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Il giardino di Boboli  
Claudia Maria Bucelli
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 6 Dicembre 2013, n. 696
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Il giardino e il contesto paesaggistico:

Il giardino di Boboli, straordinaria estensione di hortus urbano - e ciò nonostante soggetto interessante anche per la diversità floristica e faunistica che lo caratterizza - uno dei più importanti esempi di giardino formale del Rinascimento italiano nonché prototipo assoluto, con Palazzo Pitti, di complesso architettonico e paesaggistico unitario e coerente, è un parco storico di notevoli dimensioni, circa 45 ettari, collocato nel cuore della città di Firenze. Confina con il complesso della reggia di Pitti, con piazza Pitti e parzialmente con via Romana, nonché con le proprietà private disposte lungo tale asse urbano. Confina inoltre con il Museo Zoologico, con piazza della Calza, con il complesso museale/universitario della Specola, con il complesso dell'Istituto Statale d'Arte di Firenze, con parte dell'antico circuito delle mura arnolfiane e le retrostanti proprietà private, contraddistinte dalla presenza di alcuni oliveti, a ridosso del Viale dei Colli, con il Forte Belvedere, con l'ex convento di San Giorgio alla Costa e con altre proprietà private.

Vincolato per circa quattro secoli al ruolo di giardino di reggia, luogo di rappresentanza del potere e del fasto della famiglia regnante, teatro della vita di corte per sontuosi allestimenti scenici, festeggiamenti di sponsali e per i più celebri e magnifici episodi venatori dell'Europa intera, non ha sofferto periodi di forte degrado e abbandono, comprendendo invece frequenti, talvolta importanti, modifiche nel proprio assetto architettonico. Estensione dominante l'Oltrarno, da un lato verso il fiume, quasi a raggiungere il cuore della città, dall'altro verso le mura urbane che marcano il confine con l'adiacente antico contado, oggi eminente tipologia storica di paesaggio agrario, Boboli costituisce anche un vero museo all'aperto. Una preziosa raccolta d'arte en plain air, per l'impostazione architettonico-paesaggistica del sito e per la collezione delle pregevoli sculture, che dai più antichi esempi romani percorrono secoli di attività artistica e raffinato collezionismo fino a tutto il xx secolo proiettandosi nelle attuali installazioni temporanee e permanenti di arte contemporanea. Costituisce ad oggi parte integrante del sistema dei musei del Polo Museale Fiorentino.

Nato come giardino regale e luogo teatrale e scenografico rappresentativo per la residenza di palazzo Pitti, Boboli si colloca in un ampio spazio incuneato fra via Romana e l'antica cerchia muraria, connettendosi anche al Forte di Belvedere, avamposto militare cinquecentesco a ridosso delle mura medievali, con varie entrate di accesso da Palazzo Pitti, da via Romana, dal piazzale di Porta Romana, dal Forte dai Belvedere. Il sito si connota attualmente come un ampio spazio verde a forma vagamente di triangolo allungato, con pendenze variabili, anche notevoli, e due assi quasi perpendicolari che si incrociano vicino alla Fontana del Nettuno, realizzata nel 1571 da Stoldo Lorenzi, a partire dai quali si sviluppano una serie di terrazze, viali e percorsi secondari, vedute prospettiche con statuaria, radure, episodi a giardino e annessi architettonici in continua successione di visuali, corridoi prospettici, scorci scenografici.

L'asse più antico, simmetrico alla facciata posteriore di Palazzo Pitti, si allunga verso il colle di Boboli intercettando sul retro dell'edificio l’anfiteatro, al cui centro venne collocato nel 1790 per volontà del granduca Pietro Leopoldo quell’Obelisco Egizio, unico in Toscana, risalente al 1500 a. C. Eretto a Roma nel Tempio di Iside al Campo Marzio dall’imperatore Domiziano, l’obelisco fu a lungo ivi esposto nel giardino di Villa Medici e nel 1840 venne accoppiato in Boboli alla grande vasca a blocco unico di granito grigio, probabile provenienza dalle Terme Alessandrine di Roma.

1.                  La forte connotazione paesaggistica del giardino di Boboli e il suo costante legame visivo con Firenze e con i rilievi collinari all’orizzonte emergono nella successione dei plurimi scorci panoramici sulla città e sulla campagna circostante che reiteratamente si intercettano lungo i percorsi di visita. Fotografie Claudia Maria Bucelli, 2012.

 

Lo stesso asse incontra più in alto il bacino e la Fontana del Nettuno, cui si accede da una doppia rampa ornata da tre statue di epoca romana, un Settimio Severo, un Magistrato ed una Demetra, dove vengono raccolte le acque che dalla sorgente situata sotto il Giardino del Cavaliere irrigano l’intera estensione di Boboli. Tutto attorno terrazzamenti erbosi digradanti ripropongono la forma dell'anfiteatro sottostante mentre in sommità si colloca la statua dell'Abbondanza che sostiene un covone di grano in bronzo dorato, commissionata da Ferdinando I per commemorare la prima moglie di Francesco I de' Medici Giovanna d'Austria e realizzata nel 1636 da Pietro Tacca su lavoro iniziato dal Giambologna nel 1608. Dietro si stendono le muraglie difensive che dal vicino Forte Belvedere dominano percorsi ombrosi ricchi di alberi e siepi. Poco lontano sorge il Giardino del Cavaliere che si colloca sopra un bastione delle fortificazioni realizzate da Michelangelo nel 1529 in previsione dell'assedio dell'anno seguente al quale si accede da una scala a tenaglia progettata da Zanobi del Rosso tra il 1790 e il 1793, adorna di due statue, Flora e Giove, di Giovanni Caccini. Questo giardino formale accoglie specie rare e odorose di dalie e rose, una fontana centrale, detta Fontana delle Scimmie per le statue di tre scimmiette che l’adornano e il Casino del Cavaliere, una palazzina costruita verso il 1700 su commissione di Cosimo III dove il cardinale Leopoldo de’ Medici teneva conversazioni artistiche e letterarie e dove Gian Gastone aveva il suo ritiro, che dal 1973 è sede del Museo delle Porcellane.

 

Quasi all'altezza della statua marmorea dell'Abbondanza si colloca la Kaffeehaus, un padiglione in stile rococò realizzato nel 1776 da Zanobi del Rosso alla cui base, circondata da una scala a doppia tenaglia, si trova una grotticina. Questa architettura rappresenta anche il punto visivo di fuga del Viottolone, il grande viale prospettico che, perpendicolare al primo realizzato, retrostante Palazzo Pitti, costituisce il secondo asse di ampliamento del giardino.

Dalla Kaffeehaus è immediata la connessione all'ingresso a Boboli dal Forte Belvedere, ai bastioni difensivi, all'accesso al prato digradante con al centro la fontana seicentesca di Ganimede, nonché, sul lato est, a tergo del fianco sinistro del palazzo, alla Grotticina di Madama. Detta anche 'del Menabuoni', la grotticina fu realizzata da Davitte Fortini su progetto del Tribolo fra il 1553 e il 1555 per Eleonora di Toledo, ed è la più antica delle grotte di Boboli. Arricchita di spugne, stalattiti, dagli affreschi a grottesche del Bachiacca e dalle suggestive sculture di Giovanni Fancelli - putti e capricorni su una vasca ovale con uno sfondo di figure zoomorfe - costituisce il prototipo di uno schema poi largamente sviluppato nelle grotte dei giardini medicei. La grotticina si trova a un'estremità del cosiddetto Giardino di Madama, realizzato attorno al 1570 per Giovanna d’Austria. Ad esso adiacente si colloca L’orto di Giove, un giardino formale di pianta rettangolare con al centro la statua di Giove seduto di Baccio Bandinelli, sucessivamente al quale due sculture antiche del II secolo di barbari sottomessi in vesti di granito rosso, già a Villa Medici, segnano l’accesso all’area.

 

Poco distante, appoggiata al muro perimetrale sopra cui corre il Corridoio Vasariano, è situata la Grotta del Buontalenti o Grotta Grande, costruita tra il 1583 e il 1593 su incarico di Francesco I de’ Medici e preceduta, vicino all'uscita su piazza Pitti presso il Rondò di Bacco, dalla Fontana del Bacchino. Esemplare in stile grottesco, la fontana è dominata dalla figura dell'obeso nano Morgante, il più popolare dei nani di corte di Cosimo I, ritratto nel 1560 da Valerio Cioli nudo e a cavalcioni di una tartaruga.

 

2.                  3. Veduta della statua del Nano Morgante e sullo sfondo la Grotta Grande (sinistra) e scorcio del Viottolone (destra). Fotografie Claudia Maria Bucelli 2010, 2012.

 

Le realizzazioni scultoree polimateriche della facciata della Grotta Grande, di mano di Giovan Battista del Tadda, furono rimaneggiate in un restauro ottocentesco. Ai lati dell'entrata due nicchie contengono le statue di Cerere e Apollo opera di Baccio Bandinelli. La statuaria della prima camera, dalle cui pareti rocce, stalattiti, spugne, conchiglie sembrano prendere vita componendosi in figure antropomorfe e zoomorfe, fu realizzata da Piero Mati, ispirandosi forse al mito di Deulcalione e Pirra, e compongono con gli affreschi di Bernardino Poccetti la più singolare manifestazione d'arte delle grotte dei giardini fiorentini. Nella seconda camera, dove si ritrovano analoghe decorazioni con stalattiti e conchiglie e affreschi, è ospitato il gruppo marmoreo di Paride che rapisce Elena realizzato nel 1580 da Vincenzo de’ Rossi, mentre la terza camera, ancora allestita come una grotta con affrescato un cielo fittizio con voli di uccelli, ospita la Fontana di Venere del Giambologna.

 

Sul lato ovest, prima di giungere al Prato dell'Uccellare che costeggia il bacino di Nettuno - "uccellare" significa cacciare piccoli volatili e il luogo idoneo era appunto una radura in una macchia boscosa, qui corrispondente all’ideale imbocco prospettico del secondo asse del giardino, il Viottolone, un lungo rettilineo percorso circondato da ragnaie, lecci e cipressi secolari - si incontra una scalinata fiancheggiata da siepi e decorata da due statue di Muse sedute presso la quale si colloca il gruppo marmoreo della Lavacapo realizzata da Valerio Cioli fra il 1595 e il 1597 per Ferdinando I.

Il Prato dell'Uccellare, collocato in posizione rialzata, segna il confine con la parte occidentale del giardino. Al centro è dominato da una colonna spezzata, mentre su un lato si colloca una delle opere contemporanee ospitate a Boboli, la monumentale testa bronzea di Igor Mitoraj, ivi collocata, e poi mantenuta, in seguito agli allestimenti della mostra sull'artista polacco del 2002. Al di là si distende il cosiddetto Prato del Pegaso, un declivio collinare che riporta verso palazzo Pitti e la palazzina della Meridiana. Questa zona dai grandi alberi isolati e asimmetrici, arricchita da altre statue e dalla grande vasca di granito, deve il suo nome alla scultura marmorea di Pegaso, opera ottocentesca di Aristodemo Costoli. Nei vialetti ombrosi che occupano l’ampia area tra l'anfiteatro e il prato del Pegaso si trovano inoltre le due curiose architetture coperte da cupole e parzialmente interrate delle ghiacciaie granducali.

