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Un tesoro nella Contea di Modica: S. Maria del Gesù  
Laura Fava
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 18 Dicembre 2013, n. 699
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Prezioso documento d’arte siciliana a cavallo tra Tardogotico e Rinascimento, il complesso ecclesiastico di S. Maria del Gesù a Modica (figg. 1, 6) è una rara testimonianza tardo quattrocentesca che, a fronte dei devastanti terremoti che nei secoli hanno colpito la Sicilia sud-orientale, ancor oggi sopravvive in gran parte nella sua facies originaria. Reminescenze arabo-normanne profondamente ancorate all’identità artistica dell’isola s’intrecciano alle influenze dell’ultimo gotico castigliano dando vita a un monumento unico che fonde insieme tradizione e modernità e mostra, al tempo stesso, la vivacità culturale dell’area Iblea a cavallo tra XV e XVI secolo [1].

La committenza della chiesa e del convento, destinato a una comunità di frati francescani Osservanti, fu voluta dalle famiglie Cabrera e Henríquez [2] in occasione del matrimonio, avvenuto nel 1481, tra Anna Cabrera, unica ereditiera della Contea di Modica [3], e Federico II Henríquez, figlio del Grande Ammiraglio di Castiglia[4]. Tale matrimonio segnò le sorti dell’intera area Iblea poiché dall’unione delle due famiglie nacque un’unica dinastia, Henríquez de Cabrera, destinata a governare la Contea di Modica fino al 1702 [5].

Tipologia del complesso.

La fondazione dell’eremo del Gesù iniziò nel 1478 e si protrasse per circa mezzo secolo [6]. L’area in cui sorse fu denominata Cianu ri Jesù - Piazza del Gesù - in funzione della chiesa e divenne ben presto il cuore pulsante sia religioso sia culturale dell’intera comunità [7]. Sebbene il complesso mostri in gran parte la sua autenticità, S. Maria del Gesù è un vero e proprio palinsesto. Di fatto, differenti sono le fasi di realizzazione: dall’impianto tardo quattrocentesco agli ampliamenti del XVII secolo voluti dal conte Alfonso Henríquez; dai rifacimenti barocchi settecenteschi all’indomani del terremoto del 1693 alle trasformazioni in sede carceraria di parte del convento avvenute nel XIX secolo; dalla caduta in un progressivo stato di abbandono fino ai recenti e significativi interventi di restauro [8]. La grande varietà compositiva che si riscontra nel complesso modicano conferma come S. Maria del Gesù sia il risultato eterogeneo di un articolato connubio fra tradizione e innovazione, stili e culture differenti, funzionalità ed esigenze religiose ben precise.

Prospetto

L’elevata qualità artistica e scultorea del complesso modicano s’intuisce sin dal portale (fig. 1), risalente ai primi anni del cantiere. La pietra calcarea locale, dai dominanti colori chiari, viene plasmata per creare una brulicante decorazione che si snoda lungo le strombature: da alti plinti dipartono sei esili colonne per parte che terminano con capitelli ionici finemente lavorati; questi ultimi sostengono una serie concentrica di archi “a omega” con rilievi raffiguranti animali marini racchiusi da un archivolto. All’interno della lunetta un tempo sovrastante un portale ligneo, un cordone francescano [9] circonda una ricca decorazione: al centro, da una testa alata s’innalzano due steli rigogliosi di foglie intrecciati a mo’ di mandorla che si uniscono in un fregio. Qui, secondo quanto riporta lo studioso Belgiorno nel 1955, fu rappresentata la scena di un frate con il Bambino Gesù, oggi difficilmente rintracciabile [10]. Ai lati della corona vegetale si ammirano due angeli, i resti di due teste alate e al di sotto due stemmi rispettivamente dei francescani e dei Cabrera [11]. Nel 1909 lo storico d’arte Mauceri rilevò sulla lunetta del portale una firma, ormai illeggibile, recante la scritta «Man Ramundu»: probabilmente opera di un decoratore di rilievo o di un architetto [12].

Tornando alla descrizione del portale, ai margini delle strombature vi sono due lesene, in origine sormontate da due calici andati perduti [13]. Sopra l’archivolto, una fascia decorata da motivi vegetali si unisce in un rombo dove due delfini chiudono lo scudo comitale, mentre ai lati si allineano tracce di stemmi intervallate da coppie di angeli[14]. Due monofore dal gusto moresco, diverse tra loro, arricchiscono il prospetto grazie a sapienti trafori arabescati [15]. A chiudere l’architettura della facciata vi è un piccolo rosone centrale sul quale un tempo si leggeva la data 1555, non più rintracciabile [16].

