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Due opere di Bruegel fra comico e tragico  

Ettore Janulardo
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 26 Gennaio 2015, n. 753
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«C’è una terra chiamata Cuccagna, ben nota alla gente pigra. Essa si trova a tre miglia oltre il Natale, e chi vuole frequentarla deve prepararsi a grandi cose, mangiare attraverso una montagna di farina di miglio – deve essere grossa tre miglia – e poi si troverà subito nella stessa Cuccagna in cui tutte le ricchezze son conosciute»,1 scrive Hans Sachs (1494-1576) nella farsa del 1530 Schlaraffenland («Cuccagna»), da cui è tratta una versione in prosa pubblicata ad Anversa nel 1546.

Nel Paese della cuccagna, (fig. 1) olio su tavola firmato e datato al 1567, Pieter Bruegel il Vecchio (1525 circa-1569) sembra ispirarsi al testo tedesco.2 Un chierico, un contadino e un soldato sono distesi sotto l’albero della cuccagna, circondato da una tavola con vivande. I tre personaggi sono giovani, poiché in questa terra – sorta di indefinito spazio dell’immaginario etico-favolistico –, un’astratta e fissa giovinezza è caratteristica essenziale. Il contadino volge le spalle dormendo su un fianco, il soldato ha la propria lancia ai piedi e si è sfilato un guanto, mentre il chierico appare beatamente trasognato: disposti secondo uno schema compositivo radiale, bilanciano la composizione diagonale della metà superiore della scena.

Affabulazione ultramillenaria di un paradiso terrestre della gola e del vizio, l’immagine della terra di cuccagna – la cui definizione nella società cristiana Massimo Montanari situa tra il XII e il XIV secolo3 – attraversa le epoche e, dal mito dell’età dell’oro e dai Fabliaux,4 trova nella Bengodi di Boccaccio, priva di qualsiasi connotazione moralistica, un compiuto paradigma dell’alimentazione italiana.5 Con la ripresa di questa topografia del desiderio, nonché di detti e tradizioni popolari delle Fiandre – dall’eco letteraria in grado di riverberarsi anche nella tavola bruegeliana (fig. 2) dei Proverbi fiamminghi (1559)6 –, il pittore rappresenta qui, in chiave comico-grottesca, la terra della ghiottoneria e della pigrizia, da raggiungere, aiutandosi con i rami di un albero, dopo aver attraversato una montagna di semola, come raffigurato all’estremità destra del dipinto: ove un uomo si cala in questo giardino di delizie gastronomiche. E’ un paese caratterizzato da forme rotonde, strutturato da cibi che si offrono spontaneamente agli avventori, come recita la farsa di Sachs: «Lì ci sono case fatte da fili di lino, porte e finestre fatte di marzapane, mura e pavimenti di pane e pancetta, balconi di salsicce di maiale. Ogni casa è circondata da un recinto fatto di salsicce arrostite, dalle fontane sgorga vino dolce, che arriva dritto in bocca; dagli alberi pendono ciambelle dove dovrebbero esserci le pigne».7

In alto a sinistra nella tavola bruegeliana un altro soldato, a bocca aperta, è al di sotto di un rifugio ricoperto di torte, illustrazione del detto proverbiale «Avere il tetto coperto di torte», a indicare un benessere non lontano dalla stoltezza descritta nella farsa tedesca: «Chi combatte da prode con un leberwurst, sarà eletto cavaliere. E chi fa attenzione nient’altro che al mangiare, al bere, al dormire, sarà fatto conte. Colui che è stupido e incompetente, sarà un aristocratico in questa terra, chi vive in questo modo, andrà lontano nella terra di Cuccagna».8

Databile al 1494, anno di pubblicazione del poema satirico La Nave dei folli di Sebastian Brandt,9 è l’omonimo olio su tavola di Hieronymus Bosch, conservato al Louvre (fig. 3). Con atteggiamento critico è qui rappresentata un’imbarcazione ove dei personaggi, tra cui dei religiosi, sprecano energie e tempo dedicandosi ai vizi: e all’albero della nave, che è però una vera pianta frondosa, sono legati dei polli spennati verso i quali si arrampica un uomo particolarmente goloso. E con tratti degni della visionarietà di Bosch, Bruegel infarcisce la sua scena del Paese della cuccagna di cibarie semoventi a disposizione di chi le desideri: un maialino avanza con un coltello che gli sta affettando il dorso; un’oca si adagia su un vassoio d’argento; un uovo dotato di zampette è aperto e parzialmente consumato.