 

Il Viottolone, un ampio viale in ripida discesa affiancato da due filari di cipressi piantati nel l637, decorato da numerose statue, romane e settecentesche, segna l'asse secondario del giardino in direzione sud-ovest. L'area a sinistra del Viottolone, già un tempo occupata da labirinti, ospita oggi il viale serpentino per il rondò delle carrozze e l'antica vasca centrale, ora circondata da un'aiuola ellittica. L'area di destra, prima dedicata alla caccia, ospita oggi anche l'orto murato. L'imbocco del lungo percorso, ai cui fianchi corrono due gallerie rettilinee suggestivamente circondate dalla vegetazione, è segnato da due statue di Tirannicidi greci collocati davanti a una scenografica quinta di cipressi e siepi di alloro. Questo lungo cannocchiale prospettico è tagliato perpendicolarmente da tre viali laterali che creano in quest'estesa zona del giardino sei scomparti. Il primo viale è coperto sui lati da pergolati di lecci che formano due gallerie arredate da bassi sedili in pietra e statuaria al punto di incrocio, opera di Giovanni Caccini: la Prudenza, Esculapio, Ippolito morente, l'Autunno e l'Higea. All'incrocio del secondo viale sono collocate altre quattro statue, tre romane, un Senatore, un Bacco e un Filosofo calvo, e una quarta, Andromeda, settecentesca. In fondo a sinistra, presso le mura cittadine, domina un busto colossale di Giove Olimpico, attribuito al Giambologna con accanto la fontana dei Mostaccini, opera eseguita fra il 1619 e il 1621 da Romolo del Tadda, una serie di piccole vasche digradanti a mascheroni collegate da canalette che versano acqua da un livello all'altro, attirando in antico piccoli volatili poi catturati nelle ‘ragne’, le reti, del vicino boschetto. Dal terzo viale perpendicolare, quello più a sud-ovest, partono numerosi percorsi che intrecciandosi conducono al segmento finale del giardino, mentre al suo incrocio con il Viottolone siepi di bosso disegnano quattro esedre nelle quali sono collocate altrettante statue: Esculapio, Andromeda, Ninfa e la Modestia. Nei pressi anche gruppi scultorei di fattura settecentesca: i Giocatori alla pentolaccia di Giovan Battista Capezzuoli e i Giocatori del saccomazzone di Orazio Mochi su disegni di Romolo del Tadda.

 

Al termine del lungo asse prospettico l'arredo botanico muta, terminano i cipressi e lo spazio si allarga sulla forma della Vasca dell'Isola, chiamata anche Isolotto e realizzata su progetto di Alfonso e Giulio Parigi dal 1618. L'area della vasca è totalmente circondata da alte siepi di leccio, quinta vegetale alle numerose statue di pietra e marmo che raffigurano soggetti mitologici, storici, campestri, popolani. Al centro del piazzale si erge da protagonista il geometrico bacino ellittico con l'isola centrale accessibile da due passerelle i cui cancelli sono sostenuti da colonne su ciascuna delle quali si trova la statua di un Capricorno, animale simbolo del potere di Cosimo I, e ai lati fontane che versano acqua in conchiglie. Sull'asse perpendicolare al Viottolone si trovano quattro fontane a livello della balaustra esterna, due per lato: le fontane delle Arpie e quelle dei Putti, decorate da delfini intrecciati, animali marini, mascheroni fantastici e statue a tutto tondo sulla sommità. A filo dall'acqua della vasca emergono alcuni gruppi marmorei della scuola del Giambologna realizzati nel 1637: il Perseo a cavallo verso sud-est e Andromeda a nord-ovest.

L'isola al centro del bacino è circondata da una ringhiera in pietra nelle cui interruzioni sono alloggiati gli orci di terracotta che nei mesi estivi ospitano la collezione di agrumi, ed ha al centro la fontana dell’Oceano, o del Nettuno, eseguita dal Giambologna tra il 1571 e il 1576 utilizzando per la tazza quello straordinario blocco di granito che il Tribolo aveva trovato all'isola d'Elba nel 1550, e che entrò a Firenze solo successivamente all'allargamento di Porta al Prato. La fontana, inizialmente collocata nel Prato dell'Anfiteatro - ed è lì che é raffigurata nella lunetta di Giusto Utens - nel 1637 venne definitivamente sistemata in questa collocazione. Supportata da un basamento a bassorilievi con il Ratto di Europa, il Trionfo di Nettuno e il Bagno di Diana, è composta di tre figure maschili sedute, i fiumi Nilo, Gange ed Eurfate, che versano le loro acque nell'Oceano, simboleggiato dalla vasca, sotto lo sguardo del soprastante Nettuno, il dio che presiede al sistema delle acque terrestri, posizionato al centro della composizione su uno sperone roccioso sul quale si trovano anche naiadi e tritoni.

 

In asse verso Porta Romana, separato dall'Isolotto da due boschetti simmetrici segnati da un ingresso neoclassico con piccoli obelischi, si trova il grande spiazzo semicircolare dell' Emiciclo o Prato delle Colonne, con le due colonne in granito rosso egiziano che sorreggono vasi in marmo bianco, un tempo appartenute a Lord Cower. L'Emiciclo è circondato sul lato curvo da platani intervallati da dodici nicchie verdi con statue. Il lato rettilineo è invece disegnato da una siepe di bosso con nicchie di verzura e quattro busti antichi di Giove Serapide, Giove, una divinità maschile e Claudio Imperatore. Nei pressi è anche la statua di Vulcano di Chiarissimo Fancelli.

La punta estrema del giardino, dietro l'emiciclo, è occupata da un rondò con siepi geometriche, dove sono collocate statue in pietra fra le quali tre figure grottesche di Romolo del Tadda, Venere, Amore e l'Architettura. Più avanti la fontana della Botticella, realizzata nel 1560 da Giovanni Fancelli, e l'Uomo che vanga di Valerio e Giovanni Simone Cioli. Davanti all'ingresso di Porta Romana si trova un Perseo di Vincenzo Danti, già alla villa medicea di Pratolino, circondato da un'esedra in bosso con un sarcofago romano che riporta le Fatiche di Ercole, e sul lato che costeggia via Romana altre statue fra le quali l'Uomo che scarica il secchio in un tino di Valerio e Giovanni Simone Cioli e l'edificio della Limonaia. Frutto della trasformazione di una precedente fabbrica di mosaici, spugne e statue, la Limonaia fu edificata verso il 1778 su progetto di Zanobi del Rosso nel corso di una generale risistemazione del giardino voluta dal granduca Pietro Leopoldo. In questo sito al tempo di Cosimo III esisteva il Serraglio degli Animali dove venivano ospitati gli animali esotici. Le sculture sulla facciata rappresentano le Muse, riproposte anche nelle aiuole antistanti assieme al gruppo della Fortuna con cornucopia, tutte opere romane copiate da sculture ellenistiche, cui si affianca il Suonatore di cornamusa di Giovanni Battista Caccini.

 

4.                  5. Veduta della statua del Pegaso e della vasca di epoca romana in granito grigio (sinistra) e

 del bacino dell’Isola (destra). Fotografie Claudia Maria Bucelli, 2012.

 

Proseguendo lungo il vialetto parallelo a via Romana si arriva all'ingresso detto di Annalena, dal nome di un antico convento, con cancello affiancato da due leoni in pietra. La visuale da questo ingresso è abbellita dalla Grotta di Adamo ed Eva, costruita nel 1817 ad ospitare il gruppo scultoreo di Adamo ed Eva realizzato da Michelangelo Naccherino verso il 1616, avanzata da una piccola esedra con due colonne che sostengono un architrave, e con all'interno decorazioni di concrezioni spugnose e mosaici in ciottoli policromi. Più avanti si trova la Palazzina di Annalena, una piccola costruzione in stile neoclassico dell'architetto Cacialli, e la Palazzina della Meridiana che prende il nome dalla meridiana che la attraversava all'interno, opera in stile neoclassico iniziata da Gaspare Maria Paoletti sotto il granduca Pietro Leopoldo nel 1779 e terminata da Pasquale Poccianti nel 1822-1840. Conserva gli affreschi con episodi tratti dai Promessi Sposi realizzati dal pittore ottocentesco Nicola Cianfanelli ed ospita la Galleria del Costume. Adiacente si trova il Giardino del Conte, chiuso da una cancellata e schermato da una siepe di lecci e allori.

 

 

Aspetti topografici e naturalistici:

La collina di Boboli è stata interessata fin dai tempi più remoti da insediamenti umani che, stratificandosi e sovrapponendosi, hanno lentamente definito un contesto ambientale e architettonico di eccezionale interesse. Sviluppatasi contemporaneamente alla colonia romana di 'Florentia', questa particolare area di Oltrarno risentì nel periodo adrianeo di una manifesta floridezza economica, legata anche alla realizzazione della ‘Cassia Nuova’, nonchè di una eccezionale espansione edilizia consolidatasi successivamente con il completamento nel 1258 delle mura di Oltrarno e la coeva costruzione del nuovo ponte a Santa Trinita, che imposero all’area una conclusiva forma urbana poi definitivamente strutturata nel 1333 con l'ultima cerchia muraria comunale. L'imponente perimetro difensivo inglobò, oltre a numerosi giardini conventuali, anche vaste estensioni di terreno libero, poi divenute oggetto di una vertiginosa azione speculativa - specialmente da parte dei Monaci Olivetani e delle Benedettine di Santa Felicita assieme alla famiglia Bagnesi, che nel 1290 risulta in possesso di rilevanti porzioni della collina - successivamente unificate nella proprietà granducale.

Toponomasticamente Boboli deriva dalla radice germanica longobarda Bobilo -a -olin, presente anche in altre località della Toscana, e potrebbe riferirsi alla presenza in età adrianea di bubilia, o stalle bovine, utilizzate per la mattazione degli animali e il rifornimento del centro urbano, collocate in un'area esterna alle mura in osservanza a principi religiosi. L'ipotesi del Pieri attribuisce la toponomastica dei luoghi alla proprietà di tale Bobilo, signore longobardo. Il borgo risulta citato nel 1172 come 'Bogole prope Florentiam [1] ', e ancora nel 1249, in merito ai beni dei Mannelli, 'in villa Bogole' [2] . Ancora nel 1397 si ricorda un "loco dicto al monte al pozo toschanelli sive a bovoli" [3] .

Nella traduzione cartografica della planimetria del Bonsignori è possibile apprezzare il raffinato equilibrio colturale e la complessa organizzazione interna della fattoria di Boboli e della relativa tenuta agricola, sviluppata attorno all'articolata rete dei suoi viali e ai suoi due specchi d'acqua, il più ampio dei quali era quel 'lagho vecchio' ripristinato da Giulio Parigi nella formazione del vivaio dell'Isola tra il 1613 e il 1615. Emerge già evidente in questo documento cartografico come il giardino si ripartisse nell’ampia area libera sul retro del palazzo quale sistema verde ordinato e con ogni probabilità altamente variegato in diversità floristica, una organizzazione di insulae vegetali separate da numerosi percorsi.

Nella lunetta dell’Utens compare una similare modalità distributiva: il composito sistema formale di Boboli, caratterizzato da una quinta arborata alle spalle di Palazzo Pitti e da altri tematismi a giardino vi è rappresentato strutturato in modalità anche produttive, come una organizzata fattoria: giardini di fiori si alternano alle insulae, ai selvatici, alle ragnaie, ai frutteti, alle vigne, tutti differenziati formalmente e dal punto di vista delle specificità botaniche. Ricordata anche nello Scrittoio delle Possessioni come 'fattoria del Pitti', il complesso di Boboli rimase ancora successivamente caratterizzato dal punto di vista gestionale quale struttura aziendale produttiva complessa, che richiedeva in fase di esercizio una manodopera numerosa.

Verso la fine del Cinquecento i confini della tenuta granducale dovevano estendersi fino all'altezza di via del Ronco, e con le aggregazioni, nei primi anni del secolo seguente, di altri fondi incolti o lasciati alle greggi, come appunto suggerisce il toponimo attribuito in antico all'intero comparto, si raggiunsero i definitivi confini della proprietà. Se ancora nel 1610 si riconosceva in prossimità di porta Romana l'esistenza di una vasta superficie libera, riservata ai “bestiami de' Pitti e Boboli", entro il 15 giugno 1611 si conclusero le vendite dei capi di bestiame, cessando le contabilità ogni riferimento alla produzione di frutta e di foraggi per le aree dove a breve sarebbero iniziati i lavori dell'ampia addizione seicentesca. E forse proprio questa data può essere riferita all'avvio formale dei lavori, da allora registrandosi la medesima contabilità, alla fine dello stesso mese, con somme regolari destinate agli interventi di sterro e di livellamento dei suoli nel 'giardino de' Pitti e Boboli', sottolineando in primis quella specifica distinzione tra vecchia e nuova 'fabbrica' che verrà conservata fino alla seconda metà del Seicento.

 

6.                  7. Vedute della fontana dell’Oceano con la statua del Nettuno al centro della vasca dell’isola (sinistra) e del gruppo scultoreo di Adamo ed Eva nell’omonima grotta (destra). Fotografie Claudia Maria Bucelli, 2012.

