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Topografia di Roma e dell'Italia Antica
L'orologio di Augusto (Regio IX)
 
Stefano Del Lungo
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 11 luglio 2000, n. 35 (25 Novembre 1994)
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Area Archeologia

Partendo dalla viabilità attuale, l'orologio solare di Augusto, noto nelle fonti come "horologium" e "solarium", o, in riferimento al proprio obelisco, come "gnomon" e "obeliscum", occupava lo spazio compreso tra le odierne Piazza del Parlamento, Piazza S. Lorenzo in Lucina, via del Giardino Theodoli e vicolo della Torretta.

L'obelisco, utilizzato come asse indicatore del tempo (da cui i termini gnomon e gnomone), si trova attualmente davanti al palazzo di Montecitorio, un po' arretrato rispetto alla posizione occupata in antico (1) .

Le indagini e gli scavi relativi all'orologio di Augusto condotti periodicamente dal 1975 al 1986 sono stati curati dall'Istituto Archeologico Germanico, in relazione ad una serie di interventi nel Campo Marzio e, in particolare, nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina, per il suo avanzato stato di degrado architettonico.

Le ricostruzioni che precedentemente erano state date del complesso orologio-obelisco erano del tutto errate (2), tanto che nellla seconda metà degli anni '70 il prof. E. Buchner, presidente dell'Istituto nella sua sede a Berlino, decise di intraprendere scavi accurati nella zona di S. Lorenzo, partendo dai calcolo compiuti dal suo collega prof. Rakob, direttore della sezione di Roma dell'Istituto.

La campagna portò al rinvenimento in via del Campo Marzio, a 8 metri di profondità, del livello augusteo e di un battuto che, subito, si pensò dovesse corrispondere al piano di giacitura delle lastre di pietra su cui poggiavano le strisce di bronzo della meridiana.

Ciò confermava le stime del prof. Rakob per una superficie occupata dall'orologio di m 160 x 75, paragonabile a metà della Piazza S. Pietro attuale, e che la meridiana non fosse lastricata su tutta la superficie, ma solo sulle linee più importanti, dove si trovavano lle strisce di bronzo della larghezza di 3-4 cm; la restante parte era ricoperta da prato, come mostrano gli studi di paleobotanica effettuati sul polline rinvenuto nello scavo.

Scoperte ancor più importanti si ebbero nel 1979, quando nelle cantine dello stabile al ndeg. 48 di via del Campo Marzio il medesimo prof. Buchner (3) trovò, quasi accanto allo scavo precedente ma, questa volta, a soli 6,30 m di profondità, sotto una falda d'acqua, un lastricato in travertino ricoperto da uno strato di cocciopesto, appartenente forse ad una vasca di età adrianea.

Sulle lastre vi erano impressi con lettere di bronzo i nomi in greco dei segni zodiacali e un asse con una serie di tacche perpendicolari, interpretato come uno dei punti di riferimento dell'ombra dell'obelisco.

Dato il dislivello con il piano augusteo, si pensò si trattasse di un rifacimento di fine I-inizi II sec. d. C., in cui si rialzò in parte la superficie dell'orologio, si calcolarono le angolazioni delle ombre, si usarono a rovescio le vecchie lastre di travertino e vi si incastrarono, in base alle nuove misure, le strisce di bronzo augustee.

In previsione di nuove indagini, si calcolò che il Mezzogiorno del 23 Settembre (giorno della nascita di Augusto) si trovasse sotto il bar posto a circa 40 m di distanza dal palazzo. Per adesso, comunque, gli scavi sono in corso sotto la sacrestia della chiesa di S. Lorenzo in Lucina, dove dovrebbe trovarsi l'ora Nona di un mese invernale non ancora noto.

Partendo da questi elementi e unendo le informazioni tramandateci dal Medioevo sull,orologio, si ha il seguente quadro storico:

1) negli anni 10-9 a.C. Augusto realizza il primo orologio, sistemando il quadrante parte su travertino e parte sull'erba;

2) dopo poco inizia la progressiva ricopertura dell'area con i detriti lasciati dalle inondazioni del Tevere e dalle acque di scolo dei colli del Quirinale, Viminale e Pincio. Nell'arco di 30 anni (4) l'orologio non funziona più, essendosi spostato l'obelisco di qualche centimetro e apprestandosi il quadrante a sparire sotto uno spesso strato di terra;

