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Michele Lostia fra i tetti di Roma  
Francesco Franco
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 13 Marzo 2009, n. 519
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Area Interviste

Conosco Michele da quando avevo poco più di vent'anni. Ci ha presentati il nostro comune amico artista Baldo Diodato. Ho scritto già qualcosa sul suo lavoro e sono stato alcune volte nel suo studio e nella sua casa di Roma. Forse quest'intervista è mossa dal desiderio di conoscerlo meglio. È quasi una scusa per capire meglio l'artista e l'individuo.




Dire che nei luoghi comuni c'è sempre un fondo di verità è un luogo comune. Si dice, comunque, che gli artisti restino sempre bambini. Non credo che sia sempre vero e non ti chiedo se per te sia così. Però, cominciamo dall'inizio: com'eri da bambino ? Che facevi ? E quando hai iniziato ad appassionarti d'arte ?

Quando ero molto piccolo mio padre mi portava a vedere queste costruzioni pre-nuragiche che ci sono in Sardegna. Sono tombe che si chiamano «Case delle fate», a Is Concas [Cagliari]. Erano molto affascinanti, di granito scavato. Vi mettevano i morti con tutti i loro oggetti; facevano dei graffiti all'interno e poi le chiudevano. Rimanevano sotto il livello del terreno. Era affascinante andare con persone di campagna, pastori che trovavano l'ingresso della tomba. Chiamavano mio padre, che era un appassionato di archeologia, e aprivano la tomba. Era un'emozione fantastica. Probabilmente l'inizio della mia aspirazione artistica è nata là. Poi, quando avevo 8 anni, dalla Sardegna siamo venuti a vivere a Roma. Abitavamo alle spalle della Galleria Nazionale d'Arte Moderna, ed era proprio come il giardino di casa. Mio padre mi portava sempre a vedere le mostre (Alberto Burri, ad esempio). Per me era sorprendente vedere che quell'arte ti dava la sensazione dello spazio della libertà nella quale tu ti potevi effettivamente muovere. Per me è stata importante un'esposizione non guidata in maniera formale, ma spontanea.


Da spettatore ?

Sì. Pensa che da bambino avevo creato una piccolissima rivista d'arte (che vorrei fra l'altro ritrovare). Era un mensile dove c'erano dei disegni impaginati con una loro logica, un loro tracciato, che poi cercavo di vendere a zii, cugini e parenti.


Era una sorta di "Rivista d'artista", di "Libro d'artista" ?

Si chiamava "Disegneptus", pensa che cosa buffa. Avrò avuto sei-sette anni.


Quindi fin da piccolo volevi fare l'artista ?

No, non l'avevo presa in considerazione come professione, come lavoro. Mi piaceva molto, però non l'avevo previsto.


Rispetto a quello che hai raccontato, sulla tua esperienza in Sardegna, possiamo dire che la tua passione per l'arte nasca quasi da "tombarolo" ?

Quasi da tombarolo. Erano affascinanti queste persone di campagna, non bisognerebbe neanche definirli "tombaroli", perché "tombarolo" ha una definizione legata al rubare. Queste persone avevano un occhio sorprendente. Tu camminavi con loro e vedevi che si inchinavano, trovavano una pietra, che sembrava una semplice pietra, poi loro la giravano e tu ti rendevi conto che era traforata e che era il pezzo di una collana; oppure una scheggia di ossidiana usata come una punta. Puoi passare tutta la vita in campagna e magari non trovi niente. Una volta hanno portato a casa due pietre nere, porose, con grossi buchi, e hanno detto a mio padre che quelle due pietre erano una statua. Poi, messa la seconda pietra sulla prima, si capiva che era la sagoma di una donna scolpita. Non li ho mai considerati ladri o profanatori di tombe.


Li consideravi degli "archeologi" ? Contadini spontaneamente "archeologi" ?

In qualche modo, degli archeologi.


A me capita spesso di pensare: «e se avessi fatto qualcos'altro ? Come sarei, come sarebbe andata ?». Perché fare proprio l'artista? Se non avessi fatto l'artista, cosa avresti fatto ?

