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“Spirit Houses”: presenze spettrali nel Luna Park surrealista [1]  
Eleonora Rovida
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 19 Dicembre 2010, n. 587
http://www.bta.it/txt/a0/05/bta00587.html
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“We have no intention of changing men's habits,
but we have hopes of proving to them
how fragile their thoughts are,
and on what cellars they have erected
their unsteady houses”.

Surrealists Declaration, 27th January 1925

 

The Surreal House [2]

La sovversione operata dal Surrealismo sulla scia del Dada ha minato la percezione umana della realtà scardinando le certezze tradizionali per dare libero sfogo all'automatismo psichico.

Lo spazio viene reinventato sul modello dechirichiano: dilatazione e vuoto diventano nuovi scenari per la creazione. I sipari [3] si alzano presentando uno spettacolo inquietante all'osservatore: i piani si strappano e permettono alla visione di sconfinare nel mondo del sogno [4] e dell'immaginazione in un inganno (sur) reale. Gli elementi vengono tagliati e riassemblati secondo una fantasia inconscia e casuale. Il tempo, da sempre costante universale, diventa un sorridente saltimbanchi che irretisce le tessere della composizione in una dimensione parallela: gli orologi vengono sciolti dalla follia.

L'automatismo permette l'incontro e la parificazione degli elementi più disparati che diventano pedine di un unico gioco. É il potere dello shock surrealista che si diverte con le immagini: le incolla, le dipinge, le fotografa, le filma, le autentica [5].

La familiarità con il proprio, il privato, il banale viene sottoposta alla stessa operazione artistico- letteraria. La casa, regno principe di questa dimensione intima, subisce un continuo slittamento di piani visivi, percettivi e semantici. Il quotidiano diventa il bersaglio perfetto per lo straniamento surrealista.

L'arte è un gioco. Le mura familiari si trasformano in una casa degli specchi nel Luna Park surrealista. Le forme si riplasmano, si dilatano e si rimpiccioliscono come nel Paese delle Meraviglie: “L’illusionismo è una tecnica che usa le immagini per ingannare. Pone il problema se la percezione possa darci una conoscenza veritiera e diretta del mondo. Gli psicologi hanno ideato una ‘stanza distorta’ in cui un adulto sembra avere le dimensioni di un bambino. Altri esempi sono il labirinto degli specchi al Luna Park e i giochi di destrezza dei prestigiatori” [6]. La percezione dell'osservatore rimbalza tra il sogno e l'incubo. Non c'è nessuna regola per questa partita: lo spettatore è incastrato tra presenza e assenza in un limbo creato dall'artista.

Le figure sono apparizioni, spettri che animano il sonno della ragione. Gli echi romantici sono evidentissimi: l'immaginazione di Edgar Allan Poe e i fairy tales vittoriani (che rievocano il sogno shakespeariano e richiamano tanto le figure blakiane quanto le sagome fuseliane) vengono ricontestualizzati nell'uragano psichico che riduce la casa ad accumulo di “mobili nella valle” circondati dal vuoto.

La cultura inglese si mischia alla tradizione francese del movimento surrealista: non a caso l'Antologia dello Humor Nero del 1939 è una dichiarazione onorifica verso la meraviglia carrolliana.

La tradizione popolare anglosassone ha saputo realizzare, meglio di ogni altra, l'idea della casa abitata dagli spiriti [7]. L'ossessione vittoriana per la morte ha alimentato fantasticherie che vanno dal romanzo dell'orrore al fascino del ghigno, una risata inquietante nell'oscurità della ragione. Il contributo del calotipo fotografico è notevole, uno scatto -apparizione dalle linee poco definite che disegnano una sagoma aperta a svariate interpretazioni per l'interlocutore. La fotografia degli spettri è un genere che ha affascinato gli spettatori più disparati condensando l'inganno visivo e il potere della scatola magica [8] .