Risalenti alla metà del Cinquecento sono la torre campanaria, collocata alla sinistra del portale, che presenta un singolare esempio di scala a caracol de Mallorca ossia a elica con vuoto centrale su pianta quadrata [17]; mentre, sul lato destro, vi è una cappella gentilizia d’ispirazione classica ascrivibile alla committenza dei conti.

Lo storico locale Carrafa nel XIX secolo testimoniò l’esistenza di un viale monumentale che incorniciava il prospetto estendendosi lungo tutto il pianoro. Abbellito da statue di santi e da iscrizioni inneggianti le virtù dell’ordine francescano, tale viale fu modificato a fine Ottocento per far posto al quartiere popolare del Gesù; oggi nulla rimane eccetto una statua conservata al Museo Civico di Modica [18].

Chiesa

La chiesa di S. Maria del Gesù (fig. 2) rispecchia la planimetria tipica degli edifici monastici a unica navata, priva di transetto; tramite un doppio endonartece a tre archi si accede alle quattro cappelle laterali servite sul fianco destro della navata, mentre il convento è collocato sul lato sinistro. Secondo gli architetti Nobile e Fidone, un rigido modulo ad quadratum regolò le singole parti della struttura: la chiesa ebbe un rapporto dimensionale doppio rispetto alle cappelle laterali e triplo rispetto alle campate del chiostro, le uniche coperture superstiti [19]. In base a ragionamenti metrici e al ritrovamento in fase di restauro di tre grandi chiavi di volta, gli architetti hanno ipotizzato come la copertura originaria della navata potesse essere risolta con tre grandi crociere quadrate [20]. Un’ulteriore tesi, avanzata dalla studiosa Bares, consiste nell’ipotesi di una copertura lignea per il corpo della chiesa e di volte reali limitate alla sola area della tribuna [21]. Annesse al corpo della navata vi sono quattro cappelle gentilizie (fig. 2) comunicanti tra loro grazie a un corridoio che le taglia trasversalmente. Spazi quadrati in origine coperti da volte a crociera con costoloni [22], mostrano ancor oggi la qualità degli intagli e la perfezione esecutiva della costruzione, in particolar modo nei peducci superstiti [23].

Nonostante sia ben riconoscibile l’anima tardo quattrocentesca del monumento, dell’impianto originario della chiesa si conosce poco poiché la struttura fu modificata all’indomani del drammatico terremoto dell’11 gennaio del 1693 [24]. A subire i danni maggiori furono con tutta probabilità le parti strutturali più deboli come le coperture della chiesa e delle cappelle laterali[25]; pertanto, il restauro previde interventi sia strutturali, che stilistici. Si scelse una volta a botte lunettata per la copertura della navata e volte a crociera per le cappelle laterali, le quali furono separate dal corpo centrale e rese fruibili tramite un corridoio [26]; si modificarono il coro e l’abside; inoltre, fu realizzato un endonartece a sostegno della cantoria, costituito da un doppio ordine di arcate su colonne [27]. A livello stilistico, si provvide al rifacimento del sistema decorativo della navata: con lo scopo di dare un’impronta tardo barocca in conformità con il resto degli edifici Iblei restaurati a inizio Settecento, si utilizzò per le pareti della navata una decorazione a stucco ritmata da tre arcate e da lesene binate corinzie per parte [28].