Sicuramente l'architetto. Questa separazione fra artista e architetto è nata successivamente. Prima gli artisti erano anche architetti e gli architetti erano anche artisti. Poter agire sui volumi e comporre forme multi-dimensionali, che s'inseriscono nel volume globale, è un lavoro affascinante.


Tu concepisci le tue sculture come piccole architetture ? Ti piacerebbe ingrandirle e renderle abitabili ? Ci hai mai pensato ?

A me piacerebbe soprattutto lavorare su volumi molto vasti, sugli interni dei volumi, con tutte le sensazioni. Lavorare soprattutto con la luce, con i vuoti, con i pieni, con quelle che sono le aperture verso l'esterno. Riempire il volume o svuotarlo.


Ti piacerebbe proprio fare l'architetto, d'interni e d'esterni ?

Tantissimo. Non è diverso dall'artista. Anche se l'artista è molto più limitato dal fatto che i suoi lavori devono essere fruibili in maniera molto facile. L'architetto è più libero.


Però può fare danni anche molto più visibili ?

Adesso alcuni architetti sono come delle star. Hanno grandissimi studi con una serie di collaboratori. Dovrebbe essere molto rivalutata la collaborazione fra artisti e architetti. Si potrebbe avere un'unione di forze senza una predominanza di ego da parte di nessuno; una vera collaborazione con una doppia firma. L'architetto ha una maggiore attenzione alle forme realizzabili tecnicamente, mentre l'artista magari è più libero nel modo di esprimersi.


Come nei cantieri del liberty o del medioevo, dove erano presenti varie maestranze ... dal ceramista, al fabbro, ecc. Ti piacerebbe lavorare in un cantiere organizzato in questo modo ?

È bellissimo. Chiamarli "artigiani" è un termine diminutivo, sono degli artisti. Dalle persone prendi moltissimo ... io sono molto per il "gruppo di lavoro".


Hai già sperimentato questa dimensione, concretamente, nella tua attività ?

Sì. Un gruppo si forma in maniera spontanea. Sono delle collaborazioni che metti in piedi e poi si evolvono. Quando hai un nuovo progetto e hai già collaborato spontaneamente con alcune persone, spontaneamente, queste persone ritornano. È uno dei momenti più creativi, più allegri e belli di questo lavoro. Ci sono alcuni artisti, che io ammiro molto, che riescono a star da soli e a produrre da soli. Sicuramente non è il mio caso.


Non ce la faresti? È contrario alla tua natura ?

È molto faticoso. È contrario alla mia natura.


Non molto tempo fa, parlavamo proprio delle cose che avresti potuto fare nella vita, oltre all'artista. Io già meditavo questa intervista (lo confesso) e tu mi avevi detto che se non avessi fatto l'artista avresti fatto il medico, per avere la possibilità di aiutare tante persone.

Sì, rendere felici gli altri è bellissimo.


[mentre Michele parla penso ad alcuni amici medici e a quello che mi raccontano sulla difficoltà di aiutare gli altri nelle strutture sanitarie italiane, con tutte le carenze di mezzi e persone] Però anche facendo l'architetto ... non salvi le persone, ma, come fa il medico, le fai vivere meglio ?

Puoi contribuire a cambiare l'umore delle persone, almeno temporaneamente. Dopo essere stato all'inaugurazione, quando sono andato a vedere la mostra di Sebastiano dal Piombo [nel 2008, presso il Museo di Palazzo Venezia a Roma] per la seconda volta, ho avuto un pomeriggio molto complicato. Sono andato a vederlo praticamente in privato, con altre cinque persone. Ero stanchissimo e un po' triste. Sono uscito da lì con un'allegria assoluta. Penso che veramente l'arte abbia la capacità di cambiare il tuo umore.


Ti percepisco come una persona dagli stati d'animo rapidamente cangianti. Percepisco in te una forte allegria dietro una forte tristezza. Non so se questo è vero e non so se si riflette anche nelle tue opere ...

