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La Villa Medicea del Trebbio  
Claudia Maria Bucelli*
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 15 Aprile 2013, n. 671
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Fig. 1
Fig. 1. Veduta della villa del Trebbio (Fotografia © Claudia Maria Bucelli, 2012)

La villa e il contesto paesaggistico:

Collocata a nord-est di Firenze, ad alcuni chilometri a ovest di San Piero a Sieve, la villa del Trebbio fu edificata sui resti di un'antica fortificazione turrita longobarda ad uso difensivo nella vallata mugellana. Situata in sommità della collina ai piedi della quale si colloca anche la villa di Cafaggiolo, Trebbio deteneva un'indubbia posizione strategica di dominio visivo per vasta parte di territorio circostante, e conseguentemente un'evidente funzione di controllo, soprattutto della viabilità che da Firenze conduceva a Bologna. Si inquadrava inoltre all'interno del contesto strategico nel triangolo Trebbio-Cafaggiolo-San Martino, presidi a difesa della valle e della viabilità verso nord, importanti non solo in ordine alla gestione difensiva per un eventuale tentato accesso da parte di eserciti invasori, ma indispensabili per l'approvvigionamento della città di Firenze.

Toponomasticamente Trebbio deriva dal latino Trivium, trivio, composto da tri, per tres, tre, e via, via, indicante un crocicchio di tre vie, uno snodo viario dove fanno capo tre strade che nel caso specifico era presumibilmente situato sull'antica via Bolognese. La politica fondiaria e agricola intrapresa dai Medici fin dal '300 impose un consistente sistema di investimenti proprio nell'area più prossima al Trebbio per giungere a realizzare, attorno al nucleo centrale dell'originario castello medievale, una compatta maglia di possessioni, poderi strutturati in una vasta tenuta agricola e boschi afferenti la residenza, resi accessibili dall'efficace sistema della rete viaria territoriale.

Sorto come probabile sede difensiva per una piccola guarnigione militare a presidio della strada da Firenze a Bologna, il castello del Trebbio conserva pressoché inalterato l'aspetto serrato e chiuso di fortificazione medioevale nella massività del corpo di fabbrica a corte con pozzo centrale, basso e compatto, dominato da un robusto torrione angolare a pianta quadrangolare. Il complesso, primo signorile esempio di residenza del dotto umanista, nonché abile banchiere e investitore, Cosimo il Vecchio, che nei suoi possedimenti extraurbani si dilettava allo studio e alla pratica dell'agricoltura, ricercando lontano dagli oneri della vita pubblica, su modello dei classici antichi, l'equilibrio fra vita attiva e contemplativa, si colloca su un'altura appoggiandosi ad una subcostruzione in pietra che in parte sfrutta i dislivelli dell'orografia circostante ed in parte costituisce il risultato di ingenti lavori cantieristici, integrandosi con la morfologia del suolo grazie ad una serie di larghi terrapieni merlati e di aggetti, in prossimità degli angoli, che mitigano gli scoscendimenti della disuniforme isometria locale.

Nella legislazione medicea sulla caccia e sulla pesca, che nei secoli seguenti molto interessò le terre mugellane e fra queste i possedimenti di Trebbio, ricca bandita di caccia prossima a quella di Cafaggiolo e Panna, è evidente la volontà di riservare alla famiglia granducale ampi territori interessati alla tutela e difesa del patrimonio faunistico in cui esercitare in termini di esclusività le attività venatorie, condividendole solo in alcuni casi con le comunità locali, il clero ed i grandi proprietari fondiari.

Il bando generale del 1622, inerente dunque anche la bandita di Trebbio, riunì tutte le disposizioni precedenti in materia di caccia e pesca, concedendo ai proprietari di fondi danneggiati del Dominio e del Distretto fiorentino la libera caccia degli animali nocivi, volpi, lupi, tassi senza però l'uso di archibugi o di reti.

