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Un angolo di storia della scultura contemporanea: Museo-Fondazione Venanzo Crocetti. Il segno di una vita  
Giorgia Duò
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 13 Ottobre 2008, n. 506
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C'è un museo lungo la via Cassia, ancora non molto conosciuto, uno spazio intatto, sospeso tra il silenzio dei sentimenti e la gioia dello spirito. Si tratta della Casa-Museo-Laboratorio dello scultore abruzzese Venanzo Crocetti (Giulianova 1913 - Roma 2003) che, nel 1951, dopo aver vinto il concorso per la realizzazione della Porta dei Sacramenti della Basilica di San Pietro a Roma 1, costruisce qui, secondo una sorta di feng shui ante litteram, un nuovo studio, sette metri e mezzo di altezza, che gli consenta di dedicarsi serenamente e pienamente a questa importante impresa che durerà quasi quindici anni (1951-1965).

Crocetti, quindi, decide di spostarsi da via Gianturco c/o piazzale Flaminio al civico 492 di via Cassia, poco dopo l'incrocio tra la via antica e quella nuova, in un luogo in cui, ancora oggi, una volta chiuso il grande cancello che lo separa dalla trafficata arteria romana, si respira un'atmosfera quieta ed armoniosa certamente favorevole alla concentrazione artistica necessaria allo scultore per lavorare ad una committenza così prestigiosa.
Nel giro di qualche decennio alla costruzione principale, il laboratorio, si annettono altri ambienti fino ad assumere l'attuale compagine. L'atelier è inglobato in una più ampia struttura, dalle linee rette ed importanti, la casa dove il maestro vive fino alla morte: un'abitazione sobria che riflette il carattere meditativo dell'artista, arredata ancor oggi come allora. Alla meta degli anni '70 edifica un secondo villino da destinarsi a sede della Fondazione, operativa dal 1979, da lui fortemente voluta e presieduta fino alla scomparsa. È l'organo vitale del museo, la sua dotazione, un ricchissimo patrimonio artistico di statue, disegni, ed incisioni, lasciato dallo scultore, assicura al museo una significativa capacità di rinnovamento dell'accurata esposizione permanente, disposta in cinque sale, articolate su due piani, realizzata tra il 1930 e il 1998, omaggio ai 70 anni di intensa ed ininterrotta attività creativa 2.

Il complesso è stato progettato e realizzato interamente e direttamente dal maestro senza alcun tipo di aiuto; è il risultato di anni di risparmi ed applicazione indefessa 3. Nella struttura principale vi è la casa dello scultore, oggi adibita a foresteria, il museo, inaugurato nel novembre del 2002, il suo studio, visibile attraverso una vetrata che subentra alla parete originale, che mantiene l'aspetto precedente la morte dello scultore, una sala polivalente, che funge da sala conferenze, concepita come luogo di promozione di mostre temporanee di altri artisti, letture, concerti, presentazione libri e altri eventi, e, al piano interrato, una piccola cappella, realizzata dall'artista stesso per accogliere le sue ceneri, una struttura ad emiciclo, delineata da lastroni di marmo grigio, sovrastata da un crocifisso ed ornata da diversi candelabri nonché statue e bassorilievi marmorei di soggetto sacro.


IL MONDO FEMMINEO ESPLORATO DA VENANZO CROCETTI ATTRAVERSO LE SUE SCULTURE

La visita al museo stimola l'approfondimento e lo studio di molte tematiche: una tra tutte, la figura femminile. La donna, immagine materna, oppure sensuale, di volta in volta modella o musa ispiratrice, alimenta lo spirito creativo dei più grandi artisti di tutti i tempi. Crocetti soggiace al fascino dell'universo muliebre, lo indaga attraverso la sua arte e ci restituisce un'idea di donna non stereotipata, ma piuttosto individualizzata in ogni sua scultura. Di opera in opera assistiamo ad un mutare continuo, quasi un perfezionarsi o forse semplicemente un cambiar ispirazione. Le sue sono donne vere, qualificate con specificità sulla base di aspetti del carattere o del sentire assolutamente nuovi, se non inediti, e soprattutto autentici 4: sono figure sfacciate, ma anche indecise, sprezzanti e dolci, fiere o incerte, ma tutte risolte in un classicismo di base di natura non solo fisica, ma soprattutto morale. La compostezza, le misure ideali e la pienezza plastica sono, dunque, il mezzo adottato dall'artista per andare oltre la scultura e comunicare a chi guarda un messaggio di carattere personale. Classicismo e realismo sono pertanto i due termini entro cui si muove il fare artistico del maestro.