Giova ricordare che nell’endonartece della chiesa, custodito nella nicchia dell’altare sinistro, si trova un affresco dedicato alla Vergine Maria (fig. 4). Tenendo conto dei danni che il complesso ecclesiastico ha subito nel corso dei secoli, lo stato di conservazione discreto dell’opera è da ritenersi una vera fortuna. Benché non sia stato realizzato alcuno studio mirato sull’affresco, partendo dall’analisi della struttura compositiva, dalla naturalezza dei volti e dalla resa dei colori, è possibile circoscrivere la datazione alla seconda metà del Cinquecento. La Vergine è accolta all’interno di un’edicola insieme a una serie di simboli mariani, mentre ai lati si susseguono le raffigurazioni di santi devoti a figura intera e di tre quarti all’interno di clipei [29]. Frati carmelitani, domenicani, vescovi e santi sacerdoti circondano la Vergine; tuttavia, la loro identificazione risulta alquanto ardua - ma non impossibile - a causa delle carenze d’intonaco e degli arbitrari rifacimenti successivi. Ciò nonostante, alla destra della Vergine è possibile identificare S. Lazzaro Mendicante, riconoscibile dalle piaghe e dai cani che gli leccano le ferite; e San Ciro, vescovo di Costantinopoli, individuabile dal nome posto alla base del clipeo. La parte superiore dell’opera è fortemente danneggiata; restano brevi tratti d’affresco dove è riconoscibile parte di un piede. È possibile ipotizzare che l’affresco rappresenti l’Immacolata Concezione, iconografia molto diffusa dopo la Controriforma Cattolica: la presenza del piede potrebbe essere riconducibile a due putti reggi corona, mentre i santi devoti posti ai lati della Vergine Maria potrebbero rappresentare gli intercessori. Ad ogni modo, data la scarsità di elementi e la carenza di letteratura al riguardo, tali osservazioni potrebbero costituire valide basi di partenza per un’analisi più specifica dell’affresco.

Convento

Il convento francescano, accessibile dal fianco sinistro della navata, presenta una pianta quadrata e accoglie uno splendido chiostro a doppio ordine con un pozzo centrale (figg. 2, 5). A segnare gli assi principali del chiostro vi sono dei robusti pilastri poligonali, una sorta di pseudo-contrafforti detti “matitoni” per via delle terminazioni a punta [30]. In questo spazio religioso, realizzato in pietra calcarea e monolite, si riscontra il medesimo tono di ricercatezza della decorazione del portale che fa presupporre una realizzazione coeva [31]. Il primo ordine del chiostro è caratterizzato da nove colonnine per lato, tortili e a spirale (fig. 5), tutte differenti tra loro. I capitelli, anch’essi diversi gli uni dagli altri, riecheggiano, insieme alle colonne che sorreggono archi a tutto sesto, gusti arabo-normanni: foglie d’acanto, tralci di vite, fiori, teste alate e angeli, che donano al complesso una raffinatezza e un’eleganza distributiva senza pari. La copertura del primo ordine del chiostro è risolta con una serie di volte a crociera a base quadrata con costoloni e chiavi in pietra calcarea dove si alternano gli emblemi di Cristo, dei francescani e del nuovo casato Henríquez de Cabrera. La particolarità del sistema costruttivo di queste volte è la scelta di disporre i mattoni di piatto seguendo la tipica tecnica del levante iberico delle bóvedas tabicadas: ciò conferma come le maestranze d’importazione castigliana ebbero una forte influenza all’interno del cantiere modicano [32].

Il secondo ordine del chiostro, che accolse le celle dei frati, presenta una lavorazione differente rispetto al piano inferiore: dieci pilastrini per lato su base ottagonale, posti su una bassa balaustra, sostengono archi a sesto ribassato, senza archivolto. La copertura è lignea e poggia alla muratura tramite mensole di legno che si ritengono appartenenti ai primi anni del XVI secolo [33].

Il monumento nel tempo: crolli, rifacimenti e restauri.

Nel corso dei secoli S. Maria del Gesù ha subito cedimenti, ripristini e importanti interventi che ne hanno in parte alterato la struttura. L’impostazione architettonica e decorativa realizzata all’indomani del terremoto del 1693 rimase tale fino al 1866. In seguito all’unificazione del Regno d’Italia, l’intero complesso fu alienato dal nascente governo unitario e scelto come sede carceraria della città [34]. Invadenti e pesanti adattamenti per il nuovo utilizzo modificarono l’area conventuale; la chiesa, dal canto suo, cadde in un progressivo stato di abbandono: nel 1915 crollarono gran parte delle coperture e successivamente furono demolite le parti pericolanti [35]. A partire dal 1920, una cerchia di studiosi tentò di porre l’attenzione sul monumento: a sottolineare le peculiarità del complesso modicano furono gli storici d’arte Enrico Mauceri, il grande maestro Adolfo Venturi e Franco Libero Belgiorno [36]; tuttavia nulla si mosse. Solo nell’ultimo ventennio si è registrato un rinnovato interesse nei confronti di questa preziosa opera architettonica e si è sentita la forte esigenza di porre fine all’oblio a cui sembrava destinata, sollecitando un intervento più ligio e filologico dell’intero monumento [37].