Come più tardi per i Lorena che ponevano sul mercato i prodotti non adatti ad essere consumati sulle tavole granducali, anche per i Medici alla funzione prettamente decorativa e rappresentativa si accompagnò sempre in Boboli - in cui sembravano concretizzarsi spazi differenziati quali 'orti comuni', 'orti gentili' e 'giardini' - la presenza di specie orticole e fruttifere e vigne per la produzione di uva da tavola e vino pregiato. In particolare l'impianto della 'vigna di moscadello' di Eleonora di Toledo era anche un riferimento topografico nel giardino, in un'area, in seguito occupata dalla Kaffeehaus, compresa tra l'invaso del prato grande e la ragnaia fino al 'guasto' del forte San Giorgio. Se dunque già nel giardino cinquecentesco la componente decorativa non era affatto immune da processi produttivi e la vendita dei prodotti quali frutta, ortaggi, legname ricavato dalle potature e la produzione di fiori contribuiva a determinare una rendita autonoma nel bilancio economico della proprietà, tale rimase successivamente con la gestione lorenese, durante la quale una ricca produzione orticola veniva rivenduta, riportando con regolarità nei registri contabili le entrate relativamente alla voce di ciliege, ciliege amarene, carciofi, susine, cipolle, radicchi, spinaci, rughetta, ma anche grano, olio, orzo e avena. Se una modesta produzione era finalizzata alla mensa granducale, la maggior parte delle derrate veniva offerta al mercato, concorrendo a mantenere Boboli, tale rimasto anche sotto il governo lorenese, che diramò precise disposizioni a regolarne la coltura degli ortaggi e dei frutti, una tenuta agricola di rilevante produttività [4] .

 

8.                  Palazzo Pitti e il retrostante giardino di Boboli nella lunetta di Giusto Utens, in Daniela Mignani, Le ville medicee di Giusto Utens, Firenze, Arnaud, 1980.

 

Cenni storici:

Nel 1341, reinvestendo in visibilità e prestigio i proventi di una fiorente attività, Cione di Bonaccorso Pitti, esponente di un'emergente ed ambiziosa famiglia di mercanti, acquistava in Oltrarno un primo nucleo di patrimonio con tre case, annessi e un vasto 'horto' confinante con le terre dei vicini monaci Olivetani. In seguito Luca di Bonaccorso Pitti acquisiva un ulteriore appezzamento su cui edificare quel 'palazzo novo' che, tra le tante fabbriche presenti in Firenze nella prima metà del Quattrocento, sarebbe emerso qualche anno dopo in Oltrarno nei pressi delle antiche mura lungo le pendici del colle di 'Bogoli'. Una 'fabrica' di notevole rilevanza, probabile progetto di Luca Fancelli con anche il coinvolgimento di Filippo Brunelleschi, suo maestro. Una 'fabrica' sorta da un nucleo di edifici "cum orto retro dictas domos et cum puteo et logia" [5] , confinanti anche con un podere 'a bovoli' [6] divenuti poi, per volontà dello stesso Luca Pitti, quel palatium novum iniziato almeno nel 1454 e già inserito nella portata catastale del 1469 cui si affiancava il giardino rinascimentale dei Pitti, nucleo del successivo Boboli.

Già nel 1457 il catasto ricordava, a corredo del rilevante intervento architettonico dell'edificio, in seguito definito dal Machiavelli "al tutto maggiore che alcun altro che da privato cittadino infino a quel giorno fosse stato edificato" [7] anche un vasto parco, con "vignie et giardini" [8] , delimitate per alcuni tratti dalle fortificazioni dismesse del 1265. Alla dimensione di 146 staiora fiorentine la proprietà giunse in successive fasi di ampliamento ed annessioni, presentandosi già alla metà del XVI secolo con "tutte le dette terre [...] ridotte a uso di detto giardino" [9] e con un impianto botanico definitivo. Nel 1472 la portata catastale sottolineava, prologo visuale alla prospettiva della collina retrostante, la presenza di piante di alto fusto all'interno del giardino formale, illustrato anche da Vasari come chiuso da un ampio portale che ne precludeva la visione da sguardi indiscreti. In esso, esempio innovativo di quella aspirazione del 'vivere in villa' che univa ideologicamente i nuovi palazzi patrizi fuori ma anche entro le mura cittadine, sopravvivevano probabilmente archetipi medievali affiancati da coeve evocazioni classiciste, con orti, vigne, siepi e bordure mantenutesi fino al 1530, anno in cui la riaffermazione del principato mediceo determinò la totale rovina del giardino dei Pitti. La proprietà della famiglia, prima ben identificabile, nella Pianta della catena e nella Veduta di Firenze di Francesco di Lorenzo Rosselli come giardino segreto murato, ricco di piante d'alto fusto e descritto nei documenti catastali come abbondante di vigne e frutteti, per il suo confinare proprio con porta a San Giorgio e la fortezza di San Miniato - cardini della difesa repubblicana dove furono realizzati un baluardo e lunghissimo bastione, con un 'gagliardissimo cavaliere' - e per l'essere adagiato lungo quella cinta perimetrale che scendeva fino a porta a San Pier Gattolini, durante l'assedio di Firenze subì danni ingenti. L'affresco di Giorgio Vasari e di Giovanni Stradano nella Sala di Clemente VII a Palazzo Vecchio la rappresentano spoglia e priva di esemplari botanici. Negli anni successivi il giardino sarà ulteriormente intaccato dall'edificazione di nuove difese, poi completate con un 'bastione di mura', voluto da Cosimo I, e in conseguenza alla crisi economica e alla decadenza della famiglia Pitti il prestigioso complesso, in parte incompiuto, praticamente abbandonato, verrà definitivamente acquisito nel febbraio del 1549 (stile fiorentino) da Eleonora di Toledo [10] .

Fra le molteplici motivazioni alle origini dell'acquisto doveva essere la volontà di fornire alla corte ducale giardini tali da competere con lo splendore dei paradisi napoletani dei Viceré che la granduchessa aveva fino a qualche anno prima vissuto nelle possessioni paterne. La scelta del complesso di Pitti, tanto dimensionalmente e visivamente emergente nella Firenze repubblicana da mantenere anche nei secoli successivi l'originaria denominazione, appariva a questo fine particolarmente felice. Non soltanto la mole dell'edificio signorile, la più grande dimora mai costruita fino ad allora in Firenze, ma soprattutto la presenza, rara nel frammentato tessuto urbano medioevale, di un vastissimo spazio inedificato, aristocraticamente separato dalla realtà cittadina, si offrivano allo scopo. Un tale ampio possesso avrebbe infatti consentito la creazione di un superbo giardino, degno del titolo ducale, protetto lungo i confini dai muri di cinta delle proprietà limitrofe, dalle antiche mura urbane e, verso sud, dai nuovi bastioni eretti da Cosimo I, ed in armonia con la preferenza della granduchessa Eleonora della vita in villa, più salubre e benefica. Non a caso immediatamente dopo l'acquisto gli sforzi progettuali ed economici furono diretti alla realizzazione del giardino, prima che a quella del palazzo. Dall'atto della vendita si rileva come la proprietà fosse descritta sotto il nome di "palazzo e orto de' Pitti", e comprendesse appunto con l'edifico principale, "cum dome seu domibus retro vocatis el case vecchie cum platea anteriore usque ad viam publicam seu magistram cum cortile lodia plateis fontibus et aliis eorum juribus et servitutibus et pertinentiis nec non orti magni incipienti a dicto palatio et se extendentis usque ad menia florentina staiora 146 vel circa" [11] compreso tra le mura arnolfiane, i bastioni del 1548 e i beni del monastero di Santa Felicita, anche il giardino, che si sviluppava già in quest'epoca su una superficie considerevole, pari a circa sette ettari e mezzo. Ingrandito a più riprese a partire dal 1551, ne fa fede il Libro dei ricordi e conti di Eleonora di Toledo [12] - un diario nel quale la duchessa registrò minuziosamente tutti gli interventi condotti dalla primavera del 1550 ai primi mesi del 1555 intorno alla "possessione de' Medici detta de' Pitti" - venne ulteriormente ampliato fino al 1567 con aggiuntive oculate acquisizioni. La proprietà medicea si costituì infatti nella sua progressione estensiva dalla fusione di numerosi piccoli poderi, ognuno dotato di annessi edificati, in seguito utilizzati ai fini gestionali dell'ampia possessione e come laboratori di scultura, di botanica e di vetreria, ed in parte trasformati, sotto Cosimo III, nel nucleo centrale del serraglio, definitiva unitaria sede delle collezioni zoologiche granducali.

Nei primi anni che seguirono l'acquisto fu curata da Eleonora di Toledo soprattutto la sistemazione del giardino e degli appezzamenti agricoli che, dalle case dei Pitti, si estendevano fino alle mura trecentesche della città. L'"Orto dei Pitti" fu accresciuto di due poderi acquistati l'uno nel 1550 dalle monache di Santa Felicita e l'altro nel 1551 dai Guidi di Monterigoli e fu arricchito, negli spartiti geometrici regolatori dell'ampio spazio variamente coltivato, con opere che sono ancora oggi elementi di grande pregio, fra cui la 'Grotticina di Madama', la più antica delle grotte presenti in Boboli, realizzata fra il 1553 e il 1555 per volere di Eleonora e successivamente modificata da Bernardo Buontalenti in onore di Giovanna d'Austria, moglie di Francesco I. Punto chiave della progettazione del primo impianto del giardino, celebrativa nell'allegoria pastorale scultorea delle virtù di Cosimo I, l’unico ambiente della grotticina riproponeva una struttura spaziale classica in cui si raccoglievano una vasca di marmo ovale ornata di putti che giocano con capricorni, emblema del potere del duca Cosimo, con capre e teste di ariete, sculture di Giovanni di Paolo Fancelli e Baccio Bandinelli.

In seguito i lavori di giardino e palazzo avanzarono parallelamente, in integrazione reciproca, a definizione di una nuova tipologia architettonica di villa suburbana collocata a ridosso dell'abitato cittadino, memore di citazioni archeologiche di ville romane e di riferimenti di rango alle origini della granduchessa. Un vero e proprio hortus albertiano, caratterizzato dall'importante sviluppo del giardino a discapito del ruolo prettamente residenziale, divenuto secondario. Un esteso sito, traduzione del primario modello di complesso architettonico e paesaggistico di reggia poi ampiamente riecheggiato a scala europea, con un sistema di spazi teatrali e rappresentativi - l'anfiteatro, il cortile, la stessa piazza antistante il palazzo - armonicamente collocati nel contiguo scenario paesaggistico, descritto esso stesso come 'un immenso anfiteatro creato dalla natura’ [13] .

La nuova degna dimora della famiglia regnante, arricchita da uno splendido giardino e circondata da frutteti e vigne, era nel 1558 ormai terminata. Eleonora morirà l'anno seguente, e la successiva nuova fabbrica continuerà per diverso tempo sotto la direzione del duca Cosimo I che aveva individuato nel sistema Pitti-Boboli la possibilità di realizzare la sede rappresentativa del proprio potere politico in speculare contrapposizione ai poli dell'antico potere mediceo in città, San Marco, palazzo Medici, palazzo Vecchio, la basilica di San Lorenzo.

Per quello che si preannunciava da subito come un intervento di progetto particolarmente articolato fu incaricato Niccolò di Raffaello Pericoli, detto il Tribolo, poliedrico artista già validamente sperimentato da Cosimo a Castello, e la trasformazione del nuovo grande giardino iniziò sotto la sua direzione. Alla sua prematura morte, avvenuta nel settembre del 1550, i lavori furono proseguiti, fino al 1554, dal genero Davide Fortini e da Luca Martini, che si attennero al progetto, minuziosamente definito fin nel programma decorativo, "tutti i disegni dell'Orto de Pitti e tutti gli indirizzi del povero Tribolo [...] perché diaino l'ordine per finir la piantata" [14] del maestro scomparso. A lui è oggi giustamente attribuita la piena paternità del primo impianto di Boboli, con la soluzione dell'asse centrale articolato nella sequenza del grande spazio del 'Prato' con fontana al centro - quella Fontana dell'Oceano, eseguita dal Giambologna fra il 1574 e il 1576 poi spostata all’Isola - dell'anfiteatro di verzura e della peschiera o vivaio grande dove successivamente fu collocato il Nettuno di Stoldo Lorenzi. A questo primario disegno si appoggeranno successivamente gli importanti interventi del Vasari, dell'Ammannati e del Buontalenti.