La fiera Portinaia (fig. 1), abbigliata semplicemente con una tunica e con le tipiche ciabatte, è una donna sicura, che esercita la propria autorità nei confronti di un comportamento da lei perseguibile; la posizione del corpo 5 e l'espressione non contenta del volto concorrono alla definizione del suo ruolo sociale. È un'opera costruita saldamente come ben solida è la struttura della Gravida (fig. 2, replica bronzea della fine degli anni Ottanta, di una terracotta del 1932) 6, scultura che riflette, diversamente dalla precedente, la lezione dei maestri del Rinascimento italiano. Nell'accostare volumi geometrici ritroviamo in primis Piero della Francesca, ma la palpabile veste, che lascia trasparire il divergere dei seni, ricade sulle gambe come un panneggio antico, quello delle statue classiche. È una donna grave, non solo per fisicità: lo sguardo è, infatti, quello di una persona che abbia riflettuto lungamente sull'importanza morale di ciò che le sta per accadere.

Nella stessa sala possiamo osservare un capolavoro di grazia ed eleganza, la scultura, che è anche l'emblema del museo, rappresenta una Fanciulla al fiume (fig. 3) in una posa del tutto inedita, che l'artista non riproporrà nelle successive versioni dello stesso soggetto 7.

È un lavoro particolarmente delicato che mostra una giovane e timida ragazza, condizione suggerita dal grande cappello che copre, in parte, il suo volto, mentre svestita si bagna i piedi. L'artista ha un approccio di carattere intimista e tratta il soggetto con squisito realismo, dolce e forte allo stesso tempo. La fanciulla è raffigurata nell'istante in cui, quasi certa di non essere vista, ha abbandonato i suoi vestiti per dedicasi alla toletta personale.
È forse la capostipite del filone, ampiamente espresso dal maestro, delle "bagnanti", fanciulle e donne, ritratte nude o seminude, colte in atteggiamenti di moto o di stasi, ma sempre naturali e spontanee. Le sculture dell'artista non ci danno quasi mai la sensazione di essere opere accademiche, realizzate in laboratorio con modelle al seguito, piuttosto sembrano istantanee scattate di nascosto a donne che hanno suscitato l'interesse del maestro. Le sue sculture sono alternativamente caste o sensuali, contraddistinte da nuove e sempre diverse strutture compositive, che racchiudono un lirismo ispirato, ossequio intenzionale alla bellezza universale del mondo femminile.

Semplice poesia è la Bagnante del 1942, i capelli sono raccolti in maniera da evitare che l'acqua scenda sulla schiena e, mentre con la destra strizza l'angolo dell'asciugatoio che accidentalmente è caduto in acqua, si copre pudicamente con la mano sinistra. Crocetti traspone in scultura un momento qualunque quello di chi distrattamente lascia appoggiato l'accappatoio sulla vasca e si accorge, asciugandosi, che una manica è completamente bagnata ! La giovane, leggermente inclinata in avanti, è completamente assorta e non guarda lo spettatore che si comporta come colui che sbircia dal buco della serrature e cattura, invadendolo, quell'irripetibile attimo di intimità. Lo schema è ripreso nella Bagnante che si asciuga i capelli (1955, 1968), dove si rappresenta il momento immediatamente successivo al precedente, quello in cui la donna dopo essersi asciugata il corpo utilizza il medesimo telo per avvolgervi i capelli, secondo il gesto naturale di portare la testa e le spalle in avanti per agevolare l'operazione.