L’Assessorato ai BB. CC. e I. S. della Regione Sicilia ha promosso un intervento di restauro che ha risanato il monumento modicano restituendolo al territorio Ibleo e non solo [38]. Il progetto, presentato dall’architetto Fidone insieme al co-progettista Bruno Messina, ha previsto una doppia fase di lavori, dal 1990 al 2011 [39]. La prima fase del restauro - dal 1990 al 1996 - ha interessato la chiesa e le cappelle laterali. Si è proceduto al recupero degli spazi “per via di porre”, ossia con l’aggiunta delle coperture: per rievocare la spazialità barocca, una volta a botte con centine di legno lamellare ha coperto la navata; strutture a otto falde con profilati d’acciaio e lastre di rame ossidato hanno ricordato le geometrie delle volte a crociera delle cappelle laterali; inoltre, è stato effettuato il ripristino delle superfici murarie della navata e delle cappelle [40] (figg. 3, 6). Rimuovendo le macerie sono emersi numerosi elementi decorativi e architettonici risalenti alla prima fase di realizzazione del complesso: tre grandi chiavi di volta riutilizzate nel tempo come acquasantiere [41]; parti di colonnine del chiostro; resti di maioliche, frammenti della pavimentazione settecentesca.

La seconda fase del restauro - dal 2005 al 2011 - ha avuto come oggetto il recupero della facciata, del chiostro e il completamento interno della chiesa [42]. Sul prospetto si è intervenuti con accurate operazioni di pulitura, seguendo un intento conservativo [43]. Il restauro del chiostro è stato più impegnativo: eliminando i tamponamenti effettuati in precedenza per ricavare ambienti di servizio per il carcere, sono stati portati alla luce i raffinati giochi decorativi delle colonne [44]. Infine, si è proceduto al restauro delle pareti e al rifacimento della pavimentazione della navata utilizzando lastre di calcare bituminoso [45]. Il progetto di restauro, candidato alla “Medaglia d’Oro all’Architettura italiana IV edizione 2012”, è stato un intervento ben calibrato che da un lato ha rispettato le stratificazioni storiche del palinsesto e dall’altro ha riabilitato, per quanto possibile, l’anima tardo quattrocentesca del monumento [46]. In tal modo, il complesso modicano, riconsegnato alla comunità, ha riacquisito la sua legittima libertà culturale in quanto fino al 1990 era inaccessibile al pubblico: il convento e il relativo chiostro erano adibiti ad ambienti di servizio per il carcere, mentre la chiesa veniva utilizzata come magazzino.

La storia della committenza

Oltre a essere un raro esempio di architettura religiosa siciliana del tardo Quattrocento, S. Maria del Gesù testimonia l’intimo legame tra Sicilia e Spagna e sottolinea la partecipazione della Contea di Modica al contesto storico del tempo. Il trait d’union tra l’area degli Iblei e il levante iberico avvenne nel 1392 quando lo storico e ambizioso condottiero Bernardo IV Cabrera riuscì a ottenere la concessione della Contea di Modica [47], guidando vittoriosamente la riconquista aragonese della Sicilia [48]. La posizione strategica della Contea nel Mediterraneo e la presenza del caricatore di Pozzallo [49], strumento essenziale per valorizzare l’economia e il commercio di quest’area, spinsero l’astuto Bernardo IV ad assicurarsi una serie di privilegi economici, giuridici e amministrativi che resero il feudo un vero e proprio Regnum in Regno [50].

Nel corso del Quattrocento il patrimonio dei Cabrera fu ridimensionato per via di debiti, pignoramenti e alienazioni; tuttavia, ai tempi della contessa Anna - gli anni ’70 e ’80 - continuò a essere considerevole, tanto che la lista dei pretendenti pronti a sposarla fu ricca di grandi personalità [51]. La scelta del marito per la giovane Anna divenne così una questione molto delicata, tale da determinare le sorti dell’intera area Iblea e della famiglia Cabrera. Tra i vari candidati la scelta cadde su Federico II Henríquez, figlio del Grande Ammiraglio di Castiglia e cugino del re di Aragona Ferdinando II il Cattolico [52]. Il loro matrimonio fu il risultato di lunghe e oculate trattative iniziate nel 1478 e concluse tre anni dopo con il giuramento dei cosiddetti “Capitoli nuziali” [53]. Da tali accordi si evince come la contessa Anna e la madre Giovanna fecero la parte del leone: tenendo presente che il patrimonio dei Cabrera a quei tempi non era così florido, Anna e la madre ebbero la forza e la presunzione d’imporre al re di Aragona e alla famiglia Henríquez delle condizioni matrimoniali del tutto inconsuete che garantirono larga tutela e grandi vantaggi alle contesse modicane [54]. Con tutta probabilità, la paura di perdere un’area economicamente e politicamente rilevante come la Contea di Modica, fu la motivazione principale che spinse la corte aragonese ad accettare in toto le proposte avanzate dalle Cabrera.

