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Armature e scudi nella pittura mediterranea del Quattrocento  
Luisa Nieddu
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 10 Settembre 2003, n. 340
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Area Didattica

Col sorgere delle compagnie di ventura e delle milizie mercenarie, e grazie anche all'utilizzo degli arcieri inglesi nell'Europa Occidentale, il XIV secolo vede una rapida diffusione delle armature a piastra.

Il compito che il sistema delle armature e delle armi assolve non è soltanto bellico ma anche ludico. Le diverse configurazioni del gioco guerresco, i tornei, le cacce di corte comportano significati simbolici e rituali volti a trasferire alle armature valori di bellezza ed eleganza.
Lo studio delle armature si può considerare una scienza ausiliaria della storia dell'arte e della storia, giacché offre dati fondamentali sulle vicende esteriori all'opera, come la datazione, la provenienza geografica del dipinto o l'identità della committenza.

Così come lo studio delle armature anche l'araldica fornisce una specie di stato civile dell'oggetto artistico per il fatto che entrambe le discipline registrano importanti informazioni sul riflesso degli eventi storici, politici contemporanei o sull'ideologia della committenza. Situate quindi al crocicchio tra storia e storia dell'arte, sociologia e semiotica ci permettono di ricavare fondamentali elementi sulla storia sociale e del costume.

La realizzazione delle armature richiede il concorso di un  personale altamente specializzato, come il corazzaio, il magliaio, il cassaio, il balestraio, per finire col delicato ruolo assunto dagli incisori, orafi, smaltatori e scultori chiamati a realizzare elaborate decorazioni.

L'arte delle armature inoltre avverte l'esigenza di ricorrere alle arti figurative per fregiarsi di valori simbolici, iconologici ed emblematici. Con la vestizione cavalleresca infatti il significato della caducità della vita espresso dall'immagine laica del committente viene nobilitato nell'arte.
Oltre che in numerose miniature, dal medioevo al rinascimento, scultori, disegnatori ed arazzieri fiamminghi, tedeschi, italiani hanno rappresentato guerrieri, personaggi armati e battaglie.
Il rapporto che lega le arti figurative a quello delle armature è stringente nelle opere di Donatello, Paolo Uccello, Botticelli, Mantegna, Carpaccio, Dürer, Giorgione, Tiziano, Rembrant ecc.
Un importante quesito al quale il conoscitore è chiamato a dare risposta è dato dalle integrazioni abusive nelle armature apportate dagli artisti che rendono difficile una giusta valutazione filologica.

Di grande rilevanza per lo studio di tali manufatti è la conoscenza dei centri di fabbricazione. Questi durante il Medioevo erano diffusi in tutte le principali città d'Europa ma, soprattutto, nei secoli XV e XVII, si segnalano gli armaioli di Milano, Augusta, Norimberga, Innsbruck, Dresda, Anversa, famosi inoltre per i procedimenti di lavorazione i centri di Brescia e Toledo.

Nelle armature sono contenuti memorie, eventi bellici, situazioni storiche e di costume che lo studioso delle armi è chiamato a decifrare, pertanto il ruolo è di storico ma anche di conoscitore esperto di storia dell'arte. Lo studio delle armature, grazie all'enorme bagaglio di materiale iconografico, fornisce elementi illuminanti per la soluzione scientifica di molteplici problemi, come per esempio le datazioni. Tale quesito, tuttavia, si può considerare del tutto aperto dal momento che i riferimenti principali sono legati al confronto con l'iconografia pervenutaci con le pitture e sculture, ma sovente un cavaliere poteva anche essere rappresentato con un costume militare in disuso o che l'artista neppure aveva mai visto.

L'armatura italiana del Quattrocento è semplice, scevra da ogni ornamento ma di assoluta eleganza ed il suo peso massimo è di circa 25 kg.
Un esempio dell'arte armoraria si vede riprodotto per la prima volta su due medaglie di Pisanello, realizzate nel 1445 e nel 1456, che raffigurano Sigismondo Pandolfo Malatesta e Filippo Maria Visconti a cavallo in armi.