Anche in questo caso l'atteggiamento dell'artista è quello di lavorare come se spiasse le movenze della giovane rappresentata. E osservata si sente anche la Donna al fiume crocettiana (1935, 1952, 1960, 1969, 1970). Lo schema compositivo di base è sempre lo stesso, una fanciulla in riva al fiume, con il busto reclinato sulle gambe, mentre si asciuga i piedi. Nella versione primitiva la ragazza non si accorge minimamente della presenza di un immaginario spettatore e lascia il capo rivolto verso il basso, giocherellando con le dita del piede destro. Nella resa del 1952, invece, la testa si alza per rivolgersi verso chi la guarda, intanto con le mani tende l'asciugamano che si trova sotto i suoi piedi, particolare capace di restituire naturalezza e immediatezza alla composizione. L'edizione del '60 è un misto tra le due precedenti la donna, dalle forme corporee più lievi, inclinata sulle gambe, si trastulla le dita dei piedi e solleva la testa, ingentilita dalla presenza di un cappellino a grossa falda, in direzione dell'astante. Qualche anno dopo riprende la versione del 1952 (fig. 4), per aggiornarla, solo un anno dopo, con l'aggiunta del cappello. La bravura del maestro consta nella capacità di raffigurare con eleganza quell'intimo momento della donna, imbarazzata dal trovarsi semi-nuda, e sorpresa in una posizione che poco si addice all'essere femminile.

Nel 1936 il maestro espone alla "Mostra d'Arte italiana" a Parigi, e, in quell'occasione, ha certamente modo di visitare il Louvre e di conoscere direttamente l'opera di Edgar Degas.
Dal francese, per il quale nutre profonda ammirazione, riprende alcuni soggetti tipici: ballerine e lavandaie. Nel ritrarre i quali lo sguardo di Crocetti si ferma su quella briciola di umanità che anima ogni figura. Le sue ballerine sono concentrate o a riposo, mentre le lavandaie, in azione, sono sopraffatte dalla fatica. In lui la rappresentazione di donne diventa anche l'espediente per attuare un'indagine di carattere sociale.

Il piccolo bronzetto raffigurante le Lavandaie (fig. 5) ritrae l'umile realtà di affetti quotidiani, caratterizzata da un'indiscussa vitalità plastica, il movimento delle protagoniste, teso, guizzante e scattoso, viene spiato dal maestro dal vivo e riproposto in un gesto abituale, attraverso il ricordo e la meditazione. Degas, negli anni Settanta dell'Ottocento, mutua l'interesse per questo soggetto dalle opere di denuncia sociale di Jean François Millet che nel 1850 si occupa della vita dei lavoratori, dieci anni dopo Honorè Daumier riprende la tematica realistica trasferendo la sua attenzione ai lavori di fatica che si svolgono sulle rive della Senna e ritrae le tenaci lavandaie nelle loro misere vesti. Il tema ha avuto fortuna anche nel Settecento: Jean Honorè Fragonard, François Boucher e Hubert Robert dipingono gioiose lavandaie, ben lontane dalle rappresentazioni realistiche di tristezza e di dolore, trattenute da una dignitosa rassegnazione verso il proprio destino della seconda metà del XIX secolo. Anche in Degas la riflessione ideologica è sostituita da un atteggiamento di curiosità ed ironia verso il soggetto raffigurato, il maestro non si preoccupa dello status sociale, ma è interessato unicamente a riproporre la quotidianità delle popolane, in visioni straordinariamente vere, ma anche psicologicamente eloquenti, e per far questo scandaglia ogni particolare della vita della donna per giungere a farne un ritratto moderno. Crocetti, nella seconda metà del secolo scorso riprende il tema dei lavori umili di una certa pittura francese, e ci consegna la sua personale visione di una realtà quotidiana edulcorata dalla dolcezza del ricordo di quando da bambino assisteva per le strade di Giulianova, il suo paese natale, o di Porto Recanati, il luogo dove ha vissuto dopo la morte del padre, a scene che oggi definiamo di genere o folcloristiche.