Grottesca raffigurazione di una perniciosa ghiottoneria, quest’olio su tavola rientra in un filone moralistico di scene – dipinte o incise – ove si rappresentano stoltezze e ingenuità di un’umanità confusa e incerta, elementare e primigenia. In due incisioni databili al 1563 – la Cucina magra e la Cucina grassa,10 tratte da disegni di Bruegel –, Pieter van der Heyden e Hieronymus (Jérôme) Cock definiscono un dittico sull’alimentazione. Se la Cucina magra (fig. 4) evidenzia la povertà come disvalore estetico che non sembra intaccare certe forme di compartecipazione e solidarietà umana – con un coltello bruegelianamente inserito in una mezza forma di pane –, la Cucina grassa (fig. 5) mette in scena un equivalente in interni del Paese della cuccagna: prosciutti e salsicce pendono dall’alto, con l’onnipresente coltello in verticale nella carne di maiale, mentre paioli e spiedi arredano un ambiente ove anche i cani sono sovrappeso e aiutano a scacciare un mendicante che vorrebbe entrare.

Al di là dell’aspetto comico di queste stampe – variamente riprodotte e dalla grande diffusione –, la contrapposizione delle scene si sostanzia di un intento moraleggiante, secondo la traccia resa nota da Sachs, che pensosamente sovra-struttura la dimensione fallace di questo territorio del vizio:11 «Chi mostra cultura e onore, viene cacciato da questa terra, e a chi lavora diligentemente con le proprie forze, è vietato entrare nella terra di Cuccagna. Chi non vale nulla e non vuole imparare, avrà gran successo in questo reame, e quando si riconoscerà il più pigro di tutti, sarà incoronato re della regione. Chi è sprecone, selvaggio e stupido, crudele e stolto in ogni occasione, sarà fatto principe».12 Con un rovesciamento totale rispetto al malinconico finale del Fabliau de Cocagne«Vous comprenez bien que quitter ce pays est une folie. […] Je suis revenu ici chercher mes amis et les amener là-bas, mais maintenant je ne sais plus le chemin pour y aller. Alors je vous donne un conseil: quand vous êtes bien quelques part, ne bougez pas à aucun prix, car vous vous en repentiriez […]»13 il messaggio etico si fa esplicito, rivelandosi nel finale del testo tedesco come chiaro ammonimento che si fa teatro dell’animo e aspettativa della temperanza: «Questo fu scritto nei tempi antichi, per far migliorare i giovani che spesso crescono indolenti e pigri, senza conoscenze, visioni, ricordi, così che voi capiate la vera terra di Cuccagna, sappiate punire gli indolenti, impariate il valore del lavoro, perché la pigrizia non porta a nulla di buono».14

Nell’anno di esecuzione del Paese della cuccagna, 1567, è inviato da Filippo II come Governatore generale d’Olanda nei Paesi Bassi spagnoli Don Fernando Álvarez de Toledo y Pimentel (1507-1582), terzo Duca d’Alba. Autore di durissime repressioni nei confronti degli insorti contro il potere imperiale, che non fermeranno il percorso verso l’indipendenza delle Province Unite, è personaggio tristemente conosciuto come “Duca di Ferro” o “macellaio”: contraltare di ogni utopico aspetto festivo-giocoso nel nome del cibo e raffigurazione di un tragico trionfo della morte. E all’insegna di una esemplare tragicità si situa la tempera su tela della Parabola dei ciechi, firmata e datata al 1568 (fig. 6).15

Dopo aver già rappresentato l’episodio nei Proverbi fiamminghi del 155916 – con un gruppo di tre uomini in fila indiana, nella parte alta a destra del dipinto, non esposti a immediato pericolo (fig. 7) –, Bruegel riprende il passo 15, 14 del Vangelo di Matteo – «Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!»17 –, isolando del tutto i sei in fila, abbandonati a se stessi e in procinto di cadere. Il primo, anzi, è già raffigurato di scorcio nel fossato, rovesciato sulla schiena e destinato a ricevere il peso del secondo cieco che sta precipitando su di lui: ma gli altri quattro, che si tengono per il bastone o per la mano, si ammasseranno sui primi caduti.

