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Palazzo Barberini a Roma: storia e collezioni  
Valeria Parisi
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 6 Giugno 2010, n. 564
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Area Musei

Palazzo Barberini [1] non è solo un edificio storico, in cui la storia vive e rivive, ma è la sede della Galleria Nazionale d'Arte Antica dal 1949, quando il palazzo fu acquistato dallo Stato, proprio per questa finalità. 

L’attuale edificio fu la dimora di rappresentanza di Urbano VIII, il cardinale Maffeo Barberini che lo ricevette in dono dal fratello Francesco dopo due anni dall’ elezione al soglio pontificio nel 1623 [2] . Attraverso Palazzo Barberini, il Papa manifesta il prestigio raggiunto dalla sua famiglia con solenne magnificenza. L’intento del pontefice fu quello di ampliare le antiche fabbriche della famiglia Sforza, poste sul colle del Quirinale. Il progetto ingloba il nucleo preesistente, coincidente con la costruzione poi realizzata, nell’ala verso la piazza e nel corpo centrale. Questo nucleo originale era stato ceduto dagli eredi di Giulio della Rovere al cardinal Alessandro Sforza di Santa Fiora nel 1581 [3] , ma era già appartenuto al cardinal Rodolfo Pio da Carpi dal 1549, che l’aveva poi venduto al cardinal Della Rovere [4] . La villa del Cardinal Pio da Carpi, si presentava come una villa suburbana [5] (Aldrovandi), mentre al tempo della famiglia Sforza di Santa Fiora  la zona aveva già subito l’urbanizzazione, in seguito alla costruzione dell’acquedotto Felice e della via delle Quattro Fontane ad opera di Sisto V [6] .

Quando i Barberini si insediarono nel sito, questo era già caratterizzato dall’ambivalenza di residenza urbana e di villa. 

Il  progetto di ampliamento venne affidato da Urbano VIII a Carlo Maderno; l’architetto incluse nella ristrutturazione del palazzo il nucleo degli Sforza, e ne mantenne persino le decorazioni interne. Ciò  permise alla famiglia Barberini di abitare il palazzo mentre i lavori erano ancora in corso. La villa degli Sforza venne inserita entro una costruzione quadrangolare che nella facciata verso l’attuale  piazza  Barberini si presentava in forme più severe e di rappresentanza essendo quel fronte esposto verso una zona già abitata della città, mentre per i prospetti su via delle Quattro Fontane e sui giardini era stata elaborata una soluzione ad ali aperte, dando così all’ insieme una forma ad “H”. Gian Lorenzo Bernini subentrò alla direzione dei lavori dopo la morte del Maderno avvenuta nel 1629 e completò il palazzo entro 1633 [7] . L’artista aveva già avuto modo di farsi notare dal pontefice sia come scultore, sia come architetto nella chiesa di S. Bibiana. Non attuò modifiche sostanziali al progetto maderniano, piuttosto degli aggiustamenti nel salone centrale e realizza ex novo l’attigua sala ovale. La facciata verso via Quattro Fontane viene arricchita della loggia vetrata, pur mantenendo la soluzione ad ali aperte,  e del sottostante porticato che conduce da un lato, allo scalone quadrangolare, anch’esso di sua ideazione, che permette l’ accesso al piano nobile nell’ala nord, e dall’altro alla scala elicoidale che introduce all’ala sud, progettata da Borromini quando aveva lavorato nel cantiere del Palazzo con il Maderno, suo zio. 

Dall’ingresso da via delle Quattro Fontane si coglie bene la divisione dei due settori del palazzo, quello nord abitato dalla famiglia e la parte sud abitata dagli ecclesiastici, all’ultimo piano della quale Francesco Barberini aveva impiantato la sua biblioteca.

La rampa che dal porticato conduce ai giardini venne realizzata per volere del Cardinal Francesco Barberini, particolarmente interessato alla sistemazione dei giardini che aveva popolato con tutte le meraviglie della natura. L’ attenzione per la cura del giardino viene poi ripresa dal fratello di Francesco, Antonio che abitando da solo il palazzo, in seguito al trasferimento del fratello cardinale alla Cancelleria,  progetta un giardino all’ italiana.