Nel 1551 la struttura principale del Giardino era definita, con la cava di pietra forte, con cui era stato costruito il palazzo, trasformata in invaso a forma di U, quell'Anfiteatro, menzionato anche come 'mezo tondo', spesso chiamato più semplicemente, associandolo allo spazio centrale, il 'Prato'.

In questa riqualificazione il Tribolo aveva adottato la forma ad ippodromo, di evocativa memoria, piantando sui terrazzamenti circostanti, come già a Castello, un sistema di alberature prevalentemente decidue ed intervenendo con faticosi lavori di sbancamento e scarpate a controllo delle forti pendenze. Le zone a nord, sistemate secondo compartimenti quadrangolari, vennero piantate con olivi, alberi da frutto e vigne, e, sugli spicchi semicircolari di fronte al palazzo, con una abetina. In un piccolo giardino segreto, presso la grotta poi detta "di Madama", furono piantati i frutti nani, prediletti da Cosimo I. Nel biennio 1551-52 il cantiere del giardino si presentava particolarmente vitale, predisposto alla messa a dimora di molte piante, fra cui 400 esemplari di alloro e numerosi melaranci e agrumi, piantati a spalliera lungo i muri di cinta e anche presso la grotta di Madama.

 

9.                  L’anfiteatro con l’Obelisco Egizio e la grande vasca a blocco unico di granito grigio. Fotografia Claudia Maria Bucelli 2010.

Un altro giardino, destinato alla coltivazione dei semplici, fu creato in sommità della collina, nel luogo detto "del Cavaliere", mentre una grande ragnaia, detta "dalla banda di Santa Felicita", ben identificabile nella lunetta dell'Utens, per la quale si acquistarono "allori corbezoli, noci, olmi, querce selvatiche, sanguini, silio, ruvistichi" [15] e oltre 1000 ginepri, fu piantata nella zona nord-ovest. Contemporaneamente alla piantagione di cerri, faggi, tigli, platani, castagni, noci, lecci e ciliegi giunti dai vivai di Castello e di Santa Liberata, fichi e innesti di pesco, giuggioli, lupini, aranci, limoni e cedri giunsero da Napoli, e particolare impegno fu dedicato alla realizzazione delle "fosse fogniate", una complessa rete di canali di drenaggio finalizzata ad ovviare al dilavamento superficiale e alla captazione della sorgente della Ginevra nella collina d'Arcetri, le cui acque furono convogliate e raccolte nel grande bacino a monte del Prato da cui un condotto alimentava la sottostante Fontana dell'Oceano del Giambologna [16] . Una derivazione secondaria alimentava un'altra conserva d'acqua presso la zona terminale del corridoio di collegamento fra Palazzo Vecchio e Palazzo Pitti, quel "vivaio" iniziato dal Vasari nel 1563 che fu il nucleo primitivo della Grotta Grande. Ancora l'immagine dell'Utens offre lo stato di Boboli dopo l'intervento dell'Ammannati, che, subentrato alla direzione dei lavori nel 1561, completò il giardino e il Cortile Grande, ampliando il palazzo secondo l'idea brunelleschiana del collegamento ideale fra la città e la collina retrostante nella cerniera architettonica dei tre grandi fornici centrali della facciata e nella realizzazione del terrazzo a conclusione del cortile, prolungamento dell'asse ottico verso la soprastante vasca del Nettuno, detta anche del Forcone, e la riorganizzazione visivo-percettiva dell'ampio spazio retrostante.

Il 1576 vide il compimento di un importante momento costruttivo di palazzo Pitti e il contemporaneo raggiungimento per la famiglia Medici del titolo granducale. Il palazzo, e con lui il giardino, alla fine del Cinquecento visita obbligata per viaggiatori, curiosi e tecnici pronti a riprenderne spunti e innovazioni, assumeva finalmente quel significato a lungo perseguito da Cosimo I, assolvendo la funzione di simbolo dell'autorità propria e della dinastia Medici, nonché della struttura e dominio del nuovo stato.

Già nel luglio 1568 si era effettuata la complessa devoluzione delle proprietà cosimiane assegnando a Francesco, figlio primogenito e pertanto, in linea di successione, primo futuro granduca, "il Palazzo de' Pitti con tutte le sue Statue e Suppellettili, Orti e Beni [...] due Case con Orto appiccicate al Palazzo [...] con sei poderi annessi al detto Palazzo" [17] . Segno del passaggio di Francesco I in Boboli è la Grotta Grande, piena espressione del gusto manierista fiorentino, adattata su un precedente vivaio del Vasari fra il 1583 e il 1587 su progetto del Buontalenti. Dall'ingresso, con capitelli e architravi emergenti dalla viva roccia si giungeva alle tre camere, l'ultima definita al tempo di Ferdinando I con la Venere del Giambologna, con i quattro Prigioni di Michelangelo che sorreggevano la copertura del primo vano e con l'occhio centrale che illuminava, nella luce filtrata attraverso il movimento dei pesci posti in una vasca di cristallo fissata all'apertura, le pareti eseguite in spugne e stucco, gli affreschi a false rovine e scene pastorali, realizzate da Pietro Mati e Bernardino Poccetti, e i pastori, le ninfe e le greggi emergenti, bagnati dai minuti getti e dalla sottile pioggerella che dagli alberi zampillava da tubi capillari, mantenendo umida la vegetazione di capelvenere posta tra le figure e le rocce [18] .

Alla prematura dubbia morte di Francesco titolo e proprietà passarono al fratello Ferdinando I che si insediò come granduca a Pitti, trasferendovi la residenza ufficiale nel 1587, conferendo definitivamente al sito il rango di reggia. E fu proprio in occasione delle sue nozze con Cristina di Lorena che il palazzo, ampliato dal Buontalenti nelle nuove ali ortogonali al corpo quattrocentesco e allineate alle terminazioni laterali dell'Anfiteatro progettato dal Tribolo, poté nuovamente esprimere, dopo lo splendido spettacolo del 'Torneo alla Sbarra' allestito in occasione delle nozze di Francesco I con Bianca Cappello, tutta la propria potenzialità rappresentativa. Fra i molti e grandiosi festeggiamenti per le nozze del nuovo granduca il più spettacolare fu la famosa Naumachia, rappresentata nel cortile dell'Ammannati che, coperto e trasformato per l'occasione in un bacino d'acqua, fu teatro di una vera e propria battaglia navale in miniatura. Oltre la compiuta Grotta Grande, sul fianco a nord-est del palazzo venne in seguito realizzato un magnifico giardino di fiori creato nel 1596 per Cristina di Lorena ma già distrutto nel 1606 per far posto ad uno spiazzo per spettacoli e coreografie militari.

Nel XVII secolo Boboli assunse una dimensione e un aspetto sempre più grandiosi per gli ampliamenti iniziati da Cosimo II e completati dal figlio Ferdinando II. I lavori, richiesti dalla necessità di adeguare la residenza di famiglia al prestigio e al rango acquisito per i vincoli con la dinastia imperiale degli Asburgo - Cosimo II aveva infatti sposato Maria Maddalena d'Austria - e dalla competizione con le nuove splendide residenze di Saint Germain en Laye e di Neugabäude [19] iniziarono nel 1612 sotto la direzione di Giulio Parigi, già collaboratore del Buontalenti. Alla sua sensibilità si deve l'orientamento alla scelta degli scultori e dei decoratori che operarono per il giardino: i fratelli Pieratti, Cosimo Salvestrini, Agostino Ubaldini e molti altri artisti precursori del linguaggio barocco a Firenze. Il Parigi venne poi affiancato dal figlio Alfonso, con lui protagonista della nuova fase di lavori di Boboli nei primi decenni del Seicento, e da Gherardo Mechini, menzionato come 'ingegnere per i problemi statici' [20] .

Importante intervento dal punto di vista tecnico ed economico, l'ampliamento seicentesco si attuò a seguito dell'acquisto di aggiuntivi orti e poderi che occupavano il pendio della collina digradante verso porta Romana, disponendosi tra la via omonima, le mura trecentesche e il bastione cosimiano. La volontà di un distacco generazionale dal passato si ricava nettamente dalla separazione operata fin dall'inizio in chiave fisica, morfologica e descrittiva tra vecchio e nuovo impianto. L'Orto dei Pitti risultava infatti nettamente distinto dal Giardino di Boboli, nuova addizione seicentesca, raffinata estensione in declinazione marcatamente ludica, ben differenziata dal nucleo antico e dal suo simbolismo politico.

Cosimo II, intellettuale raffinato sensibile ai cambiamenti e appassionato di architettura, fu forse il reale progettista del giardino, operando sotto la supervisione tecnica di Gherardo Mechini. Il progetto, redatto intorno al 1610, appare incentrato tra elementi strutturalmente compositivi focalizzati alla resa prospettica e singoli episodi articolati in successione lungo un imponente viale rettilineo [21] . Questo secondo asse longitudinale di simmetria, perpendicolare al primo, centrato sul palazzo, chiamato anche 'viale dei Cipressi' o 'Viottolone', costituiva l'asse principale dell'ampliamento generale promosso da Cosimo II. Era allineato secondo la bisettrice del grande cuneo entro cui si collocavano i terreni dell'ampliamento, ed era interrotto dall'episodio dell'Isola.

All'ingresso di questo maestoso cannocchiale prospettico furono in un primo tempo create due terrazze per la coltivazione degli agrumi, favoriti dall'esposizione a sud e dalla possibilità di sfruttare, come supporto delle spalliere, le cortine murarie della fortificazione di Cosimo I. Da qui il viale conduceva alla zona dell'Anfiteatro e del Forcone, a un folto gruppo di ragnaie - nelle piante settecentesche le ragnaie risulteranno occupare aree così estese da potere definire il giardino di Boboli un vero e proprio sistema di 'ragne' [22] - ed all'ampia piazza rettangolare con terminazioni semicircolari con, al centro, l'Isola di analoga forma anulare, destinata a giardino di fiori e d'agrumi. Fra le mura trecentesche e il viale dei Cipressi fu creato anche un grande labirinto a pianta ovale, cui seguirà la realizzazione di altri due labirinti, uno in forma ancora ovale nel 1622, l'altro in forma ottagonale nel 1638. Le sagome ovali, ben leggibili nelle planimetrie di Marco Credo Vogt, 1652, e di Michele Gori, 1709, potrebbero ipotizzarsi quale riferimento alle orbite ellittiche dei Sidera Medicea, i satelliti di Giove scoperti agli inizi del Seicento da Galileo Galilei, precettore di Cosimo II fanciullo e successivamente onorata amicizia del regnante granduca e del figlio e successivo granduca Ferdinando II.

Fu inoltre creata la 'Cerchiata Grande', un viale coperto da un intreccio di rami di leccio che incrocia, a metà percorso, il viale dei Cipressi, e ancora, ai lati del viale, le 'Cerchiate Piccole', due lunghi passaggi coperti di dimensioni minori. Le contabilità dei lavori di Cosimo II ricordano puntualmente le opere murarie necessarie per l'impianto botanico dei labirinti, per la realizzazione di ‘due strade coperte’ a fianco del viale principale e per le cerchiate di castagni a mezza botte, collocate a separazione degli 'spartimenti maggiori' [23] .

Quando Cosimo II morì i lavori proseguirono per alcuni anni sotto la guida delle reggenti Maria Maddalena d'Austria e Cristina di Lorena, durante il cui governo vennero incrementate le coltivazioni di vite e di piante da frutto e costruita la palazzina del Cavaliere, e, successivamente, sotto il figlio Ferdinando II. Egli, insediatosi sul trono granducale nel 1629, proseguì, completandola, l'opera del padre, impegnando per il miglioramento ed ampliamento del giardino di Boboli un gran numero di scultori, scalpellini e decoratori. Del 22 ottobre 1630 fu il primo ordine di stanziamento dei fondi per la nuova fabbrica di Pitti-Boboli, nell'espresso desiderio di "dare in questo Anno (sic) penurioso impiego alli Artisti" [24] . Il 1630 era stato infatti segnato dalla peste, che colpì duramente con l'Europa anche la Toscana, lasciando dolorosi strascichi economici e sociali ai quali la ripresa delle fabbriche granducali rispondeva politicamente e socialmente, fornendo lavoro alla massa degli artigiani sopravvissuti e ai tanti nuovi indigenti.