 

Cenni storici:

Il Trebbio, antico castello posto su un colle dal quale domina il Mugello, costituisce il primo nucleo di dimora attorno alla quale cominciarono a espandersi, per iniziativa di Giovanni di Bicci de' Medici che l'aveva ereditato nel 1386, gli interessi fondiari della celebre famiglia. Per mancanza di documenti prima del XIV secolo si può parlare di questa proprietà solo come preesistenza identificabile con uno di quei tanti 'abituri' simili a fortezze assai numerosi in tutta la vallata mugellana, anche se per la politica fondiaria e agricola dei Medici, che già dal Trecento mirava ad acquisire aree limitrofe alla collina del Trebbio, potrebbe essere ipotizzabile l'eventuale edificazione di un presidio a controllo di tali possedimenti.

Trebbio compare per la prima volta nella 'portata al catasto' del 1427 come dichiarazione delle entrate e delle proprietà fatta al governo fiorentino a fini fiscali, in cui il patriarca delle fortune medicee, Giovanni di Bicci, dichiarava di possedere "in Mugello uno luogo adatto a fortezza per mia abitazione con più masserizie a uso della casa [...] luogo detto Trebbio, con orto, prato, corte e con due pezzi di vigna" [1] . Mancano notizie circa l'esistenza della torre, forse richiamata nella dichiarazione 'adatto a fortezza'. La descrizione si ripete sostanzialmente immutata nei documenti successivi del 1446 e 1451, e gli annessi elencati, identici, orto, prato, corte e due pezzi di vigna, suggerisce un'invarianza della sistemazione esterna, rimasta sostanzialmente immutata, definendo presso la torre preesistente, in origine a funzione di avvistamento e cui venne successivamente affiancato un ampio edificio fortificato dotato di fossato e di ponte levatoio, un giardino murato con aiuole regolari e due lunghi pergolati a vite a colonne in muratura con capitelli lapidei. Presso la villa di Trebbio si rifugiarono i membri della famiglia Medici allo scoppio dell'epidemia di peste del 1430, e sempre a Trebbio fu il breve esilio della famiglia decretato dalla Repubblica fiorentina negli anni 1433 e 1434. E' quindi fuor di dubbio che avanti a queste date l'edificio fosse completato, ed è plausibile l'esistenza non di una torre isolata, al più corredata da ambienti di supporto, ma di una residenza compiuta strutturalmente e pienamente fruibile. Ancora nel 1433 è lo stesso Cosimo a ricordare i suoi soggiorni al Trebbio assieme al fratello Lorenzo. La sequenza di queste circostanze induce a credere che la ristrutturazione sia avvenuta avanti al 1433, e che anzi, probabilmente già dal 1427 il complesso edificato avesse acquisito la propria definitiva fisionomia. Le posizioni assunte in proposito dagli studiosi, complessivamente non molto divergenti, tendono a collocare l'intervento di ristrutturazione del Trebbio proprio entro gli anni 1427/1436 [2] .

Alla morte di Giovanni di Bicci il bene passò ai suoi due figli maschi, Cosimo e Lorenzo, e nel 1440, alla morte di Lorenzo, la sua quota ereditaria passò al giovanissimo figlio Pierfrancesco. Tutore del nipote, Cosimo il Vecchio si ritrovò dunque a gestire da solo, dovendo amministrare anche la parte prima appartenuta al fratello, l'intero ingente patrimonio accumulato dal padre. La tenuta di Trebbio fu dunque governata per oltre un decennio da Cosimo, appassionato di agricoltura e dedito in prima persona ai lavori campestri e all'approfondimento delle scienze agronomiche nella ricerca emulativa dei classici di equilibrio fra vita contemplativa e attiva. Egli, amante della vita in campagna e dell'umile lavoro della terra, vi trascorreva lunghi periodi di riposo durante i quali si dedicava a gestire in prima persona, sul modello ciceroniano del rifugio dalle fatiche della vita pubblica nella tranquillità della vita agreste, le attività che vi si svolgevano. I biografi tramandano come il pater patriae fosse esperto della nestatura e potatura degli alberi da frutto secondo una tecnica di cui era "intenditissimo", ed in una lettera del settembre 1446 un suo fattore informava di essere impegnato a tagliare legna insieme al padrone in previsione dell'inverno. Solo nel 1451 fu effettuata la divisione patrimoniale che sancì l'appartenenza del Trebbio e annessi beni al ramo cadetto di Pierfrancesco, mentre in virtù dello stesso atto a Cosimo il Vecchio rimaneva Cafaggiolo con l'ampia proprietà congiunta.


