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Gino Cilio: noterelle istantanee per choc da vuoto  
Lidia Pizzo
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 15 Luglio 2008, n. 502
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Area Artisti

Due interessanti mostre personali dell'artista Gino Cilio a Castel di Tusa e a Firenze hanno attirato l'attenzione di molti addetti ai lavori sull'iter che ha portato l'artista in questione all'operazione: A-Zero dell'opera d'arte.

Entrambi i vernissage si sono conclusi con una tavola rotonda che ha visto disquisire, attorno all'argomento dell'annullamento dell'opera, artisti, critici, galleristi, insomma addetti ai lavori che, prendendo spunto dal "ri-quadro" privo di piano pittorico e dai quattro "non-cataloghi" di 36 pagine bianche fustellate al centro in forma di quadrato, hanno affrontato varie problematiche afferenti l'arte contemporanea, tra cui la crisi dell'Umanismo, l'affacciarsi della cultura digitale, la divaricazione tra scienza, tecnologia e scienze umane, il sistema del mercato, ecc ... principali cause che hanno messo in crisi il concetto di opera d'arte, già molto instabile da un secolo a questa parte, diciamo a partire dal Dadaismo, ma forse sarebbe più esatto fare iniziare la problematica fin dal Simbolismo con la "pagina bianca" di Mallarme.

Per far comprendere meglio l'operazione di azzeramento dell'opera d'arte e dell'artista, vorrei andare con ordine, avvisando gli eventuali lettori di munirsi di una buona dose di pazienza, perché ciò che sto per dire ha infinite implicazioni riguardanti il sistema dell'arte, del mercato, della critica e così via, che sintetizzerò come posso, cercando di non farmi apostrofare con: «quo usque tandem abutere, Lidia Pizzo, patientia nostra ?» !!!

L'inizio del processo di "a-zeramento" di Gino Cilio  risale ad alcuni anni fa, con l'invio, al mio indirizzo, tra gli altri addetti ai lavori, di un grosso plico da Roma. Lo lascio sul mio tavolo per molto tempo, immaginando contenga uno dei soliti cataloghi, che l'artista di tanto in tanto usa mandarmi. Poi, finalmente, decido di aprirlo e, con sorpresa, dalla busta scivolano fuori, per una "Non-Mostra", quattro "Non-Cataloghi" di formato minimale in tutto uguali e non firmati.

Il primo, con copertina nera e fustellato al centro in forma di quadrato, ha in alto un nome: Gino Cilio, in basso: Opere. Il secondo uguale ma con copertina oro. In questo scompare la dizione Opere, resta solo il nome Gino Cilio. Il terzo con copertina argento. Qui scompare l'autore, ma resta Opere. Il quarto rigorosamente anonimo e totalmente bianco. Come si nota, questi delle copertine  sono non colori.

Ho un capogiro !

Dalla busta scivola una nota esplicativa, rigorosamente anonima. In apertura questo dettato di poetica: A-Zero la superficie, A-Zero la forma, A-Zero la struttura, A-Zero il linguaggio, A-Zero la tecnica, A-Zero il concetto, A-Zero la fruizione, A-Zero l'estetica. Leggere ciò mi provoca uno choc. A-Zero, verbo o locuzione avverbiale ?

Un senso di straniamento, di alienazione pervade la mente. Gino Cilio è improvvisamente impazzito o ... .è diventato il più saggio dei saggi ?
Vado subito a ritroso per vedere se, per caso, qualche volta mi sono imbattuta in tanto nichilismo. Consulto qualche testo, qualche catalogo più o meno recente ...
Ritrovo in tutte le Avanguardie storiche, e non, dichiarazioni di azzeramento dei linguaggi, ma in ogni caso ad ogni linguaggio azzerato se ne era sempre sostituito un altro, vedi l'Informale, la Pop Art, la Minimal Art, l'arte Concettuale, la Body Art, ecc ... tanto per citare le correnti più recenti. Nessun artista, mi risulta, ha usato tanta radicalità. Nemmeno Duchamp o Piero Manzoni o Klein o Rothko, o tanti altri.