E ancora Degas deve aver ispirato l'artista nelle numerose rappresentazioni di ballerine che dagli anni Cinquanta si ripetono con una certa insistenza nell'operare creativo dello scultore. Il maestro francese per primo, attorno al 1880, si avvicina al mondo della danza, lo sottopone ad attenta osservazione ed inaugura un vero e proprio nuovo genere. È un soggetto di per sé poetico indagato, però, con la prosaicità del quotidiano. Crocetti per quasi sessant'anni propone instancabilmente piccole e grandi danzatrici colte nell'atto di ballare, ma anche a riposo, mentre si sistemano una scarpetta o l'acconciatura.

La grande capacità di osservazione dell'abruzzese è ravvisabile nelle felici rappresentazioni di particolari secondari, a volte nascosti, che concorrono alla piena caratterizzazione del soggetto in senso stretto. Le sue sono immagini di corpi filiformi, ma sensibilmente plastici, che fendono lo spazio con il movimento o semplicemente restando fermi. Tutte le sue danzatrici trasmettono un senso di grazia e leggiadria.

La Maestra di danza del 1946, con cui inizia la nutrita teoria di ballerine, è una donna longilinea ma dalla muscolatura tornita che, con la testa e le spalle, si inclina leggermente in avanti nel tentativo di individuare, ed eventualmente correggere errori nell'esecuzione dei passi da parte delle allieve. La posizione dei piedi, come pure l'atteggiamento delicato delle mani, tradiscono anni di studio ed applicazione della danza: è una donna adulta e appassionata che ha un "grosso bagaglio" tecnico da trasmettere.

La Danzatrice n. 3 si solleva fermamente sulle punte. Dai piedi al collo è una fascia di muscoli in tensione, anche le braccia posizionate circolarmente attorno alla testa, contribuiscono a creare quel senso di stabilità. È una raffigurazione di forza straordinaria, comunica in chi osserva la capacità, acquisita in anni di applicazione e studio della danza, di mantenere a lungo, non provando fatica, la posizione, assunta senza alcuna difficoltà.

L'Allieva di danza del 1971 (coll. Suita) è una giovane arditamente reclinata verso terra (schema adottato per la prima volta nella Donna al fiume del 1935)8 in atto di legarsi la scarpetta. Assistiamo ad una bellissima sintesi di forme e muscoli nervosamente descritti, veste un tutù che sembra fatto di lamine disposte a raggiera, non rimanda alla leggerezza tipica dell'abbigliamento delle ballerine, ma non contrasta con la rappresentazione chiusa in uno spazio compatto e geometrico. L'attenzione per il dettaglio è sorprendente, si notino le acconciature tipiche a chignon e la maestria che l'artista dimostra nel rappresentare la maniera delle danzatrici di raccogliere sapientemente i capelli. La scultura ha un precedente nel piccolo bronzo Allieva di danza del 1959, la fanciulla in atto di allacciarsi la scarpetta esibisce una posizione meno irrigidita e impostata, la gamba sinistra è, infatti, leggermente flessa per agevolare la flessione del busto sulle gambe. Il tutù non ha nulla della metallica circolarità della ballerina del 1971, ma è modellato in modo da rendere la vaporosità tipica delle vesti. Dello stesso anno è l'Allieva di danza a riposo che mostra una danzatrice più esperta, momentaneamente in pausa, che osserva con attenzione lo svolgersi della lezione, come a suggerire che seppur da ferma la mente è in continua attività.

L'Allieva di danza n. 6 (Contemporary Sculpture Center, Tokyo) è una giovanissima silfide che si allunga curiosa, rischiando la perdita dell'equilibrio mantenuto grazie all'appoggio delle mani sul bacino, osserva con avidità l'esecuzione del passo compiuto dall'insegnate o provato da un'abile compagna, al fine di carpire il segreto per una perfetta resa. Il piede destro sporge dalla base e suggerisce un movimento che sta per compiersi.
L'Allieva di danza n. 12 (1972) è lì pronta per entrare in scena impettita e concentrata.
L'imperturbabilità che caratterizza questa danzatrice dimostra, ancora una volta, che lo scultore ha studiato a lungo le ballerine anche nel momento immediatamente precedente l'inizio dello spettacolo, nulla può distrarla le luci stanno per accendersi.