La linea obliqua costituita dai sei ciechi caratterizza e taglia diagonalmente la composizione artistica, riempiendo lo spazio dell’opera ma accentuando nel contempo il loro drammatico isolamento e la loro fragilità, resi pittoricamente attraverso le successive concatenate fasi della caduta. E l’espressione persa che li contraddistingue non ha nulla del comico-grottesco presente in altri personaggi, ma definisce il mutarsi della scena, sotto il nostro sguardo, da episodio quotidiano a simbolo di un destino tragico.18

Il piano simbolico della visione sembra accentuato dalla ripetuta presenza di forme triangolari che definiscono le due metà del dipinto divise dalla diagonale dei ciechi: i mantelli, soprattutto dei due ultimi personaggi, i tetti delle abitazioni sulla sinistra e l’intero edificio ecclesiastico – identificato con la chiesa di Sint-Anna-Pede nei pressi di Itterbeek, municipalità di Dilbeek nel Brabante Fiammingo (fig. 8) –, raddoppiato nella sua “triangolarità” dal campanile, tendono verso l’alto. Rafforzando il senso di tragico allontanamento dalle architetture salvifiche della chiesa sullo sfondo, nella metà inferiore del dipinto prevalgono invece diagonali e triangoli che puntano verso il basso e verso la negatività del fossato: né il bastone del quarto cieco né il suo viso rivolto ignaro verso l’alto possono consentire alcuna salvezza, alcun avvicinamento all’edificio religioso.

Opera della piena maturità bruegeliana composta un anno prima della morte, la Parabola dei ciechi si allontana dal formicolante brulichio di altre celebri composizioni del fiammingo per senso della misura e di tragica monumentalità: i sei ciechi dominano la scena, a loro volta condizionati da ciò che ignorano e non vedono. Il punto di vista ribassato e le scelte cromatiche rese con la tempera accentuano una forma di statuarietà che fa avvertire, a Max Dvorák e a Edouard Michel, un personale riflesso della conoscenza dell’arte italiana, evidenziata dalla studiata e misurata resa del brano paesaggistico sulla destra.

Partendo da tali considerazioni e da quanto osservabile a proposito della scomposizione del movimento di caduta dei ciechi, potremmo utilizzare alcune specifiche considerazioni dell’Alberti nel De Pictura«Così adunque in ogni pittura si osservi che ciascuno membro faccia il suo officio, che niuno per minimo articolo che sia, resti ozioso. E sieno le membra de’ morti sino all’unghie morte. Dei vivi sia ogni minima parte viva. Dicesi vivere il corpo quando a sua posta abbia certo movimento: dicesi morte dove i membri non più possono portare gli offici della vita, cioè movimento e sentimento. Adunque il pittore, volendo espriemere nelle cose vita, farà ogni sua parte in moto […]»19 – per soffermarci sulla topografia della tragedia in Bruegel.

In un’ottica di lettura simbolica, la diagonale lungo la quale si muovono i personaggi può interpretarsi come una sorta di pomerium che separa la civitas dei della chiesa e delle abitazioni vicine dal luogo ctonio verso il quale “precipitano” i ciechi, impossibilitati a cogliere la natura divergente del proprio errare. Questo senso del passaggio fra un qui e un altrove – con la rappresentazione di pulsioni e tensioni, come nella Caduta di Icaro o nella Torre di Babele, controbilanciate dalla quotidiana normalità di contadini e pastori che condividono la scena – ben si addice all’umanesimo bruegeliano, segnato non da aristocratiche unicità ma dall’evidenziare la comune matrice umana.

La valenza metafisica della Parabola di Bruegel potrebbe ulteriormente evidenziarsi attraverso la lettura del passo 8, 22-26 del Vangelo di Marco, ove individuiamo alcuni degli elementi raffigurati dall’artista – il cieco, il villaggio, gli uomini come alberi in movimento, il restar fuori dall’abitato – e leggiamo: «Giunsero a Bestsaida, dove gli condussero un cieco pregandolo di toccarlo. Allora prese il cieco per mano e lo condusse fuori del villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: “Vedi qualcosa?”. Quegli, alzando gli occhi, disse: “Vedo gli uomini, poiché vedo come degli alberi che camminano”. Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa. E lo rimandò a casa dicendo: “Non entrare nemmeno nel villaggio”».20

