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Fotografia a passo di danza. Intervista a Lucia Baldini  
Alessandro Tempi
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 12 Maggio 2003, n. 321
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Area Interviste

Racconta come sei arrivata alla fotografia.
Ci sono arrivata casualmente cercando di fare qualcosa "da grande", come stava  facendo mio fratello maggiore. Lui, più grande di me di cinque anni, stava partecipando ad un corso di fotografia al Liceo. Aveva organizzato in casa una camera oscura, molto artigianale. Sviluppava pellicole e le stampava. Con le foto che scattava raccontava i suoi amici, le sue giornate e sperimentava con fotomontaggi. Inevitabile rimanerne affascinata. Mi proposi come "assistente" in camera oscura. In realtà stavo solo ad osservare cosa facesse, ma per me era condividere qualcosa di estremamente speciale, mi sentivo finalmente meno "piccola". La magia della camera oscura e la sempre crescente consapevolezza di poter trasformare tutto questo in una forma d'espressione mi catturò e non mi ha più abbandonato.


Se ti dovessi descrivere oggi come fotografa, da che cosa partiresti ?
Direi che mi piace osservare a fondo, rimanere colpita da qualcosa, respirare un attimo e poi fotografarlo oppure interiorizzarlo.  Non mi piace la definizione "cogliere l'attimo". Preferisco che l'attimo entri in me e mi si manifesti attraverso tutti i suoi aspetti, e poi ne esca contaminato dal mio sentire. Partirei dalla luce, dai suoni e dagli odori.


Nell'opinione comune il fotografo è  quello che ti scatta le foto al matrimonio oppure quello che fotografa le dive e le modelle; in quale spazio lavori tu che non fai né l'uno né l'altro ?
La fotografia ha questo affascinante vantaggio, che i campi d'azioni sono infiniti e spesso un settore confluisce in un altro senza che ci siamo schemi o restrizioni. Il mio percorso è stato, per fortuna, molto libero. Libero nel senso che ho voluto che divenisse una professione solo quando ho sentito di poter fare quello che mi piaceva e di metterlo a disposizione di committenti. Non ho voluto guadagnare subito dal mio lavoro piegandomi a fare cose di cui forse, allora, non avrei avuto il totale controllo e soprattutto che non mi avrebbero rappresentato. Dopo qualche anno ho iniziato a fotografare la musica: concerti, musicisti, eventi. Da lì il mondo dello spettacolo si è aperto e ho ritagliato il mio spazio nell'ambito fotografico, che è principalmente il teatro, la danza, e la musica.


Il tuo lavoro ti porta spesso in giro per il mondo. Ma come ci si sente ad avere la propria base a San Giovanni Valdarno ?
Mi piace avere base a SGV. Certo vivere la città offre  vantaggi maggiori per un mestiere come il mio. Facilità di incontri di relazioni e di contatti. Ma la provincia, e comunque una provincia viva come il Valdarno, dà la possibilità di interiorizzare maggiormente, di riflettere e di assorbire, più di quanto non si possa fare nella velocità frenetica della città. Mi piace tornare a San Giovanni dai miei viaggi soprattutto con il treno e con l'aereo. Il senso del viaggio, dello spostamento, del pensiero e degli incontri si manifesta molto più intensamente.


Tu lavori per una compagnia discografica. In che rapporto sta questo tuo lavoro con la professione di fotografa ?
Sicuramente questo mi ha permesso di entrare in contatto con situazioni, persone, artisti italiani e stranieri i quali hanno apportato in me, ogni volta, un piccolo sedimento di esperienze e di cultura. La mia fotografia è stata ed è un elemento di partecipazione al progetto discografico e artistico di questa compagnia. Molte delle copertine di dischi nascono da mie immagini e la galleria di ritratti di musicisti si fa ogni giorno più rilevante.