3)in un anno non precisato del principato di Domiziano (forse subito dopo l'80 d.C., quando un terribile incendio devastò il Campo Marzio), su un accumulo di detriti di ben 2 m di spessore si rimonta l'orologio, con il quadrante tutto in travertino e parti in mosaico. Anche in questo caso, però, l'opera ha vita breve, visto che, poco dopo, di lei si perde ogni traccia e testimonianza, resta solo l'obelisco-gnomon, che diviene il simbolo del Campo Marzio, come si vede nella decorazione del basamento della colonna di Antonino Pio;

4) a partire dal 1463 si susseguono le segnalazioni di ritrovamenti fortuiti di parti della meridiana. Il Lanciani (5) per il 1484 cita la testimonianza di Pomponio Leto: "ubi est domus nova facta, quae est capellanorum cuiusdam capellae s. Laurentii" (l'autore si riferisce alla costruzione nel 1463 di una cappella in S. Lorenzo in Lucina ad opera del cardinal Calandrino) "fuit basis horologi notissimi" (ossia dell'obelisco). "Ubi est eph(ebeu)m capellanorum, ibi fuit effossum horologium, quod habebat VII gradus circum, et lineas distinctas metallo inaurato. Et solum campi" (cioè del Campo Marzio) "erat ex lapide amplo quadrato et habebat lineas easdem, et in angulis quattuor venti ex opere musivo cum inscriptione ut Boreas spirat, etc.";

5) gli ultimi ritrovamenti casuali del piano dell'orologio avvennero un po' prima del 1876. Infatti, i curatori della prima parte del Corpus Inscr. Lat. vol. VI, e. Bormann e G. Henzen, a proposito dell'iscrizione posta su due lati della base dell'obelisco (6) , scrissero: "...Senonchè i vicini, che intorno ad esso" (cioè l'obelisco) "hanno le case, asserivano che quasi tutti loro, nel corso degli scavi compiuti sulle rispettive proprietà per realizzare cantine, avevano trovato vari segni celesti di ottima fattura bronzea, posti su un pavimento intorno allo gnomone..."

Accanto ai risultati degli scavi, l'unica fonte antica utile per apprendere la tipologia, l'aspetto e le modalità di funzionamento dell'orologio è Plinio il Vecchio (per il testo si rimanda alla nota (7).

Innanzi tutto bisogna capire se è venuto prima l'obelisco o l'orologio: Augusto, cioè, ha portato a Roma l'obelisco al fine di usarlo come ago (gnomon) per il suo orologio, oppure, una volta a Roma l'obelisco, ha pensato solo in un secondo momento di servirsene come gnomon ?

L'iscrizione della base dell'obelisco non menziona minimamente l'orlogio (quindi ci si avvicinerebbe alla seconda ipotesi) ma le prime righe del testo pliniano non aiutano certo a risolvere il dubbio; infatti, le seguenti parole: "Di quello che si trova nel Campo Marzio il divino Augusto fece un uso degno di ammirazione", possono essere a favore tanto della prima che della seconda ipotesi. E' anche vero, però, che l'obelisco in Egitto è il simbolo del Sole e a tale divinità Augusto fa riferimento nell'iscrizione della base, riportandoci all'idea della meridiana (8).

Altrettanto dubbia è l'identità del progettista dell'orologio. I manoscritti dell'opera pliniana riportano due diverse versioni, accettate dagli editori solo in base a scelte personali:

1) "...et ingenio fecundo Novi mathematici..." ("degna... dell'ingegno fecondo del matematico Novus"). Si congettura una lettura di Novus per Nonius, identificando il matematico con il cavaliere romano C. Nonio, accusato al tempo di Claudio di congiura ai danni dell'imperatore e condannato a morte (9); oppure con il questore Novio Nigro, implicato nella congiura di Catilina (10);

2) "...et ingenio Fecundi Novi mathematici..." ("degna... dell'ingegno del matematico Fecundo Novo"); questa è la versione più seguita, anche con variazione di Fecundo in Facundo.

A proposito della costruzione del piano della meridiana Plinio distingue diverse fasi. All'inizio, per determinare l'estensione del quadrante si osservò l'area coperta dall'ombra dell'obelisco nel giorno del solstizio d'inverno (21 Dicembre), momento in cui, raggiungendo il sole il punto più basso sull'orizzonte, l'ombra è alla sua massima lunghezza e oscura con la sua rotazione una porzione maggiore di terreno che nel resto dell'anno.

