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Le croci dipinte di Cimabue e di Giotto  
Loredana Angiolino
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 15 giugno 2001, n. 270
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Area Restauro

Il panorama artistico del '200 e del '300 nell'Italia centrale, già approfonditamente indagato a seguito dei recenti restauri degli ultimi decenni, ne è uscito da poco tempo particolarmente arricchito con recuperi fondamentali. Fra questi, gli ultimi in ordine di tempo, riguardano la Croce di Cimabue ad Arezzo - Chiesa di San Domenico 1270 c. - e quella di Giotto a Firenze - Santa Maria Novella, 1288-90 - che rientrano in un ben preciso filone culturale.
A parte l'altissima qualità delle croci - sono opere che si lasciano guardare e subito captano per il senso di una forte vena poetica - ripropongono il problema della definizione di un nuovo stile, che le rende opere chiavi nel rinnovamento della pittura italiana, ma anche di una nuova iconografia, con la figura del Cristo profondamente naturale e umana, diversa dalle immagini fino ad allora conosciute, prevalentemente simboliche.
Un'innovativa rappresentazione rispondente al manifesto di una nuova religiosità, che insiste sulla natura anche fisica di Gesù e non solo spirituale, come volevano invece i seguaci dell'eresia catara, una natura quindi che avrebbe portato ad una resurrezione del corpo e non solo dello spirito.
Se a Giunta Pisano deve essere riconosciuto, con la Croce dipinta conservata nella Basilica di Santa Maria degli Angeli ad Assisi, prima metà del '200 - il primato di questa svolta iconografica decisiva per l'intero corso della pittura duecentesca - per avere raffigurato Cristo in Croce come un uomo sofferente e morto, non vivo e trionfante, è tuttavia con Cimabue e Giotto che si tocca il diapason emotivo di questi sentimenti. Il restauro della Croce di Arezzo, appena concluso è stato complesso, ma non ha implicato particolari interventi ricostruttivi. Le condizioni dell'opera, nonostante la presenza di tarli e di una pesante patinatura di vernici oleo- resinose, erano buone.

Tuttavia ha rivelato maggiormente l'orientamento verso una più spiccata aderenza al realismo - la novità del corpo sensibilmente chiaroscurato e plastico, l'espressione sfinita e cosciente del volto abbandonato, l'onda realistica dei capelli, la traccia di ombreggiatura nelle ascelle, il lembo del perizoma che si sovrappone alla cornice e che tradisce un preciso rapporto spaziale tra il corpo crocifisso e la Croce, la calma remissiva e attiva dei dolenti -la Vergine e Giovanni nei capicroce- che costituisce un modello da seguire per i pittori più perspicaci e innovativi. Indicò sicuramente la rotta artistica da privilegiare anche a Giotto, che nella Croce del 1288-90 alimenta a sua volta, una ulteriore ricerca della realtà.
In questa opera infatti, il monumentale corpo di Cristo ha una fisionomia naturale e tridimensionale, e sembra di avvertirne il peso gravante verso il basso che causa la flessione delle braccia; anche le mani si incurvano dolenti, trattenute dai chiodi, e le vene dei piedi sottese alla pelle, sono ormai prive di sangue; il ventre vuoto e scavato e la pelle più rilassata sull'addome, il costato scarno, l'ombra della piega dell'ombelico sono notazioni di una straordinaria sensibilità, ottenuta tramite una profonda conoscenza delle tecniche tradizionali, nelle quali tuttavia l'artista introduce alcune innovazioni. Nel volto infatti appare un uomo che soffre.
Non si è più di fronte alle linee geometriche di Cimabue, tipiche della tradizione bizantina. L'attenzione alla realtà è esplicitata dalla consistenza del peso della testa, con il mento poggiato al torace; il sangue è vero, reso con una violenza realistica non riscontrabile in Cimabue, così come le ombre, che sono più incisive di quelle del più anziano maestro. L'apparato ligneo della croce era stato inizialmente ideato in modo identico rispetto a quello della croce di Cimabue. Ma successivamente il più giovane artista aggiunse la tabella trapezoidale sulla quale aggiunse la roccia del Golgota, la grotta e il cranio di Adamo, fino a quella data rappresentato esclusivamente nelle scene della Crocefissione, mai nella croce dipinta. L'inserimento di uno squarcio di paesaggio tende inoltre a sottolineare l'attaccamento di Cristo alla terra al mondo fisico, all'uomo.

Il restauro, condotto dall'Opificio delle Pietre Dure, ha affrontato problemi legati alla pulitura della pellicola pittorica pesantemente ritoccata e alterata, sono stati così rimossi più strati di vernice per consentire una lettura omogenea che restituisce la trasparenza della cromia originale e la finezza del disegno. Soprattutto nel volto, appare più delicata la descrizione dei tratti e dell'aureola, dove solo ora si rendono visibili le decorazioni a vetri graffiti e dorati, secondo varianti appartenenti a tecniche di oreficeria.

Il progetto complessivo del restauro prevede la ricollocazione della Croce in quella che fu la sua ubicazione originaria, al centro della navata centrale della Chiesa -pendente in origine dall'alto, sul tramezzo che caratterizzava l'interno della chiesa medievale prima dell'intervento di ristrutturazione operato da Giorgio Vasari nel 1565, per volere di Cosimo de' Medici, quando fu posta sulla controfacciata - e ora agganciata a un cavo di acciaio collegato alla volta che la tiene sospesa.




 
 

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