Gran parte del tuo lavoro di fotografa è legata alla danza. Ce ne vuoi spiegare il motivo ?
Penso che ci sia qualcosa di profondamente atavico che mi si manifesta con la contemplazione della danza. Nei miei primi anni di esperienza fotografica, da adolescente, passavo le serate a fotografare in televisione film di Fred Astaire. Centinaia di scatti  con l'intento di riuscire a cogliere qualcosa di segreto, nascosto nella gestualità perfetta della danza. Un corpo che attraverso l'armonia della musica può esprimere stati d'animo, sentimenti. Credo che non esista nessun'altra forma espressiva con tanto potenziale drammaturgico quanto ve ne è nella danza.


Com'è nato il tuo incontro col tango ?
È nato casualmente: nel 1992 ho incontrato Luis Rizzo, compositore e chitarrista argentino. Stava registrando proprio a SGV un nuovo disco per la compagnia per cui lavoro. Dopo serate passate a discutere con lui di vita e di tango, Luis mi ha invitato a creare un'immagine che rappresentasse il suo progetto discografico "Desde el Anden". Ne nacque un servizio fotografico che piacque e un'immagine fu utilizzata per la copertina del suo Cd. Mesi dopo ho fatto un viaggio a Budapest, invitata dall'Istituto Italiano di Cultura, realizzando un servizio fotografico. Al ritorno dal viaggio, mostrando le foto ad un mio amico, grande conoscitore di arte, mi disse, guardandole, che si "respirava" Tango". Mi resi conto che l'incontro con Luis aveva lasciato un segno profondo: avevo trovato il tango a Budapest!  L'anno successivo sono stata coinvolta, come fotografa di scena, dalla Compagnia "Tangueros" e dal Festival di musica popolare di Forlimpopoli. Era il 1993 e ancora il tango non era così diffuso e modaiolo come invece lo è adesso. E magicamente la danza è tornata: coinvolgente, affascinante, carica di vita vissuta e di forti emozioni. Ho fotografato i primi spettacoli tutto di un fiato. La musica mi catturava senza tregua e le coreografie mi avvolgevano come braccia di un amante.


E con Carla Fracci ?
È l'icona del balletto per eccellenza. Da piccola sentivo parlare di lei e mi immaginavo una fata, leggera, evocativa. L'ho conosciuta grazie ad un giornalista fiorentino che, vedendo le mie foto di tango, mi disse che forse sarei stata capace di raccontare una Fracci più moderna, uscendo dagli stereotipi delle foto di danza classica. Il primo spettacolo della Fracci l'ho fotografato nel 1996 a Verona. Al primo incontro ho trovato immediatamente molta disponibilità e professionalità. Era un bellissimo omaggio a Nijinski, in tre atti. Dopo qualche giorno le portai a vedere le foto scattate a Verona. Piacquero! La nostra collaborazione è andata avanti per diversi anni: abbiamo realizzato insieme il calendario 2000 ("Lucia Baldini fotografa Carla Fracci") che fu regalato agli spettatori presenti allo spettacolo della Scala  nella notte di fine anno. Aver lavorato con e per la Fracci è stato molto costruttivo: sia per la vastità di repertorio che ha presentato, che per la professionalità e umanità che mi ha sempre trasmesso in ogni nostro incontro.


Nel corso della tua carriera fino ad ora, hai fatto numerose mostre personali, in Italia ed all'estero. Parlaci di quella che ti ha soddisfatto di più.
Ho realizzato molte mostre fotografiche. Ci sono state esposizioni molto importanti e altre meno dal punto di vista di visibilità e di critica, ma bellissime per quanto riguarda il valore umano. La mostra che ho più nel cuore è quella fatta nel '99 a Lisbona. L'esposizione fu organizzata dall'Istituto Italiano di Cultura e dall'Ambasciata Argentina. Si svolgeva nel foyer del teatro storico Trinidade di Lisbona, che abitualmente ospita mostre e eventi molto importanti. All'inaugurazione c'era tantissima gente, molte le autorità, i giornalisti. Un'attenzione che non mi aspettavo, ma la cosa che fece la differenza non fu tanto questo aspetto, ma la presenza di mia figlia: due anni ancora da compiere. Osservarla mentre si muoveva tranquillamente tra tutta quella gente che le parlava gentilmente, ma in portoghese. Mi veniva vicina e tornava tra la gente, quasi a condividere con me commenti e opinioni sull'evento. Era così piccola, ma sembrava molto navigata e il solo guardarla mi riempiva di una gioia indescrivibile. Beh, inutile dirlo ma fu un giorno magnifico.