Contemporaneamente ai lavori per l'ampliamento dell'edificio di Pitti dunque si procedette anche alle imponenti trasformazioni del giardino. Oltre alla costruzione dell'anfiteatro, tutta la collina fino a Porta Romana, che doveva apparire all'epoca un enorme spazio a cantiere in piena attività, venne inclusa nel nuovo progetto secondo gli orientamenti progettuali di Giulio e soprattutto di Alfonso Parigi. Al riordino del vivaio delle acque e dello spazio anulare che circonda la cosiddetta 'Isola’ si procedette quasi ininterrottamente tra il 1620 e il 1645. Vennero realizzate nell'intorno nicchie di verzura come sfondo di statue di contadini, uccellatori, cacciatori con cani, un vero e proprio teatrino rusticano di cui restano alcuni esemplari ben conservati, progressivamente arricchito, fino alla fine del XVIII secolo, di altri soggetti di carattere mitologico, biblico e allegorico provenienti da vari contesti.

Come specifica Litta Medri il vivaio dell'isola trovò un assetto definitivo nel 1637 con l'innalzamento della fontana dell'Oceano al centro dell'isolotto - al posto di una precedente allusiva a Venere, racchiusa in un tempietto sostenuto da colonne in marmo, con il Trionfo di Cupidi naviganti nell'acqua, i quattro Amori intenti a mettere in opera le loro arti seduttive, e il contorno villereccio della selva circostante popolata di contadini e cacciatori - dominata dal Nettuno del Giambologna e i suoi fiumi, sostitutivi della preesistente evocazione dell' isola di Citera legata al gusto di Cosimo II. Il nuovo impianto decorativo programmato da Alfonso Parigi riproponeva la celebrazione della politica granducale di Ferdinando II distinguendola da quella paterna, ricongiungendosi al programma celebrativo della Grotta di Mosè, allegoria del buongoverno mediceo.

Già nel 1628 palazzo Pitti era tornato, dopo l'intermezzo di Poggio Imperiale, ad essere il luogo di rappresentanza della dinastia medicea. Accanto agli interventi in Boboli il nuovo giovane granduca Ferdinando II predispose anche l'ampliamento del palazzo di residenza. Negli anni fra il 1630 e il 1640 si registrarono invii di sculture, mosaici, stalattiti e marmi provenienti da Carrara e Serravezza per la fabbrica, nonché pagamenti a scultori famosi per la grotta di Mosè, il cui apparato decorativo celebrava le virtù di Ferdinando in complementarietà iconografica agli emblemi di Vittoria della Rovere sua sposa.

L'originario ninfeo, conosciuto anche come 'grotta del cortile de' Pitti', era fulcro del nuovo rapporto fra il cortile dell'Ammannati e la terrazza sovrastante, passaggio tra l'imponente corte murata e la naturalità retrostante del giardino disteso alle sue spalle, connotato dall'ampio anfiteatro.

Ricavata la statua di Mosè da un antico torso togato nell'intervento di Raffaello Curradi e successivamente di Cosimo Salvestrini, le commissioni granducali per la decorazione della grotta, come poi della soprastante fontana del Carciofo, videro l'impiego, in complementarietà a Filippo Tarchiani che dipinse la volta, degli allievi di Giovanni Caccini, Agostino Ubaldini, Francesco Generini, Giovan Francesco Susini e Giovan Battista Pieratti, che con Domenico Pieratti, autore delle statue dell'Impero e dello Zelo, Antonio Novelli che scolpì la Legge e Ludovico Salvetti che produsse i due puttini di marmo rosso per le nicchie laterali e i due delfini di bronzo delle due fontane in marmo mischio, fra il 1635 e il 1642 lavorarono in tutte le maggiori commissioni medicee. In quasi vent'anni, nell'impiego di numerosi giovani artisti, Ferdinando II arricchì Boboli di un gran numero di sculture 'Moderne', ultimo atto del mecenatismo mediceo verso gli artisti fiorentini contemporanei. In seguito il giardino verrà arredato con opere provenienti da Roma o dalle collezioni granducali di Poggio Imperiale, Pratolino, e della Galleria [25] .

La costruzione della nuova parte del giardino comportò anche il rinnovamento funzionale e tipologico dell'impianto cinquecentesco preesistente retrostante palazzo Pitti, per il quale è documentato fra il 1631 e il 1637 l'avvio della trasformazione dell'’anfiteatro di verzura’ in una struttura permanente su progetto di Giulio Parigi, un luogo di spettacolo con le gradinate in muratura sormontate e delimitate da nicchie decorate ad arredi scultorei, accanto alla radicale trasformazione del bastione cinquecentesco, praticamente abbattuto per lasciare spazio a collezioni di aranci e spalliere di altri agrumi. Anche il terreno attorno alla peschiera cinquecentesca fu oggetto di importanti lavori, con modellazioni ad andamento semicircolare.

Come ben evidenziano sia la planimetria di Michele Gori (1709) che la descrizione del Cambiagi, i nuovi terrazzamenti circoscrivevano una esibizione di broderies fiorite a cornice di un imponente stemma di famiglia in bosso, ben visibile da palazzo Pitti, cui si aggiungevano nuove visuali prospettiche create con l'apertura di due grandi viali rettilinei fra le zone nord e l'imbocco del viale dei Cipressi presso il nuovo allargamento della rampa fra l'Anfiteatro e il Forcone. Un innovativo sforzo da parte di Ferdinando II nella finalità di traduzione barocca dell'antico impianto, cui si associò il costante perfezionamento dei 'verzieri' geometrici compositori del nuovo complesso sistema di percorsi basato sulla percezione prospettica dei cannocchiali visuali. Anche il margine meridionale dei labirinti venne arricchito, con la costruzione di una lunga fascia di ragnaie estese fino al confine inferiore del giardino, chiamate le Ragnaie dell'Isola e le Ragnaie della Pace.

Negli stessi anni si costruì anche la spezieria, collocata sul sito oggi occupato dalla Palazzina della Meridiana, dove venivano coltivate varietà officinali da Andrea Donnini, semplicista giardiniere incaricato e attento selezionatore, costantemente impegnato ad arricchire il patrimonio botanico del granduca grazie a viaggi ed esperimenti di ibridazione.

Nella prima metà del Seicento si esaurì la felice stagione creativa degli scultori fiorentini nel giardino di Boboli con la collocazione, sulla terrazza sopra la Grotta di Mosè, della Fontana del Carciofo, terminata nel 1642, adesione, seppur ancora su schemi manieristi, alle nuove coeve soluzioni barocche. Fu Giovan Francesco Susini che innalzò all'interno della vasca ottagonale, arricchita dai dodici amorini provenienti dall'antico complesso statuario dell'Isola creato nel 1620 da Cosimo II, un'elaborata struttura a candelabra con due grandi tazze in marmo mischio e granito grigio sostenute da coppie di nereidi e di tritoni [26] .

In seguito, e fino all'ultimo periodo mediceo, la gestione del giardino di Boboli fu orientata ad un attento controllo e alla conservazione dei beni e dei manufatti, come emerge dalla stessa planimetria del Gori, forse eseguita in ordine alla manutenzione a finalità conservative, perseguita da Cosimo III, di quello che era oramai uno splendido museo all'aperto. In un periodo di crisi politica ed economica la gestione fu rigorosa e attenta, e le integrazioni botaniche, fedelmente riportate negli inventari, vennero eseguite con esemplari provenienti dai vivai granducali.

Dopo la morte di Giangastone nel 1737 il granducato di Toscana passò agli Asburgo Lorena e per ventisei anni, rifiutandosi Francesco Stefano di Lorena di insediarsi stabilmente nel nuovo stato acquisito, fu governato da un Consiglio di Reggenza. In questo periodo, soppresse le antiche strutture amministrative medicee, si creò in sostituzione lo Scrittoio delle Fabbriche, la cui direzione fu affidata a Jean Nicolas Jadot. Quasi contemporaneamente, alla fine del 1737, giungeva a Firenze Louis Ferdinand de Nesle detto Gervais, dal 1735 riconosciuto ingénieur des jardins e dal 1736 dessinateur ordinaire de S.A.R. in Lorena, il 16 aprile 1739 formalmente nominato Directeur générale et dessinateur de bosquets et jardins del Granducato di Toscana. Gervais fu il primo ‘giardiniere’ della Maison Lorraine che operò in Toscana tra il 1737 e il 1756. A lui fu affidata, contemporaneamente a Boboli, anche la manutenzione dei giardini dei palazzi e delle ville già medicei. Allo Gervais si deve il riconoscimento, se non l’affermazione, di una professione fino ad allora sconosciuta a Firenze e in Italia, quella di un nuovo tecnico in competenze specifiche nel campo dell’architettura e della botanica, un nuovo professionista, il giardiniere, il cui rango professionale si equiparava a quello dell'artista e dell'architetto. Operando nell’ufficio a cui era stato destinato, per il quale doveva assicurare il mantenimento di ogni specie vegetale e di ogni elemento decorativo, provvedendo anche all’inventario degli utensili, dei vasi, delle piante di agrumi, beneficiando della vendita dei legumi prodotti e del legname ricavato dalle potature e dai tagli alle piante, Jadot propose per Boboli soluzioni particolarmente convenienti dal punto di vista economico. Fra queste la manutenzione ordinaria tramite pubblico appalto e la creazione di vivai destinati alla riproduzione di piante ornamentali e da frutto, costituendo una sorta di azienda arboricola specializzata per il trapianto, l’innesto e la potatura di formazione di giovani piante utili per il giardino della reggia e per tutti gli altri giardini delle antiche possessioni medicee. Tuttavia i suoi interventi in Boboli furono oggetto di aperte critiche e vivaci proteste da parte dei fiorentini per il taglio giudicato eccessivo di molti alberi e per alcune variazioni d'assetto, adeguato alla moda e al gusto francese in voga all'epoca, fra cui le nuove decorazioni dell’anfiteatro. La platea dell'anfiteatro in muratura divenne infatti nel 1740 un parterre de broderie su spunto delle tavole riportate nel manuale La Theorie et la Pratique du Jardinage di Dezailler d'Argenville pubblicato l'anno precedente [27] .

Con l'insediamento di Pietro Leopoldo di Lorena nel 1765 iniziarono sistematici lavori di restauro nel giardino di Boboli. Tra le prime iniziative intraprese dal nuovo granduca vi fu quella di annullare tutti i contratti di cottimo, in particolare quello relativo a Boboli, rescindendo l'impegno con Agostino Ricci [28] , fino ad allora capo giardiniere con l'incarico del "mantenimento e coltura di tutti quei che si trovano attualmente e compresi sul recinto di detto luogo [...] e mantenimento degli ortami, tutti gli aranci che si trovano, o sieno in vasi, o terra" [29] . Deplorando la politica paterna che aveva ridotto Boboli "in cattivo grado, simile ad un bosco inculto, per il sistema tenuto in passato per il suo mantenimento" [30] , il nuovo granduca dispose di realizzare un giardino di specie commestibili rare, attrezzato con couches e serre calde per la coltivazione di piante e frutti esotici sul perimetro del mediceo Orto degli Ananassi, affidandone il progetto a Giuseppe Ruggeri e Niccolò Gaspero Paoletti, coadiuvati per il programma botanico da Ulrich Prucker. Venne costruito un recinto esterno in muratura, caratterizzato da statue su piedistalli e vasi in terracotta su pilastri ai lati del cancello d'ingresso, tutto attorno all’ampia area delle spartizioni geometriche e agli strutturati formalismi del nuovo orto, arricchiti anche di spalliere sempreverdi e realizzati secondo quegli schemi da jardin potager probabilmente vicini alle tavole esplicative dell'Encyclopédie. Vennero posizionate stufe, cassette, coperti, per "ridurlo capace di fornire in tutte le stagioni quegli erbaggi, que' legumi e que' frutti, che non si trovano punto altrove, [...], Ananassi, il Caffè o altre piante esotiche" [31] . Si trattava di uno spazio destinato alla coltivazione di legumi, frutti, verdure, per avere in ogni stagione tutte le varietà di primizie e raffinatezze per la tavola granducale. Nel 1767 vennero acquistate 1500 piantine di fragole, 600 piante di asparagi giunsero da Pescia, con innesti per 57 albicocchi e 30 peschi, 100 peri e 70 meli di varie specie, susini, 900 cavoli verza, 600 cavolfiore, 400 broccoli, 4500 cipollini, 5000 cipolle [32] . Non si trattava tanto di un orto botanico, quanto di un orto giardino per il servizio delle cucine del granduca. Nello stesso periodo vennero comprati numerosi bulbi da fiore, "1000 cipolle giacinti doppi di olanda di varie specie e colori tutti da fiori [...], 250 tulipani [...], 200 cipolle narcisi di Olanda [...], piante di violi diverse" [33] . Il giardino del Cavaliere, il giardino di Madama, il vivaio dell'Isola vennero riforniti di bulbi di tulipani, ranuncoli, anemoni giacinti, tuberose e mughetti giunti direttamente dall'Olanda e da Genova.