Il matrimonio tra l’ereditiera della Contea e Federico II Henríquez si celebrò nel 1481 nella chiesa di S. Maria del Gesù a Modica, commissionata tre anni prima in vista delle nozze imminenti. La fondazione del complesso ebbe delle finalità politiche ben precise: destinare agli abitanti dell’area extra moenia della città di Modica un centro di aggregazione [55]; ribadire l’egemonia del nuovo casato Henríquez de Cabrera e rimarcare la linea politica da seguire con la scelta non casuale dell’insediamento di una comunità di francescani noti per l’atteggiamento apertamente antiebraico, data la recente strage di ebrei avvenuta a Modica nel 1474 [56].

Il complesso modicano rientrò nell’ambito di una serie di opere che i conti, nel corso degli anni, commissionarono nei loro domini: ad Alcamo, fu costruito dal 1484 il complesso conventuale degli Osservanti che ancor’oggi custodisce la cosiddetta Madonna alla Greca nella quale furono effigiati i conti di Modica [57]; a Scicli fu fondata, tra il 1514 e il 1522, la chiesa di S. Maria della Croce con l’adiacente convento dei frati minori del Terzo Ordine [58]; e infine, a Caccamo, in seguito a un breve soggiorno, i conti decisero di finanziare l’ampliamento della chiesa di S. Giorgio e la costruzione di una cappella funeraria [59].

Tali opere testimoniano la volontà dei conti d’imprimere una svolta significativa a una terra che, negli anni precedenti, fu ampiamente colpita da crisi economiche e sociali. Tuttavia, qualche anno dopo il loro matrimonio, probabilmente nella primavera del 1486, i conti di Modica furono costretti a lasciare il loro feudo - contravvenendo tra l’altro ai vincoli matrimoniali - in quanto Federico dovette esercitare l’alto ufficio di Grande Ammiraglio, ereditato dal padre, nella difficile reconquista del regno di Granada [60]. Il trasferimento in Spagna, testimoniato dall’umanista Lucio Marineo Siculo [61], non scalfì l’interesse dei coniugi verso la Contea di Modica: il feudo fu governato a distanza tramite funzionari, mentre una serie di ordinanze amministrative, giudiziarie e militari furono emanate per guidare al meglio la Contea [62]. Anna e Federico non ebbero figli, ciò nonostante riuscirono a risolvere brillantemente la questione della successione: nominarono come eredi i rispettivi nipoti, Luigi I e Anna II, a patto che si sposassero tra loro [63]. E fu in tal modo, celebrando matrimoni tra i vari discendenti, che la dinastia Henríquez de Cabrera riuscì a preservare i propri domini governando la Contea di Modica per circa tre secoli [64].

Solo ricostruendo la genesi dell’intero monumento e dei suoi committenti si comprende a fondo il valore storico, architettonico e culturale di questo preziosa testimonianza Iblea. Il complesso modicano è una pietra miliare per la storia della Contea in quanto conferma l’importanza del suo ruolo e dei suoi conti e svela, al tempo stesso, il carattere artistico di una Sicilia ante terremoto ancora poco conosciuta. La curiosità suscitata dalla magia che emana S. Maria del Gesù inebria il visitatore di oggi proiettandolo in un’atmosfera lontana, dove suggestioni stilistiche e mescite artistiche mediano il delicato passaggio dal Tardogotico al Rinascimento in una Sicilia intrigante e sempre viva.

 

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NOTE

[1] Tale zona prende il nome dai Monti Iblei, situati nella parte sud-orientale della Sicilia e compresi tra le province di Ragusa - l’antica Contea di Modica -, Siracusa e Catania.

[2] Un approfondimento sulla storia delle famiglie Cabrera e Henríquez è contenuto in Monello 1994; Raniolo 1993; Vindigni 2008.