Nel corso del XV sec. emergono due stili principali nella produzione delle armature: quello germanico, angoloso e spezzato nelle superfici, secondo l'influsso del gotico internazionale, e quello italiano, arrotondato e levigato caratterizzato da superfici ampie e linee semplici secondo il gusto rinascimentale. Entrambe le nazioni produssero manufatti che tendevano ad adattarsi alle esigenze degli altri paesi, pertanto gli stili delle armature nel resto d'Europa sono di derivazione italiana o germanica con modificazioni dettate dal gusto e dai bisogni.
All'Italia e alla Germania fecero seguito, nella fabbricazione delle armi bianche, la Spagna, la Francia, l'Inghilterra e l'Olanda.

Sotto la signoria di Giovanni Galeazzo Visconti, salito al potere nel 1379 dopo essersi sbarazzato dello zio Barnabò, si ha la prima notizia di un artigianato di armaioli milanesi. Egli intuì il prestigio che poteva conferirgli avere tra i suoi sudditi uno stuolo organizzato di armaioli e perciò li protesse, concedendo loro favori e privilegi. Il primo documento che attesta una concessione accordata ad un armaiolo risale al 1337, da quella data infatti si susseguiranno ininterrotti documenti che testimoniano l'intensa attività di questi artigiani a Milano. È noto che gli armaioli milanesi istituirono con la Spagna importanti relazioni già attorno al 1430; alla morte infatti di Tommaso Missaglia, primo esponente dell'illustre stirpe di artigiani milanesi, avvenuta nel 1453 il figlio Cabrino si trovava a Barcellona 1 centro di scambio con i domini della Corona aragonese.
Le esportazioni delle armature milanesi raggiunsero la Castiglia, Siviglia specialmente, ma anche la Navarra, la Galizia ed il Portogallo. Nella Cappella dei Re Nuovi della Cattedrale di Toledo, è conservata infatti un'armatura milanese appartenente al guerriero castigliano Duarte D'Almeida, alfiere portoghese nella battaglia di Toro del 1479, l'armatura è perciò di poco anteriore.
Un esempio di armatura d'influenza italiana presente nella pittura catalana, appartiene al pittore spagnolo Jaume Huget (Valls 1415- Barcellona 1492). L'artista consolidava la sua posizione a Barcellona già dal 1448, i suoi primi anni sono a noi poco noti ma il successo non lo abbandonò fino alla sua morte. Il pittore infatti ricoprì importanti incarichi di amministrazione pubblica in un'epoca in cui le corporazioni minori svolgevano un ruolo di primo piano nella vita cittadina.
Nel San Giorgio e la Principessa realizzato nella metà del XV sec. e conservato al Museu d'Art de Catalunya, il Santo mostra una armatura composita della metà del XV sec. L'abito è formato da una panziera ovata alle cui estremità sono posti tre fibbiagli, uno dei quali nella parte saliente della panziera, gli spallacci sono formati da lamine a sbuffa. Il faldale è composto da cinque lame e ad esso si uniscono le scarselle segnate da una costola mediana secondo gli esemplari italiani del Quattrocento; le mani invece sono protette da manopole a clessidra in uso in Italia a partire dal 1440 2. Sotto la corazza è visibile un giaco di maglia che, soprattutto nelle armature italiane, viene usato per tutto il XV secolo. Nel complesso l'armatura presenta caratteristiche tipiche della produzione italiana della metà del XV secolo.

I contatti tra la Spagna e l'Italia sono giustificabili dal fatto che Ludovico il Moro (1452-1508), zio di Gian Galeazzo Visconti, sposa Beatrice d'Este figlia di Eleonora d'Aragona; con Ludovico Milano visse la fase di massimo fulgore.