Variante pittorica della cartografia territoriale dell’amico Abraham Ortelius (1527-1598), quella dell’artista lo è, in senso lato, della follia: in grado di riassumere comico e tragico, di cogliere l’assurdità del contrasto fra il ricorrere, apparentemente identico, delle stagioni e le accelerazioni dei tempi, determinate da guerre e tragedie; follia come credulità degli ignari e degli stolti e come vanagloria di chi si considera istruito. Se in relazione alla Parabola bruegeliana sono proponibili i citati passi 8, 22-26 di Marco e 15, 14 di Matteo, utile è leggere quest’ultimo anche in chiave di possibile connessione con aspetti della scena pittorica del Paese della cuccagna: «Non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l’uomo! […] Pietro allora gli disse: Spiegaci questa parabola. Ed egli rispose: Anche voi siete ancora senza intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e va a finire nella fogna? Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l’uomo. Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l’uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non rende immondo l’uomo».21

E il Paese della cuccagna è dunque esempio di intreccio tra “alto” e “basso”, contraddistinto da specifiche questioni legate alla sua raggiungibilità o ritrovabilità, sullo sfondo, come osserva Martine Boiteux, di un ineludibile intreccio tra cibo e morte: «Il viaggio nel paese di Cuccagna è dunque una variante del viaggio nell’aldilà; la differenza viene fondata sull’inversione della questione del ritorno. Perché, ritornare dall’aldilà nel mondo quotidiano è aleatorio e sottomesso a certe condizioni, invece da questo paese che “non si trova” si ritorna ma si dimentica la strada, e non si può più tornare».22

Che si sia dunque di fronte a un “luogo” fatto di alimenti e immobilità o a un paesaggio campestre all’insegna di una metafisica parabola, non resta che tentare di riconoscere, come scrive Roberto Esposito, «il significato profondo della vita aldilà della linea del nulla che, prima o poi, è destinata ad avvolgerci tutti».23






NOTE

1* Comunicazione presentata al XXVI Convegno Internazionale (Chianciano Terme – Pienza, 17-19 luglio 2014) su “Comico e tragico nella vita del Rinascimento”.
Hans Sachs,
Schlaraffenland, 1530, cfr. http://harpers.org/blog/2008/07/hans-sachss-schlaraffenland/

2 Paese della cuccagna, 1567, olio su tavola, 52x78 cm., Monaco, Alte Pinakothek.

3 Cfr. Massimo Montanari, La fame e l’abbondanza, Roma-Bari, Laterza, 1997.

4 Cfr. Le fabliau de Cocagne: «[…] C’est un vrai paradis, car les champs de blé sont entourés de barrières faites de petits os et de broches à rôtir. De belles oies bien grasses cuisent dans les rues. Et j’ai vu des tables dressées et couvertes de nappes blanches partout sur les routes et sur les chemins. N’importe qui a le droit de s’arrêter pour boire et manger, on se sert autant qu’on veut: poisson, viande, tout est donné […]».

5 Giovanni Boccaccio, Decameron, giornata VIII, novella 3a: «Maso rispose che le più si trovavano in Berlinzone, terra de’ Baschi, in una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce, e avevasi un’oca a denaio e un papero giunta, ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva; e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciol d’acqua».

6 Più limitate raffigurazioni con intenti moralistici di proverbi popolari fiamminghi erano già presenti in Hieronymus Bosch – si pensi alla tavola dei Sette peccati capitali – o nello stesso Bruegel (Dodici proverbi, 1558, attribuito).

7 Hans Sachs, Schlaraffenland, cit.

8 Ibid.

9 Noto in edizione tedesca e latina, è tra le fonti d’ispirazione per l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam.

10 Incisioni di Pieter van der Heyden (disegnatore, 1530 circa-1569) e di Hieronymus (Jérôme) Cock (stampatore, 1530-1570): La Cuisine maigre; La Cuisine grasse, 1563; incisioni a bulino su carta, 22 x 29 cm., cfr. http://museedeflandre.lenord.fr/fr/Collections/CuisinegrasseetCuisinemaigre.aspx

11 Cfr. Martine Boiteux, L’immaginario dell’abbondanza alimentare. Il paese di Cuccagna nel Rinascimento, in Atti X Congresso A.I.S.E.A., cfr. https://www.academia.edu/1381107: «Si tratta dunque di un viaggio in uno spazio materialistico e passivo, lo spazio del consumo dove tutti i valori legati al lavoro vengono negati e combattuti. Se il piacere è la regola maggiore non è tuttavia senza limiti, perché il tempo viene misurato e la durata non è eterna».