Per orientarmi meglio in questa "Oper-azione", riguardo il materiale ricevuto. Rileggo il nome: Gino Cilio. E' artista abbastanza conosciuto tra gli esperti del settore. Riguardo i "Non-Cataloghi". Non contengono nessuna traccia di immagine o segno. Niente di niente, solo un quadrato fustellato al centro. Rifletto sulla funzione del catalogo: in genere presuppone la registrazione di un evento espositivo di cui esso è la risultante. Ma circostanza espositiva non vi è stata, l'unico evento è consistito nel gesto di "ri-quadrare" in forma di quadrato, appunto, uno spazio con un sottile listello vuoto di superficie, a configurare simbolicamente una ipotetica opera, che, ovviamente, non c'è.
Ecco spiegato il perché della fustellatura dei "Non Cataloghi". Il vuoto da essa delimitato ha preso il posto dell'immagine, appunto perché manca nell'artista qualsiasi intenzione formativa.

A questo punto, nel disorientamento più totale, cerco di mettere ordine ai pensieri. L'amicizia con Cilio è lontana nel tempo.
Lo conosco sempre attento e propositivo sulla scena artistica romana da parecchi lustri. Sulle sue spalle pesano anni di indagine sui linguaggi dell'arte, sulla funzione dell'arte stessa nella società contemporanea, quella società che all'essere ha sostituito l'avere.
Guardo ancora i "Non-Cataloghi". Cerco di capire la personale Sinngenesis, come direbbe Husserl, che ha portato l'artista a porre in essere questo gestus di pura marca avanguardistica.

Ho lasciato Gino Cilio qualche anno fa immerso in un certo Informale alla Pollock, ma che in lui aveva perso la valenza dionisiaca ed irrazionale a favore di una gestualità controllata protesa al recupero di certi valori formali e contenutistici.
D'altra parte, penso, modi e risonanze dell'Esistenzialismo confluiscono nell'Informale, per il quale la funzione dell'arte si risolve in una serie di accadimenti esistenziali soggettivi, che in ogni caso non consentono di cogliere l'essenza delle cose. Di conseguenza, il gesto artistico è afinalistico, astorico oltre che frammentario e si articola in un tempo senza più orientamento né direzione.
Esso è solo un grido, un gesto puro che potrebbe anche non essere fermato sul supporto, su qualunque supporto. L'artista informale sceglie l'operatività solo perchè ritiene che la creatività sia un bisogno insopprimibile dell'uomo.

In altre parole, laddove gli artisti informali, impossibilitati a fissare un punto di riferimento immobile, si affidano all'ancestrale bisogno dell'uomo di esprimersi, Gino Cilio abbatte ogni illusione, rende il suo grido inarticolato, un "grido taciuto", direbbe Pavese, e prende su di sé il senso di angoscia che attanaglia l'uomo di fronte al nulla, di fronte all'impossibilità di qualunque gesto conformativo. E, infatti, il Nostro non ne compie alcuno. Adesso, comincio a spiegarmi meglio il senso dei "Non-Cataloghi X una Non-Mostra".
Questo passaggio attraverso l'Informale avrebbe potuto essere, a parer mio, il primo input che avrebbe indotto, poi, l'artista all'A-Zero.
Ma, conoscendolo bene, ritengo che ci possano essere altre possibilità di "lettura" per questa "operazione".