I Missaglia giunsero a Milano da un paesino del comasco denominato appunto Missaglia da cui derivò il soprannome, il nome originario infatti era Negroni. Questi rappresentarono un'autentica dinastia insignita di distinzioni e privilegi.
Nel 1435 Tommaso Missaglia venne fatto cavaliere da Filippo Maria Visconti, nella primavera del 1466 Francesco Missaglia è presentato a Luigi XI di Francia da un agente del duca di Milano a Parigi e sua maestà gli commissiona un'armatura di suo gusto.
Nel 1492 gli ambasciatori veneti Contarini e Pisani visitarono a Milano la dimora di Antonio Missaglia, in via degli Scudari vicino al duomo, e rimasero stupefatti dallo sfarzo; quando la casa andò a fuoco per l'opera di spegnimento intervenne Ludovico il Moro in persona 3.
Alla morte di Tommaso, avvenuta tra il 1452-53 il figlio Antonio assunse la direzione della bottega superando la maestria del padre. Egli fu in grado di guidare una folta schiera di apprendisti e di intrecciare nuovi contatti commerciali. Il periodo tra il 1464 e 75 fu per Antonio il più fecondo e felice, egli infatti annovera tra i suoi committenti il re di Francia e di Inghilterra, l'Imperatore Massimiliano e Alfonso D'Aragona.
Sul finire del secolo la famiglia Missaglia è in declino, la morte di Antonio avvenuta poco prima del 1496 provoca, se non la chiusura, un rallentamento del lavoro. I fratelli superstiti si dedicarono più al commercio che all'arte armoraria, rivelandosi incapaci di portare avanti l'eredità del padre e del fratello Antonio.
Della famiglia non si ebbero che poche notizie non più attinenti alla produzione di armature.

Attorno al sesto decennio del Quattrocento Andrea Mantegna realizzò la tavola raffigurante il San Giorgio che probabilmente faceva parte di una pala ed attualmente è ubicata nelle Gallerie dell'Accademia di Venezia.
Il Santo presenta una tipica armatura del XV secolo di fabbricazione " Missaglia". Gli elementi distintivi sono dati dalla resta dritta all'italiana e dalla panziera liscia senza costolatura, che si unisce al pettorale per mezzo di un fibbiaglio. Il faldale a quattro lame si congiunge tramite fibbiagli alle scarselle cuspidate; i calzari invece sono ancora laminati e non a piede d'orso, come nelle produzioni del XVI secolo, la cotta di maglia, infine, visibile sotto il faldale, è usata in Italia nel corso del Quattrocento.

Altro esemplare di armatura da torneo di marca italiana è il San Giorgio realizzato da Vittore Carpaccio (Venezia 1460 ca- 1526) per la Scuola di San Giorgio degli Schiavoni fondata nel 1451. Le nove tele eseguite tra il 1502 ed il 1507-8, descrivono la vita di San Giorgio, San Trifone e San Gerolamo. Il Santo è descritto mentre dà il colpo di grazia al drago di fronte al popolo nella città di Silene, in Libia.
Il personaggio mostra un'armatura composita da torneo in auge nella seconda metà del XV secolo. La panziera con costola mediana, secondo l'uso del XVI secolo, si è alzata fino al collarino a cui risulta inchiodata direttamente, costituendo così un intero sovrappetto, senza perciò la consueta distinzione tra pettorale e panziera dei precedenti manufatti.
Gli spallacci sono asimmetrici ed il sinistro con ampia guardagoletta è proprio dell'armatura da cavallo, le scarselle con costolature e cuspidate si uniscono tramite fibbiagli ad un faldale appuntito e notevolmente accorciato. Concludono la vestizione i calzari a lamine, e non a "becco d'anatra", e la cotta di maglia che appare sotto il bordo degli spallaci e dei guardareni.

Risale invece al 1510 il Ritratto di cavaliere sempre del Carpaccio conservato nella collezione Thyssen (Lugano).
Il giovane armato è raffigurato in piedi al centro di un sentiero con un armatura da torneo all'italiana del XVI. Gli elementi che inducono ad una datazione posteriore rispetto al San Giorgio del Mantegna sono: i calzari a "piede d'orso" o "a becco d'anatra" in auge nel XVI secolo e non più perciò á la poulaine, come negli esemplari quattrocenteschi, la corazza ovata e leggermente prospiciente verso il basso che si sostituisce alla precedente distinzione tra pettorale e panziera, ed infine i fiancali, caratterizzati da scarselloni unici costituiti da sette lamine senza la consueta divisione tra falda e scarsella del Quattrocento.