La Grande allieva di danza (1972) sta eseguendo la coreografia quando si accorge che lo chignon non tiene più, come si addice a una vera professionista, non smette di provare e, accennando la coreografia, si riordina i capelli.
La Grande allieva del 1975 (Raccolte sculture Contemporanea, Repubblica di San Marino) è un'elegantissima rappresentazione, che nasce dall'osservazione dal vero: racconta una danzatrice mentre si sistema la scarpetta. Senza indugiare, trovato l'equilibrio sulla gamba destra, flette la sinistra per eliminare il fastidio. La ballerina pur nella sua levità è saldamente piantata a terra su una base su cui s'impostano due gambe tornite e muscolose tipiche delle danzatrici professioniste.

Omaggio alla lontana splendida danzatrice di Olimpia è una delle ultime opere del maestro, è un'atletica e nerboruta danzatrice che ha perso la grazia delle sue illustri predecessore per vestire gli abiti di una gloriosa sportiva, l'intrepida posizione è l'ultimo atto di una serie di schemi che hanno visto variare più o meno morbidamente l'angolo creato tra il busto e il bacino, la danzatrice è rigida sulle forzute gambe, flette il torso a 90°, tende le braccia all'indietro e guarda avanti, verso la sua rivale, i muscoli non cedono, il volto è concentrato.

Lo scultore per quasi cinquant'anni affronta continuamente il tema delle ballerine e sorprendentemente riesce a non ripetersi, dimostrando un'inventiva acuta ed instancabile, frutto della sua inesauribile vena fantasiosa.
Alla conoscenza di Degas facciamo risalire anche lo splendido bronzo raffigurante la Fanciulla che si pettina (fig. 6). Il francese per primo fruga negli aspetti della vita del mondo femminile giungendo a realizzare visioni straordinariamente vere. All'ultima esposizione impressionista del 1886 Degas presenta una serie di sette pastelli titolata Serie di nudi di donne che si bagnano, si lavano, pettinano o vengono pettinate; egli raffigura il nudo da un punto di vista totalmente nuovo, invece di guardare a modelle svestite in posa, consapevoli della propria nudità, preferisce studiare donne in comportamenti naturali, «come guardando dal buco della serratura»9 scrive lo storico Moore. Colloca nello studio tinozze e catini ed osserva le modelle intente alle abluzioni e alla toilette.

Il bronzo di Crocetti riprende l'iconografia de La Chioma (Gabinetto dei disegni Louvre), ma la rielabora personalmente, rappresenta un momento scultoreo alto dove l'artista ha saputo cogliere quel calore tipico di certi momenti della vita della donna, e lo traspone con autenticità: come ogni mattina la ragazza affronta il rito del pettinarsi, nel districare la lunga capigliatura avverte quel un senso di soddisfazione e piacere che l'artista riesce a comunicare attraverso la scultura.

Il corpus delle opere di Crocetti, rispetto all'universo muliebre, è contraddistinto anche dalla presenza ricorrente del tema del pianto e della disperazione della Maddalena. Lo scultore, che indaga eloquentemente il soggetto a più riprese, emblematicamente nasconde il volto della prostituta biblica sotto la voluminosa chioma e, ad aumentare il senso di angoscia e di dolore, inclina i corpi in avanti sotto il peso simbolico del dramma a cui partecipa suo malgrado. Sono sempre composizioni solenni, ma piene di pathos e sofferenza che sanno comunicare in chi guarda il dramma di una donna inconsolabile che ha perso quanto di più caro.

Maria di Magdala accovacciata (fig. 7) richiama la composizione centrale del Trono Ludovisi raffigurante la Nascita di Afrodite (V sec. a.C.), entrambe le rappresentazioni si sviluppano orizzontalmente, le forme sono serrate e concluse in un blocco compatto rettangolare, ideale nel caso della Maddalena, reale nel rilievo. Le due figure femminili riprodotte frontalmente, porgono il volto di profilo, ed esibisco seni arrotondati, più o meno nascosti da una veste che cade, con un morbido panneggio, sulle gambe. Come nell'opera greca la raffigurazione, a differenza delle successive prove, si compie in una dignitosa controllata compostezza formale, ma si dimostra di assoluto interesse per l'insolito e curioso schema compositivo. Dello stesso anno è il bronzo di Maria di Magdala in piedi (fig. 8), dal volto sapientemente coperto dalle mani, a loro volta nascoste dai capelli che scendono avanti. L'opera ritrae un personaggio in movimento, include i passi lenti e disperati di una persona che non sa dove andare.