[3] La Contea di Modica, situata nella parte sud-orientale della Sicilia, fu uno dei più importanti feudi del Mezzogiorno. Nacque nel 1286 e cessò di esistere nel 1816 quando entrò a far parte del Regno delle Due Sicilie e un decreto sancì l’abolizione del feudalesimo. La Contea, sin dalla sua istituzione, comprese un territorio molto vasto che in gran parte coincide con l’attuale provincia di Ragusa. Il dominio appartenne dapprima alla famiglia Chiaramonte, poi agli spagnoli Cabrera e in seguito passò alla dinastia Henríquez de Cabrera, la quale detenne il potere fino al 1702. Per un inquadramento generale sulla Contea di Modica tra il XV e XVI secolo si rinvia a Barone 2009; Raniolo 1993, pp. 93-107.

[4] La carica, istituita nel 1247 in occasione della riconquista dei territori dell’Andalusia, riconobbe l’ammiraglio come Capitano Generale del Mare concedendogli larga autorità marittima e svariati privilegi economici e giuridici. Il titolo fu inizialmente vitalizio, poi divenne un diritto riservato alla famiglia Henríquez anche se nel tempo assunse un valore puramente onorifico. Tuttavia, l’importanza di tale ufficio fu testimoniata dall’interesse che ebbe Cristoforo Colombo a ottenerlo come ricompensa del suo impegno per la spedizione del 1492. Cfr. Monello 1994, pp. 30-32, 62, 82-83.

[5] Nel 1702 il re di Spagna Filippo V revocò il titolo al conte traditore Giovanni Tommaso. Cfr. Mauceri 1914, p. 122; Raniolo 1993, pp. 95 e ss.

[6] Bares 2006, p. 15; Fidone 1996, p. 23; Mauceri 1909, p. 467; Nobile 1992, p. 7; Id. 1994, pp. 23-24.

[7] Importanti furono gli studi dei frati minori nel campo della filosofia, teologia, architettura e altre scienze. A testimonianza degli interessi letterari, lo studioso Ciccarelli ha pubblicato l’inventario del 1599 dei libri custoditi nel convento modicano. Cfr. Ciccarelli 1990, pp. 464 e ss.

[8] Per un approfondimento si rinvia a Fidone 1996, pp. 23-27; Fidone - Messina 2010, pp. 133-141.

[9] L’ordine religioso dei francescani fu prediletto dai membri della famiglia Henríquez: il Condestable di Castiglia Pedro Fernández de Velasco, zio del conte Federico, commissionò a Simon de Colonia la Casa del Cordon a Burgos. L’edificio civile, sede di monarchi e riunioni politiche, acquisì tale denominazione per via dell’allegoria del cordone francescano fregiato sul portale d’ingresso. Cfr. Belgiorno 1995, p. 121; Nobile 2009, p. 71.

[10] Cfr. Belgiorno 1955, pp. 121-122.

[11] Ibid.

[12] Belgiorno 1955, pp. 120-122; Mauceri 1909, pp. 467-468; Nobile 2009, pp. 63-65.

[13] Cfr. Belgiorno 1955, p. 122.

[14] Secondo quanto riporta Belgiorno, la decorazione geometrica che accoglie i due delfini troverebbe un collegamento con i tre rombi effigiati nel portale del Palazzo Abatellis a Palermo, opera di Matteo Carnilivari. Lo studioso ricorda, inoltre, che gli stemmi appartennero alle famiglie Cabrera, Henríquez e ai conti precedenti Cfr. Belgiorno 1955, pp. 121-122

[15] Nella monofora sinistra trionfa l’Albero della Vita con una ricca decorazione della chioma; in quella destra a farla da padrone è una ricercata stilizzazione di foglie che, a seconda la loro disposizione - verso l’alto o verso il basso -, simboleggiano rispettivamente la vita o la morte.

[16] In base a ciò è stata proposta di l’ipotesi di posticipare la realizzazione dell’intero cantiere di circa settant’anni; tuttavia, dall’analisi stilistica e dallo studio dei documenti si ritiene che tale data faccia riferimento a un eventuale restauro o un parziale rifacimento del portale. Cfr. Nobile 2009, p. 63.

[17] Bares 2006, p. 15.

[18] Fidone 1996, p. 23.

[19] Bares 2006, p. 17; Nobile 1992, p. 1; Id. 1994, p. 24; Id. 2009, p. 61.

[20] Cfr. Nobile 1992, pp. 1-2; Id. 1994, p. 24.

[21] Cfr. Bares 2006, p. 17.

[22] Bares 2006, pp.17-18; Nobile 1992, p. 2.

[23] Tra i vari peducci superstiti ne spicca uno che mostra l’immagine di tre volti maschili uniti: una rara rappresentazione della Trinitatis Imago.