È sicuramente vero. La forte allegria è la mia natura. Purtroppo sardo sono nato e i Sardi hanno anche un tratto melanconico che ogni tanto viene fuori, nonostante io cerchi di reprimerlo. Però, ogni giorno che passa quell'aspetto della "sarditudine" mi auguro che si riduca.


Ma è una tristezza legata all'isola ?

Sicuramente proviene da quell'origine. Ce l'hai dentro, poi la sconfiggi.


Hai mai pensato: "se fossi rimasto in Sardegna ... "

Non sarebbe stata una bella cosa. Assolutamente! Sarebbe stata ... una vera Caienna o non so se definirla calvario. La Sardegna è un posto bellissimo ...


Dove andare in vacanza ?

Ma ... neanche. Dove andare a fare qualche visita rapida. È un posto bellissimo per la natura, però non è un posto dove crescere.


Tu lavori tutti i giorni, ad orari fissi, oppure segui l'impulso? Quando ti viene una nuova idea inizi a lavorare di colpo o ti appunti qualche progetto ?

Il lavoro di osservazione è continuo. Ho un metodo di osservazione per le cose che mi circondano: viaggio perennemente. Nascono delle idee che rimangono pronte per essere realizzate. Quando si comincia a realizzare un progetto ... immediatamente raccolgo tutte le idee collezionate e allora iniziano momenti di lavoro molto intenso.


Che rapporto hai con la fotografia ? Oggi per la Storia dell'Arte e per la fruizione dell'arte la fotografia è uno degli strumenti più importanti.

Molto conflittuale. La fotografia è una cosa che comincio a capire piano piano. Ho dei forti dubbi sulla fotografia. Mi piace, ma non è la mia forma d'arte, almeno per adesso.


Non l'hai mai praticata ?

Non come forma d'arte.


La usi solo per registrare ? Come taccuino visivo ?

Sì, per ora sì. Mi piace molto il modo di fotografare di Flavio Costa. Ha una particolare attenzione a capire quelle che sono le persone. Le segue e cerca di cogliere quel che ha recepito di loro. Usata in quel modo, con quel tipo di velocità e di immediatezza, mi piace molto come strumento. Usata in maniera descrittiva, come forma d'arte, ancora mi lascia perplesso. Credo di non averla ancora afferrata nel suo insieme.


Che rapporto hai con la critica ? Ti senti più capito o più frainteso? Pensi che un testo scritto possa aiutare lo spettatore a entrare più facilmente nelle tue opere? Può arrivare fino a cambiarne la percezione? Fino a mutare anche la percezione che hai tu dei tuoi lavori ?

Credo che la critica sia utilissima. Sia in una prima fase, in cui un critico guarda il tuo lavoro, a prescindere da quella che possa essere la sua attitudine o la sua buona disposizione ... è comunque un riscontro utile. Può realmente nutrirti, aggiungere moltissimo al tuo lavoro. Ho grande rispetto per la critica. Osservare il lavoro di altri e non mettersi in gioco in prima persona è un atto molto nobile. I critici, in realtà, sono degli artisti loro stessi, che hanno rinunciato ad esprimersi per dare anche agli altri. La critica può tirar fuori delle cose che tu non avevi valutato facendo il tuo lavoro. Magari erano dentro di te mentre lo eseguivi, però non le avevi lette. Ho avuto dei preziosi consigli anche dalla tua prima critica [F. Franco, Michele Lostia, "Art in Italy", a. VI, nº 14, II semestre 1999, p. 7; anche in http://www.michelelostia.com/sezione.php?sezioneID=6].
Qualcuno che ti dice realmente cosa pensa del tuo lavoro ti fa crescere.


Penso a questa visione del critico come "artista che rinuncia alla creazione". Come sai ci sono anche dei critici che sono artisti (Gillo Dorfles, per esempio). Non pensi che ci sia una mancanza di coraggio da parte del critico a non mettersi in gioco ?

