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Le Corbusier: un viaggio verso la modernità  

Giulia de Flaviis
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 26 Febbraio 2015, n. 758
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Area Architettura

All'alba del ventesimo secolo tutto è in fermento, tutto è in continuo mutamento: il desiderio di sentirsi rappresentati da nuovi valori, che si dissociassero dalle ormai superate certezze assolutistiche del vecchio sistema borghese, nonchè la ricerca di nuovi punti di riferimento che fossero espressione fedele di una società rinnovata, consapevole del cambiamento in corso, portano alla formazione di forze innovatrici inedite, che gettano le basi per quella che sarà una delle più grandi rivoluzioni culturali degli ultimi secoli.

Il punto di interesse del panorama culturale europeo del primo '900, infatti, sta proprio nel particolare fermento che viene ad instaurarsi come reazione attiva e come fonte di rinnovamento dei pilastri di un background culturale che non poteva di certo essere considerato rappresentativo: troppi dogmatismi e accademismi stavano logorando l'orientamento generale. Quello a cui si assiste è un vero e proprio terremoto, un'"ubriacatura del sistema", per così dire, in cui l’urgenza di sovvertire le basi della cultura ufficiale porta a un'esaltazione, talvolta esasperata, dei sentimenti anticonformistici, che agiscono non soltanto a livello culturale in senso lato, nelle istituzioni e nella politica, ma anche, nello specifico, in tutte le arti figurative e non.

In letteratura, ad esempio, la consapevolezza dell'avvenuto mutamento, il ripudio di tutto ciò che risultava obsoleto, consuetudinario, basato sul concetto di historia magistra vitae, portano al trionfo del romanzo modernista: Proust, Kafka, Pirandello (per citarne solo alcuni) danno voce all'eroe moderno, un uomo certamente libero dai dogmatismi del passato, ma costantemente inquieto, privo di punti di riferimento, alla continua ricerca di certezze, o meglio, del proprio io.

Può essere utile fare un breve excursus letterario, allo scopo di illustrare in maniera più esaustiva quanto la percezione della modernità abbia modificato radicalmente il quadro culturale europeo in senso lato: in Italia, è Pirandello uno dei primi a contrapporre la fermezza dei valori classici greco-romani alla coscienza della nuova condizione dell'uomo come "vermuccio abbrustolito", "atomo infinitesimale", smarrito e disperso nel mondo ("un'invisibile trottolina"): «Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell'infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell'Universo, con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni [...].»1

Se nell'arte pirandelliana la rottura e la ribellione alla tradizione prendono la forma dell'umorismo e della maschera, (le sue figure "sconciate" e deformate non sono altro che una drammatizzazione dell'uomo borghese medio, esasperato in maniera caricaturale nei suoi tratti caratteristici), di natura diversa è invece il ritratto kafkiano della nuova società industrializzata americana, «un'America cubista, costruttivista, o, se si vuole spettralmente espressionista, nella quale a un estremo grado di geometricità e di perfezione meccanica corrisponde un grado altrettanto estremo di caoticità e di confusione.» L'America rappresenterebbe la terra della libertà, «il paese incantato di illimitate possibilità», a dispetto di un'Europa «che diventa sempre più la terra dell'insopportabile limitatezza».2

L'arte diventa quindi viaggio verso l'inconscio, soggettivismo, sperimentazione di nuove tecniche, propensione verso il futuro e perfino strumento di rivolta sociale, come nel caso dei movimenti di avanguardia, ad esempio, del Futurismo italiano.