[24]Questo fu l’evento sismico più forte mai registrato in Italia nel corso dei vari millenni e provocò circa 60.000 morti tra il catanese e il ragusano.

[25] Cfr. Nobile 1992, p. 2.

[26] Fidone 1996, p. 24; Fidone - Messina 2010, p. 135; Nobile 1992, pp. 2-3, 8.

[27] Il coro da retto fu trasformato in semicircolare, segnato da lesene e contro lesene di ordine “bastardo”. L’abside da poligonale fu ridefinita secondo un andamento retto e illuminata da due finestre circolari laterali ancor’oggi visibili dietro le aggiunte posteriori. Cfr. Fidone 1996, p. 24; Nobile 1992, pp. 2-3, 8.

[28] Fidone 1996, p. 24; Nobile 1992, pp. 2-3, 8.

[29] Tra i vari simboli mariani affrescati che attestano le qualità spirituali di Maria si ricordano la Rosa Mystica, la Porta Coeli, il cedro del Libano, la Stella Matutina, l’ulivo e ancora la Turris Eburnea.

[30] Nobile 1992, p. 4; Id. 1994, p. 25. Sebbene non abbiano una definita utilità strutturale, tali “matitoni” ricordano quelli del chiostro di S. Maria de Jerusalem a Barcellona realizzato a partire dal 1468 dalla regina Giovanna, zia del conte Federico Henríquez: tale affinità apre uno spiraglio sull’intreccio di parentele che si ergeva a sostegno dell’ordine dei francescani e la conseguente rete di scambi culturali e artistici che si tesseva in tutto il Mediterraneo.

[31] Mauceri 1909, p. 468; Nobile 1992, p. 3.

[32] Tale tema costruttivo, che consiste nella disposizione dei mattoni di piatto, trae origini dal levante iberico tardogotico e ha una duplice funzionalità: brevi tempi di realizzazione grazie alla veloce presa del gesso come legante della malta e modesto peso delle volte in modo da alleggerire il carico sui muri perimetrali. Molti gli esempi spagnoli che compaiono già alla fine del Trecento a Valencia, in Catalogna e a Barcellona. Cfr. Bares 2006, p. 15.

[33] Nobile 1994, pp. 26-27.

[34] Fidone - Messina 2010, p. 135. Il nascente Stato italiano, tramite le cosiddette leggi d’incameramento dei beni ecclesiastici, soppresse numerosi Ordini e Congregazioni religiose incamerando nel demanio statale i loro beni.

[35] Fidone 1996, p. 24; Nobile 1992, pp. 6, 8. Per motivi di sicurezza nel 1917 furono demolite le parti pericolanti. Cfr. Fidone - Messina 2010, p. 135.

[36] Belgiorno 1955, pp. 117-126; Mauceri 1909, pp. 467-468; Id. 1914, pp. 120-134; Venturi 1923, pp. 84-89.

[37] Si ricordano le analisi sulle tecniche costruttive della Bares, gli studi sulla comunità francescana di Modica condotte dal direttore della Biblioteca Francescana di Palermo, Diego Ciccarelli. Tuttavia è grazie alle assidue ricerche del professore Nobile che si è apportato un significativo contribuito alla conoscenza del complesso modicano. Cfr. Bares 2006; Ciccarelli 1990; Nobile 1992; Id. 1994; Id. 2009.

[38] L’Assessorato ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana della Regione Sicilia.

[39] La descrizione dettagliata degli interventi di restauro è contenuta in Fidone 1996, pp. 23-27; Fidone - Messina 2010, pp. 133-141.

[40] Fidone 1996, p. 25; Fidone - Messina 2010, pp. 136-141.

[41] Cfr. Fidone 1996, p. 25.

[42] Fidone 1996, pp. 25-26; Fidone - Messina 2010, pp. 136-141.

[43] Fidone 1996, pp. 25-26; Fidone - Messina 2010, pp. 136-141.

[44] Fidone - Messina 2010, pp. 138-141.

[45] Ibid.

[46] Il restauro del complesso di S. Maria del Gesù è stato uno dei progetti finalisti candidati alla “Medaglia d’Oro all’Architettura italiana IV edizione 2012”, prestigiosa manifestazione promossa dalla Triennale di Milano in collaborazione con il MiBac - Ministero per i Beni e le Attività Culturali - e con il Made Expo - Milano Architettura Design Edilizia -.