Nel 1771 Paoletti iniziò la trasformazione di palazzo Torrigiani nella sede del Gabinetto di Fisica e Storia Naturale istituito da Pietro Leopoldo nel 1771, lavorando anche alla creazione di due orti botanici moderni posti a colmatura del dislivello altimetrico tra la nuova costruzione e il giardino di Boboli. Risolti con la costruzione di due terrazzamenti collegati da un terrapieno e organizzati per l'esposizione delle numerose specie botaniche in essi custodite - comprese piante esotiche d'altofusto - entro 132 spazi rettangolari, furono chiamati Giardino Botanico Inferiore e Giardino Botanico Superiore, o anche Botanica inferiore e Botanica superiore.

Il Giardino Botanico Inferiore, annesso al Museo di Fisica e Storia naturale, sorto per volontà di Pietro Leopoldo nel 1775, confinava con Boboli ed era un ampio spazio in cui vennero piantati semi e piante, provenienti dai paesi più lontani, portati a Firenze dall'abate Niccoli, in contatto a Parigi con i più celebri viaggiatori dell'epoca. Era uno spazio deputato alla sperimentazione ed innovazione finalizzate al miglioramento economico e gestionale del territorio toscano. Nei pressi si trovava la spezieria, che accoglieva dal giardino di Boboli agrumi e fiori di tiglio per la confezione di essenze e liquori. Nel 1777 furono inviati fiori d'arancio, rose, ribes, cedrati, mele, 420 'bergamotte', limoni, 'arance forti’ ma anche 'rose spicciolate', 'bottoni di rose', erba Santa Maria' [34] .

Ancora Zanobi del Rosso costruì la Kaffeehauss, frequente ritrovo per la famiglia granducale, situata sotto i bastioni del Forte di Belvedere, composta da tre volumi con svolgimento verticale, sormontata da una cupoletta 'a cipolla', eco del barocco viennese e del rococò allora in voga in molti giardini europei, e con tre terrazze con balaustra. Le rampe di accesso alla Kaffeehaus, decorato internamente da pitture di Giuliano Traballesi, Giuseppe Del Moro e Pasquale Micheli, coprivano una piccola grotta e i terrazzamenti erano nella parte inferiore coltivati a pomari, con nuove piantagioni di viti e alberi fruttiferi, e nella parte superiore caratterizzati dal terrazzamento della fontana del Ganimede con l'Aquila. Poco lontano, a sinistra, si collocava la grande uccelliera fatta trasportare da Pratolino [35] .

In luogo del serraglio degli animali voluto da Cosimo III, fu eretta, fra il 1777 e il 1778, una grande limonaia su disegno di Zanobi del Rosso, nel richiamo del verde e del bianco dell'intonaco del Kaffeehaus.

Sempre Zanobi del Rosso, in collaborazione con Niccolò Gaspero Paoletti, trasformò il bacino del Forcone, come era chiamato dai fiorentini il Nettuno, in chiave rococò. Statue e fontane furono restaurate o sostituite con copie da artisti coevi: John Harwood, Innocenzo Spinazzi, Giovan Battista Capezzuoli. Prima dell'arrivo di Pietro Leopoldo la platea dell'Anfiteatro era stata riempita, rialzando il livello di calpestio di circa tre metri con il terreno risultante dallo scavo per far spazio a una cappella Palatina, che non fu tuttavia mai realizzata. Da quest'operazione l'Anfiteatro, impoverito visivamente dell'originario basamento, venne ad essere mortificato nelle sue proporzioni, presentandosi nel 1775 suddiviso in grandi aiuole erbate, con il grande sterro della cava limitrofa colmato e decorato a grandi partiture di prato alternate ad aiuole. Dopo la costruzione nel 1778 della Kaffeehaus i terreni adiacenti a corona della nuova struttura, prima occupati da vigne, vennero trasformati, nell'ambito di un intervento di riordino generale, in giardino a partiture geometriche. Si trattò di interventi architettonici di rilievo, per i quali risulta dai bilanci un impegno notevole di rinnovamento botanico sulla base di un progetto relativo ad alcune aree ancora problematiche, come il prato dell'uccellare ed il pendio sottostante, risolti con una sequenza di rampe a tenaglia non realizzate.

Vennero inoltre posti in opera attorno a Forte San Giorgio tre 'piccoli giardinetti' per i granduchini lorenesi, denominati "Giardinetti per i Reali Arciduchini" o "Piccoli Giardinetti per i Reali Principini", collocati all'estremità sinistra del giardino, fra la nuova uccelliera dopo la Kaffeehaus e il passaggio che conduceva al Belvedere. Erano spazi verdi di ridotte dimensioni, finalizzati alla didattica dei figli del granduca, che dovevano con le proprie mani imparare a far crescere le piante secondo principi educativi che si ispiravano all'osservazione diretta della natura. Collocandosi in terrazzamenti, in una zona del parco in forte pendenza, erano collegati tra loro da scalini in pietra e da un sentiero a zeta, recintati da palizzate in legno e chiusi a chiave con un cancello, perché non vi entrassero estranei [36] . Vicino venne costruita una loggetta con panca murata per brevi soste. Vi era anche un'area molto privata del giardino, oggi nota come "giardino delle camelie", all'epoca denominata "giardino di SAR" o "giardinetto del sovrano" che costituiva il prolungamento esterno degli appartamenti di Pietro Leopoldo e della sua segreteria privata, inaccessibile agli estranei, che conteneva anche 'arboscelli da fiore', cioè camelie, e coltivazioni di diverse specie di viti.

L'orto seicentesco collocato nell'area compresa fra l'Isola e Porta Romana venne trasformato da Pietro Leopoldo in prato con vialetti e percorsi convergenti verso due colonne poste in opera dal Paoletti forse su idea di Leopold Prucker. Nel 1778, sulle rovine dell'antico serraglio mediceo, collocato nella parte meridionale del giardino di Boboli presso l'attuale ingresso di Annalena, fu costruito, negli anni 1777-78, il grande 'Stanzone degli Agrumi' o Orangerie, ricovero alle preziose colture, protette nei mesi freddi in un ambiente di raffinata praticità.

Nacque in quegli anni anche una nuova figura di giardiniere gentiluomo, scientificamente preparato e non solo empiricamente edotto, di cui fu emblema Antonio Capretti, incaricato, in qualità di giardiniere granducale, di "istruirsi sulla coltivazione dei giardini" e delle specifiche raffinate colture con riferimento al clima e qualità dei terreni, agli strumenti di giardinaggio, nell'obbligo di aggiornarsi costantemente nella professione [37] . Nel 1790 venne poi completata la palazzina della Meridiana e dell'area circostante.

A seguito del trasporto della collezione di Ferdinando I da Villa Medici a Roma erano giunti in Boboli molti reperti antichi, quali l'Obelisco Egizio e i Prigionieri Daci. Fu nel periodo lorenese, quando il giardino assunse un assetto stabile, che nel 1792 Leopld Prucker, primo giardiniere, resocontando i lavori da farsi e le necessità di potature e rilegature di spalliere segnalava la necessità di "guardaportoni e guardie capaci di invigilare a chi entra nel medesimo e di difenderlo dai danni dei malfattori" [38] .

 

Poco dopo l'arrivo del granduca lorenese il 28 febbraio 1766 Boboli fu aperto al pubblico, secondo la consuetudine consolidata durante il periodo del granducato mediceo, alcuni giorni la settimana ad ogni ordine di persone vestite in modo appropriato. I ragazzi potevano accedervi se accompagnati da adulti. Era proibito l'accesso a persone di bassa plebe e ai rivenditori, ed erano proibiti alcuni giochi pericolosi per l'incolumità dei luoghi e delle statue. Nelle immagini di Aniello Lamberti si può notare l'alta frequentazione del giardino, con bambini, dame e gentiluomini a passeggio. Pietro Leopoldo ordinò a più riprese di posizionare panche in pietra per rendere più comoda la passeggiata, e ne vennero sistemate nella rotonda attorno al Giardino dell'Isola e presso il Kaffeehaus. Ma erano soprattutto i granduchini a godere di Boboli come luogo di giochi, passeggiate a piedi e a cavallo, soste per gettare pane ai pesci presso la Vasca dell'Isola, letture o compiti di scuola su seggioline e ripiani di legno collocati all'aperto.

Con la fuga dei Lorena nel 1799 e il governo di Maria Luisa di Borbone Parma vennero intrapresi nella reggia di Pitti e contemporaneamente in Boboli importanti interventi di ammodernamento di cui fu incaricato Onofrio Boni, nominato nuovo direttore dello Scrittoio delle Fabbriche, che variò le colture "in parte a bosco, a prato, a pomario, a giardino di fiori e di agrumi" [39] nella platea dell'anfiteatro.

Dopo un breve periodo di abbandono Elisa Bonaparte principessa Baciocchi perseguendo un ambizioso progetto di trasformazione iniziò dal 1809 progressivi lavori in ampie aree, trasformando alcune parti del giardino di Boboli in parco all'inglese, forse favorendo un orientamento già in atto, probabile parziale conseguenza dell'assenza di periodica manutenzione. Agli inizi del 1813 la principessa autorizzava anche lo "slargamento del viale detto d'Adamo ed Eva" [40] , eliminando il corridoio di verzura prima collocato presso il gruppo scultoreo del Naccherino, e tra le mura trecentesche e la limonaia creò una nuova fuga prospettica collocando due filari di platani. Furono complessivamente pochi gli interventi effettivamente condotti sul giardino, fra i quali lo smantellamento nel 1809 ad opera del Cacialli del giardinetto della Spezieria per dare veste definita alla palazzina costruita dal Paoletti, costruendo un nuovo giardino lungo il margine inferiore dell’edificio neoclassico previo innalzamento di un "muraglione per sostegno del terrapieno con scannafossi per le acque" [41] . In questo periodo fu limitato quell'utilizzo ludico e moderatamente pubblico del giardino di Boboli inaugurato da Pietro Leopoldo e accessi pubblici furono circostanziati ad avvenimenti quali la nascita dell'erede di Napoleone, esercitazioni di paggi e sfilate di reggimenti toscani in partenza per diversi fronti di guerra con conseguente riduzione di tutta l'area della cavea ad anfiteatro a prato per la rivista delle truppe [42] .

Dopo la caduta di Napoleone e la conseguente fuga di Elisa Baciocchi nel periodo della Restaurazione Ferdinando III interverrà energicamente per ripristinare il sistema delle potature e provvedere alla gestione delle piante cresciute senza controllo e più volte descritte come ridotte a bosco e sterpaglia. Già dopo il 1820 la sequenza di piante verificate di tutti gli Stabili Regi dipendenti dallo Scrittoio delle Fabbriche testimonia il ritrovato assetto del giardino, poi fortemente modificato con un intervento, su richiesta di Leopoldo II, prima attribuito al Poccianti e poi a Luigi de Cambray Digny. L'intervento è forse il più incisivo della storia del giardino, con la sostituzione nel 1834 dei tre grandi labirinti secenteschi con il viale carrozzabile a serpentina, che dalla zona dell'Isola sale in sommità al viale dei Cipressi. Una netta trasformazione del tessuto seicentesco che sostituì il declivio ai terrazzamenti cancellando l'antico disegno e lasciando all'abbandono i boschetti laterali, trasformatisi in lecciaia.