L'indicazione dei giorni di ogni mese fu data da un reticolo di linee orizzontali-curve (percorso seguito dall'ombra nell'arco di una giornata) e verticali-rette (lunghezza dell'ombra in relazione alla minore o maggiore altezza del sole sull'orizzonte). Delle orizzontali solo una linea era retta, quella il cui tracciato conduceva direttamente all'Ara Pacis il 23 Settembre (giorno dell'equinozio di Autunno e, come si è già detto, della nascita di Augusto). Delle verticali, invece, quella centrale, perpendicolare all'obelisco ecorrispondente alle h 12 di ogni giorno, non solo era più corta delle altre, ma anche era munita, in totale, di 182 barrette orizzontali, poste a distanze uguali e regolari, corrispondenti, ciascuna, a due giorni.

Accanto a queste erano incastrati nella pietra i nomi in greco delle costellazioni zodiacali e alcune indicazioni astronomiche, come "ETHESIAI PAUONTAI" (Etesìai pàuontai), cioè "cessano i venti Etesii", oppure "QEROUS ARCH" (Thérous arché), cioè "inizio dell'Estate".

Di queste note colpisce come si riferiscano a fenomeni celesti e meteorologici riscontrabili solo nella parte orientale del Mediterraneo, e automaticamente viene da pensare alla presenza di un modello alle spalle dell'orologio, da ricercare in Egitto, sulla costa siro-palestinese, in Asia Minore o in Grecia.

Infine, raffigurazioni a mosaico dei venti, come ci viene testimoniato nel Medioevo, dovevano trovarsi ai margini del quadrante.

In generale, partendo proprio da queste indicazioni, si è concordi nel ritenere che:

1) la posizione della meridiana nel Campo Marzio, a circa metà strada tra il Mausoleo di Augusto, l'Ara Pacis e il Pantheon di Agrippa non è casuale, ma obbedisce a precise regole propagandistiche;

2) il corredo nel quadrante di iscrizioni in greco e non in latino, come sarebbe più logico a Roma, unitamente ad indicazioni astronomiche tanto particolari quanto inutili per l'Italia, può essere la prova che si tratti della copia esatta da un originale alessandrino, riprodotta sulla scia di quel gusto egittizzante che già aveva ispirato Augusto per gli altri obelischi e per il suo Mausoleo, e che rientrava nel piano di assomigliare sempre più ad Alessandro Magno.

L'obelisco, divenuto poi gnomon dell'orologio, risaliva al faraone Psammetico II (VI sec. a.C) e si trovava ad Heliopolis (11), in Egitto. Augusto lo fece portare a Roma nel 10 a.C, forse contemporaneamente o anteriormente agli altri tre obelischi, presi sempre in Egitto e posti uno sulla spina del Circo Massimo e due innanzi al proprio sepolcro (12).

Era un monolite di granito rosso, alto quasi 22 m e ricoperto di geroglifici su tutti e quattro i lati. Per quanto la sua funzione di gnomon venisse presto meno, l'obelisco rimase ancora in piedi per molti secoli (13). Cadde in una data ignota (forse a causa del sisma dell'Aprile dell'849 (14) o nel 1048, durante l'assedio di Roma da parte di Roberto il Guiscardo, dopo che la sua base, ben raggiungibile tramite l'accumulo di macerie che aveva ricoperto il piedistallo, era stata arrotondata dall'azione del ferro e del fuoco) e si ruppe in cinque pezzi. Per la gran quantità di detriti depositatisi al di sopra, se ne perse presto ogni traccia. Solo la memoria di questa pietra bizzarra e della relativa ombra rimasero nella piazza antistante S. Lorenzo, dando vita ad una leggenda.

Si racconta, infatti, che ivi si ergesse una statua con il braccio e l'indice destro tesi, e sul dito la scritta "Percute hic", ossia "Batti qui". Dopo che molti avevano eseguito l'ordine della statua senza che nulla accadesse, vi provò il grande negromante Gerbert d'Aurillac (meglio noto come papa Silvestro II - 999-1003), ma in un modo del tutto particolare: attese il Mezzogiorno e segnò il punto dove cadeva l'ombra dell'indice, poi, la notte stessa, assistito da un servitore, aprì con un sortilegio la terra e si trovò in una reggia d'oro, piena di ricchezze e di statue di re, di dgnitari e di altri personaggi celebri, anch'esse d'oro e poste a guardia dell'immenso tesoro. I due avendo tentato di sottrarre i gioielli e gli altri beni facilmente trasportabili, si videro circondati dalle statue, improvvisamente animate, e furono costretti alla fuga, non potendo portare con sé nulla. Il tesoro da loro visto era quello dell'imperatore Ottaviano Augusto, che naturalmente non fu più rinvenuto (15).