La mostra londinese The Surreal House [9]  alla Barbican Art Gallery ha saputo coniugare alla perfezione l'immaginazione surrealista e la tradizione anglosassone delle presenze spettrali allestendo un teatro magico per lo spettatore. “Solid, functional houses then, were largely antithetical to the surrealist project. Rather, the point, as this exhibition eloquently demonstrates, was to draw attention to the hidden, the subconscious and the astonishing. Imaginative curating, while occasionally veering into the extraordinarily tangential, brings new resonances out of the individual pieces by placing them in this context. We are invited to consider them outside of any chronological movement or strict theme and so we form more personal relationships with them. This results in an illuminating and intense experience, but also ultimately, after we leave, the lack of an overarching shape to hold the pieces together in the memory causes them to collapse and fall apart, and the exhibition fades like a dream” [10] .

La galleria diventa una casa abitata da figure surreali: le opere, come piccole case di bambola vittoriane, sono microcosmi in un macrocosmo- casa- museo.

Gli invitati a questo “sogno di mezza estate”, tra giugno e settembre, sono Marcel Duchamp, René Magritte, Salvador Dalì, Edward Hopper, Francesca Woodman.... e naturalmente Joseph Cornell.


 

House is the Muse [11]

Il “cacciatore di immagini” [12] non poteva mancare ad una riunione di “ritornanti” pre- Halloween. Le sue Shadow Boxes sono l'esemplificazione principe di come l'arte surrealista abbia intaccato la dimensione intima della casa. Here Cornell’s magic boxes become ‘homes’, places where his unconscious can play out controlled dramas of desire” [13].

Cornell reinterpreta l'eredità di quella “nave carica di matti” [14] in chiave personale affidandosi alle sue consonanze interiori. “Forse in Cornell era proprio la tendenza a misurare il tempo sulle proprie percezioni che gli permetteva di creare una moltitudine di atmosfere in uno spazio ristretto, il che è una delle caratteristiche più accattivanti della sua opera” [15].

La casa, spazio del sé creativo dell'artista, è una forma del pensiero: Utopia Parkway è il monumento al modus operandi cornelliano, un accumulo schedato di oggetti d'assemblage che aspettano di incontrarsi nel regno della scatola.

Il filtro personale è dominante in tutte le sue creazioni: l'aspetto più caratteristico è dato dall'home made [16]. Non si tratta semplicemente di creazioni dal carattere abbozzato e volutamente impreciso [17] che nascono nell'atmosfera della casa, ma la rispecchiano perché traducono l'intimità delle mura attraverso la familiarità dell'artista con l'oggetto. L'objet trouvé non è un'immagine casuale, ma è cercata, voluta, scelta in una caccia flâneuristica volta alla scoperta di un quid che susciti nell'artista il moto dell'affezione, del ricordo, della memoria [18] , dell'associazione emotiva.

La casa, nell'arte di Cornell, è una gabbia per uccelli [19]: lo protegge e lo rassicura, ma gli permette di uscire e rientrare nel suo instancabile Wanderer [20] per le strade di New York. É la sua certezza e il suo rifugio dal flight [21], il volo-evasione, ma ha la consistenza di una bolla [22] di sapone. La sua percezione è simile a quella di un bambino che si trova a creare un mondo di fantasia a partire dagli ephemeras [23] della realtà con la fragilità di un castello di carta.

Le scatole, come habitats del sogno, sono animate da presenze inquietanti, volti infantili [24] che osservano lo spettatore, bambole paffute intrappolate tra spine di rovi e ramoscelli [25], vetrine di manichini dal corpo geometrico incastonati nell'immobilità, frammenti arroccati nel regno delle ombre, la Shadow Box.

La memoria di De Chirico e Atget [26] disegna corrispondenze inconsce in opere-gioco [27] dal sapore duchampiano con fantasmi magrittiani in collages visivi alla Ernst [28].

Il dominio delle immagini non riesce a nascondere quella condizione immateriale e metafisica di vuoto [29] spettrale dato dal vetro della scatola, uno specchio che riflette lo spettatore trascinandolo nel vortice cornelliano per renderlo parte dell'opera stessa. “Non sorprende che dalle scatole volti infantili ci fissino fino a confonderci, e che abbiano l’aria sognante dei bambini intenti al gioco” [30] .