Un arricchimento importante venne fornito dalla costruzione del nuovo giardino botanico, iniziato nel 1841 sul sito dell'antico jardin potager sotto la guida del grande botanico palermitano Filippo Parlatore, già attivo dal 1842 in Boboli come 'responsabile della Botanica Inferiore', e strutturato in moderne costruzioni con aiuole e percorsi in andamento mistilineo. Qui serre e tepidari garantirono la coltivazione di piante tropicali, esibite secondo criteri di distribuzione geografica, e di varie specie di piante acquatiche in numerose vasche, fra le quali l'Aquarium, un bacino circolare suddiviso in quarantotto celle. Nel periodo postunitario la trasformazione più significativa di Boboli fu la sistemazione del viale che dal piazzale di Bacco conduce all'Anfiteatro, realizzata fra il 1890 e il 1891 per volere dell'Amministrazione della Casa Reale. Da allora il Giardino è rimasto pressoché immutato, salvo l'avvicendarsi di vari restauri conservativi o la sostituzione o l'inserimento alquanto sporadico di nuove specie arboree.

 

 

Fortuna critica del giardino di Boboli nelle arti:

Dall'affresco di Giorgio Vasari e Giovanni Stradano nella Sala Clemente VII in Palazzo Vecchio emerge chiaramente l'assetto che il Giardino di Boboli presentava nel 1530, all'epoca dell'assedio di Firenze. Fuori dalle mura della città era accampato il principe Filiberto d'Orange, comandante delle truppe imperiali, e il giardino, ancora proprietà della famiglia Pitti, appare nudo e spoglio, abbattute le piante per le necessità difensive della città assediata. In un periodo compreso fra il 1599 e il 1602 sia il Giardino di Boboli che Palazzo Pitti furono riprodotti da Giusto Utens in una delle diciassette lunette commissionategli da Ferdinando I dei Medici per la Villa di Artimino.

Come osserva acutamente Bruce Edelstein [43] , la pianta irregolare del giardino Boboli, incuneata nel fitto tessuto urbano dell'Oltrarno fiorentino, ha contribuito a rendere il giardino, già prototipo ed archetipo formale della cultura rinascimentale in Toscana, un modello architettonico esportabile ed adattabile ad analoghe realtà europee. Un esempio emblematico della sua riproposizione, ad ulteriore conferma dell'importanza dell'originale impianto di Boboli quale modello nella storia dell'arte europea, è il caso del Palais du Luxembourg e dei suoi giardini. Commissionati da Maria de' Medici, nipote di Eleonora di Toledo, divenuta regina di Francia, la loro realizzazione segue una celebre lettera, scritta da Maria a Cristina di Lorena, sua zia e all'epoca granduchessa regnante, dove, esprimendo il vivo desiderio di costruire un complesso ad imitazione di Pitti-Boboli, la giovane regina chiedeva il permesso di inviare a Firenze un suo architetto per eseguire il rilievo del giardino e dei decori del palazzo. E' ben evidente, sottolinea ancora Edelstein, come tanto la facciata posteriore del Palais du Luxembourg quanto l’attinente giardino, realizzati a Parigi da Salomon de Brosse, siano debitori del modello fiorentino, quasi una traduzione in idioma francese di quell'originaria idea di palazzo con hortus urbano di matrice albertiana che divenne in seguito così influente da costruire un fondamentale anello tra l'ultima fioritura del giardino rinascimentale fiorentino ed i prodromi del giardino alla francese [44] .

In occasione delle nozze con Bianca Cappello, il granduca Francesco I utilizzò il cortile principale di palazzo Pitti per allestire uno sfarzoso 'Torneo alla sbarra', trasformando l'anfiteatro di verzura del giardino di Boboli in uno spazio scenico dove si collocava l'episodio centrale della rappresentazione. Nel 1589 in occasione dei fastosi festeggiamenti di nozze fra il granduca Ferdinando I con Cristina di Lorena venne allestita nel cortile di palazzo Pitti una Naumachia con la regia del Buontalenti descritta da Gherardo Silvani ed immortalata in un'incisione di Orazio Scarabelli.

Le prime testimonianze di una stabile attività rappresentativa nel giardino di Boboli risalgono ai primi anni del Seicento e sono relative ad un nuovo genere di spettacolo che arricchiva le modalità del torneo e della giostra di un supporto maggiormente enfatico, richiedendo una trama e l'impiego di gran numero di comparse, fra cui anche cavalli addestrati, nonché l'utilizzo di varie macchine sceniche, fino ad allora impiegate in ambito specificamente teatrale. Tali spettacoli vennero in seguito chiamati 'balletti a cavallo' e, frequentemente riprogrammati, si mantennero praticamente immutati per più di un secolo.

Nel 1606 fu organizzato da Giulio Parigi, presumibilmente nel prato dietro a palazzo Pitti, uno spettacolo militare con l'assalto vittorioso ad un baluardo difensivo turco da parte delle truppe cristiane comandante dal giovane figlio di Ferdinando I, futuro Cosimo II, suo allievo. La scenografia potentemente geometrica della rappresentazione vide la partecipazione della nobile gioventù legata alla corte coinvolta nel corteo e nella parata militare con carri.

Nel 1628, in occasione delle nozze di Margherita de' Medici con Odoardo Farnese si organizzò, sempre nel prato retrostante il cortile, La Disfida d'Ismeno, opera poetica con musiche e canti di Andrea Salvadori, arricchita di figure a cavallo, azioni militari, cortei e l'apoteosi finale del carro trionfale.

L'8 luglio 1637 il cortile di Palazzo Pitti ospitò, nell'ambito dei festeggiamenti per il matrimonio di Ferdinando II dei Medici con Vittoria della Rovere, l'opera in musica Le nozze degli Dei. Per la prima volta una commedia musicale fu rappresentata nel cortile dell'Ammannati, per altro dotato di una splendida acustica e fino ad allora utilizzato prevalentemente per manifestazioni iconografiche. Nell’occasione anche l’anfiteatro di Boboli venne inaugurato quale 'luogo teatrale', in controparte al cortile. Trasformato in vero e proprio palcoscenico, a rievocazione di antichi schemi coreografici, da Alfonso Parigi, ingegnere granducale succeduto nella carica al padre Giulio nonché appaltatore e scenografo dell'opera musicale, l’anfiteatro accolse infatti un continuo succedersi di scenografie con strutture mobili, supporti tecnici per nuvole e voli accompagnati da musica, cori e balli.

In occasione della visita di Maria Carolina e Ferdinando di Napoli nel 1785 venne organizzata nei cortili di Palazzo Pitti e nell'anfiteatro di Boboli una fastosa festa immortalata da Giuseppe Maria Terreni nella guache Festa da ballo data a Palazzo Pitti e nel giardino di Boboli il 31 maggio 1785. Aperti nell'occasione ad ogni ceto di persone, questi luoghi già splendidamente scenografici vennero arricchiti di architetture effimere e giochi di luci, e vi vennero ospitati concerti d'orchestre, canti e danze di contadine, giochi e rinfreschi offerti al popolo e ai signori.

Il 14 maggio 1906 l'anfiteatro del giardino di Boboli ospitò un concerto diretto da Pietro Mascagni. Rimangono ancora celebri quegli spettacoli all'aperto di musica, teatro, danza, che si svolsero nel giardino nel secolo scorso, fra i quali Il sogno di una notte di mezz'estate di William Shakespeare, con la regia di Max Reinhart nel 1933, il Come vi pare di Jaques Copeau nel 1938, La Tempesta di William Shakespeare con regia di Giorgio Strehler nel 1948, il Troilo e Cressida di William Shakespeare con regia di Luchino Visconti nel 1967, Egmont di Johann Wolfgang Goethe ancora con la regia di Visconti, The Fairy Queen, diretto da Luca Ronconi nel 1987. In occasione del III Maggio Musicale Fiorentino venne rappresentata in Boboli nel 1937 l'Incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi, e dal 2000 il giardino ospita le edizioni di "Opera Festival", rassegna di opera lirica, danza e concerti.

Come riporta Margherita Azzi Visentini, molte testimonianze di viaggiatori che nella prima metà del Seicento visitarono l'Italia riportavano descrizioni e apprezzamenti del già famoso giardino di Boboli. Sia la residenza granducale di Pitti che Boboli erano infatti inseriti nel percorso urbano raccomandato dalle sempre più numerose guide alle bellezze d'Italia, corresponsione alla crescente domanda di coloro che si apprestavano a compiere il Grand Tour. Nell'Itinerario di Franz Scott, apparso per la prima volta nel 1600 ed in seguito più volte riedito, nonché negli appunti di viaggiatori colti e attenti quali Michel de Montaigne, Johann Jacob Grasser, George Sandys, Fybnes Moryson, l'anonimo autore dell'Itinerarium Italiae totius, pubblicato a Colonia nel 1602 e di Richard Lassels, si riportano descrizioni di Boboli. Fra i viaggiatori illustri il principe Ludwig von Anhalt-Köhten fece tappa a Firenze dal 1599 al 1601, stringendo rapporti di amicizia con gli esponenti della cultura locale e descrivendo nel suo diario sia il palazzo granducale di Pitti che il magnifico giardino di Boboli. Charles De Brosses, in visita a Firenze nel 1739, descrisse il complesso di Pitti, evidenziandone le similitudini con quello del Louxembourg eretto a Parigi per volere di Maria de' Medici, e nel 1765 anche il De La Lande descrisse dettagliatamente Boboli. Due decenni più tardi lo stesso Wolfgang Goethe, passando a Firenze, citava Boboli elogiando la sua magnifica collocazione di statuaria, mentre i fratelli Goncourt, verso la metà del XIX secolo, ammiravano in particolare l'Isola e il gruppo del Giambologna.

Fra i numerosi viaggiatori che visitarono i giardini toscani e che, interessati per competenza professionale all'architettura o all'arte dei giardini, registrarono le loro impressioni in preziosi taccuini o diari di viaggio furono i tedeschi Heinrich Schickhardt, architetto del principe del Wüttenberg, in Italia sia nel 1598 che nell'anno successivo, Joseph Furtenbach il Vecchio, che nel 1621 pubblicò Newe Itinerarium Italie dove descrisse l'architettura conosciuta durante la lunga residenza in Italia, dedicando ampio spazio anche a residenze private e ai loro giardini e descrivendo dettagliatamente Boboli con i giochi d'acqua, le grotte e la fontana dell'Oceano, e il suo discepolo Georg Andreas Böckler che nel suo Architectura Curiosa Nova, apparso 1664, dedicò quattro tavole a Palazzo Pitti e al giardino di Boboli, nonché il britannico John Evely, che giunse a Firenze nel 1644, e che descrisse in particolare la grotta dell'Ammannati. Costoro videro il giardino di Boboli nelle fasi del suo ampliamento, descrivendole minuziosamente.

La fortuna editoriale di Boboli non finì con il Seicento. L'americana Beatrix Jones, famosa landscape architect, visitò Boboli il 12 maggio 1895, descrivendolo e riproponendone le suggestioni nei propri progetti, tra cui la grande ‘Ellipse’ di Dumbarton Oaks che rievoca vagamente l'Isola [45] .

Un documento di particolare importanza è il Cabreo "Palazzo Pitti, Boboli e loro attenenze" che insieme ad altri sei costituisce parte di quella preziosa collezione cartografica conservata presso l'Archivio Centrale dello Stato a Praga nel fondo Archivio Familiare degli Asburgo di Toscana. Si tratta di un ampio insieme di cabrei di edifici, palazzi, ville e fattorie, poderi e giardini appartenenti ai granduchi Asburgo di Toscana, commissionati dal granduca Pietro Leopoldo nell'ambito dell'attività di riallestimento di palazzo Pitti e di altri immobili della corona. L'organica raccolta del Cabreo conserva documenti risalenti alla seconda metà del Settecento, disegnati a penna su carta, colorati a mano e rilegati in pelle marrone con fregi in oro, e contiene oltre a centinaia di piante e alzati di diversi edifici anche dettagliate planimetrie delle varie possessioni [46] . In particolare la pianta di Boboli denominata "Descrizione del Real Giardino detto Boboli di S. A. R.", la "Pianta del Seraglio degl'Animali di Boboli con la Casa che abita il Rossi Fontaniere di S.A.R", la "Pianta delle Stanze à Terreno, che servono di Serraglio d'Animali in Boboli di S.A.R.", la "Pianta della Grotta di Bacco in Boboli di S.A.R.", la "Pianta dello Stanzone di Vasi per gl'Agrumi del Real Giardino di Boboli di S.A.R.", la Pianta del Piano Terreno della Villa detta del Cavaliere in Boboli di S.A.R." con l'annesso giardino, la "Pianta del Piano Terreno della Real Fabbrica del Caffeaus in Boboli con il circondario delle Vigne annesse al medesimo di S.A.R.".