Le armature del XVI secolo di produzione italiana si distinguono per l'armonia nelle proporzioni e per le forme arrotondate e lisce, a differenza degli esemplari d'oltralpe che si caratterizzano per le numerose scanalature, inoltre i singoli elementi dei manufatti italiani appaiono sempre più inchiodati, anziché legati da fibbiagli come nelle realizzazioni precedenti.

Nel 1493 Paolo di San Leocadio realizza il S. Michele, conservato nel Museo diocesano di Orihuela vicino Alicante.
L'artista, proveniente da Reggio Emilia si imbarcò dal porto di Ostia per Valenza il 24 maggio 1492 in compagnia del pittore Francesco Pagano su espressa volontà di Rodrigo Borgia. L'arrivo a Valenza è documentato a partire dal 1492 anno in cui l'artista riceveva il primo incarico per la Cattedrale della Natività.
Il Santo è descritto con un'armatura da fante "alla romana" con scollo e guardascelle contornati da ribaltini. Il pettorale, costolato in mezzeria, appare prospiciente verso il basso. Sul fondo brunito spicca l'agemina in oro che orna la panziera. Tale lavorazione, detta anche damaschinatura, si otteneva incrostando di metallo prezioso, oro o argento, i solchi praticati col bulino nell'acciaio della piastra. Il lavoro a bulino si otteneva con un incisione meccanica del metallo eseguita direttamente sulla piastra col bulino, asta d'acciaio temperato con la punta obliqua e tagliente. Il procedimento di decorazione si diffuse sul finire del XV secolo.

Grande successo ebbe la cesellatura del ferro grazie alla bottega della famiglia Barini detta Negroli.
Il lento decadimento dei Missaglia consentì che i Negroli assurgessero a grande fama uguagliando, e forse superando, i Missaglia. Filippo Negroli, attivo fino al 1557, è da ritenere l'innovatore dell'arte armoraria italiana. Con lui l'armatura abbandonò le forme tradizionali ed ogni singolo pezzo raggiunse la bellezza di una scultura, arricchendosi di fantasiose ornamentazioni zoomorfe e floreali. Sempre con Filippo compaiono le prime armature alla romana o all'antica 4.
Un esempio pregevole di una raffigurazione pittorica di un armatura da torneo è visibile nella Resurrezione di Cristo realizzata da Bartolomè Bermejo tra il 1462 ed il 1465 5. L'artista detto anche il Cordoba rappresenta una delle personalità preminenti del Quattrocento spagnolo. Le notizie che lo riguardano giungono fino al 1495.
B. Bermejo operò a Daroca, Saragozza, Valencia e Barcellona e la sua pittura, pur denotando una forte intonazione mediterranea, si rivela influenzata dal linguaggio dei grandi maestri fiamminghi. Nella Resurrezione i soldati che circondano il sepolcro sono raffigurati con elaboratissime armature, guarnite da complessi e fantasiosi lavori di cesellatura.
Il pettorale presenta ampie guardascelle decorate da ribaltini.
Le scarselle risultano composte da squame metalliche articolate, tipiche delle armature d'oltralpe del XV-XVI secolo; sotto il corsaletto è visibile la cotta di maglia in uso in Europa per tutto il Quattrocento. Gli spallacci sono caratterizzati da mascheroni ornati da motivi vegetali e da elementi ad ala di pipistrello.
La borgognotta presenta il coppo sormontato da fantasiosi motivi zoomorfi. Gli schinieri ed i cosciali sono segnati da vistose scanalature ed i ginocchielli sono caratterizzati da un'ala laterale rotonda. Le manopole, non più a clessidra, sono a dita articolate, dette a scaglia, diffuse in Italia sul finire del Quattrocento.

