo elegante e distaccato sarebbe facile dire che Pascali gioca con la natura (unendo, quindi, le due tematiche più importanti della sua esperienza), ma significherebbe fermarsi ad uno stadio superficiale di analisi.

Le opere che fanno parte di questa ipotetica "sezione naturale" sono tutte appartenenti ai suoi ultimi anni: "Cascate", "32 mq di mare circa", "Campi arati", "Balla di fieno", "Bachi da setola" e "Liane" vanno infatti dal 1966 al 1968. L'apparizione nel film "SKMP2" di Luca Patella sarà affrontata in chiusura di paragrafo. Cosa rappresentano, alla radice del significato, le opere citate? Un dato è subito evidente: la forte contraddizione tra la tematica naturale del mare, dell'agricoltura e la - 19 - messa in scena con materiali che non hanno nulla di primario (a meno che non si voglia ipotizzare che anche la civiltà industriale ha avuto un suo "ancestrale primario").

Un esempio: il mare (il mare dei suoi ricordi infantili...) viene brutalmente decontestualizzato dai suoi significati abituali attraverso l'immissione dell'acqua in vaschette tutte uguali, attraverso l'uso di materiali "industriali" (l'alluminio, lo zinco) che, seguendo forse il vero scopo dell'artista, ricreano non un nuovo mare, bensì una nuova "idea" di mare. Brandi ne parla così: "Pascali torna indietro alla più bassa forma di analogia, quella di rappresentare una cosa con la stessa cosa". Un altro esempio: nei "Campi arati", ad un'imponente presenza della natura, fa da riscontro una significativa presenza umana senza tempo, perché uguale da sempre. A lasciare segni "sulla" natura non è un uomo qualunque, ma l'uomo-agricoltore delle civiltà primitive. Vittorio Rubiu propone un'interpretazione interessante: "La natura che Pascali amava è quanto di meno ovvio e romantico si possa immaginare. [...] La natura non ha per lui nessun significato se non dentro un ordine umano".

L'ultima "opera" da considerare è un film (azione - 20 - pura?) che Patella ha girato nel 1968: "SKMP2". Pascali interpreta (o meglio, rivive) il ciclo biologico della natura: nascita, morte e rinascita. D'Elia propone, personalmente, una visione particolarmente ristretta: "Il recupero dell'agricoltore ha un significato preciso nel lavoro di Pascali: riportare nella cultura industriale di matrice nord-europea, i valori e i modelli del mondo agricolo e mediterraneo".

Si potrebbe parlare all'infinito delle scene in cui Pascali taglia il mare con le forbici o pianta dei filoncini di pane nella sabbia... Rinuncio volentieri, in questo caso, ad un'improbabile interpretazione critica... E' semplicemente straordinario entrare in contatto con la dolce impotenza umana manifestata dal "gesto divertente e divertito" di chi vuole tagliare il mare...

- 21 -


PINO PASCALI COME GESTIONE DELLO SPAZIO: TEATRO E TEATRALITA'.




 
"A me piace partire proprio dal materiale perché nel materiale c'è il limite stesso. Se uno sceglie un certo materiale proietta le proprie possibilità dentro dei limiti ben precisi. Io non penso che con un certo materiale si può far tutto, si può fare solo una cosa e questa sola cosa è un'idea di se stesso [...]". Pascali, in queste poche parole, esprime una concezione spaziale molto particolare: se si considera la parola "materiale" in senso lato ecco che prende corpo una tematica con cui siamo già entrati in contatto. Pascali naviga (perdendosi?) all'interno di una ricerca in cui, potenzialmente, tutto è possibile; è consapevole dei limiti oggettivi della sperimentazione, del gioco e della natura, ma non per questo è sminuito il valore del percorso verso il proprio intimo creatore. (Ho cambiato definizione perché è desolante chiamare questo percorso sempre e solo ricerca... Troppo asettico!)

Lo "spazio" di Pascali non è un concetto vago e - 22 - indefinito: il riferimento al teatro è d'obbligo, ma bisogna analizzare i presupposti attraverso i quali si verifica l'avvicinamento ad una forma d'arte diversa. Fondamentalmente, sperando di non banalizzare eccessivamente, Pascali trasferisce nel "suo" teatro (cioè l'happening) la staticità della scultura e inserisce nella "sua" arte applicata il movimento (anche solo mentale) tipico del teatro.

La critica, in genere, ha cercato di collegare a Pascali tutte le influenze e correlazioni possibili e immaginabili: si è parlato di teatro medievale, di Artaud, di performances ai limiti della Body Art, di Grotowsky, di antiteatro... Giorgio Verzotti, in un breve saggio, è semplicemente geniale: "Artaud è dovunque, ma non a teatro. [...] Grotowsky, più modestamente, va in cerca di Dio. [...] Tutto ciò non ha niente a che fare con Pascali, per il quale il "teatro" si identifica con il distacco e la finzione". - 23 -


PINO PASCALI COME PINO PASCALI: UNA CONCLUSIONE?




 

L'orientamento di analisi, la struttura dei paragrafi, non è particolarmente significativa. Unàaltra impostazione critica sarebbe stata ugualmente valida.

Pascali rappresenta il tipico "ambito culturale" difficile da esemplificare: le stesse opere, se da un lato sono "elementari", dall'altro sono insondabili nel loro spirito più profondo e complesso.

In origine questo lavoro era nato con l'intenzione di valutare il "caso" Pascali in funzione di importanti (e diverse) interpretazioni estetico-artistiche: sembrava interessante partire dalla teoria pura (la "filosofia"?) per arrivare alla più semplice creazione artistica (la "gestualità"?). Adorno, Cézanne, Fiedler (...la scelta è stata sinceramente casuale e irrazionale) sembravano incredibilmente adatti a leggere l'esperienza di Pascali, sentiamoli:

Adorno: "Fare leva sul piacere estetico per interpretare - 24 - le opere d'arte significa porle al livello della gastronomia e della pornografia. [...] Il borghese desidera che l'arte sia voluttuosa e la vita ascetica; il contrario sarebbe meglio".

Cézanne: "Prendo a destra, a sinistra, qui, là, dovunque, le tonalità della natura, i suoi colori, li fisso, li accosto... Essi formano dei contorni. Divengono degli oggetti, delle rocce, degli alberi, senza che io vi pensi". Fiedler: "L'attività artistica è un'attività senza fine; ogni risultato raggiunto apre all'artista la visione di ciò che non è stato ancora raggiunto".

Il lavoro si è sviluppato in modo radicalmente diverso. Non so se il risultato sia positivo (domanda retorica...), ma è un dato innegabile il fatto che sia stato lo stesso Pascali a trascinarmi verso quelle posizione che ho, successivamente, sezionato e analizzato.

Un'ultima domanda (sempre retorica?): riferire tutto a se stessi, all'esperienza personale, alla propria concezione del mondo, rappresenta un reale problema per chi persegue lo scopo dell'analisi oggettiva a 360 gradi ?

Il narcisismo e l'egoismo (artistico) non possono fornire spunti finalmente originali? E, soprattutto, non - 25 - potrebbero essere qualità invidiabili?

Hanno collaborato Diana Raiano (per l'ambito psicologico/creativo) e Gianni Fallacara (per l'ambito emotivo/intellettuale)... Oppure si è verificata una collaborazione trasversale che non ho mai cercato e che mi ha costretto a scrivere quello che ho scritto? Illuminante!



	
 

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