Il fascino voyeuristico [31] della scatola irretisce l'osservatore stimolando la sua curiosità: lo shock diventa un invito ad accedere a quella piccola casa degli specchi da Luna Park, a superare lo smarrimento, a giocare con quel teatro onirico.

Non è un caso che nella lingua inglese “giocare” e “recitare” si esprimano con il verbo to  play.

Lo scenario fantasma è un giocattolo di cartone: “Un palazzo fantasma in una foresta di alberi spogli, brina e notte. Un palazzo favoloso, sproporzionatamente vasto rispetto alla dimensione delle figure che stanno davanti alla facciata. Sono minuscole e indistinte, ci vorrebbero diversi ingrandimenti prima di riuscire a vedere l'espressione dei volti. Molte hanno l'aspetto di militari e sembrano agitate. Si indicano l'una all'altra. Deve essere arrivata qualche notizia. Una di loro è probabilmente il messaggero. Tornano alla mente le vedute cittadine nelle incisioni settecentesche, le torri di Londra o i palazzi di Venezia che si levano serenamente sulle figure microscopiche a passeggio- così si immagina- il giorno in cui l'artista disegnò la scena” [32].

Lo spettatore si ritrova nel regno delle ombre, un mondo di morte, monumento alla memoria. Cornell è un artista funereo: il fascino collezionistico dell'oggetto, scelto secondo le sue consonanze interiori, rende ogni immagine un souvenir che è allo stesso tempo un ritaglio di vita e una reliquia mnemonica del passato, una specie di madeleine evocativa.

 

 

Il metafisico della fotografia

Joseph Cornell è il punto in cui convergono le più disparate linee dell'arte. Le sue creazioni nascono  dall'ispirazione, dalla personalizzazione dell'immagine attinta alla realtà, alle biblioteche e alle composizioni artistiche. Il contatto con il gallerista Julien Levy [33], i Surrealisti, Duchamp [34] e l'esposizione delle scatole e dei collages nelle mostre newyorkesi degli anni Trenta [35] costituiscono un nodo d'intrecci, serbatoio di riferimenti, citazioni, influenze che si ritrovano nelle opere dell'artista. Gli omaggi precisi ed espliciti ai protagonisti dell'epoca rendono le sue creazioni dei doni: “a gift, of a gift, of a gift”[36]. La densità associativa illogica surrealista, le atmosfere metafisiche dechirichiane, la visione ludica sulla scia duchampiana sono gli ingredienti per la ricetta di uno stregone [37]. L'incanto del frammento non opera alcuna distinzione: nell'opera di Cornell gli oggetti, a due o a tre dimensioni, sono trattati come immagini dotate dello stesso valore. Così si mischiano alchemicamente  ephemeras, cartes de visite, pagine di giornale, specchi, pipe, bambole e fotografie.

Cornell, negli anni Trenta, attraversa un periodo di sperimentazione proprio per il confronto con gli artisti dell'epoca favorito da una serie di “incontri casuali” nella New York dell'arte. Il mondo della fotografia costituisce il filo rosso per ricostruire il percorso di quelle “vite intrecciate” attraverso una serie di ritratti che autenticano gli incontri dell'epoca. Cornell è molto attratto dalla magia fotografica: negli anni Trenta l'inserimento di scatti apparsi sulle riviste americane dimostra come l'artista si avvicini alla macchina per le immagini. Cornell è come Monsieur Phot, il protagonista del suo soggetto cinematografico del 1933, un fotografo con la percezione di una macchina fotografica che cattura le immagini come ritagli visivi della realtà secondo un meccanismo di scelta che è analogo all'inquadratura [38] .

Il “cacciatore di immagini” non abbandonerà mai l'incanto del ritaglio: le Shadow Boxes costituiscono le creazioni più conosciute dell'artista realizzate tra gli anni Trenta e Cinquanta [39] , ma i collages lo accompagneranno per tutta la sua vita. Verso la fine degli anni Cinquanta Cornell lamenta la poca disponibilità di materia prima per le scatole: sono anni dedicati alle “incursioni nel mondo delle riviste su carta patinata” [40] . Allo stesso tempo cresce l'interesse del mondo della fotografia per l'artista: i fotografi si cimentano in una serie di scatti interpretativi dell'archivista visionario.