Fig. 2
Fig. 2 Veduta della villa del Trebbio emergente dalla corona boschiva di cipressi e querce sempreverdi che lo circonda (Fotografia © Claudia Maria Bucelli, 2012)

La scarsissima fortuna critica e iconografica del Trebbio trova forse una sua giustificazione proprio nell'atto del '51 che lo relega su un piano secondario rispetto a Cafaggiolo o a Careggi, rammentandolo più come residenza di Giovanni delle Bande Nere che per la sua architettura o per i suoi fasti [3] . Anche Pierfrancesco trascorse lunghi periodi al Trebbio, amministrandone le proprietà e dilettandosi di caccia e di cavalli. Quando poi i due rami della famiglia giunsero ad aperto conflitto nel 1494, il figlio di Pierfrancesco, Giovanni, fu confinato proprio al Trebbio. Sempre a Trebbio, nel primo decennio del '500, trascorse l'infanzia suo figlio, il celebre condottiero omonimo del padre, Giovanni dalle Bande Nere che vi soggiornò poi a lungo anche in seguito con la moglie Maria Salviati. Al Trebbio soggiornarono anche i figli di Pierfrancesco de' Medici, in particolare Lorenzo, che nei tempi incerti del governo repubblicano si trasferì prudentemente fuori città. In quel periodo, nel 1495, Lorenzo minor commissionò a Sandro Botticelli le decorazioni di alcune stanze della villa, purtroppo perdute. Inoltre entro il 1499 lo stesso Botticelli con la sua bottega dipinse una pala per la cappella del Trebbio raffigurante la Madonna col Bambino fra i santi Domenico, Cosma, Damiano, Francesco, Lorenzo e Giovanni Battista, ora ospitata a Firenze nella Galleria dell'Accademia. Nel 1476 la villa ospitò anche Amerigo Vespucci, trasferito in campagna per sfuggire al contagio della peste che infestava Firenze. Al Trebbio crebbe il Cosimo I, figlio di Giovanni delle Bande Nere e di Maria Salviati, dunque nipote di Giovanni di Pierfrancesco, e nel 1537 proprio da Trebbio il giovane Medici partì con urgenza, sollecitato dalla madre Maria Salviati, per entrare a Firenze ed essere eletto dal senato dei Quarantotto 'capo e primario del governo della città di Firenze e suo dominio', assumendo dunque la corona ducale in vece di Alessandro de' Medici, appena assassinato.

Il carattere medievale della villa di Trebbio, peraltro giustificato sia dalla volontà di adattarsi alla torre preesistente che dall'esigenza di mantenere una struttura difensiva, è stato spesso eletto a carattere probatorio dubitativo di un intervento dell'architetto Michelozzo, peraltro da sempre identificato quale responsabile della villa sulla scorta delle notizie riportate da Giorgio Vasari, che specificava come egli "al Trebbio medesimamente fece, come si vede, molti altri acconcimi" [4] . E' tuttavia anche vero che informazioni fornite dal Vasari sono scarse, fondamentalmente riferibili agli "acconcimi", presumibile allusione a lavori di ripristino e comunque non ad un intervento di completo rifacimento. Ad oggi non sussistono notizie sufficienti per identificare con precisione né il committente né l'architetto del Trebbio. Un'ipotesi accreditata è che Giovanni di Bicci, fondatore delle fortune bancarie medicee e colto mecenate, abbia potuto avvalersi facilmente della professionalità di Michelozzo per un intervento nella sua proprietà mugellana, dove peraltro già abitava nel 1427.


Fig. 3 Fig. 4
Fig. 3 Particolare della villa e del giardino del Trebbio nella lunetta di Giusto Utens, (MSTF) Fig. 4 veduta del superstite pergolato a vite (Fotografia © Claudia Maria Bucelli, 2012)