La facciata di Bernini, configura il palazzo in maniera decisamente innovativa, accentuandone la doppia caratteristica di villa suburbana e di palazzo di rappresentanza, grazie al porticato che congiunge, attraverso la rampa a gradoni, al giardino segreto posto sul retro. Dà inoltre particolare risalto al salone, che si eleva per ben due piani  e che presenta la volta superbamente affrescata da Pietro da Cortona tra il 1632 e il 1639  con l’ apoteosi della famiglia Barberini espressa  nel Trionfo della Divina Provvidenza [8] . La grandiosa decorazione pittorica voluta dai Barberini rappresenta simbolicamente il potere raggiunto dalla casata attraverso uno sfondato illusionistico, popolato da scene di storia romana, figure mitologiche, allegorie, dal significato complesso, ma di affascinante bellezza. L’affresco apre la via al linguaggio barocco in quanto per la prima volta si sovrappone alla volta architettonica generando l’illusione di uno spazio illimitato e non corrisponde più, dunque,  all’idea del quadro riportato sul muro. Pietro da Cortona progettò anche il teatro, distrutto nel 1926 con l’apertura di via Barberini, luogo dello spettacolo seicentesco e anche studio di Thorvaldsen  nella prima metà dell’ Ottocento e decorò, in collaborazione con i suoi allievi, la cappella del palazzo posta al piano nobile.

Poco prima, tra il 1629 e il 1631, Andrea Sacchi, aveva avuto l’incarico di dipingere la volta di un’altra grande sala del piano nobile con la  Allegoria della divina Sapienza, in cui si adombrano le concezioni  delle teorie astronomiche del momento.  L’effetto, al contrario del salone di Cortona, è solenne ma sobrio e rispecchia la personale visione dell’artista, classica e pacata, che darà vita al classicismo, di cui diviene il manifesto.

Altre sale sono decorate da Andrea Camassei, Giuseppe Chiari, e da altri pittori del Seicento e del Settecento.
Nel XVIII secolo, in vista dell’estinzione della famiglia, si provvide ad unire in matrimonio Cornelia Costanza, ultima discendente, con Giulio Cesare Colonna e Anna Colonna con Taddeo Barberini al solo scopo di assicurare continuità al cognome Barberini e di unire i beni fedecommissari. In questo periodo si sentì la necessità di ridecorare secondo il gusto del momento e quindi la residenza della famiglia si spostò al secondo piano del palazzo, in ambienti più intimi, lontani dalla grandiosità delle sale barocche.

Dopo l’Unità d’ Italia l’area di Palazzo Barberini fu oggetto di speculazioni edilizie che comportarono l’ esproprio  di aree private del palazzo. Abbiamo già ricordato la distruzione del teatro, per far posto a via Barberini, mentre verso la piazza la facciata venne in parte nascosta da nuovi edifici più bassi (tra cui il cinema), che sorsero prendendo spazio al cortile della Cavallerizza.

L’ ingresso di rappresentanza era dunque spostato su via delle Quattro Fontane e Francesco Azzurri [9] progettò e realizzò la cancellata e sistemò, nell’ area antistante al portico, la fontana. Nei giardini retrostanti vennero insediati i Ministeri del Regno e il giardino superstite è alterato dalla costruzione della grande serra.

La grandiosità delle sale e il fasto della decorazione, la presenza di importanti arredi, fanno ancora oggi di Palazzo Barberini  uno dei più significativi e maestosi monumenti barocchi.

 

 

LA COLLEZIONE

La Galleria Nazionale d’ Arte Antica [10] venne fondata il 20 giugno 1895, con sede a Palazzo Corsini e denominata Regia Galleria d’Arte Antica e Gabinetto delle Stampe [11] . La collezione della famiglia Corsini e il palazzo della stessa a via della Lungara, erano già stati donati allo Stato italiano nel 1883 [12] , insieme alla biblioteca e alla collezione dei disegni e costituivano un complesso assimilabile alle numerose quadrerie romane visibili al pubblico in quanto collezioni fedecommissarie [13] .

La creazione della Galleria Nazionale d’ Arte Antica, e la scelta di una sede idonea ad ospitarla, si verificò come conseguenza all’acquisizione della collezione Torlonia e della collezione del Monte di Pietà nel 1892. Si poneva il problema della realizzazione di un museo con valenza diversa rispetto alle collezioni fedecommissarie. Nei primi anni nel Novecento le acquisizioni si intensificarono con opere proveniente dalla collezione Odescalchi, Hertz e dalla collezione Chigi.