No, non credo. È più facile fare l'artista che il critico. I critici sono dotati, normalmente, di una personalità abbastanza intensa. Hanno gli strumenti, hanno il linguaggio. Sarebbe facile per loro.


Lo credo anch'io. Soprattutto oggi, quando è accettata anche un'arte che prevede anche un'assenza di manualità. Rimanendo abbastanza su questo tema, come certamente ricorderai, il nostro amico artista Baldo Diodato, in una sua opera ha messo la testa di Achille Bonito Oliva al centro di un grande dollaro verde. Mi ha sempre ricordato il leone ruggente della Metro Goldwyn Mayer. È un lavoro veramente efficace: Bonito Oliva fuma il sigaro al centro di questo verdone. Tu che rapporto hai con ABO ? Pensi, come lui ha voluto indicare in questo acronimo, che sia l'Alfa e l'Omega della critica italiana ? Oppure ce ne sono altri come lui ?

Ho trovato geniale questo lavoro di Baldo Diodato sul mercato dell'arte. Tanto che tempo fa gli ho consigliato di fare l'Euro, con i nuovi volti e l'evoluzione del mercato dell'arte [ridiamo]. Achille, col quale ho un rapporto di stima particolare, ritengo che sia un genio dal punto di vista critico. È una persona che ha una grandissima libertà espressiva, una grandissima padronanza nel confrontare gli artisti fra di loro. Se ti vuol bene può darti un grandissimo aiuto, non solo in termini di mercato, ma soprattutto come preziosi consigli.


ABO ha curato anche alcune tue mostre. Secondo te la sua firma curatoriale dà sempre il marchio di successo a un artista ? Per te è stato così ?

Sicuramente una mostra curata da Achille ha possibilità ampie. Dipende anche da quello che presenti, dall'artista. Va bene se c'è una sintonia reale fra Achille e l'artista. Allora Achille aggiunge tantissimo ... mette sempre del suo. Non per una questione di ego. È un regalo che lui ti fa. Comunque entra nella mostra. Questo è molto importante.


Quindi non pensi che lui crei l'artista ?

Lui, se vuole, crea anche un artista. Può dirgli esattamente cosa deve dipingere, come deve dipingere, realizzare il lavoro. Allora è come se lo facesse lui. Ma non penso poi che lui lo faccia.


Fra noi c'è stata una curiosa coincidenza, alcuni mesi fa. Attualmente abiti nello stesso appartamento di un pittore che ho incontrato nei miei studi: Cesare Fracassini. Pochi anni fa abitavi nella stessa via di un suo stretto collaboratore e amico: Paolo Mei; oggetto delle mie ricerche per il Dizionario Biografico degli Italiani (DBI) dell'Ist. Treccani. Sembra quasi che io sia portato a studiare - senza saperlo in anticipo - artisti che hanno vissuto, esattamente, nei luoghi del tuo quotidiano. Oppure, semplicemente, razionalizzando: tu hai sempre abitato dove gli artisti romani dell'Ottocento amavano abitare e lavorare: vicino all'Accademia di Belle Arti e in via dell'Orso? Sapresti vivere lontano dal centro di Roma ? Cambierebbe il tuo modo di lavorare ?

Sì, saprei vivere sicuramente lontano dal centro. Credo che si scelga una base e da lì si parta per arrivare nel mondo, ovunque. Passare dei lunghi periodi fuori è una cosa che fa bene a un artista. È un grandissimo pericolo rimanere fermi. Adesso è molto semplice rimanere informato, ma rimanendo fermo ti precludi una parte di "contaminazione" che è essenziale per una crescita. Avere una base forte, un punto dove tornare, va bene. Io starei tre mesi a Shanghai, un mese a New York ... Appena c'è qualcosa di nuovo andrei a vedere cosa succede là. Non vado a Berlino da prima della demolizione del Muro. Sono curiosissimo di tornare e vedere che cosa stia succedendo là. Volentieri viaggerei molto di più.


Però ?