Nella Maddalena del 1973-76 (fig. 9) «il peso è diventato vento di tempesta che sconvolge l'amplissima veste tesa e gonfia come una vela» 10. È la compiuta trasposizione in scultura del passo biblico in cui si racconta la morte del Cristo: «Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la regione, fino alle tre del pomeriggio. (……) Allora il grande velo appeso nel tempio si squarciò in due, da cima a fondo. La terra tremò, le rocce si spaccarono (...). Molte donne erano là e guardavano da lontano. (...) Tra le altre c'erano la Maria Maddalena (...)» (Matteo, 27, 45-55). Crocetti raffigura i venti che si scatenano alla morte di Cristo, soffiano incontrollabili ed agitano vesti e lunghi capelli della donna. È forse la più suggestiva delle Maddalene la cui veste ricorda le leziosità lineari dei panneggiamenti tardo-gotici. Il capolavoro va osservato unicamente da dietro, per cui è stato musealizzato dietro la porta di accesso, come se non si tratti di un pezzo dell'esposizione, ma questa visione angolare ha in sè un'efficacia considerevole, il geniale punto di vista unico, infatti, contribuisce a esprimere il dolore e la disperazione sentiti dalla donna.
Nel 1980-81 Crocetti raffigura una Maria di Magdala (fig. 10) secondo lo schema a 90° 11, la sua disperazione diventa universale, il pianto è talmente forte da tramutarsi quasi in malore, le forme sono contratte e la veste aderisce accortamente alle sue robuste membra.

Qui, come in tutte le Maddalene studiate, il soggetto non è la donna raccontata nella Bibbia, ma l'angosciosa presa di coscienza del dolore e della sconforto. Sono opere che si fanno sentire come un pugno allo stomaco e allo stesso tempo non si fanno dimenticare perché non devono essere scordate.





NOTE

1 L'opera del Crocetti (1951-1965) si trova rispettivamente a destra della nota Porta del Filarete (1439-45), i cui calchi in gesso sono stati recentemente esposti alla mostra sul Quattrocento romano allestita presso il Museo del Corso di Roma, e a sinistra della Porta Santa, con scene tratte dall'Antico e Nuovo Testamento di Vico Consorti. All'estrema sinistra, in posizione speculare rispetto alla porta del Consorti, si trova la Porta della Morte di Giacomo Manzù.

2 L'esposizione attuale consta di novanta sculture in bronzo ed una in marmo, due dipinti su tela e quindici disegni (un corpus di opere che il Crocetti amava definire "i suoi figli").

3 «Raramente si è servito della collaborazione di maestranze esterne, mai ha utilizzato risorse finanziarie pubbliche o di altri» (cfr. A. Tancredi, Discorso per l'inaugurazione del Museo, 22-novembre-2002, p. 6).

4 Nel senso che non si ripetono con regolarità nelle sue opere perché sono riferibili solo ed unicamente ad una specifica scultura.

5 Le braccia appoggiate sulle anche sottolineano l'andamento dei fianchi e soprattutto contribuiscono a palesare quel sentimento di rassegnazione, in cui la stizza lascia lentamente il posto alla tolleranza.