In mancanza di uno spazio idoneo dove collocare le opere, queste furono concesse in uso agli uffici, agli enti, ai ministeri, ecc. anche se premeva trovare una sede definitiva per collocare quelle opere, su modello dei Musei Nazionali europei e anche per sottolineare la funzione di capitale di Roma all’interno dello Stato italiano. Già dagli anni ’80 dell’ Ottocento erano stati istituiti a Roma una serie di musei nazionali per sottolineare questa funzione, ma la ricerca per la sede definitiva della Galleria Nazionale d’ Arte Antica si concluse solo nel 1949, dopo il secondo conflitto mondiale, con l’acquisto da parte dello stato di Palazzo Barberini. 

Quando il palazzo divenne di proprietà statale era già stato privato delle collezioni d’arte della famiglia Barberini. L’ alienazione delle collezioni Barberini, inizia già nel Settecento, quando l’ultima discendente Barberini, Cornelia Costanza, sposata a Giulio Cesare Colonna di Sciarra, vende le prime opere. Le liti dei loro figli portano alla divisione delle collezioni fra i due rami della famiglia, con un accordo stipulato a Parigi nel 1811. Alla fine dell’ Ottocento, la grande vendita della collezione  Sciarra, disperse molte opere dei Barberini. La collezione Barberini, oltre ad essere divisa con gli Sciarra, venne ulteriormente scissa con i Corsini, in seguito al matrimonio delle figlie di Carlo Felice Barberini con due esponenti della famiglia Corsini.  A ciò si aggiunse la fine del ramo primogenito dei Barberini in Maria Barberini Sacchetti. Dopo il 1881 i 3/8 della collezione Barberini passarono nella collezione Corsini di Firenze, ma il patrimonio artistico in possesso dei Barberini era comunque immenso.

La definitiva dispersione delle collezioni si ebbe solo nel 1934, grazie ad una legge delle Stato che permise  la vendita delle opere fedecommissarie, rinunciando alla tutela della collezione, in cambio di un piccolo nucleo di proprietà. In sintesi, il Regio Decreto del 26 aprile 1934, voluto su richiesta dei principi Corsini e Barberini, permetteva di dividere le collezioni fedecommissarie in tre parti, delle quali una diventava proprietà dello Stato, un secondo gruppo a disponibilità dei principi che avrebbero potuto anche vendere ed esportare, grazie alla donazione fatta allo Stato che aveva valore di tassa, anche sull’esportazione, ed infine un terzo gruppo che restava di proprietà dei principi, ma sottoposto al vincolo e questo nucleo di opere fu acquisito dallo Stato nel 1952. Tra i dipinti alienati in base alla legge del ’34 si ricorda La morte di Germanico di Poussin, oggi al museo di Minneapolis, e la Santa Caterina di Caravaggio oggi presente nella collezione Thyssen di Madrid. 

Con la legge del ’34, lo Stato rinunciò alla tutela di una delle più importanti collezioni fedecommissarie romane configurata già come museo aperto al pubblico, come sono tutt’ora la Galleria Colonna e la Doria-Pamphilj, gallerie private, ma tutelate dalla legge e fruibili al pubblico.

Quando nel 1949 lo Stato acquisì il palazzo, si procedette con difficoltà alla sistemazione delle opere. Innanzitutto l’ edificio si presentava in gran parte occupato da enti, in particolare dal Circolo Ufficiali delle Forze Armate d’ Italia, che lo avevano affittato dai Barberini dal 1934.

Le opere vennero sistemate inizialmente nel piano nobile che fu riaperto al pubblico dal 1953 e si diede alla collezione un ordinamento cronologico per cui a Palazzo Barberini vennero collocate le opere dei primitivi fino al XVI secolo, e a palazzo Corsini, vennero sistemate le opere del XVII e XVIII secolo, smembrando così l’originaria collezione Corsini. Nel 1984 la collezione Corsini venne ricollocata nella sua sede storica originaria, e si riconfigurò come galleria a sé, mentre tutte le opere prive della loro sede storica vennero portate a Palazzo Barberini. La Galleria Corsini è stata recentemente riallestita in base agli inventari settecenteschi.