Del resto Vespasiano da Bisticci, attento biografo di Cosimo il Vecchio, del quale riecheggia dettagliatamente l'intera committenza architettonica, non menziona alcun intervento al Trebbio, registrando invece sia quello di Cafaggiolo che Careggi. Una consolidata tradizione, appoggiandosi all'attribuzione vasariana, propende comunque ad assegnare la ristrutturazione dell'edificio medievale del castello di Trebbio, la prima, in ordine di tempo, delle grandi ville medicee cui l'artista avrebbe lavorato, a Michelozzo su commissione di Cosimo il Vecchio, che ne entrò praticamente in possesso nel 1428 e che forse ebbe in animo di continuare l'opera iniziata dal padre [5] . Michelozzo intervenne rendendo omogenee le strutture preesistenti, aggiungendo locali di nuova edificazione, inserendo nuovi elementi tradotti dalla tradizione antica ed armonizzati al linguaggio medievale delle preesistenze. Il risultato fu la compatta semplicità di una signorile residenza agreste, già netto orientamento alla nuova concezione della villa signorile, dotata di ampie aree a giardino, "uno orto [...] murato intorno con pergole e alberi fruttiferi" [6] e prato, corte e due pezzi di vigna, menzionati nella dichiarazione catastale fatta nel 1427 da Giovanni di Bicci, e ancora più tardi presenti nella lunetta di Giusto Utens, ma sempre dotata di fossato e ponte levatoio, mantenendo dunque l'inevitabile funzione difensiva legata alla topografia del luogo.

La struttura dell'edificio rimase sostanzialmente immutata dall'intervento michelozziano fino al granduca Ferdinando I, che nel tardo Cinquecento ne commissionò all'Utens la riproduzione in lunetta accanto alle altre sedici, relative ad altri possedimenti medicei di villa, per la residenza di Artimino.

Successivamente suo nipote Ferdinando II dei Medici vendette l'intera proprietà, che all'epoca comprendeva un complesso agricolo composto da 51 poderi e relative abitazioni con annessi, cantine ed una notevole quantità di bestiame, a Giuliano Serragli, che in morte la donò ai padri Filippini dell'oratorio di San Firenze, vincolandoli all'edificazione, con le rendite derivanti, oltre 3000 scudi annui, dell'attuale oratorio ed edificio annesso in Firenze. Fra la fine del '700 e gli inizi dell''800 la proprietà passò a Marcantonio Del Rosso, che la lasciò in eredità al fratello, canonico del Duomo di Firenze, morto il quale il bene fu incamerato alle proprietà ecclesiastiche.

Quando nel 1865 il Governo Italiano deliberò l'incameramento dei beni ecclesiastici l'intera proprietà fu posta all'asta ed acquistata dalla famiglia Colibò che la rivendette successivamente al principe Marcantonio Borghese. All'epoca la villa-castello risultava ancora intatta nelle sue forme originali: il giardino quattrocentesco ancora integro, la cappella, ad oggi sopravvissuta, e gli annessi ancora nella loro originaria ubicazione. Solo il piazzale antistante appariva trasformato, con la piantagione libera di numerosi cipressi. Divenuto in seguito proprietà della famiglia Scaretti, Trebbio fu interessato negli anni 1936-37 da alcuni interventi di restauro che riportarono alla luce il loggiato sul cortile, interessando anche le decorazioni pittoriche dei soffitti lignei, che vennero ripulite. Le case rurali, che disposte su un'unica fila prospettavano sullo slargo antistante il fronte principale del Trebbio, erano già state probabilmente demolite fra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, ma l'annesso di servizio prossimo all'edificio, una costruzione articolata di rilevanti dimensioni appoggiata sul fianco sud-est, fu abbattuto in occasione dei restauri degli anni '30. Le fotografie d'epoca mostrano infatti come tale costruzione, in comunicazione diretta con la villa, persistesse fino all'inizio dei lavori. Conseguenza diretta di questi interventi fu l'isolamento perimetrale dell'edificio che da una parte modificò quella che era la sua organizzazione, non solo strettamente volumetrica e spaziale, ma anche gestionale, e dall'altra permise la minuziosa conoscenza di ogni dettaglio perimetrale, supportando conseguentemente la comprensione delle interessanti soluzioni adottate per superare gli oggettivi condizionamenti orografici del sito.