Dopo il periodo Informale, Cilio, non senza travaglio interiore, ha sperimentato anche il Minimalismo.
Dopo tanta action painting, quest'ultimo "ismo" avrebbe dovuto recuperare l'elementare purezza delle cose data dall'ordine, dalla semplicità, dalla geometria. Conseguentemente, tale movimento va a privilegiare linee minime di forza, come la verticale, l'orizzontale, la trasversale, soprattutto quando queste passano per il centro del supporto. E sia a Firenze che a Castel di Tusa il momento minimale del Nostro è stato ben rappresentato da opere assolutamente puntuali ed ineccepibili dal punto di vista formale, che hanno fatto dire ad Antonio Presti all'Atelier sul Mare di trovarsi dinanzi ad opere aspaziali e atemporali, tanta era l'essenzialità delle linee, che suggerivano spazi e tempi indefiniti.

Ed ancora, l'operazione di annullamento dell'opera d'arte e dell'artista si comprende meglio in Cilio se all'Informale e al Minimalismo aggiungiamo la sperimentazione, già diversi anni or sono, dell'arte Concettuale.
Questa elimina l'oggetto-opera a favore del concetto. Conseguentemente, l'opera, come dice Filiberto Menna, viene ricondotta «ad una operazione linguistica di tipo analitico» per cui «viene affermato il carattere monosemico e tautologico dell'ordine della significazione». Ma, eliminato l'oggetto-opera, l'arte non è più merce, essa deve solo ottenere l'appoggio della società in quanto indagine che trova la sua giustificazione in se stessa.

Con i quattro "Non-Cataloghi" tra le mani e immaginando il "quadrato" privo del piano pittorico e ricordando il percorso artistico testé indicato, mi è, adesso, più facile entrare nei pensieri e nell'iter dell'artista nel momento in cui elimina l'oggetto-opera. Conseguentemente esso non può essere ricondotto a merce, per cui si determina l'eclissi dello stesso, che trascina con sé la funzione della critica, del mercato, delle gallerie, ecc ... Insomma tutto l'odierno sistema dell'arte.

Tutti sappiamo che quando ci sono momenti di crisi, di cambiamento della percezione del mondo e delle cose del mondo, quando i valori, i modelli, insomma i parametri di riferimento della lettura della realtà, non soddisfano più le esigenze intime dell'uomo, allora si tende ad azzerare.

Infatti, tutte le volte che un artista mira all'annullamento dell'opera d'arte, cerca di portare la riflessione sulla sua funzione, dell'artista dico, in seno alla società e sulla funzione che in essa ha l'arte. E nonostante, oggi si dica da più parti che l'arte non serve a niente, per il fatto stesso che essa rivela metaforicamente un frammento della realtà resta sempre una circostanza formativa ed educativa.

Un secolo fa, in un diverso momento di crisi del pensiero e delle arti, Mallarme non riuscendo a cogliere l'essenza della realtà, l'inconnu, arrivò al dramma della "pagina bianca", cosi come qualche decennio dopo Malevic provocò scandalo con Quadrato bianco su fondo bianco, in quanto, sosteneva, di volere riportare l'arte nell'ambito del "transrazionale", il bianco essendo il mistico segno del nulla. In questo modo, metteva in evidenza, per l'arte, le istanze mistico-metafisiche che già in precedenza aveva introdotto con Quadrato nero su fondo bianco.
Tra l'altro nelle due opere sopra indicate ritorna la stessa configurazione: il quadrato, figura di partenza e di arrivo di tutto il sistema di pensiero maleviciano. Esso è il padre di tutte le forme ed è la forma più semplice, che permette di riportare su un solo piano «la forza della statica e della dinamica quiete apparente», dice l'autore.

Allo stesso modo Cilio, con la fustellatura dei "Non-Cataloghi" e con la forma del "ri-quadro" privo di superficie, entrambi rigorosamente quadrati. In essi non c'è più materia, né materiale che avrebbero potuto essere portati alla forma, portati a "presentificare" delle strutture che rivendichino il loro essere-nel-mondo.
Tutto questo vado almanaccando mentre immagino una mostra (?) o, meglio, una "O-Per-Azione" in cui, in un luogo qualsiasi, ci siano solo dei supporti privi di superficie distribuiti in qualunque parte dello spazio.