6 La scultura, già in collezione Ottolenghi, in origine è una terracotta, realizzata dal maestro nell'ambito del programma decorativo della residenza dei conti. Negli anni Trenta Arturo ed Herta creano, attorno alla loro villa di Aqui Terme, un cenacolo artistico piuttosto importante, d'impronta mecenatistica, per cui gli artisti che lavorano alla realizzazione del complesso, in cambio del loro operare creativo, percepiscono uno stipendio di ben 1.000 lire ed abitano in villini creati appositamente per loro, sulle colline piemontesi, in condizioni di assoluta pace. I coniugi Ottolenghi ricercano i più importanti artisti dell'epoca: Ferruccio Ferrazzi, Arturo Martini, Mario Piacentini, Pericle Fazzini e altri tra cui anche Venanzo Crocetti. Nel 1985 Finarte mette all'asta gli arredi e le collezioni di arte contemporanea della villa dei conti ad Acqui Terme, tra cui una decina di opere del Crocetti, il quale venuto a conoscenza della vendita dal suo amico fraterno Antonio Tancredi, si reca sul posto ed acquista per 20 milioni di lire la terracotta raffigurante la Gravida. Ne fa immediatamente una replica bronzea e, sfortunatamente, distrugge l'originale ! L'onorevole Tancredi, a cui era stata promessa la scultura, interrogato da noi sul motivo che ha indotto il maestro ad distruggere impietosamente l'opera risponde che l'artista non voleva che le sue sculture venissero replicate, per cui ipotizza che sia stato una maniera per evitare la realizzazione di multipli. Tutte le terrecotte in possesso del maestro hanno, infatti, avuto la stessa sorte, pertanto le rare opere fittili ancora esistenti del Crocetti costituiscono una vera e propria rarità.

7 L'originalità delle pose studiate e rappresentate dal maestro meriterebbero un'indagine a parte, in questa sede basti rilevare che lo scultore nei suoi settant'anni di lavoro ha saputo inventare modelli nuovi e, se vogliamo, audaci ed arditi. La sperimentazione, per esempio, della posizione a gambe tese con il busto reclinato a 90° ed oltre è forse quella che abbia attraversato l'intera parabola creativa dello scultore che, in continua ed insistita azione di modifica e perfezionamento, ha sperimentato lo schema raggiungendo risultati felicissimi ed assolutamente inediti.

8 Cfr. n. 7.

9 G. Moore, Impressionismo and Opinions, NY 1891, p. 318.

10 E. Carli, Venanzo Crocetti, Roma 1979, p. 22.

11 Cfr. n. 7.

La Portinaia

Fig. 1
VENANZO CROCETTI
La Portinaia, 1934
bronzo, cm. 100 x 36 x 22
Roma, Museo Venanzo Crocetti

La Gravida

Fig. 2
VENANZO CROCETTI
La Gravida, 1932
bronzo, cm. 166 x 60 x 50
Roma, Museo Venanzo Crocetti

Fanciulla al Fiume

Fig. 3
VENANZO CROCETTI
Fanciulla al Fiume, 1934
bronzo, cm. 85 x 110 x 55
Roma, Museo Venanzo Crocetti

Donna al fiume

Fig. 4
VENANZO CROCETTI
Donna al fiume, 1969
bronzo, cm. 120 x 95 x 57
Roma, Museo Venanzo Crocetti

Le lavandaie

Fig. 5
VENANZO CROCETTI
Le lavandaie, 1937
bronzo, cm. 25 x 20 x 10
Roma, Museo Venanzo Crocetti

Fanciulla che si pettina

Fig. 6
VENANZO CROCETTI
Fanciulla che si pettina, 1960
bronzo, cm. 85 x 110 x 55
Roma, Museo Venanzo Crocetti

Maria di Magdala accovacciata

Fig. 7
VENANZO CROCETTI
Maria di Magdala accovacciata, 1956
bronzo, cm. 63 x 70 x 65
Roma, Museo Venanzo Crocetti

Maria di Magdala

Fig. 8
VENANZO CROCETTI
Maria di Magdala, 1956
bronzo, cm. 102 x 68 x 30
Roma, Museo Venanzo Crocetti

Maddalena

Fig. 9
VENANZO CROCETTI
Maddalena, 1973-76
bronzo, cm. 205 x 134 x 76
Roma, Museo Venanzo Crocetti

Maria di Magdala

Fig. 10
VENANZO CROCETTI
Maria di Magdala, 1980-81
bronzo, cm. 117 x 43 x 95
Roma, Museo Venanzo Crocetti


	

Foto cortesia Fondazione Crocetti

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