A Marjory Scaretti sono riconducibili alcune modifiche attorno alla casa e nel giardino. Davanti alla casa, dove si trovava il prato con i padiglioni di verzura riportati nella lunetta dell'Utens, venne costruito negli '30 del secolo scorso un giardino formale con spartimenti di piante sempreverdi - cipresso, alloro, bosso - arricchiti da rose. Un disegno traduzione di quella che era la visione del giardino rinascimentale toscano accreditata dagli storici inglesi della seconda metà dell'800 e mantenutasi fino al secondo conflitto mondiale. Sulla destra, al posto degli edifici addossati al corpo della torre, prese forma un rock garden adiacente al muro perimetrale dell'architettura, di gusto tipicamente inglese, e più a destra un altro frutteto. Sul retro venne creato un prato chiuso da una quinta di cipressi e ritagliata un'area adibita a giochi all'aperto. Si deve probabilmente all'iniziativa di Marjory Scaretti anche la piantagione dei cipressi attorno all'edificio, nonché l'incremento della cipresseta cinquecentesca.

In corrispondenza della parete del pergolato e della terrazza inferiore l'intervento appare più modesto, limitato ad una doppia siepe di cipressi con bordi di rose e lavanda a sottolineare la continuità delle rampe di scale. Il lungo pergolato di vite - testimonianza diretta degli elementi originali del giardino mediceo con un'aiola rialzata di rose e piante erbacee perenni da fiore al basamento delle colonne - è rimasto inalterato e così l'orto con gli otto spartimenti destinati a erbaggi, ben riconoscibili nella lunetta dell'Utens, uno dei quali era ed è ancora oggi, al di sotto del livello di calpestio, una conserva d'acqua per irrigare. Immediatamente sopra il pergolato poi un parterre arborato richiama, per la presenza di alberi da frutto, l'antica destinazione di area destinata a pomario.

 

Caratteri tipologici e architettonici:

Sorto come probabile sede difensiva per una piccola guarnigione militare a presidio della strada da Firenze a Bologna, il castello del Trebbio conserva pressoché inalterato l'aspetto serrato e chiuso di fortificazione medioevale nella massività del corpo di fabbrica a corte con pozzo centrale, basso e compatto, dominato da un robusto torrione angolare a pianta quadrangolare.

Il complesso, primo signorile esempio di residenza finalizzata allo studio, al colto riposo e alla pratica agricola per diletto di un dotto umanista quale Cosimo il Vecchio, si colloca su un'altura integrandosi grazie ad ingenti lavori cantieristici che implicarono anche una subcostruzione in pietra, agli scoscendimenti dell'articolata isometria locale. Appare a prima vista improntato a chiara omogeneità proporzionale e volumetrica, quasi a sottolineare l'unitarietà della matrice e del processo costruttivo.

La torre e l'edificio, entrambi a superfici intonacate continue, benché nella torre non a tutta altezza, si presentano infatti come una struttura unitaria nonostante l'irregolare planimetria, con un coronamento perimetrale continuo di beccatelli di differenti dimensioni nella torre e nel corpo più basso, sovrastato da un ballatoio merlato attribuito a Michelozzo, coperto da tetto a due falde in coppi. I due tipi di beccatelli, nella torre lunghi ed alti, come il tipo usato a Cafaggiolo dopo il 1451, nel corpo a corte con doppia mensola stondata del tipo uguale a quello usato a Careggi intorno al 1457, derivano da esempi trecenteschi.


Fig. 5
Fig. 5 Veduta della parte superiore dell'edificio e della torre della villa del Trebbio. In evidenza i beccatelli e i ballatoi merlati (Fotografia © Claudia Maria Bucelli, 2012)

Dal punto di vista formale il Trebbio sembra essersi mantenuto invariato, pur connotandosi ad oggi come un edificio isolato, essendo invece, originariamente, un articolato complesso che affiancava alla residenza padronale case di contadini e strutture gestionali di supporto quali il rilevante fabbricato appoggiato sul fianco sud-est, in adiacenza della torre, andato distrutto. Permane ancora a tutt'oggi la chiesetta ad aula unica, anch'essa attribuita a Michelozzo su commissione di Cosimo il Vecchio, recante all'interno una lapide che, facendone risalire la fondazione al 1364, la dichiara coeva alla villa.