Spazio!

In effetti, vado  ancora congetturando, davanti alla mia scrivania con i "Non-Cataloghi" tra le mani  e l'assunto di poetica di cui sopra sotto gli occhi, questi "perimetri" privi di piano pittorico racchiudono uno spazio reale, uno spazio-flusso connotato in senso esistenziale.
Fontana si fa presenza ! Egli buca il supporto, attraversa lo spazio che diventa materia, con un gesto ritmico riproposto continuamente a rimarcare il suo intervento costante. Ma il taglio, il buco attraversano lo spazio-materia in un certo tempo, il tempo dell'esistenza, del disinganno, dell'antimonumentalità.
Per l'artista l'arte nasce da una stretta relazione tra pensiero ed azione e dichiara « ... io buco, passa l'infinito di lì, passa la luce, non c'è bisogno di dipingere ... »

Cilio deve andare necessariamente oltre Fontana. Lui non taglia, né buca la superficie, semplicemente la strappa  prima, per toglierla del tutto dopo, mantenendo di Fontana, però, il concetto di spazio-flusso-materia. Infatti, attraverso il "riquadro" lo spazio nella sua fisicità collima automaticamente col tempo fenomenologico in cui quello si dà.

Rovisto, ancora, nel silenzio del mio studio, e, con fare proustiano, nella memoria.
Ecco ... . Ricordo un grosso libro perforato. Un nome: Vincenzo Agnetti.
Nel lontano 1969 espone Libro dimenticato a memoria, un testo con listello segnalibro, ma fustellato e con il titolo appunto e la firma.
Ma, essendo il titolo di per se stesso un'intuizione sintetico-concettuale, è lecito pensare che esiste ancora per l'artista la possibilità dell'arte, perché c'è da qualche parte un fruitore che da quella intuizione riceve un input.
Inoltre, il tempo resta sempre quello zoccolo duro su cui la coscienza può agire, per riportare alla luce ciò che è stato dimenticato. È, insomma, a parer mio, quello di Agnetti il tempo cairologico, l'istante in cui l'artista "coglie" il limite come condizione di possibilità, di cui egli dà una traccia. Tuttavia, in lui la possibilità dell'arte sfuma, perché non riesce a configurare, a conformare l'opera, che pure resta in forma minimale e che reca sempre una firma, la sua, e il listello segnalibro da lui attaccato.

Gino Cilio, invece, non riesce neanche a reperire una traccia, a cogliere l'attimo, il momento creativo in cui il suo daimon "costruisce". Il suo tempo, il tempo dell'ispirazione e quindi dell'arte potrebbe essere stato "rimosso". L'io cosciente, confuso dinanzi alla babelica realtà dell'arte contemporanea, ha bloccato il suo impulso alla creatività, l'ha rimosso, l'ha relegato nella parte inconscia. E' necessaria una pausa. E' necessario eliminare l'immagine, la confusione della "civiltà dell'immagine", affinché il soggetto possa riflettere sul senso, lo ribadiamo, che l'opera d'arte può avere nella contemporaneità

Un altro flash, lì nella calma del mio studio, illumina i ricordi: le "Cancellature" (Ideologia della sopravvivenza) del 1965 di Emilio Isgrò, che affronta avanguardisticamente il problema dei linguaggi ed appunta la sua polemica su quelli istituzionalizzati, per i quali «l'esercizio della poesia viene concesso come privilegio di oppressione, di raffinata, orientata violenza», sostiene lo stesso artista. Tuttavia, il gesto del cancellare «non è regressione al primitivo, ma tende a far cadere le oscurità della storia per consegnare l'uomo davanti al nodo primario dell'esistenza: il tempo e la morte», dice Achille Bonito Oliva nel catalogo della mostra alla Zisa di Palermo. Il tempo, per Isgrò, allora, è quello lineare, il cronos, cui si può aggiungere sempre un attimo, il cancellare. L'attimo che è, poi, quello del gesto che alla morte lo sottrae, per consegnarlo alla storia.