Tra i ritratti di Cornell, che abbondano nei cataloghi della sua arte, si trovano spesso scatti realizzati da Duane Michals [41], il “metafisico della fotografia”, un artista che dedica la sua vita alla cattura dell'invisibile.

Le fotografie, come indicano le didascalie [42] , vengono eseguite su richiesta dell’artista. Ricostruire il legame tra Cornell e Michals è semplice: il fotografo è amico dei Surrealisti (in particolare di Magritte) e di Dore Ashton [43] .

Cornell doveva essere molto interessato alle opere di Michals: due collages [44] e un montage [45]  eseguiti dall’artista intorno al 1970 mostrano l’inserzione di alcuni scatti del fotografo. In entrambi i collages compare una fotografia tratta da The Young Girl’s Dream [46], photo- sequence realizzato da Michals  nel 1969 [47].  La sequenza, impostata come storia per immagini, mostra una ragazza visitata da una presenza maschile durante il riposo. Quando la mano dello spettro tocca il corpo della ragazza svegliandola, il sogno finisce e la figura scompare.

Il linguaggio di Michals echeggia di sogno: il photo-sequence è inserito nei Real dreams, opera pubblicata nel 1976, che rappresenta il capolavoro più rappresentativo dell’arte del fotografo, il suo libro chiave [48]. Cornell usa l'immagine della ragazza, ma incolla altri inserti proprio nel punto in cui compare la presenza spettrale. Nel primo collage inserisce l’immagine di un paesaggio notturno con la luna piena che spunta dai rami di un albero. Il ritaglio confonde la visione: l’immagine trovata sembra un quadro, ma è collocata a mezza altezza, come se fosse in realtà il paesaggio che si vede da una finestra, un chiaro riferimento a Magritte. Nel secondo collage viene inserita, sempre in corrispondenza dell’apparizione, la doppia immagine di un’eclissi. É lo stesso tema appartenente al documentario scientifico montato in Rose Hobart, il primo found footage cornelliano del 1936.

Il montage, invece, è composto da tre fotografie: due scatti di uno specchio e uno di una ragazza che si copre il viso: sono foto attinte alla serie di Michals Persona. Il fotografo ha l'abitudine di riutilizzare gli stessi oggetti per diverse sequenze: è una convergenza di immagini che si rispondono a distanza. Lo specchio viene riproposto in The Voyage of the Spirit after Death [49] , una foto-storia realizzata da Michals nel 1971 in cui un ragazzo, morto per una caduta dalle scale, diventa uno spettro vagante nel mondo, desideroso di tornare alle fonti della vita, di rinascere. L’immagine dello specchio è accompagnata da una domanda: “How can I be dead ?”. Il riflesso è l’unico modo per il soggetto di verificare la sua morte: prova a toccare il vetro e prende consapevolezza della sua nuova forma. La sequenza si sviluppa dal buio alla luce. Il disco che rappresenta la luce si espande fino a coprire tutta l’immagine: della realtà resta solo un punto nero al centro del riquadro. Si trovano molte somiglianze tra questa sequenza e le fasi dell’eclissi visibili in Rose Hobart e nel collage - omaggio di Cornell a Michals.

Lo specchio, inoltre, compare in un ritratto di Cornell realizzato dal fotografo negli anni Settanta: l’artista sembra uno spettro rischiarato solo dalla luce proveniente dalla finestra sul fondo della fotografia. Cornell sembra dissolversi davanti al riflesso mentre fissa piccoli oggetti accumulati sulla cassettiera della sua stanza. Le tende che adornano la finestra sono più tangibili del suo corpo. L’immagine riporta alla mente i rayogrammi: Cornell si rivela come apparizione.

 

 

The House I once called Home [50] .