Il fianco ovest dell'edificio presenta un andamento verticale a due livelli fuori terra, con il piano superiore caratterizzato da ampie finestrature regolari, listate lateralmente a stipiti squadrati di pietra serena, in quella tipologia poi divenuta una costante nel Rinascimento. Evidenti i segni di interventi diversi, ben leggibili per le cadute di intonaco, che rivelano la muratura di numerose finestre medievali, ben evidenti dall'incastonatura, nella conseguentemente disomogenea cortina muraria, delle riquadrature a conci di pietra. I lati est e nord rivelano analogie con la facciata principale, anche se lungo il fianco nord l'insieme delle aperture lucifere disegna una palese irregolarità, conseguenza dello sviluppo sfalsato, e temporalmente diacronico, dei livelli interni.

Il piano terreno della torre ospita un vano rettangolare che nel soffitto si suddivide in quattro vele maggiori dimezzate da lunette simmetriche. Lungo l'ala est si sviluppano tre ampie sale, destinate a cucina e relativi annessi, voltate con crociere fortemente schiacciate e senza peducci.

A fianco della torre si colloca l'ingresso principale, a ridosso della linea d'innesto con l'edificio a corte, che presenta una specchiatura ad arco a tutto sesto e chiave mistilinea, ed una incorniciatura, evidentemente successiva, che però si adatta alle dimensioni nel modulo quattrocentesco. Invece il portoncino e le due finestre del pianterreno, a sinistra dell'ingresso principale, appaiono chiaramente modificate intorno alla seconda metà del '600. Dall'ingresso principale si giunge ad un corridoio a sesto ribassato che in prossimità del cortile interno si raccorda all'analogo d'ingresso da sud, voltato a vele differenziate, poggianti su peducci di fattura elementare. Due arcate a sesto separano il cortile da un adiacente locale voltato a crociera dove la decorazione di uno stemma evoca le imprese di Medici e Sforza in inquadratura araldica invertita.


Fig. 3 Fig. 4
Fig. 6 Pianta del piano terreno della residenza medicea del Trebbio in Mugello, da GORI SASSOLI 1975 Fig. 7 Pianta del piano primo della residenza medicea del Trebbio in Mugello, da GORI SASSOLI 1975

La corte interna, lastricata in pietra serena e con pozzo a pianta ellittica centrale, ospita una loggia con vetratura collocata in tempi relativamente recenti, inframmezzata da tre pilastri ottagonali lapidei in semplici capitelli a foglia, all'interno della quale si trova una scala, attribuita a Michelozzo, addossata alla parete settentrionale e riparata da una tettoia.

Tramite questa scala si accede ad una loggetta che introduce alle sale superiori, affacciate sulla corte, restaurate nel 1936 e attualmente ben conservate, fra le quali quella che si ritiene essere stata la camera di Cosimo de' Medici. Disimpegnate queste sale, la scala rettilinea del cortile prosegue fino al piano nobile del fianco est dove, attraverso una modesta anticamera ed una grande sala, raggiunge un vano attiguo, in angolo con il fianco sud.

Questa ala si caratterizza per un nuovo innalzamento del piano di calpestio, ed in elevazione presenta al primo piano un locale analogo al vano sottostante, voltato a vele dimezzate innestate su peducci triangolari.

I livelli superiori risultano invece serviti da una scala in legno attestata all'orditura del solaio, mentre una modesta scala conduce al ballatoio merlato adiacente alla torre. Una sequenza di locali sotterranei coperti a volte, di altezza variabile lungo il lato est viene illuminata da un'alta finestratura. In loro corrispondenza si snodano gli ambienti superiori.

Dagli intonaci caduti risultò invece come le merlature del corpo della fabbrica fossero realizzate in laterizio nello stesso modo in cui lo erano quelle della torre, evidente indicazione di unitarietà di fattura. Ben netta è anche la differenza delle cornici delle finestre, che nel corpo principale sono risolte nella limpida linearità di semplici liste lapidee mentre nel corpo della torre sono conci di pietra squadrata collocati a spina poggianti su una lista di pietra e concluse da piattabanda pressoché triangolare. Si può quindi attendibilmente supportare l'ipotesi che la torre sia una preesistenza all'adiacente fabbrica, anche se risulta comunque difficile distinguere le preesistenze dall'intervento quattrocentesco. Non sono di grande aiuto a questo fine neppure le descrizioni delle varie portate al Catasto, che, probabilmente ricalcate le une sulle altre in volontaria finalità semplificativa, orientata ad un contenimento delle tasse, risultano pressoché uguali. Tuttavia emergono inequivocabili gli elementi michelozziani concordemente riconosciuti: la loggia nel cortile, la scala che conduce al piano superiore, quanto resta della "cisterna lateritia" e degli spartimenti dell'hortus conclusus, l'eminente realizzazione del pergolato, dalle rustiche colonne laterizie decorate a capitelli lapidei che ben rievocano quella classicità, ripresa dalle attitudini del dotto committente che si rigenerava nella semplicità della vita agreste, riprodotta nella rarefatta scansione di elementi antichi presenti nelle architetture che Cosimo il Vecchio condivise lungo l'intera esistenza con i circoli umanistici fiorentini.