Ma il mio fare proustiano non si esaurisce qui. Spulcio ancora tra i nichilisti dell'opera d'arte e dell'artista ed ecco, facendo un grosso passo indietro, spuntare le Tre tele monocrome con i soli colori primari: giallo, rosso e blu del 1921 di Rodcenko, il quale toglie all'arte anche la possibilità di interpretazione in chiave rappresentativa e simbolica, ma lascia pur sempre quella minimale e tautologica.

Non si può, inoltre, passare sotto silenzio la sistematica demolizione dell'opera d'arte di Duchamp che all'oggetto artistico sostituisce qualsiasi altro oggetto (Scolabottiglie, Fontaine, ecc ... ) in forza della sola "nominazione" dell'artista.

In Cilio non c'è oggetto artistico e, quel che è di più, neanche l'artista che potrebbe "nominare" le cose, per esibirle come opere, lui si è identificato con lo spettatore.

Il mio frugare nella storia dell'arte dell'ultimo mezzo secolo procede ancora a ritmo incalzante alla ricerca di artisti che hanno operato tra presenza e assenza dell'opera e non posso non menzionare molte personalità di spicco: Yves Klein delle "Pure astrazioni cromatiche", Piero Manzoni degli Acrhome, i famosi, enormi quadri neri di Mark Rothko che dovrebbero indurre lo spettatore a prendere le distanze dall'opera per restare, davanti ad essa, solo con se stesso; Cliffort Still e Ad Reinard con i loro quadri neri leggermente variati e tanti tanti altri fino ad Anish Capoor che nel 2004 alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia presenta una tela esposta verticalmente, di due metri per uno di un nero particolare, che assorbe lo spettatore all'interno della stessa, come a risucchiarlo verso un vuoto. Lo stesso Daniel Dezeuze, uno dei maggiori rappresentanti del movimento Support/Surface, ancora nel 2003 presso la galleria Peccolo di Livorno, toglie, è vero, ogni superficie pittorica, ma lascia in un angolo i barattoli sporchi, all'esterno, di colore.

Malinconicamente, osservando i "non-cataloghi", e tirando le somme della ricognizione dei nomi degli artisti che hanno operato sul piano dell'annullamento, mi rendo conto che Cilio è in ottima compagnia e quindi un altro quesito si affaccia alla mente. Se l'arte è forma di conoscenza, come si è sostenuto, è probabile che per Cilio, che tanta ne ha prodotta, nel momento attuale non lo sia più, non possa esserlo più.

È sotto gli occhi di tutti come l'impatto mediatico renda assai labile la demarcazione tra fatti reali e finzione. Guardando i vari mezzi di comunicazione spesso non si riesce a capire se si tratta di realtà o di immagini più o meno sconvolgenti o coinvolgenti tratte da film.
A questo stile fatto di fusione di reale e di artificiale, immaginoso ed immaginifico Jeffrey Deitch dà il nome di "Fantasismo" e vede all'interno dell'arte attuale un filo conduttore consistente nell'interferenza del mondo fantastico dell'artista nel mondo reale, vedi Cattelan, Henry Darger, Vanessa Beecroft ed altri. Ma, mi chiedo: dove sta la novità del "Fantasismo" ?
Gli artisti da sempre hanno immesso la loro realtà astante nel flusso della vita reale, Hieronymus Bosch in primis, tanto per fare un nome, docet già da parecchi secoli. Oggi sono solo cambiati i mezzi molto più sofisticati e mediatici. Tuttavia da essi non emerge ancora nessuna visione nuova e rivoluzionaria.
Se l'artista, sembra dirci Cilio, come qualunque altro individuo, ha un ruolo nella società di oggi, ha il dovere di fermarsi, di pensare e ri-pensare un momento così ricco di mutamenti della percezione del reale, per apportare il suo contributo propositivo al divenire della storia, senza ripetere forme e formule trite e ritrite e mai migliorate del sistema dell'arte attuale.