Tu sei anche autrice di due libri fotografici. Ce ne vuoi parlare ?
Sono entrambi dedicati alla danza e in maniera particolare al tango argentino. Il primo "Giorni di tango" è un libro edito nel 1997, ed  è oggi alla quarta edizione. Realizzato tra il 1993 e il 1996 è un po' un diario personale attraverso il mondo del tango. Le immagini sono accompagnate da brani di poesie di autori argentini e da canzoni di tango argentino. Al libro è allegato un compact disc, con musiche di tango, di cui ho curato la scelta dei brani e ne è la colonna sonora perfetta. Il secondo libro "Anime altrove - luoghi e genti del tango argentino in Italia"  è uscito da qualche mese. È un viaggio, uno spaccato della scena attuale dell'Italia del tango argentino. Ci sono immagini di luoghi dove si balla, di intellettuali che hanno incontrato il tango,  musicisti, ballerini, gente di tutti i giorni che ha deciso di dedicare buona parte del proprio tempo libero alla cultura del tango.


Da quali fotografi contemporanei ti senti particolarmente influenzata o quali ti ispirano particolarmente ?
Mi è difficile citarne uno in particolare, perché ce ne sono tantissimi che per un motivo o per l'altro mi sono stati di profondo insegnamento. Preferisco la fotografia degli anni' Trenta e Cinquanta. Quella fotografia che sa raccontare storie, stati d'animo, persone. La fotografia è un mezzo in grado di trasmettere la memoria, ma non solo perché documenta, ma perché è pregna di vissuto, di emozioni e anche di odori e di sapori. Ci sono fotografi che negli ultimi 20/30 anni hanno saputo raccontare l'Italia, e il mondo, senza stringerli in un momento storico preciso, ma raccontando l'infinita possibilità di storie che si sono incontrate, sommate e evolute. Non mi convince, invece, molta fotografia contemporanea troppo legata alla metropoli, alla tecnologia, troppo asettica rispetto al vissuto. Tante luci, ma poche emozioni. Non amo neppure tanto alcuni fotografi contemporanei che strumentalizzano la morte solo come veicolo di autopromozione. Non li sento sinceri e tanto meno mi sembra che abbiano la volontà di scavare, di andare a fondo.


Come nasce una foto ?
Dipende. Se si parla di fotografia di danza o di altri eventi legati alla musica, deve essere la musica stessa a accompagnarmi e ad anticiparmi quello che incontreranno i miei occhi. Devo riconoscere il gesto attraverso il cammino che sto percorrendo ascoltando la musica. Invece, quando la fotografia è ricerca personale, mi piace riuscire a raccontare delle storie che, magari, ho già in testa. Attraverso un oggetto raccontare una persona, attraverso una luce esprimere un'emozione.


Che cosa esprime per te una fotografia ?
Una storia.






Lucia Baldini, Bubastis VI
fig. 1
Lucia Baldini ©,
Bubastis VI
marzo 1993

Lucia Baldini, 1995
fig. 2
Lucia Baldini ©,
1995

Lucia Baldini, Carla Fracci Amleto 09
fig. 3
Lucia Baldini ©,
Carla Fracci Amleto 09
novembre 2002

Lucia Baldini, Intenzioni
fig. 4
Lucia Baldini ©,
Intenzioni
maggio 1994

Lucia Baldini, Opustango
fig. 5
Lucia Baldini ©,
Opustango
Parigi 1996

Foto cortesia Lucia Baldini
 

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