Michals è affascinato dal regno dell'invisibile, delle ombre e degli spettri che abitano la realtà delle cose. La macchina fotografica è lo strumento per rivelare quelle presenze nell'ambiguità visiva: Things are queer [51] .

L'arte di Michals è una ricerca tanto universale quanto personale. Il tema del doppio è già presente nel suo nome: “Duane” rappresenta la duality della sua esistenza. Michals porta il nome di un ragazzo defunto, figlio della famiglia per cui lavorava la madre. L'ossessione per questo spettro mai conosciuto riempie la sua mente, la sua arte e la sua vita.

La sua ricerca mira alla mise- en- scène dell'invisibile creando uno specchio continuo tra la realtà e la metafisica proprio come nell'arte dechirichiana. Ogni cosa ha due aspetti: “uno corrente, quello che vediamo quasi sempre e che vedono gli uomini in generale, l'altro spettrale o metafisico che non possono vedere che rari individui in momenti di chiaroveggenza” [52] .

Michals è lo scenografo delle realtà invisibili che mischiano le apparenze, le paure, l'inconscio collettivo alla dimensione personale, ai propri turbamenti e alla riflessione sull'esistenza. L'aspetto intimo è il filtro con cui crea le scene da fotografare: le allestisce riproponendo i suoi personalissimi real dreams. La sua “arte narrativa” riunisce lo scatto alla parola scritta volutamente a mano come prova tangibile, impronta del suo essere. “Photograph is my proof” [53] .

La dimensione intima e familiare è protagonista di The House I once called Home [54], una serie fotografica di Michals del 2002 che mischia immagine e testo, raccolta in una specie di catalogo della memoria nel 2003. É un anello di congiunzione tra il presente e il passato: la casa d’infanzia diventa teatro del ricordo. Le figure dei suoi cari appaiono come immagini in dissoluzione: è la memoria che ricostruisce le sagome in una sostanza indefinibile. La tecnica della sovrapposizione permette al fotografo di creare l’illusione dell’apparizione.

La casa è custode dei ricordi dell’artista perché contiene gli oggetti che rievocano il passato: “This abandoned wooden box is the cabinet where my family’s curiosities are stored”[55]. L’espressione rimanda inevitabilmente ad uno scatto dello stesso Michals del 2004, Evidence of Evolution, dove l’evoluzione è in realtà un accumulo di oggetti molto simile alle creazioni cornelliane.

Le stanze sono i palcoscenici della vita passata che, al momento del ricordo, tornano a riempirsi: “these rooms were our little theatre’s mise-en-scène, where we performed our daily dramas sans proscenium”[56]. La finta visione, che esiste nella “libreria dell’immaginazione dell’artista”[57], è un allestimento tra presenza e assenza in un tempo indefinito: “Eternity is the absence of time” [58]. Questi riferimenti rispecchiano esattamente la concezione temporale, affettiva e mnemonica [59] del “cacciatore di immagini”.

La casa è un limbo dove gli spettri sono incastrati tra due realtà come in un labirinto mentale: “Annabelle, Cyril and Steve lost in the labyrinths of their minds linger in a kind of limbo, where we cannot go”[60]. Le apparizioni vagano come ombre e avvicinano il fotografo all’idea della morte: “The shadows of this empty rooms have bequeathed me the reality of death”[61] . La mente vola inevitabilmente alla Shadow Box. Le immagini si intrecciano creando un jackpot di significati, una stratificazione semantica di combinazioni. The House I once called home si conclude con una poesia in versi liberi che deve molto alle slot machines cornelliane: “I threw a penny into the Yougiogheny and made a wish,/That might float with it,/down the Monogahela to the Allegheny./Than further still below the Ohio,/Until I reached the Mississippi and the sea,/There the tides would carry me away,/to where I cannot say,/ Someplace fair and new./And I would do things I have never done before./And my penny wish came true [62] .

Come scrive Charles Simic ne Il Cacciatore di immagini. L'arte di Joseph Cornell [63] “l'eternità e il tempo sono le monete con cui l'automa funziona, la parte che tocca a ciascuno per un'occhiata rapida a quel tutto che è il nulla” [64] .