Ma quale potrebbe essere il contributo ? Prima di dare risposte e formulare ricette o vedere possibili soluzioni, tento di approfondire la riflessione.
Premesso che una possibile sinngenesis dell'A-Zero potrebbe essere quella testè delineata, è naturale chiedersi quali altre implicazioni l' "oper-azione" sottenda.
Se Cilio ha azzerato l'artista e quindi l'opera d'arte, certamente trascina con sé tutto il sistema.
Inevitabilmente si torna a parlare di morte dell'arte. Ma vorrei riflettere bene su questo argomento e quindi vado alla radice del problema: Hegel.

Questi considerava l'arte come il primo gradino per conoscere l'assoluto nella forma dell'intuizione. Vedeva, poi, quella classica come la più capace di esprimere il messaggio spirituale in forma sensibile in modo potentemente armonico, in quanto spirito e natura venivano recepiti come un tutt'uno. Quindi quest'arte rappresentava il culmine della perfezione artistica. Al contrario, l'arte romantica aveva perso quell'equilibrio armonico, perché lo spirito aveva coscienza che qualsiasi forma sensibile non era sufficiente abbastanza per esprimere un messaggio spirituale così ricco come quello romantico. Da qui la crisi dell'arte, a proposito della quale Hegel così dice: «L'arte è e rimane per noi, quanto al suo supremo destino, una cosa del passato». Queste parole hanno indotto a teorizzare "la morte dell'arte", variamente interpretata nelle epoche successive e nella nostra.

A questo punto torno con la fantasia a "vedere" il vuoto, lo spazio peri-metrato da un listello, mi pongo la domanda: le varie teorizzazioni sulla morte dell'arte in Cilio sono finalmente diventate pratica di poetica ? Cerco di interpretare il vuoto, ancora una volta !
Credo che oggi, al contrario del Romanticismo, la babele dei linguaggi, delle forme, delle formule, delle commistioni di generi sia esorbitante rispetto alla lettura di una realtà poveramente ridotta ad accadimento esistenziale, il cui fine è quello di confluire in un'unica dimensione di morte. L'artista contemporaneo, nonostante l'eccedenza dei mezzi espressivi, e forse proprio per questo, non riesce a formulare una nuova visione del mondo, si limita tuttalpiù a trattare la realtà in forma ironica, giocosa e qualche rarissima volta sarcastica, ma mai in forma dirompente, mai che sia "un pugno allo stomaco", troppo succube di una società di cui condivide agi e notorietà !
E di tutto ciò Gino Cilio è perfettamente consapevole, visto che all'arte ha dedicato l'intera vita, così come è consapevole della prevaricazione dell'estetico sull'artistico. Cosa vuol dire ?

Tutti sappiamo che l'estetico ha a che fare con un'impressione soggettiva, l'artistico, invece, ha a che fare con canoni di validità generale, regolati non dal gusto soggettivo, ma dall'intelletto, come sosteneva Konrad Fiedler. L'opera d'arte può essere soggettivamente sgradita e sgradevole ma può essere ugualmente pregevole. A questa eccessiva divaricazione tra artistico ed estetico hanno contribuito notevolmente sia le Avanguardie che le Neoavanguardie, in quanto considerano l'arte come modello privilegiato di conoscenza del reale e l'affrancano, quindi, dall'estetica tradizionale, lasciandola alla ricerca di un proprio obbiettivo fondamento. Conseguentemente, tutto è arte. «L'arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte», sosteneva Dino Formaggio. Ma, certamente, se nella nostra società è lampante una esteticità generica, estesa ad ogni esperienza umana, essa è altra cosa rispetto all'arte specifica degli artisti, sembra dire Gino Cilio, in modo assolutamente provocatorio, col suo A-Zero dell'opera d'arte, in barba a quanto sostiene Dino Formaggio.