Nel ritratto di Federico da Montefeltro con il figlio Guidobaldo, realizzato da Pedro Berruguete tra il 1476-77 ed attualmente conservato a Urbino nella Galleria Nazionale, è raffigurato un esempio tipico di armatura da torneo all'italiana del XV secolo.
L'artista, formatosi nell'ambito della cerchia di Fernando Gallego, sin dalle sue prime opere mostra l'influenza della pittura fiamminga di J.V. Eyck e già nel 1476 risulta impegnato nella decorazione dello studiolo di Federico da Montefeltro dipingendo, insieme a Giusto di Gand, le immagini degli Uomini famosi.
L'armatura di Federico presenta le peculiarità delle armature italiane del Quattrocento: priva di ornamenti ma di notevole eleganza ed armonia nelle linee. In essa si può notare la gran cubitiera con ampie ali terminante con gomito a punta, diffusa a partire dal 1440 in Italia.
L'elmo a becco di passero è tipico italiano e fa la sua comparsa per la prima volta in Italia tra il 1440- 1450 nell'officina di Tommaso Missaglia 6. La celata è caratterizzata da una visiera apribile mentre la vista è formata dalla congiuntura tra il coppo e la visiera.
I ginochielli formati da cinque lame sono muniti di alette laterali, mentre gli schinieri sono completamente lisci.

Con la nascita del ritratto ufficiale nel Quattrocento, l'effigiato si presenta di profilo secondo lo schema della monetazione classica o della medaglistica commemorativa che consente la rapida identificazione del personaggio.

Un esemplare di un'armatura da fante è visibile nello scomparto superiore laterale del Retablo di Tuili 7 raffigurante L'Arcangelo Michele, realizzato nel 1500 dal Maestro di Castelsardo. L'abito risulta composto da un usbergo a manica corta usato sotto le armature, specialmente in Italia, per tutto il XV secolo. Sopra la veste sono visibili i cosciali spigolati. Nella tavola compare uno scudo detto a testa di cavallo con una punta centrale, detta brocco, in uso anche negli scudi spagnoli nei primi del XVI secolo.

Lo scudo a testa di cavallo 8, detto anche bucranio, si diffuse in Italia soprattutto nei monumenti in epoca rinascimentale e di rado nelle insegne gentilizie. Esso consiste in una sorta di scudo gotico con sette, otto o nove angoli, o sporgenze, due nella parte superiore, quattro e sei ai lati, uno o nessuno in punta. Tale arma consentiva spazio sufficiente per le armi più complicate e nello stesso tempo, grazie alla sua forma movimentata, costituiva un elegante ornamento anche in architettura.
L'aspirazione alla simmetria, chiaramente derivante dal desiderio della forma tipico del rinascimento portò alla creazione di tale scudo presente anche nello stemma papale di Pio II (1458-64), ed usato in Italia fino al XVI secolo; in Spagna a differenza dell'Italia era diffuso lo scudo quadrato o semitondo, cioè con la parte bassa semicircolare, simile a quello sannitico. L'Arcangelo non presenta il corsaletto ma un sorcotto decorato con motivi zoomorfi e con fiori di cardo a pigna coronati da una cornice a lobature ogivali. Il tessuto con trame in oro riprende il motivo ricorrente degli esemplari ispano- moreschi del XV-XVI secolo 9.

Il XVI secolo vide la fusione delle forme arrotondate delle armature italiane con il tecnicismo strutturale di quelle germaniche. In questo periodo i manufatti prodotti in Italia presentano le superfici lisce mentre in Germania sono caratterizzati da profonde scanalature. Armature del tipo scanalato appaiono in special modo nel territorio di Venezia dove l'influenza germanica era particolarmente forte. Tale armature, detta anche spigolata, si sostituisce nei primi dei Cinquecento a quella bianca e prende anche il nome di massimiliana, dal nome dell'Imperatore Massimiliano I (1493-1519). Questa, abbandonata la linearità delle armature quattrocentesche, si arricchisce di complicati lavori di cesello rabeschi all'agemina d'oro e persino di incisioni all'acqua forte.