 

 

Spirit Houses

Un ultimo accenno è doveroso all'opera di Carol Owen, artista celebre per le sue fantasiose Spirit Houses: sono costruzioni che rispecchiano l'arte della miniatura sul modello cornelliano.

Le opere, come piccole case di bambola vittoriane, vengono abitate da presenze che diventano le vere inquiline dei regni dell'immaginazione: non “risiedono” semplicemente nelle opere, ma le creano. Every spirit builds itself a house, and beyond the house, a world, and beyond its world, a heaven [65] . La scatola cornelliana viene trasformata, in modo esplicito, in un'abitazione: gli elementi compositivi e le tonalità cromatiche scioccanti rappresentano gli “umori” di quella specifica costruzione. La Spirit House è il riflesso della presenza che la abita: il legame tra personalità e architettura compositiva segue la scia surrealista.

La casa rappresenta il corpo come negli scritti freudiani. L'immagine riporta al Tree Man di Bosch del 1505. Su questa stessa idea viene realizzata la mostra londinese The Surreal House: “We start, as did so much of surrealism, with Freud and his notions of the subconscious and the uncanny. For Freud, the house could be equated with the body, a container of the self. While this was hardly a new idea - on display is an engraving after Hieronymus Bosch's Tree Man (c. 1505), in which a human body doubles as a deformed, cracked shell of a house - it is one that the surrealists would return to obsessively” [66] .

La scatola cornelliana, allo stesso modo, è una costruzione personale che tenta di avvicinarsi all'uomo, alla vita: “Cose rinvenute, creazioni casuali, confezioni (articoli prodotti in serie che vengono promossi a oggetti d'arte) aboliscono la separazione tra arte e vita” [67]. La Shadow Box è una creazione che nasce e cresce a partire dalle consonanze interiori dell'artista: ha una sua vita, che segue le fasi di realizzazione, e si nutre di oggetti inglobando parti della vita stessa. “La piccola scatola mette i dentini (e cresce poco in lunghezza / e pure in larghezza e in profondità / e tutto quello che ha / e ancora la piccola scatola cresce / l'armadio in cui stava dentro / sta ora dentro di lei / lei cresce e diventa più grande / adesso la stanza sta dentro di lei / non solo, ci stanno la casa il borgo / la terra e il mondo in cui prima abitava” [68] .

L'opera diventa un monumento alla memoria, un chiaro richiamo al ricordo. La sua fase finale, la realizzazione definitiva, è una specie di metafora di morte: le presenze- ombre abitano l'opera come se fosse un limbo. Allo stesso modo gli spettri nell'opera di Michals e nei racconti delle case infestate restano intrappolati per sempre in quello spazio, ancorati alla dimora da una componente affettiva. Sono statue impalpabili che custodiscono le stanze.

La Owen, in modo analogo, vede le sue personali creazioni come icone a protezione della memoria familiare: “My Spirit Houses are shrines to family memories. They make sacred those shards of the past that have made us what we are” [69] .

L'aspetto intimo crea la Spirit House come una reliquia-omaggio che custodisce il privato: “Enshrining memories of family and home and incorporating personal mementos which celebrate the people, places, and events important to us, Carol's unique, three-dimensional assemblages honour people's most intimate histories and truest treasures” [70] .

Le creazioni di Carol Owen sono un'evoluzione dei giocattoli, le case di bambola, esattamente come le opere cornelliane: Cornell realizza la scatola come meditazione sui giochi del fratello Robert. Sono intrattenimenti per la solitudine infantile: “Tu rendi ignoto il volto del bambino che dorme, gli occhi e la bocca socchiusi. Tutto nel suo mondo è un segreto, e i giochi sono ancora il gioco dell'amore, il gioco del nascondino, il freddo gioco della solitudine. In una stanza segreta di una casa segreta il suo segreto giocattolo siede e ascolta la propria immobilità. Corvi volano sulla città. I fantasmi dei suoi e dei nostri sogni si incontrano di notte come i vetrinisti e i loro manichini in una strada di edifici bui, abbandonati, e di nuvole bianche” [71] .