Oggi, tra artistico ed estetico, non c'è una chiara linea di demarcazione. L'effimero della moda è arte, un qualunque oggetto prelevato dalla realtà è arte, fino a giungere all'estrema barbarie, inconcepibile da parte di qualunque individuo fornito di un minimo di buon senso (mi esimo dal parlare di intelligenza !) di esibire in galleria un "cane morente" da parte di Habacuc Vargas. Anche un "letto disfatto", dopo cinque notti insonni di Tracy Emin, stella emergente della Young Generation inglese sostenuta nientemeno che dalla Saatchi gallery, è arte. E potrei continuare fino alla noia con lucidatrici, penne a sfera, scarti vari e così via.

Di conseguenza, un artista come Cilio, già allievo prediletto di Kokoskha all'Accademia Internazionale di Salisburgo, non può non suggerirci, col suo gesto avanguadistico, di rifiutare gli estremismi, la superficialità, il gesto per il gesto, o altro, dell'arte contemporanea e lo fa nel solo modo con cui un artista lo può fare: rifiutando il sistema linguistico-espressivo contemporaneo, come già fecero le avanguardie, che, pur avendo avuto il merito di allargare lo spazio dell'espressione artistica, non gli impressero una direzionalità, una continuità storica, lasciando tutto all'azione individuale, allo scatto anarchico, che, ai giorni nostri, ha portato, come dicevamo sopra, ancora una volta all'esibizione tout court di un frammento di realtà.

Vista in tale contesto, oggi, l'espressione artistica non concepisce ormai, né progetta la metaforizzazione più o meno complessa della realtà, come avvenne per gli artisti dei secoli passati, ma si arrocca, sic et simpliciter, sull'esibizione della stessa, che diventa, semplicemente, momento di elementare comunicazione, senza la complessità di una visione più o meno organica dell'esistente.
In questa disposizione analitica e sostanzialmente arbitraria di segni, oggi, non c'è visione nuova, visione metaforica della realtà, ma l'oggetto stesso diventa linguaggio, e quindi viene ad essere soppresso anche lo scarto tra intuizione irrazionale, che arricchimento del mondo, e intenzione razionale, che è visione del mondo. A questo punto, stante così le cose, dice Cilio, è meglio fermarsi e fare il "vuoto", per riflettere non solo sul ruolo dell'opera d'arte, ma anche su quello della critica, delle gallerie, del mercato, ecc ... che lascio al lettore per non annoiarlo oltremisura.

Prima di chiudere questo mio scritto vorrei soltanto comprendere e far comprendere se il nichilismo di Gino Cilio sia senza residuo, alla Max Stirner (L'unico e la sua proprietà). Ma non mi sembra questo il messaggio, oppure sia alla Nietzsche, quando dice che «Non ci libereremo di Dio fino a quando non ci saremo liberati della grammatica». Liberarsi della grammatica per il nostro artista, oggi, significa liberarsi delle stratificazioni linguistiche ed espressive fiacche e snervate contemporanee, liberarsi dall'ossessione di esibire la realtà come opera d'arte, non avendo la capacità di rendere l'opera metafora più o meno poetica, più o meno complessa della realtà di questa nostra società superficiale, ridanciana, vuotamente chiacchierina.
E per liberarsi della grammatica Cilio si serve di un "riquadro" senza superficie pittorica a cui aggiunge un titolo: 1+Uno, in cui l'1, anche per la posizione spaziale che occupa sotto il "riquadro", rimanda all'annullamento dell'opera, mentre il +Uno, proprio in lettere e spostato all'esterno del riquadro e con lettera maiuscola, rimanda all'Unità e quindi alla Totalità, "aprendo" in questo modo l'opera alla speranza.