Il 27 aprile 1522 le truppe francesi di Francesco I affrontarono nei pressi della Bicocca, località a Nord di Milano, le truppe di Carlo V e dei suoi alleati pontifici, spagnoli e tedeschi agli ordini di Stefano Colonna. Carlo V ne uscì vincitore.
La battaglia della Bicocca segna il primo importante scontro bellico vinto con l'uso delle armi da fuoco. Con esso comincia il declino dell'armatura guerresca. Sul finire del secolo, nel tentativo di proteggere contro i colpi del moschetto, si era resa l'armatura così pesante che le truppe si rifiutavano di indossarla e spesso si doveva ricorrere ad un aumento di paga per invogliare i soldati ad usarla. Anche il torneo decadde lentamente.

Nei dipinti tuttavia si continuavano a raffigurare personaggi con un'armatura completa molto tempo dopo che questa era di fatto sparita dappertutto.

Dopo cinque secoli finì la fabbricazione delle armature e con essa scomparve tutto quel complesso armamentario che aveva fatto nascere la più antica forma d'artigianato a cui si erano dedicati oscuri artigiani ma anche sommi maestri che seppero imprimere ai loro manufatti squisite forme d'arte.




NOTE

1 J. Cotés, Armature italiane nella reale armeria di Madrid, in "Antichità viva"II, n.6-63, pag. 32.

2 V. Norman, Armi e Armature, Milano 1967, pag.43.

3 L. Rebuffo, Armature italiane, Roma 1959, pag.11.

4 B. Thomas, 0.Gruber, Armi e armature europee, Milano 1974, pag. 78.

5 AA.VV. Bagliori del Medioevo, Arte romanica e gotica dal Museu Nacional d'Art de Catalunya, a cura di M.R. Manote i Clivilles. Catalogo della Mostra, Roma 1999, pag.155.

6 A.M. Aroldi, Armi e armature italiane fino al XVIII secolo, Milano 1961, pag.62.

7 Località in provincia di Cagliari nella cui parrocchiale di S. Pietro è conservato il polittico.

8 P. Guelfi Camajani, Dizionario di araldica, Milano 1940.

9 D. Devoti, L'arte de tessuto in Europa, Milano 1999.






NOMENCLATURA

BORGOGNOTTA: copricapo con coppo, gronda, orecchiette incernierate con viso scoperto e con buffa ( visiera).

BROCCHIERE: scudo rotondo centrato da punta o brocco sporgente.

BROCCO: cuspide metallica.

COTTA: camicia di maglia metallica; in Italia fu l'unica armatura difensiva dal XI al XVI secolo.

COPPO: copricapo protettivo del cranio.

CUBITIERA: protezione dei gomiti con lamine di acciaio.

FALDA: parte dell'armatura attaccata al fondo del corsaletto.

MANOPOLE: protezione delle mani che si estendeva fino all'avambraccio. Le manopole a mitténe, formate da lamine d'acciaio senza distinzione delle dite, sono proprie del XV secolo. Nel XVI si diffusero le manopole a scaglie con lamine articolate.

PANZIERA: Parte dell'armatura legata al pettorale che difendeva la pancia

RESTA: ferro di appoggio della lancia e fisso alla destra del petto di alcune armature.

SCARSELLE: (dette anche fiancali) erano due pezze d'armi composte ciascuna di una sola piastra (sec. XV) o di lame articolate (SEC.XVI) che si attaccavano al faldale tramite fibbiagli.

SCHINIERE: elemento protettivo che parte dal ginocchio arriva al collo del piede. 

SPIGOLATA: armatura detta anche massimiliana in uso dal XV al XVII secolo.

VENTAGLIA: pezzo dell'elmetto per la protezione parziale del viso.

VISTA: pezzo dell'elmetto per la protezione degli occhi.





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