Le Spirit Houses e le Shadow Boxes esprimono il fascino per l'aspetto ludico dell'arte, un inganno sapientemente orchestrato per intrappolare l'osservatore nel gioco surrealista: “un veicolo di sogni a occhi aperti, un oggetto che possa arricchire l'immaginazione di chi guarda e tenergli compagnia per sempre” [72] .






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NOTE

[1]     Ringrazio la prof. ssa Antonella Sbrilli e la dott. ssa Laura Leuzzi

[2]     The Surreal House, mostra alla Barbican Art Gallery, Londra, 10/06/10-12/09/10, http://www.barbican.org.uk/

[3]     C. SIMIC, J CORNELL, Dime-Store Alchemy: The Art of Joseph Cornell, (tr. it. a cura di A. Cattaneo, Il cacciatore di immagini. L’arte di Joseph Cornell) Milano 2005², p. 85.

[4]     P. ADAMS SITNEY, The  cinematic gaze of Joseph Cornell, in “Joseph Cornell”, catalogo della mostra a cura di K. McShine (Museum of Modern Art, New York 1980) New York 1980. p. 65.

[5]     ROVATI, Montaggi onirici, in “Collage/Collages. Dal Cubismo al New Dada, catalogo della mostra a cura di M. M. Lamberti e M.G. Messina, (Galleria Civica d'arte moderna e contemporanea, Torino 2007-2008), Milano, 2007, p.118.

[6]     SIMIC 2005, pp. 69-70.

[7]     A. NIFFENEGGER, Her fearful symmetry (tr. it. a cura di D. Vezzoli, Un'inquietante simmetria), Milano 2009.

[8]    Le troisième oeil : la photographie et l'occulte : expositions, Paris, Maison européenne de la photographie, 3 novembre 2004-6 février 2005, New York, Metropolitan Museum of Art, 23 septembre-31 décembre 2005

[9]     The Surreal House, mostra alla Barbican Art Gallery, Londra, 10/06/10-12/09/10, http://www.barbican.org.uk/

[10]   J. OGILVIE, The Surreal House. Buildings of the mind, June 2010, “Fortean Times”. http://www.forteantimes.com/features/commentary/3739/the_surreal_house.html

[11] D. SOLOMON, The Stay-at-Home Life as Muse, “New York Times”, 20/03/1997,     http://www.nytimes.com/1997/03/20/garden/the-stay-at-home-life-as-muse.html

[12]   SIMIC 2005.

[13]   J. FLANDERS, The Surreal House at the Barbican, “Seven Magazine Review”, 12/07/10, http://www.telegraph.co.uk/culture/art/art-reviews/7878874/The-Surreal-House-at-the-Barbican-Seven-Magazine-review.html

[14]   D. TASHJIAN, A Boatload of Madman, New York 1995.

[15]   Joseph Cornell, catalogo della mostra a cura di K. McShine, (Palazzo Vecchio, Firenze 1981), Firenze 1981, p.14.

[16]   E. ROVIDA, American Beauty, “Bta”, num 571, 01/09/10, http://bta.it/txt/a0/05/bta00571.html

[17]   J. MEKAS, The invisible Cathedrals of Joseph Cornell, The Village Voice, December 31, 1970, in J. MEKAS, Movie journal: the rise of the new American cinema”, New York 1972, p. 329.

[18]   A. SBRILLI, P. CASTELLI, Esplorazioni, estensioni, costellazioni. Aspetti della memoria in Joseph Cornell,  “La Rivista di Engramma on line” n. 70, marzo 2009, http://www.engramma.it

[19]   J. S. FOER, A Convergence of Birds:  Original Fiction and Poetry inspired by Joseph Cornell , New York 2007³.

[20]   A. SBRILLI, Wanderer a New York. Una psico-geografia del Romanticismo nell'opera di Joseph Cornell, intervento al Convegno Paesaggi, cartografie e architetture nel romanzo tedesco dell'Ottocento, Istituto Italiano di Studi Germanici, Villa Sciarra-Wurst, 23 aprile 2010.