Infatti, osservando i non colori (bianco, nero, oro, argento) dei quattro "non-cataloghi" e la forma quadrata della fustellatura, nonché il ri-quadro privo di piano pittorico non si può non pensare al simbolismo sia dei non-colori, che del quadrato.
Quest'ultimo da sempre è stato la metafora del nostro thèmenos, del nostro spazio sacro, in cui ciascuno di noi, nella sacralità della propria esistenza, si interroga sul suo esserci, sul suo cammino interiore, che lo porta alla consapevolezza del sé, al gnothi seautòn, per riconoscersi come individuus, dal latino non diviso, che, a sua volta, lo porta a vivere la consapevolezza della sua personalità completa, in cui si integrano dialetticamente ed armonicamente i due principi: maschile, animus, e femminile, anima.

Inoltre, il quadrato è la figura geometrica perfetta, simbolo del limite e della misura. Concetti greci per i quali la perfezione era costituita dal limitato, dal determinato, dal compiuto. Infatti nel "limite" c'è un principio "attivo" determinante delle cose, in cui la forma trionfa sul caos, l'ordine sul disordine, il limitato sull'illimitato.

Ed ancora, il quadrato è il simbolo dell'aria, dell'acqua, della terra, del fuoco, che la razionalità riesce ad ordinare, ma è anche la forma geometrica perfetta da cui scaturiscono tutte le altre.

Guardo ancora una volta le copertine dei non-cataloghi. Cilio non a caso le ha realizzate in bianco, nero, argento, oro. Ancora "non-colori". Nero, saturazione di tutti i colori e quindi simbolo della massima energia. Rifletto ancora. Nero! La nostra oscurità, ma anche visiona fonda, completa all'interno della coscienza, che ci può permettere di raggiungere la chiarezza, la chiarezza del Bianco, che è pure simbolo della pura azione e di conseguenza del mondo della non oggettività. Argento: anima, creatività e quindi simbolo lunare. Oro: animus, razionalità, e quindi simbolo solare.

Il fruitore "shekeri" il tutto, per vedere, se non una luce, almeno una fiammella, che gli permetta di scoprire l'ordine ideale di questo nostro mondo martoriato, che gli permetta di scoprire nuovi parametri di lettura del reale, in cui l'uomo riacquisti la sua centralità nella "costruzione" del mondo, centralità conculcata già da molto tempo, da quando cioè la tecnologia non è più un mezzo che opera per il miglioramento della vita dell'uomo, ma un fine di cui lui è solo un pezzo di un ingranaggio elefantiaco in cui non conta più niente. Ma questo è un altro discorso.




LE MOSTRE

Mostre personali di Gino Cilio alla "Fondazione Antonio Presti", Atelier sul Mare, Castel di Tusa (ME) e alla "Fondazione Fr.lli Rosselli" di Firenze dal titolo A-Zero dell'opera d'arte.





Quattro Non-Cataloghi

Fig. 1
GINO CILIO,
Quattro "Non-Cataloghi"

A-Zero

Fig. 2
GINO CILIO,
"A-Zero"
cm. 100 x 100

Strappo - A-Zero

Fig. 3
GINO CILIO,
Strappo - A-Zero,
Misure Variabili

Scissione

Fig. 4
GINO CILIO,
Scissione,
Misure variabili

Forma 2

Fig. 5
GINO CILIO,
Forma 2,
Vetroresina fustellato cm. 100 x 100 x 100

Forma 2

Fig. 6
GINO CILIO,
Orizzonti,
Rete fibra di vetro
cm. 50 x 50 cad.

Dipingo-A-Zero

Fig. 7
GINO CILIO,
Dipingo-A-Zero,
Tecnica mista
cm. 50 x 50 cad.

Verticale

Fig. 8
GINO CILIO,
Verticale,
Tecnica mista

Foto cortesia Gino Cilio

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