La nuova concezione del mondo, della società e dell'arte affermata dai futuristi si configura come attenzione straordinaria verso il progresso tecnologico, la velocità, e le macchine: estrapolando alcune parti particolarmente significative del Manifesto del Futurismo (pubblicato nel 1909 sotto forma di elenco numerato), infatti, si leggono i tratti essenziali non solo della poetica futurista in senso stretto, ma, su più larga scala, dello spirito innovatore che dalla società si trasfigurò nell'arte, rendendo un'automobile, agli occhi dell'uomo moderno, addirittura più bella della Nike di Samotracia: «2)Les éléments essentiels de notre poésie seront le courage, l'audace et la révolte. [...] 4) Nous déclarons que la splendeur du monde s'est enrichie d'une bauté nouvelle: la bauté de la vitesse. Une automobile de course avec son coffre orné de gros tuyaux, tels des serpents à l'haleine explosive...une automobile rougissante, qui a l'air de courir sur de la mitraille, est plus belle que la Victoire de Samotrace. [...] 8) Nous sommes sur le promontoire extrême des siècles!...À quoi bon regarder derrière nous, du moment qu'il nous faut défoncer les vantaux mystérieux de l'impossible? Le Temps et l'Espace sont morts hier. Nous vivons déjà dans l'absolu, puisque nous avons déjà créé l'eternelle vitesse omniprésente.»3

Se in un primo momento le operazioni avanguardistiche trovarono sviluppi soltanto nella pittura e nella letteratura, queste non tardarono ad affermarsi anche in architettura, svecchiando l'intero sistema a livello europeo.

Basti pensare alla corrente olandese del De Stijl4, e inevitabilmente alla neoplastica Casa Rietveld Schroder, o al Protorazionalismo, come risposta più concreta e pragmatica all'Art Nouveau e come soluzione alle nuove problematiche scaturite dal dopoguerra (quali l'esigenza di ricostruzione in seguito al boom demografico, la produzione in grande serie e la riproducibilità industriale, nonchè, evidentemente, la competitività sul mercato).

Secondo Bruno Zevi il De Stijl ha rappresentato «l'unico tentativo di elaborare un codice per l'architettura moderna. [...] Alla staticità del classicismo subentra una visione dinamica, temporalizzata o, se si vuole, quadridimensionale.»5

In Germania la rottura dei canoni e la spinta avanguardistica furono intraprese dal Bauhaus di Walter Gropius, una scuola di intellettuali che intendeva unire la qualità dell'artigianato alla produzione seriale. Nonostante il sostegno di grandi personalità dell'epoca, quali Paul Klee e Vasilij Kandinskij, lo spirito avveniristico fu subito soffocato e interdetto dall'avvento del nazismo, che portò allo scioglimento del Bauhaus nel 1933.

Questo non spense l'interesse e la propulsione verso una nuova sperimentazione artistica, anzi, in architettura, di fatto, segnò il passaggio al Razionalismo.

Non è un caso che proprio in questo contesto di cambiamenti rapidi ma indelebili, di rottura dei canoni, di ricerca quasi ossessiva di originalità, si inserisca la figura di un artista poliedrico, il cui nome risuona ancora oggi come un'icona in architettura e urbanistica: si tratta di Charles-Édouard Jeanneret (1887-1965), meglio noto come Le Corbusier.

Le Corbusier si inserisce a pieno titolo in quel filone "anticlassico", che intende rinnovare, ripulire, svecchiare la cultura classica dai dogmatismi e dai precetti che non rappresentavano più la modernità, anzi la intrappolavano. Nella sua opera più celebre egli scrive: «Siamo in un periodo di costruzione e di riadattamento a nuove condizioni sociali e economiche. Passiamo un promontorio e i nuovi orizzonti non ritrovano la grande linea delle tradizioni che attraverso una revisione completa dei mezzi correnti, che attraverso la determinazione di nuove basi costruttive stabilite sulla logica.»6 E ancora: «L'architettura soffoca nelle consuetudini.»7

Ma non basta: egli fa il salto, va oltre, sfida il moderno e si apre al contemporaneo: non è difficile pensare che abbia gettato le basi per la formazione dell'attualissima architettura liquida.

L'operazione di ricerca di questo architetto, pittore, scultore, urbanista, pensatore è volta fin dai primi anni a un'indagine continua e insaziabile, fatta di viaggi, osservazioni meticolose, appunti preziosi, circoli intellettuali stimolanti. Le Corbusier arricchisce giorno dopo giorno il suo bagaglio, ponendosi nei confronti dell'arte con spirito critico e prontezza d'ingegno, con un atteggiamento di scoperta e riscoperta quasi naïf8: proprio come fa una spugna a contatto con i liquidi, allo stesso modo egli assorbe, filtra, trattiene e poi rielabora.