L'edificio prospetta nel suo fronte principale su un altro giardino formale a perimetro irregolare a siepi di bosso e rose, anche se è visibile in alcuni tratti il gusto inglese che lo ha ispirato nei resti di un rock garden sul lato ovest, e dalla viabilità prevalentemente rettilinea perlopiù legata alla geometria delle aiuole e degli elementi presenti: vasche in pietra, sedili, un abbeveratoio circolare ed una fontana. Sul lato nord-est un prato circondato da cipressi con una vasca circolare, un pallaio, cespugli sparsi ed un'area rettangolare delimitata da un cordolo in pietra destinata al gioco, collegata al livello del castello da una rampa in pietra e mattoni ed alla zona est, il giardino delle piante da frutto tramite un'altra rampa in pietra. Il complesso è circondato da boschi di cipressi e querce sempreverdi e caducifoglie, campi coltivati e pascoli, un paesaggio di notevole spessore estetico.

Il pergolato a vite, che per il suo valore formale e soprattutto storico rappresenta l'elemento architettonico e vegetale di maggior pregio, costituisce l'unico esempio di pergolato originario di un impianto di giardino umanistico-rinascimentale ad oggi sopravvissuto e appartiene a quelle soluzioni a giardino che si componevano attorno all'edificio. Appartiene alla parte più antica del giardino, un'area rettangolare isolata da una bassa recinzione cui si accede attraverso un cancello in legno ai lati del quale si collocano sedili in pietra. Questa zona costituisce un esempio prezioso di modello quattrocentesco di hortus conclusus a terrazzamenti, di forma rettangolare suddivisa in otto spartimenti di aiuole di cui una è la cisterna d'acqua, separata dall'estensione della campagna attorno. E' appunto delimitata dall'unico pergolato rimasto dei due originari ivi presenti, come esplicitato nella lunetta dell'Utens, che è ritmato da 24 colonne in laterizio con capitelli in pietra arenaria di varie forme riducibili a tre tipologie principali: ionico di tipo michelozziano, a foglie d'acqua di sapore più arcaico e un terzo tipo più complesso a foglie d'acqua con scanalature, sui quali si arrampicano piante di Vitis vinifera collocate in cassette laterali di muratura. La pergola presenta capitelli simili a quelli del Bosco ai Frati, potendo quindi ipotizzarsi una datazione attorno al 1430.

 

 

 

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ASFi = Archivio di Stato di Firenze.

GDSU = Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Firenze.

MSTF = Museo Storico Topografico "Firenze com'era", Firenze.

 

 

 

 

 

* Architetto, Paesaggista, Dottore in Progettazione Paesistica, studiosa di paesaggio e di storia e simbologia dei giardini.

Per le fotografie © copyright di Claudia M. Bucelli è consentito l'uso purché sia correttamente citata la fonte.




NOTE

[1] ASFi, Catasto, Portate del 1427, Quartiere S. Giovanni, Gonfalone Drago, f. 54, c. 210.

[2] Ferrara M. Quinterio F., Michelozzo di Bartolomeo, Firenze, Salimbeni, 1984, p. 170.

[3] Ferrara M. Quinterio F., Michelozzo…cit., pp. 170, 171.

[4] Vasari G., Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, 1a ed.1568, ed. 1991, Roma, Newton Compton, p. 366.

[5] Ferrara M. Quinterio F., Michelozzo…cit., pp. 170, 171.

[6] ASFi, Catasto, 60, Quartiere di San Giovanni, portata di Averardo de' Medici, 1427, c. 82 e segg.



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