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Museo Manzi a Villa Rucellai  
Roberta Balmas
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 15 Gennaio 2008, n. 474
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Area Musei

Essere presente alla conferenza stampa per l'inaugurazione di un nuovo museo italiano non è una cosa che capita tutti i giorni, specie poi se si tratta di un artista contemporaneo come Antonio Manzi e in un luogo particolare come il comune di Campi Bisenzio a pochi chilometri da Firenze e in una villa come quella Rucellai, dimora antica e carica di storia.

Il 21 dicembre 2007 nella Sala Giunta, il ViceSindaco Adriano Chini ha ricordato orgogliosamente come il comune abbia voluto fortemente questo museo dopo l'acquisizione e la ristrutturazione della Villa Rucellai, perché la cultura e l'arte in particolare deve avere uno spazio adeguato per poter essere fruita da tutti. Un discorso che in questo nostro periodo storico ha qualcosa di straordinario, un evento atteso da tanti; questo artista ha infatti molti estimatori campigiani, perché già dal suo inizio artistico, nel 1975, lo vide ventiduenne esporre a Campi Bisenzio alla Galleria d'Arte Ariete. Il rapporto di stima e affetto reciproco si è rafforzato nel tempo e ha legato sempre di più il Manzi alla città dove, negli ultimi anni, ha lavorato in realizzazioni importanti come la scultura in bronzo Resurrezione per il cimitero della Misericordia o l'affresco dell'Annunciazione nella chiesa di Santa Maria fino alla statua Inno alla vita, collocata proprio nel giardino antistante Villa Rucellai.

Ha preso poi la parola la curatrice del museo e del catalogo Gabriella Mancini affermando che la monumentale scultura in bronzo, posta nel giardino e che accoglie i visitatori, dal titolo Dalla materia allo spirito è la sintesi di tutto quello che è contenuto nel museo: la materia viene nobilitata nella sua trasformazione e appropriandosi di essa è capace di esprimere al meglio le forze interiori dell'artista. Ha inoltre presentato il Museo che nasce grazie alla donazione fatta da Antonio Manzi al Comune di Campi Bisenzio. Le 109 opere, esposte nelle cinque sale al piano terreno di Villa Rucellai, accompagnano il visitatore in un ideale percorso nella vita artistica di Antonio Manzi, dai primi lavori realizzati a soli 16-17 anni, alle opere dell'ultimo quinquennio. E come afferma la curatrice Gabriella Mancini: «il Museo è anche un percorso nella sua vicenda umana, di cui ogni opera è una tappa. Manzi è un artista completo, sempre in continuo divenire, legato al suo "segno" che imprime in tutte le opere con quella forza che lo ha portato, in una evoluzione naturale, ad esprimersi utilizzando materie e tecniche diverse».

E quando il maestro Manzi, visibilmente emozionato, ha preso la parola ha rivelato che questa inaugurazione «è un sogno realizzato». Non ama definirsi maestro ma piuttosto artigiano, che ha rispetto e dedizione per il proprio lavoro. L'uomo viene prima, è davanti all'artista. E sottolinea che questo è un «museo del lavoro, quel lavoro di un tempo quando c'erano le botteghe rinascimentali, un museo che non vuole essere una cattedrale nel deserto. Mi impegnerò personalmente per altri eventi, perché l'arte non ha religioni, né è soggetta alla politica, l'arte è tutto e di tutti e l'arte viene donata perché chi non può comprarla la trova qui come dono, una forma di restituzione. L'arte per la Toscana, per Firenze è sempre stata stile di vita e di animo».

Parole che suonano strane in questo mondo in cui le gallerie e certi critici fanno sempre il bello o il cattivo tempo. Il maestro Manzi infatti è un artista molto particolare e durante tutto il suo percorso di vita si è avvicinato a molteplici forme dell'arte, dalla pittura alla scultura, ai graffiti, bronzi, etc. Con ognuna di essa ha dialogato imparando, dando e continuando a dare il meglio di sé, apportando sempre nuovi modi di operare nei misteri dell'arte, addentrandosi nelle sue molteplici espressioni, sempre sorretto da quello spirito libero e solitario che lo ha volutamente tenuto lontano dalle rigide regole del mercato. E come il critico Francesco Gurrieri afferma nel catalogo, quello di Manzi è un plurilinguismo, ed è difficile accostarsi alle sue opere senza tener conto della continua tensione fra posizioni antagoniste: «la singolarissima grafica (punta secca, biro su tessuto), il graffito (così ben descritto dal Vasari nelle sue "Vite"), la scultura bronzea e marmorea, l'affresco; la sua inarrivabile abilità di ceramista e ceramografo, fanno di questo Artista, uno dei maggiori "maestri" toscani all'aprirsi del XXI secolo».

A fine conferenza si passa alla visita del Museo e nella prima sala si trova l'inizio artistico di Antonio Manzi. Sono qui esposti i lavori che già rivelano la forza del suo segno, incisivo e sicuro, forte e penetrante. Nel Manicomio del 1974 il suo tratto esprime tutto il dolore e le angosce che queste persone rinchiuse manifestano, ritratte con la bocca spalancata, con le mani sulla testa, con il corpo aggrovigliato su se stesso, rivelando la sofferenza umana, la solitudine della pazzia, l'emarginazione, ma soprattutto la mancanza di amore, che per il Manzi, e anche per noi, è il sentimento capace di dare alla vita un senso. Si trovano inoltre numerose puntesecche tutte sempre legate al tema dell'amore, dove il segno appare più dolce e la linea più armonica.