Nel periodo lorenese, come del resto durante tutto il periodo mediceo, si trovavano in Boboli le abitazioni di alcuni addetti ai servizi di corte: Ulderico Prücker, giardiniere del Jardin Potager, dimorava accanto al giardino degli ortaggi. Anche il fontaniere Rossi, il giardiniere Agostino Ricci e il custode Giovan Battista Sestini abitavano in annessi dentro il giardino. Il bibliotecario Giovanni Gaspero Menabuoni viveva presso Costa San Giorgio in una villa a tre piani dove conservava una ricca collezione di dipinti. Altri edifici del giardino erano adibiti a botteghe ed abitazione per artigiani attivi nei cantieri di corte, legnaioli, fontanieri, aiuti giardinieri, guardie, nonché per il fornaio di corte, per lo speziale, l'"anatomico" Giuseppe Ferrin e per il "macchinista" del Museo della Specola Anonio Matteucci, per la lavandaia dei regnanti, Eva Schmitz, per suo marito, usciere a Pitti e per le balie della real prole [47] .

Alessandro Sardelli ci informa di un documento di particolare interesse datato 11 aprile 1908 dal quale apprendiamo come il giardino di Boboli fosse aperto 'liberamente' al pubblico il giovedì e la domenica "da tempo antichissimo", concessione mantenuta anche durante "il tempo in cui Firenze era Capitale del Regno", mentre venivano dati permessi di accesso "per un giorno o permanenti" a forestieri di passaggio che non potevano "profittare dei giorni nei quali il Giardino era aperto al pubblico" e a "persone di una certa distinzione" che avessero chiesto "di poter mandare a passeggiare [...] le loro mogli, figli o altri membri della loro famiglia" a Boboli. Il direttore del giardino, redattore del testo, sottolineando come l'usanza dell'apertura al popolo del giardino granducale fosse antica - già nel 1744 infatti era stato riconfermato [48] quel regolamento per l'apertura al pubblico nei giorni festivi che risaliva al tempo del principato mediceo - specificava anche come, trovatala in vigore quando nel 1890 ne aveva assunto la direzione, avesse deciso di mantenerla.

Altri documenti segnalano come Boboli venisse aperto anche per manifestazioni pubbliche, garden party di beneficienza, concerti e celebrazioni, testimoniando come la struttura del giardino si trasformasse, attrezzandosi con banchi di vendita, giochi, giostre, gite in barca nella vasca dell'Isola, in funzione delle esigenze di una società di massa, e di come le aree del parco si dividessero in zone per eventi artistici e feste campestri, sempre riservando uno spazio privato ad uso esclusivo della famiglia reale.

Nel primo dopoguerra si intensificarono le richieste di plurimi eventi da allestirsi in Boboli, in particolare eventi di beneficienza in favore di reduci e orfani e per la raccolta di fondi contro la tubercolosi, diffusasi con il ritorno in città dei soldati. Nel 1922 nei locali delle ex scuderie, già destinati all'Istituto artistico e alla scuola Leonardo da Vinci, si tenne la prima Fiera Internazionale del Libro. Da questa data le ex Scuderie Reali divennero la sede privilegiata di un ampio ventaglio di manifestazioni culturali, poi decentrate anche nel circuito di altri palazzi fiorentini, aventi Boboli quale ponte e cerniera tra la città e le manifestazioni internazionali in essa ospitate [49] .

Negli anni '70 e '80 del Novecento Boboli è stato anche uno spazio privilegiato di esposizione di arti concettuali e il giardino, nell’occasione luogo della memoria, dell'immaginario e della messa in scena di nuovi linguaggi tra natura e artificio, passato e presente, arte e tecnologia, ha ospitato i lavori di Anne e Patrick Poirier (Boboli. Frammenti di marmi e di parole), Mario Bagnoli (L'anello mancante alla catena che non c'è), nonché installazioni di Roberto Barni, Antonino Bove, Fabrizio Corneli, Franco Guerzoni, Mario Mariotti, Albert Mayr, Giulio Paolini, Renato Ranaldi, Thomas Virnich e altre mostre ed installazioni, alcune delle quali divenute parzialmente permanenti, come quella, nel 2002, dell'artista polacco Igor Mitoraj.

All'interno del programma di salvaguardia e di valorizzazione del Giardino di Boboli, promosso e gestito da un apposito Comitato costituitosi nel 1987 presso l'Accademia delle Arti del Disegno, coadiuvato dalle tre Soprintendenze fiorentine per i Beni Ambientali e Architettonici, Archeologici, Artistici e Storici e dall'Opificio delle Pietre Dure, fu decisa l'organizzazione del Convegno Internazionale “Boboli ‘90”, sede di confronto pluridisciplinare attorno alle istanze conservative e conoscitive del complesso monumentale del giardino di Boboli cui seguì la preziosa pubblicazione degli Atti.

Alla sensibilizzazione degli organi tecnici e amministrativi competenti verso le esigenze di una conservazione programmata, da attuarsi nei diversi settori del giardino con ciclici interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, seguì l'informazione presso diverse fasce di pubblico e il vincolo d'accesso, in seguito a Decreto Ministeriale del 3 agosto 1990, allo storico complesso, gratuito per i residenti, a pagamento per tutti gli altri. Eletto il giardino quale ‘universo complesso da conoscere, interpretare e gestire in ottica multidisciplinare’, vennero definite sei discipline, storia dell'arte, architettura, ingegneria e idraulica, archeologia, scienze biologiche e botaniche, scienze antropologiche, sulle quali modulare le regole d'uso e di conservazione del complesso. Venne anche decisa la musealizzazione dei manufatti lapidei, le numerose statue antiche e moderne insidiate dall'esposizione agli agenti atmosferici, che vennero in parte trasferite e sostituite da copie, ulteriormente connotando il giardino di Boboli, primo esempio in tal senso, come museo all'aperto.

 

 

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SUAP = Archivio di Stato di Praga

 

 

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NOTE

[1]  Fineschi, 1790, p. 53, cfr. Capecchi G., Il giardino di Boboli. Un anfiteatro per la gioia dei Granduchi, Firenze, Edizioni Medicea, 1993, pp. 13-14.

[2]  Ibidem.

[3]  ASFi, Diplomatico, Archivio Generale, 3 agosto 1397, cfr. Capecchi G., Il giardino di Boboli…cit., pp. 13-14.

[4]  Filardi D., L'orto de' Pitti…cit., pp. 87-98.

[5]  ASFi, Notarile, A., S. 101, c. 76v, 10 luglio 1341.

[6]  ASFi, Diplomatico, Archivio Generale, 3 agosto 1397; vendita dei Sindaci del Comune di Firenze, Deputati sopra le attività di Antonio di Nicolò Dietifece, a Jacopo del fu Ranieri Sassolini.

[7]  Palazzo Pitti, l'arte e la storia, a cura di Marco Chiarini, Firenze, Nardini, 2000, p. 20.

[8]   ASFi, Catasto, filza 19, c. 342: 1427, Portata al Catasto di Bonaccorso di Neri Pitti.

[9]   ASFi, Catasto, filza 792, c. 27.

[10]   Capecchi G., Il giardino di Boboli…cit., p. 17.

[11] ASFI, Notarile A., filza A 395, c. 178 e segg.

[12] ASFi, Fabbriche medicee, 68.

[13] Edelstein B., Palazzo Pitti e il giardino di Boboli. L''hortus' albertiano come prototipo della reggia, in Opus Incertum, 1. Palazzo Pitti, Firenze, Edizioni Polistampa, 2006, pp. 31, 34.

[14]  ASFi, Mediceo del Principato, 616 c. 119.

[15]   ASFi, Scrittoio Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Medicee, 68, c. 1v, cfr. Filardi D., L'orto de' Pitti…cit., p. 26.

[16]  Filardi D., L'orto de' Pitti…cit., pp. 68-69.

[17]  ASFi, Possessioni, filza 820, c. 73v; "Donazioni".

[18] Zangheri L., Ville e giardini medicei, in Delizie in Villa. Il giardino rinascimentale e i suoi committenti, a cura di Gianni Venturi e Francesco Ceccarelli, Firenze, Olschki, 2008, pp. 190-192.

[19]  Filardi D., L'orto de' Pitti…cit., p. 56.

[20]  Medri L. M., L'isola di Citera: gli dei e gli eroi del giardino di Boboli, in Il giardino e la memoria del mondo, a cura di G. Baldan Zenoni Politeo, Firenze, Olschki, 2002, p. 264.

[21]  Capecchi G., Il giardino di Boboli…cit., p. 38.

[22] Filardi D., L'orto de' Pitti…cit., p. 67.

[23] Ibidem; ASFi, Regie Fabbriche, 1848, c. 506.

[24]  ASFi, Depositeria Generale 1020, c. 518.

[25]  Medri L. M., Il Le sculture del Giardino di Boboli fra il Cinquecento e il Seicento, in Palazzo Pitti, l'arte e la storia, a cura di Marco Chiarini, Firenze, Nardini, 2000, pp. 262-264.

[26]   Medri L. M., Le sculture…cit., pp. 266-267.

[27]  Cfr. al riguardo l’articolo di Zangheri L., Franz Stephabn von Lothringen und sein Kreis/L'empereur François Ier et le réseau lorrain/L'imperatore Francesco I e il circolo lorenese, Jahrbuch der Österreichischen Gesellschaft zur Erforschung des achtzehnten Jahrhunderts, Bd 23, Bochum, Verlag Dr. Dieter Winkler, 2009, pp. 211-218.

[28] ASFi, Scrittoio Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Lorenesi, 197, fasc. “Ordini e rescritti”.

[29]   ASFi, Segreteria delle Finanze, 434, fasc. “Affari diversi”.

[30] ASFi, Scrittoio Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Lorenesi, 191, fasc. "Memoria sopra i lavori di Boboli presentata a S.A.R. il dì di 11 gennaio 1775".

[31]   ASFi, Scrittoio Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Lorenesi, 191, fasc. Jardin potegér: 14 gennaio 1766.

[32]  ASF, SFFL, 191, 47.

[33]   ASFi, Scrittoio Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Lorenesi, 191, fasc. Jardin potegér: 14 gennaio 1766.

[34]   ASFi, SFFL, 512, ins. "Boboli 1777", cfr. Filardi D., L'orto de' Pitti…cit., pp. 110-115.

[35]  SUAP, RAT 52, pianta 14, 34, in Filardi D., L'orto de' Pitti…cit., pp. 48.

[36]   ASFi, SFFL, 65, "Conti dei Reali Giardini", 2776, ins. 75.

[37] Filardi D., L'orto de' Pitti…cit, p. 125.

[38]  ASFi, Scrittoio Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Lorenesi, 521, c. nn.

[39]   ASFi, Imperiale e regia corte lorenese, 5052, ins. I/b: Giardino di Boboli.

[40]  ASFi, IRC, 5061, 26 febbraio 1813.

[41]  ASFi, IRC, 5059, ins. 390 n. 383, c. nn, 11 dicembre 1809.

[42] Filardi D., L'orto de' Pitti…cit., pp. 112-120.

[43] Edelstein B., Palazzo Pitti…cit., pp. 36-37.

[44]   Ibidem.

[45]  Azzi Visentini, M. I giardini di Boboli nelle testimonianze dei viaggiatori dell'Europa centrale nella prima metà del Seicento, in Boboli 90, Atti del convegno internazionale, a cura di Cristina Acidini Luchinat, Maria Adriana Giusti, Elvira Garbero Zorzi, Firenze, Edifir, 1991, pp. 133-146.

[46]  SUAP, RAT, 52, Palazzo Pitti, Boboli e loro attenenze, cfr. Filardi D., L'orto de' Pitti…cit., p.

[47]  Filardi D., L'orto de' Pitti…cit., pp. 74-77.

[48] ASFi, Reggenza, f. 748, n. 8.

[49] Sardelli A., La città e il giardino: uso pubblico di Boboli all'inizio del Novecento in Boboli 90, Atti del convegno internazionale, a cura di Cristina Acidini Luchinat, Maria Adriana Giusti, Elvira Garbero Zorzi, Firenze, Edifir, 1991, pp. 363-369.



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