12 Hans Sachs, Schlaraffenland, cit.

14 Hans Sachs, Schlaraffenland, cit.

15 Parabola dei ciechi, 1568, tempera su tela, 86x154 cm., Napoli, Museo di Capodimonte.

16 Cfr. anche – Paolo Bellini, Bruegel ovvero la rappresentazione dell’ordinaria follia, ciclo di lezioni, Milano, Castello Sforzesco, 2007 – l’incisione a bulino, del 1568, che Hieronymus Cock trae dalla scena dei ciechi nella serie dei Proverbi fiamminghi.

17 Vangelo di Matteo, 15, 14, cfr. http://www.vatican.va/archive/ITA0001/__PU3.HTM. Cfr. anche Luca 6, 39: «Disse loro anche una parabola: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due in una buca?”».

18 Cfr. Max Dvorák, Kunstgeschichte als Geistesgeschichte, 1928: «Ma la novità consiste precisamente nel fatto che un evento talmente insignificante, con così insignificanti protagonisti, sia divenuto ora il centro della contemplazione universale. Quel che sembra un caso, un fatto isolato, circoscritto nel tempo e nello spazio, senza conseguenze storiche di rilievo, diviene l’immagine del destino cui nessuno può sfuggire ed al quale tutta l’umanità è ciecamente soggetta».

19 Leon Battista Alberti, De Pictura, 1435, Libro secondo, Roma-Bari, Laterza, 1980, ediz. elettronica http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiPDF/Alberti/DePictura.pdf.

20 Vangelo di Marco, 8, 22-26, cfr. http://www.vatican.va/archive/ITA0001/__PUO.HTM.

21 Vangelo di Matteo, 15, 11-20, cfr. http://www.vatican.va/archive/ITA0001/__PU3.HTM.

22 Martine Boiteux, L’immaginario dell’abbondanza alimentare. Il paese di Cuccagna nel Rinascimento, cit.

23 Roberto Esposito, Siamo tutti Don Chisciotte, la Repubblica, 23 gennaio 2013.





BIBLIOGRAFIA

Pietro Allegretti, Brueghel, Milano, Skira, 2003.

Piero Bianconi, L’opera completa di Bruegel, Milano, Rizzoli, 1967.

Marco Bussagli, Bruegel, Dossier Firenze, Giunti, 2008.

Pierre Francastel, Bruegel, Paris, Hazan, 1998.

Rainer Hagen - Rose-Marie Hagen, Bruegel, Colonia, Taschen, ediz. ital. 2002.

Massimo Montanari, La fame e l’abbondanza, Roma-Bari, Laterza, 1997.

Gloria Vallese, Vizi, virtù e follia nell’opera grafica di Bruegel il Vecchio, Milano, Mazzotta, 2004.









Fig. 1
PIETER BRUEGEL IL VECCHIO, Il Paese della cuccagna, 1567,
olio su tavola, 52 x 78 cm.,
Monaco, Alte Pinakothek

Fig. 2
PIETER BRUEGEL IL VECCHIO, Proverbi fiamminghi, 1559,
olio su tavola, 117 x 163 cm.,
Berlino, Gemäldegalerie

Fig. 3
HIERONYMUS BOSCH, La nave dei folli, 1494,
olio su tavola, 57,9 x 32,6 cm.,
Parigi, Museo del Louvre

Fig. 4
PIETER VAN DER HEYDEN e HIERONYMUS (Jérôme) COCK, La Cucina magra, 1563,
incisione a bulino su carta, 22 x 29 cm.,
Cassel, Musée Départemental de Flandre

Fig. 5
PIETER VAN DER HEYDEN e HIERONYMUS (Jérôme) COCK, La Cucina grassa, 1563,
incisione a bulino su carta, 22 x 29 cm.,
Cassel, Musée Départemental de Flandre

Fig. 6
PIETER BRUEGEL IL VECCHIO, Parabola dei ciechi, 1568,
tempera su tela, 86 x 154 cm.,
Napoli, Museo di Capodimonte

Fig. 7
PIETER BRUEGEL IL VECCHIO, Proverbi fiamminghi, particolare, 1559,

Fig. 8
Chiesa di Sint-Anna-Pede nei pressi di Itterbeek, Dilbeek, Belgio

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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