In questo momento non ho la possibilità di farlo così tanto, ma da ogni viaggio si può avere un grande contributo.


Roma ti manca quando sei fuori ?

No, assolutamente.


E perché torni sempre a Roma ?

Essere un nomade può essere anche molto bello, ma non è la mia natura.


Potresti però avere la base in un altro luogo ?

Sì, ma Roma va bene come base. Potrebbe essere più New York la base ? Preferisco Roma. Magari stare anche undici mesi all'anno a New York e un mese a Roma.


[Facciamo una pausa, ci spostiamo sul terrazzo di Michele. Siamo in pieno sole e fa molto caldo] Prima ti stavo intervistando nel tuo interno (romano). Ora siamo nel tuo esterno romano, che è anche di tutti. Non è un esterno interamente privato: dà su palazzi che possono vedere anche molte altre persone. Vivere in periferia che influenza potrebbe avere nelle tue opere? Uno spazio diverso avrebbe influenza sul tuo quotidiano e sul tuo modo di lavorare ?

Ci sarebbero dei notevoli vantaggi. Dovrei muovermi molto meno per trovare persone che mi aiutino a fare alcuni lavori. Ci sono luoghi in periferia dove le officine e gli installatori si trovano più facilmente. Certo, il centro di Roma ha una sua vita particolare, questa strada [Via di Ripetta] è quasi un paese a sé stante [a questo punto iniziano a suonare, contemporaneamente, le campane di due chiese, quasi a sottolineare questa affermazione]. Ma Roma ha questa caratteristica: ho notato che anche vivendo in periferia immediatamente si crea una confidenza nel quartiere con le persone che ci vivono, con i commercianti. Quest'attitudine di ricevere chiunque viene, da qualsiasi parte del mondo, è nata coi pellegrinaggi. Se andiamo a vedere da dove vengono le persone di Roma, vengono da qualsiasi parte del mondo tranne che da qua. È una delle città in cui più facilmente ci si può integrare.


Conosco i tuoi lavori da molto tempo e mi piacciono, altrimenti non sarei qui, però, chiaramente ho le mie preferenze. Posso scegliere di dirtele o meno, ma mi piacerebbe molto sapere qual è, secondo te, la tua opera migliore.

Ce n'è una per ogni periodo, una quando ho lavorato sul rame (una delle prime), una quando ho lavorato con lo zinco. Adesso con queste Light box sono: Dinamica spaziale II video, che in questo momento è ospite a casa di Bonito Oliva; un'altra piccolissima che ho appena realizzato, che ti ho mostrato questa mattina, che si chiama Dinamica spaziale XXI piccola video (l'amo molto perché è un'opera quasi tascabile). Il mio desiderio è portarla con me quando viaggio, cosicché in qualsiasi luogo mi trovo ho una cosa mia che posso guardare e mostrare.

Mi viene in mente Bruno Munari, che aveva realizzato delle cosiddette "sculture da viaggio". Erano fatte di carta o comunque di materiali poveri. Lui sosteneva la difficoltà del viaggiatore di adattarsi alle camere d'albergo e con queste "sculture portatili" l'ospite poteva sentirsi maggiormente a casa sua, pur trovandosi in viaggio. Poteva aprire queste sculture, togliendole dalla valigia, e sentirsi a casa. Essere sempre circondati dagli oggetti che si amano è importante, non solo per un artista.

Uno dei giochi più divertenti a questo proposito è avvenuto in India, dove stavo facendo uno di questi lunghi viaggi, con la macchina, da una parte all'altra. A volte per fare cento chilometri ci metti mezza giornata ... siamo arrivati nell'unico albergo di un villaggio, dove non c'erano stanze. Dopo molta insistenza, mi hanno detto: «ho solo una suite, ma è completamente vuota, possiamo mettere un letto ... se si adatta». Era una stanza immensa, erano le otto di sera. Ho inventato questo gioco: ho preso tutti i camerieri dell'albergo e ho fatto spostare i mobili dai corridoi e ho arredato in due ore quella stanza in un modo bellissimo. Mi è stato detto dal direttore che, probabilmente, non verrà cambiata. Si sono divertiti tutti molto, con questo gioco ... arrivare in un albergo e adattare la stanza al proprio gusto.