[21]   J. CORNELL, Joseph Cornell's Dreams, edited with an introduction and appendices by Catherine Corman, Cambridge 2007, p.121.

[22]   D. SOLOMON, Utopia Parkway : the life and work of Joseph Cornell, Boston 2004. p. 80.

[23]   E. ROVIDA, American Beauty, “Bta”, num 571, 01/09/10, http://bta.it/txt/a0/05/bta00571.html

[24]   SIMIC 2005, p. 74.

[25]   Ivi, p. 81.

[26]   W. BENJAMIN, Piccola storia della fotografia, in Id., L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino 1991.

[27]   E. ROVIDA, Giochi di parole nell'arte di Joseph Cornell, “RolSA”, n. 12, 2009.

[28]   Joseph Cornell: Navigating the Imagination, catalogo della mostra a cura di L. Roscoe Hartigan, (Salem, Washington 2006 – 2007), Salem, Washington, London 2006, p. 48.

[29]   SIMIC 2005, p. 114.

[30]   Ivi, p. 74.

[31]   Ivi p. 33.

[32]   Ivi, p. 90.

[33]   D. WALDMAN, Collage, Assemblage and Found Object, London 1992, p. 204.

[34]   R. COHEN, A Chance Meeting: Intertwined Lives of American Writers and Artists, 1854-1967, tr. It. a cura di S. Manferlotti, Un incontro casuale. Le vite intrecciate di scrittori e artisti americani, 1845-1967, Milano 2006, p. 307.

[35]   E. ROVIDA, Giochi di parole nell'arte di Joseph Cornell, “RolSA”, n. 12, 2009.

[36]   FOER, 2007³, p. XII

[37]   N. WILLARD, The sorcerer’s apprentice: a conversation with Harry Roseman, assistant to Joseph Cornell, “Michigan Quarterly Review”, Volume XXXVIII, n. s. I, Winter 1999, pp. 37-56.

[38]   E. ROVIDA, Fotografica-mente, “BTA”, 13/09/2010,  http://www.bta.it/txt/a0/05/bta00573.html

[39]   Joseph Cornell, catalogo della mostra a cura di K. McShine (Palazzo Vecchio, Firenze 1981), Firenze 1981 p. 15.

[40]   Ibidem.

[42]   D. ASHTON, A Joseph Cornell Album, New York 1974, p. 199.

[43]   Ivi, p. xiii.

[44]   Ivi, p. 199.

[45]   Ivi, p. 193.

[46]   D. Michals, The Young Girl's Dream 1969, http://www.cmoa.org/searchcollections/details.aspx?item=91850

[47]   D. MICHALS, Real dreams: Photostories, Danbury (NH) 1976.

[48]   C. MARRA, Fotografia e pittura nel Novecento: una storia senza combattimento, Milano, Mondadori 1999, p. 189.

[49]   D. MICHALS, Photofile (edited with an introduction by Renaud Camus) London 1993.

[50]   D. MICHALS, The House I once called Home: A Photographic Moemoir With Verse, London 2003

[51]   D. Michals, Things are queer: photosequence del 1972

[52]   SIMIC 2005, p. 53.

[53]   D. MICHALS 1976.

[54]   D. MICHALS 2003.

[55]   Ibidem.

[56]   Ibidem.

[57]   Ibidem.

[58]   Ibidem.

[59]   A. SBRILLI, P. CASTELLI, Esplorazioni, estensioni, costellazioni. Aspetti della memoria in Joseph Cornell, “La Rivista di Engramma on line” n. 70, marzo 2009, http://www.engramma.it

[60]   MICHALS 2003.

[61]   Ibidem.

[62]   Ibidem.

[63]   SIMIC 2005.

[64]   Ivi, p. 54.

[66]   J. OGILVIE, The Surreal House. Buildings of the mind, 2010

[67]   SIMIC 2005, p. 45.

[68]   V. POPA, La piccola scatola cit, SIMIC 2005, p. 73.

[70]   Ibidem.

[71]   SIMIC 2005, p. 82.

[72]   Ivi, 79-80.








 

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