Si contano circa seicento opere, tra dipinti e arredi, in deposito ad enti esterni mentre il nucleo fondamentale  della Galleria è formato da opere del XVII secolo. Non mancano comunque dipinti dei secoli XII, XIII e XIV, anche se questo periodo è meno ricco di opere importanti. Il XV secolo non è rappresentato in modo completo, anche se ospita un dipinto fondamentale di Filippo Lippi, la Madonna in trono con Bambino, datato 1437. Le collezioni del XVI secolo sono rappresentate dalla notissima Fornarina di Raffaello, oltre a dipinti di Andrea del Sarto, Beccafumi, Sodoma, Bronzino, Lotto, Tintoretto, Tiziano, El Greco, Garofalo, Dosso Dossi, fino ad arrivare al XVII secolo rappresentato da Caravaggio, Guido Reni, Domenichino, Guercino, Pietro da Cortona, Lanfranco, Bernini, Poussin e Maratta. Dal dicembre 2006 la Galleria Nazionale d’Arte Antica  torna Museo dopo il trasferimento del Circolo Ufficiali alla vicina Palazzina Savorgnan di Brazzà. Ciò ha consentito di recuperare più di 2.700 mq., mentre 700 resteranno disponibili esclusivamente per esigenze di alta rappresentanza del Ministero della Difesa.

Tutti i lavori di restauro strutturali e di allestimento del Museo, che restituiscono al pubblico le prime otto sale del piano nobile dedicate alla pittura del ‘500 sono stati realizzati con i finanziamenti del programma ordinario del Ministero per i Beni e le attività culturali e con i fondi del Gioco del Lotto. Il restauro si concluderà entro il 2010 anche se non si prevede di dare una collocazione definitiva ai dipinti e agli oggetti di arte decorativa che ancora non l’hanno; si pensa piuttosto di renderli visibili a rotazione per non lasciare vuoti alle pareti in caso di prestiti in occasione di mostre, o di restauri .

 

 

INFORMAZIONI

Attualmente la collezione del palazzo è solo in parte fruibile in quanto sono in corso lavori di restauro che porteranno ad un museo disposto su tre piani nell’ala nord dell’edificio. Al momento è visitabile solo il primo piano che offre al visitatore dodici sale. Le prime tre sono occupate da opere dei Raffaelleschi, di Raffaello e di pittori fiorentini; si passa poi ai Senesi e ai Leonardeschi, la quinta sala ospita le opere del Garofalo, a seguire la sala dei veneti,  il salone affrescato da Andrea Sacchi, in cui sono disposti numerosi ritratti; si passa poi per la sala dei manieristi per giungere alla sala di Caravaggio e dei Caravaggeschi, poi degli Emiliani, per giungere infine nel Salone di Pietro da Cortona dove si conclude la visita del primo piano.    

 

 
 

ORARI

Dal martedì alla domenica 8.30-19.30, la biglietteria chiude alle 19.




NOTE

[1]              G. Magnanimi, Palazzo Barberini, Roma 1983.

[2]              R. Wittkower, Arte e architettura in Italia,  Torino 1958, p. 93.

[3]              L. Mochi Onori, Villa Sforza, in “La Roma di Sisto V. Le arti e la cultura”, Roma 1993.

[4]              S. Eiche, Cardinal Giulio della Rovere and the Villa Carpi, in “Journal of the Society of Architectural Historians”, New York, 45, 1986.

[5]              U. Aldrovandi, Delle statue antiche, in L. Mauro, “Le antichità della città di Roma”, Venezia 1559.

[6]              G. Helge, Roma sancta renovata : studi sull'urbanistica di Roma nella seconda metà del XVI secolo con particolare riferimento al pontificato di Sisto V. (1585-1590), Roma, 1987.

[7]              R. Wittkower, op. cit.

[8]              A. Lo Bianco, Pietro da Cortona 1597-1669, Milano, 1997.

[9]              S. Tadolini, Francesco Azzurri e la cancellata di Palazzo Barberini, in “Strenna dei Romanisti”, Roma, 1961.

[10]            L. Mochi Onori, Palazzo Barberini: La Galleria Nazionale d’ Arte Antica: origine e sistemazione del museo, Roma, 1998.

[11]            Regio Decreto Legge del 20.6.1895.

[12]            S. Alloisi, La Galleria Corsini da collezione fidecommissaria a galleria statale. Studi per la ricostruzione di un fondo storico in “La Galleria Nazionale d’ Arte Antica. Un secolo di vita.”, Quaderni di Palazzo Venezia, 1987.

[13]            F. Mariotti, La legislazione delle Belle Arti, Roma 1892.







 


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