L'obelisco venne ritrovato per caso nel 1502; i suoi avanzi erano riuniti in una cantina del Largo dell'Impresa (strada non più esistente) e furono scoperti da un barbiere che ivi aveva il suo negozio.

Dopo gli infruttuosi tentativi di Sisto V di rimontare l'obelisco e di rialzarlo, Benedetto XIV nel 1748 fece raccoglierne i frammenti, che rischiavano di andare perduti, e li mise in salvo nel cortile di un palazzo in via della Vignaccia (strada anch'essa scomparsa). Solo tra il 1789 e il 1792 Pio VI riuscì a restaturarlo, ricorrendo anche a pezzi presi dalla base di Antonino Pio, e a innalzarlo in Piazza Montecitorio, sullo stesso piedistallo antico dove tuttora si trova (16).

Nonostante la grandiosità, l'importanza e l'eccezionalità di un monumento come l'orologio di Augusto, le fonti sembrano, in generale, non avere mai sentito parlare di esso.

Se proprio un accenno deve essere fatto, questo va, seppure in breve, all'obelisco. Lo stesso Plinio tratta dell'orologio in funzione dell'obelisco, in quanto quadrante di uno gnomon (non a caso la descrizione è collocata all'interno del capitolo dedicato agli obelischi di Roma).

Naturalmente questo è un argomento "ex silentio", poiché dal naufragio della letteratura classica nel Medioevo a noi sono giunte per la maggior parte opere e frammenti di autori che di topografia e tecnologia si interessano poco o nulla; ma è anche una constatazione. Infatti, escludendo Plinio (23-79 d.C.), non si capisce come mai Strabone (I sec. d.C.), Ammiano Marcellino (330- 400 d.C.) e i Cataloghi Regionarii (IV sec. d.C.) tacciano del tutto dell'orologio; in più è strano che tra il I e il IV sec. d.C. già vi sia il vuoto completo di notizie (17).

Pur non conoscendo le vicende dell'orologio dalla fine del I sec. d.C. in poi, sono proprio gli scavi compiuti dai tedeschi a suggerirci la risposta.

Come si è visto, tra la fase dell'orologio di Augusto e quella del successivo rifacimento domizianeo vi è un dislivello di 2 m, creatosi nell'arco di quasi un secolo a causa delle piene del Tevere e delle acque di scolo dei colli circostanti. E' possibile, allora, che il progressivo interramento di questa parte del Campo Marzio sia proseguito inesorabile amche dopo il ripristino del quadrante della meridiana e che già nella metà del II sec. d.C l'orologio si trovasse ad una profondità tale da non essere più visibile: dell'intero complesso solo l'obelisco sarebbe rimasto a provarne l'esistenza e il passato splendore.





NOTE

(1) Per maggiore comodità del lettore si è ritenuto utile seguire la tradizione storico-topografica, trattando separatamente la storia dell'orologio da quella dell'obelisco e iniziando col parlare degli scavi più recenti, per poi andare alle testimonianze passate.

(2) Il Rodriguez Almeida (E. RODRIGUEZ ALMEIDA, Il Campo Marzio settentrionale: solarium e pomerium, Rend. Pont: Acc Arch. LI-LII, 1978-1980, pp. 195-212), sulla base del ritrovamento dei cippi delimitanti il Pomerio all'interno dell'area ipoteticamente occupata dal quadrante, riteneva addirittura che l'orologio funzionasse solo nella metà orientale, dal mezzogiorno al tramonto (cfr. S. BOSTICCO, Frammento inedito dell'obelisco campense, Aegyptus, XXXVII-1957, p. 63 sg.

(3) E. BUCHNER, Solarium Augusti und Ara Pacis, Mitt. deut. archaol. Inst., Rom. Abteil. LXXXIII-1976, pp. 319-365; E. BUCHNER, Horologium, Solarium Augusti. Vorbericht uber die Augsgrabungen 1979/80, Mitt. deut. archaol. Inst., Rom. Abteil. LXXXVII-1980, pp. 355-373; E. BUCHNER, L'orologio solare di Augusto, Rend. Pont. Acc. Arch., LIII-LIV 1981-1982, p. 330 sgg.; E. BUCHNER, Die sonnenhur des Augustus, Mainz am Rhein 1984

(4) Plin., Nat .Hist. XXXVI, 73

(5) R. LANCIANI, Storia degli scavi di Roma, Roma 1902, vol. I, p. 83; cfr. Codice topografico della Città di Roma, a cura di R. VALENTINI e G. ZUCCHETTI, Roma-Ist. Stor. Ital. 1953, vol. IV, p. 427, ll. 9-13

(6) CIL VI, 702: (lato della base rivolto a S) "imp. Caesar divi fil. / Augustus / pontIFEX MAXIMUS / imp. XII COS XI TRIB POT XIV / aEGYPTO IN POTESTATEM / pOPULI ROMANI REDACTA / SOLI DONUM DEDIT.