[47] «Sicut Ego in Regno et Tu in Comitato Tuo», «Come Io nel mio Regno, Tu nella tua Contea». Questa fu la formula proclamata nel giugno del 1392 dal re Martino II d’Aragona (1356-1410), con la quale il re concesse la Contea di Modica a Bernardo IV Cabrera.

[48] Monello 1994, pp. 38-39; Raniolo 1993, p. 75; Vindigni 2008, p. 39.

[49] Denominato Torre Cabrera, l’edificio fu costruito a inizio Quattrocento da Bernardo IV ed ebbe una duplice funzione: sede amministrativa per la gestione del caricatore e palazzo comitale. Cfr. Vindigni 2008, pp. 49-50.

[50] Bernardo IV Cabrera, oltre a essere nominato Conte di Modica, Maestro Giustiziere e Ammiraglio del Regno, chiese e ottenne la facoltà di esportare 12.000 salme di frumento in esenzione d’imposta; la concessione di tutto il perimetro costiero della Contea; larga autonomia amministrativa e giudiziaria grazie all’istituzione di una Curia d’Appello e la facoltà di riscuotere censi. Cfr. Monello 1994, pp. 39-40; Raniolo 1993, pp. 75-76.

[51] Cfr. Monello 1994, pp. 45-47; Raniolo 1993, p. 91; Vindigni 2008, pp. 81-82.

[52] Una ricostruzione sulla genesi della dinastia degli Henríquez è contenuta in Monello 1994, pp. 29-34.

[53] I “Capitoli Nuziali” di Anna e Federico sono riportati integralmente in Monello 1994, pp. 154-175.

[54] Federico II accettò non solo i vincoli legati al matrimonio - come inquartare le sue armi con quelle dei Cabrera o stabilire la loro futura residenza a Modica - che in qualche modo furono legittimi, bensì dovette sottostare alle richieste della madre di Anna, che continuarono a garantirle il controllo e il potere di parte della Contea di Modica. Cfr. Monello 1994, pp. 56-58; Vindigni 2008, pp. 82-83.

[55] Cfr. Fidone 1996, p. 23.

[56] Cfr. Barone 2009, pp. 17-23; Monello 1994, p. 41; Raniolo 1993, p. 91; Vindigni 2008, pp. 77-78.

[57] Cfr. Belgiorno 1955, p. 118; Nobile 1994, p. 29.

[58] Cfr. Nobile 1994, pp. 35-36.

[59] Ivi, p. 23.

[60] Cfr. Monello 1994, pp. 61-62.

[61] Ivi, pp. 61-63, 70-71.

[62] Monello 1994, pp. 105-106; Raniolo 1993, pp. 93-95.

[63] Monello 1994, pp. 106-107, 143-147.

[64] Per un approfondimento sui discendenti di Federico e Anna si rinvia a Raniolo 1993, pp. 107-119.

 



BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Fidone Emanuele - Messina Bruno, Restauro del convento di Santa Maria del Gesù, Modica, in Battaglia G. - Fiorilla S. (a cura di), In viaggio negli Iblei: aprile-giugno 2010. Incontri di Storia, Arte e Cultura, Ragusa 2012, Regione Siciliana, Assessorato Beni Culturali e Ambientali e dell’Identità Siciliana, pp. 133-141.

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Fig. 1
Prospetto, 1478 circa
S. Maria del Gesų, Modica

Fig. 2
Planimetria del complesso di S. Maria del Gesų, 1478 circa
Disegno a matita di Laura Fava della planimetria del complesso di S. Maria del Gesų dopo l'intervento di restauro

Fig. 3
Interno della chiesa
S. Maria del Gesų, Modica

Fig. 4
Affresco della Vergine Maria, 1520-1530
S. Maria del Gesų, Modica

Fig. 5
Primo ordine del chiostro, 1478-1500
Convento di S. Maria del Gesų, Modica

Fig. 6
Veduta nord-est del complesso
S. Maria del Gesų, Modica

Fig. 7
Resti della scala a caracol de Mallorca della torre campanaria, 1520-1530
S. Maria del Gesų, Modica

Fig. 8
Interno della chiesa prima del restauro
S. Maria del Gesų, Modica

Fig. 9
Primo e secondo ordine del chiostro, 1478-1500
Convento di S. Maria del Gesų, Modica

Fig. 10
Colonne del chiostro, 1478-1500
Convento di S. Maria del Gesų, Modica




Foto cortesia Laura Fava

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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