Tutti gli artisti penso che abbiano il desiderio di esporre una o più opere accanto a un grande della storia dell'arte. Tu accanto a chi vorresti esporre ?

Sarei molto indeciso. Sarei molto onorato di essere vicino a Mark Rothko, a Dan Flavin, Donald Judd. Sono le persone alle quali mi sono sempre ispirato. Sceglierne uno è difficile, sono tutti dei grandissimi maestri.


Quindi vorresti stare vicino a loro per ...

Similitudine.


Sì, per accostamento, certo. La tua opera deriva molto da lì, dal Minimalismo americano. Sbaglio ?

Li ho molto osservati. Mi sembra già un complimento che tu pensi che derivi da lì.


Certo, che tu abbia menzionato Rothko mi ha sorpreso. È un'altra epoca. È un artista che comunque è un colorista, che emoziona attraverso il colore. Certamente tende anche al monocromo, però con una dimensione estremamente poetica, rarefatta. Che influenza ha nel tuo lavoro? (se ce l'ha) Oppure semplicemente ti piace come spettatore ...

Credo che i suoi lavori siano così dinamici, così equilibrati ... li ritengo assolutamente iper-contemporanei. Quel tipo di equilibrio, di percezione, io la intendo come veramente tridimensionale e luminosa.


C'è uno studio, una padronanza delle tecniche tradizionali della pittura, estremamente forte, che sicuramente non è nel tuo percorso e non è neppure nel percorso del Minimalismo. Vorrei sapere se ti affezioni alle tue creazioni e se te ne separi con difficoltà, con dolore.

Ogni lavoro che "parte" è una gioia. Va via dal tuo studio, al quale sei legato, ma andrà in un altro luogo, dove altre persone lo vedranno. Del resto sono lavori che sono nati per essere esposti, non per essere custoditi.


Terminiamo con un gioco. Sai che Gigi Marzullo chiude le sue interviste chiedendo all'interlocutore di farsi una domanda e di darsi una risposta. Io, facendo un po' una parodia, ti chiedo di farmi una domanda sul tema "Michele Lostia" e di rispondere al mio posto, come se tu fossi me. In altri termini: tu ora sei me, il critico che fa l'intervista, e chiedi a te stesso qualcosa su Michele Lostia e poi ti dai la risposta. Per sbrogliare la questione: secondo te, cosa chiederei a me stesso su di te e cosa risponderei ?

Chiederei a te di darmi un consiglio sul modo che tu hai individuato più giusto per andare avanti nel mio lavoro. Stando al tuo gioco, però, la domanda che forse mi farei è: Michele Lostia nel mondo o Michele Lostia nella dimensione romana? E ti rispondo subito: Michele Lostia, il prima possibile, nel mondo.




Mostra personale di Michele Lostia, curata da Achille Bonito Oliva, alla Galleria Pio Monti

Fig. 1
FLAVIO COSTA, Mostra personale di Michele Lostia, curata da Achille Bonito Oliva, alla Galleria Pio Monti, 2007
Foto cortesia di Flavio Costa

Abitazione e opere di Michele Lostia

Fig. 2
CRISTINA BELETTI, Abitazione e opere di Michele Lostia, 2000
Foto cortesia di Cristina Belletti

Dinamica spaziale XV nera

Fig. 3
MICHELE LOSTIA, Dinamica spaziale XV nera, 2007
Light box; cm. 45 x 60
Roma, Collezione privata
Foto cortesia di Michele Lostia

Dimensione spaziale II

Fig. 4
MICHELE LOSTIA, Dimensione spaziale II, 2007
Light box; cm. 40 x 60
Francia, Collezione privata. Venduta all?asta da Artcurial, a Parigi, il 21 ottobre 2007.
Foto cortesia di Michele Lostia


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