Nella sala degli affreschi si nota che nel 1984 il Manzi scopre l'antica tecnica del buon fresco perché ha sempre visto in lei l'espressione massima della classicità nella pittura. Nell'uso di questa tecnica predilige temi sacri quali la Natività, il Cristo morente, prendendo spunto dalla semplice ma quanto mai spirituale pittura trecentesca italiana.

Quello poi che ci colpisce molto è come il Manzi riesca a farci provare le stesse sensazioni che vuole esprimere attraverso alcune sue sculture di bronzo, specie per Il dolore del 1992. Quel dolore che era già presente nel Manicomio ma che qui viene espresso ancora meglio: angoscia, dolore, sofferenza, patimento, pena, portano ad una deformità del volto, parti anatomiche mancanti o che si contorcono, labbra aperte protese in avanti che urlano e da cui esce un suono sordo di umana sofferenza.
Grande invece è la sorpresa nell'accedere alla sala dedicata alla ceramica e al collage: una vera e propria esplosione del colore. L' amore per la ceramica risale al 1977 è una delle forma d'arte che il Manzi predilige e che lo ha portato a sperimentazioni costanti e continue tali da permettergli il caratteristico fiammato, sfumature che ricordano, specie per i rossi, la conoscenza del fuoco, resa attraverso pennellate di colore sapientemente dato che si mescolano e che la maiolica ci offre nella sua bellezza. I vasi hanno forme particolari ed originali e sono creati appositamente per i soggetti ricorrenti che il maestro Manzi predilige: le figure di uomo e donna legati dall'amore, fiori "manziani" che ricordano lo stile liberty, il gatto che sarà sempre presente nelle sue opere a simboleggiare l'alter ego del maestro.

Il vaso Futurmanzi ne è un esempio: i temi, la scomposizione di figure, i volti, gli strumenti musicali, frutta, oggetti vari, pur scomposti si leggono come parte di un tutto armonico circolare e cromatico. Nella stessa sala anche i collages mostrano luminosità e gioia; negli Amanti ancora una volta ci troviamo di fronte ad un inno all'amore, sensuale ed erotico, in cui la nudità delle figure nulla offende perché atteggiamenti e movenze sono dettate da una dolce carnalità che viene sottolineata dai contrasti cromatici: nero, bianco, ocra, tutti meravigliosamente in accordo e in sintonia.

Tutto il colore di questa sala viene improvvisamente annullato dalla visione del bianco accecante, su fondo azzurro, della sala dedicata alla scultura in marmo. Qui sono esposte opere a tutto tondo, rilievi e incisioni. Manzi inizia a rivolgersi alla scultura nel 1995 a Pietrasanta; dopo l'inizio con le plastiche in terracotta, passa al bronzo e per arrivare poi alla scultura. Il marmo offre infinite possibilità espressive, ma è una materia difficile da lavorare che comporta l'utilizzo di molteplici tecniche per arrivare a quel traguardo che rende la materia da dura a docile espressione artistica. Lottatori e Amore velato, due statue di grandi dimensioni, sono state esposte alla bella mostra scultorea A Corte al Giardino di Boboli di Firenze tenutasi nel 2005, mentre qui nel museo se ne trovano altre di dimensioni più ridotte. Il tondo a rilievo logo del Museo è Uniti nell'amore e rappresenta due figure che sembrano ballare la danza dell'amore e della vita, uniti nelle mani a suggello dell'eterna unione. All'armonia e perfezione del sentimento amoroso partecipano anche il paesaggio e i fiori, simboli della natura e del divino che in Manzi è sempre presente.

L'ottimo allestimento è stato curato espressamente dal maestro Manzi che ha scelto sapientemente cornici, disposizioni, illuminazione per godere al meglio questo piccolo gioiello museale.
Per la completa biografia e bibliografia del maestro Antonio Manzi e per la visita virtuale al museo e alla Villa Rucellai, si rimanda al sito
http://www.comune.campi-bisenzio.fi.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/3634.

Catalogo a cura di Gabriella Mancini, costo 30 euro.




IL MUSEO

Museo Manzi
Villa Rucellai
Campi Bisenzio - Firenze




Manicomio

Fig. 1
Manicomio, 1974
disegno a penna biro su stoffa di lino, cm. 160 x 175

Dalla materia allo spirito

Fig. 2
Dalla materia allo spirito, 1998
scultura in bronzo h. mt. 4,40
all'esterno del Museo Antonio Manzi

Futurmanzi

Fig. 3
Futurmanzi, 2006
vaso, maiolica dipinta in policromia, h. cm. 70

Uniti nell'amore

Fig. 4
Uniti nell'amore, 2006
marmo scolpito a rilievo diam, cm. 32

Il dolore

Fig. 5
Il dolore, 1992
bronzo, fusione a cera persa, h cm. 45

Amanti

Fig. 6
Amanti, 2004
collage, disegno a inchiostro e cartoncino colorato, cm. 180 x 120

Fotografie cortesia Museo Antonio Manzi

 

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