(7) Plin., Nat. Hist. XXXVI, 72-73: "All'obelisco che è nel Campo Marzio il divino Augusto attribuì la mirabile funzione di segnare le ombre proiettate dal sole, determinando così la lunghezza dei giorni e delle notti: fece collocare una lastra di pietra che rispetto all'altezza dell'obelisco era proporzionata in modo che, nell'ora sesta del giorno del solstizio d'inverno l'ombra di esso fosse lunga quanto la lastra, e decrescesse lentamente giorno dopo giorno per poi ricrescere di nuovo, seguendo i righelli di bronzo inseriti nella pietra: un congegno che vale la pena di conoscere, e che si deve all'acume del matematico Facondo Novio. Questi aggiunse sul pinnacolo una palla dorata, la cui estremità proiettava un'ombra raccolta in sé, perchè altrimenti la punta dell'obelisco avrebbe determinato un'ombra irregolare (a dargli l'idea fu, dicono, la testa umana. Questa registrazione del tempo da circa trent'anni non è più conforme al vero, forse perchè il corso del sole non è rimasto invariato, ma è mutato per qualche motivo astronomico, oppre perchè tutta la terra nel suo complesso si è spostata in rapporto al suo centro (un fatto che - sento dire - si avverte anche in altri luoghi), oppure semplicemente perchè lo gnomone si è smosso in seguito a scosse telluriche, ovvero le alluvioni del Tevere hanno provocato un abbassamento dell'obelisco, anche se si dice che se ne siano gettate sottoterra fondamenta profonde tanto quanto è alto il carico che vi si appoggia".

(8) F. COARELLI, Roma sepolta, Roma 1984, p. 80; Collezione C. Orlando Castellano, L'Urbe, XXVII-1964, ndeg. 5, pp. 13-15

(9) Tac., Annales XI, 22

(10) Svet., Caes. 17

(11) Centro ad una cinquantina di miglia a N di Menfi, sulla riva destra del Nilo. Strab. XVII, C805; Amm. Marc. XVII, 4, 12

(12) Nel 1587 papa Sisto V, tramite l'architetto D. Fontana, porta il primo in Piazza del Popolo e il secondo in Piazza dell'Esquilino. Il terzo viene trasferito nel 1793 per ordine di papa Pio VI in Piazza del Quirinale.

(13) Negli Itinerarii dei secc. VIII e IX risulta ancora in piedi e alla vicina chiesa di S. Lorenzo in Lucina viene dato l'appellativo "Ad Titan", con chiaro riferimento all'obelisco.

(14) R. LANCIANI, Segni di terremoti negli edifizi di Roma antica, Bull. Comm. Arch. Com. 1918, pp. 3-28

(15) Questa versione della leggenda si trova in S. DELLI, Le strade di Roma, Roma-Newton Compton 1988, p. 230 sg. Il Tomassetti (G. TOMASSETTI, La Campagna Romana nel Medioevo, Archiv. Soc. Rom. St. Patria 23-1900, p. 153), suggestionato dal racconto e convinto che comunque abbia una base reale, tende a ricondurre alla stesso motivo la notizia di una località "ad digitum Solis" (IX sec.), situata tra le città di Ostia e di Porto. Infatti, a proposito del curioso toponimo afferma: "deve significare una statua relativa al sole, con un dito in alto, statua che doveva decorare l'orologio solare del porto. Ed aggiungo che anche nell'orologio monumentale del Campo Marzio in Roma si ricorda una statua ma col dito abbassato... Forse due statue decoravano due antiche meridiane, l'una col dito in alto, da Levante, l'altra col dito in basso, da Ponente".

(16) Cfr. C. FEA, Miscellanea filologica, critica e antiquaria, Roma 1790, tomo I, p. 74, 123, 166

(17) Cfr. A topographical dictionary of ancient Rome, a cura di AAVV, vol. II, p. 366 sg.



	
 

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