Si dedica allo studio approfondito, alle sperimentazioni, ai viaggi, alla "formazione autodidatta", comincia a sviluppare una coscienza intellettuale che lo avvicina volta per volta a diverse espressioni artistiche.

«Au-delà des notes, des photos et des croquis qui, au fil de ses découvertes ou redécouvertes, le confortent dans la certitude que l'émergence de la modernité est inévitable, le voyage entraîne Le Corbusier dans une réflexion sur le sens du monde, et plus précisément sur le rôle majeur de l'architecture dans le devenir des sociétés: 'L'architecture est la première manifestation de l'homme créant son univers'.»9

Ama definirsi homme de lettres, alla luce della completezza dei suoi studi, non distante dalla concezione rinascimentale di homo universalis.

Dopo un iniziale legame con il Decorativismo dell'Art Nouveau, decide di dedicarsi all'architettura: nei primi anni del '900 si sposta nelle principali capitali europee, dove entra in contatto con numerosi intellettuali e architetti. Una delle tappe fondamentali per la sua formazione culturale è l'Italia (1907), dove, dall'iniziale intento di analizzare le architetture fiorentine bizantine e gotiche, si sposta in diversi luoghi in cui si circonda di cartoline, immagini, appunti, che lo arricchiscono in una misura inestimabile e preziosa.

Il giovanissimo artista svizzero fa ciò che ama, viaggia e studia, si nutre dell'equilibrio con l'ambiente circostante e con la natura. Durante il soggiorno nelle campagne fiorentine, appena diciannovenne, scrive: «L'infinito del paesaggio, la compagnia di se stessi. Mi sento pervaso da una sensazione di armonia straordinaria. Mi rendo conto che si è colmata un'aspirazione umana autentica: il silenzio, la solitudine; ma anche il contatto quotidiano con i mortali; e ancora, l'accesso alle effusioni verso l'inafferrabile.»10 Si evince già un ingegno sottilissimo, non molto lontano, in un certo senso, dalla sensibilità dell'Idillio leopardiano.

Se in Italia Le Corbusier si addentra nell'architettura del passato, è a Vienna, subito dopo, e a Berlino poi, che si apre verso l'architettura moderna attraverso lo studio delle opere di Joseph Hoffman, Otto Wagner e la frequentazione con Peter Behrens.

Nel 1917 raggiunge Parigi, una tappa fondamentale per la sua formazione artistica tout court: sono determinanti a questo punto la collaborazione con Auguste Perret e l'incontro con Amédée Ozenfant e Paul Dermée: si apre in questo momento una fase di purismo, caratterizzata dalla pubblicazione delle riviste Avant-guarde e L'Esprit Nouveau.

Ma sono gli anni '20 i più propizi per lo sviluppo di una maturità artistica decisamente autonoma e consapevole: nel 1923 pubblica Vers une architecture, l'opera in cui si trovano i fondamenti della sua filosofia, e che lo consacra padre del Razionalismo, conferendogli finalmente la fama a livello internazionale.

É un manifesto figlio del suo tempo, che non vuole incancrenirsi nel passato, da cui pure prende vita: di certo non più un elenco di norme manualistiche, canoni e precetti, ma un'opera nuova, completa, dove l'attrazione per la teoria, la ricerca stilistica e la filosofia creano una mixture perfetta tra poesia, architettura e urbanistica, provocando sensazioni ed emozioni sorprendenti.

Da un parte l'architettura, l'empirismo, la funzionalità dell'abitazione, dall'altra il piacere estetico, la plasticità delle forme, la sobrietà, lo stimolo dei sensi intellettivi: «L'architettura, essendo emozione plastica, deve, nel suo regno, COMINCIARE DALL'INIZIO, E IMPIEGARE GLI ELEMENTI SUSCETTIBILI DI COLPIRE I NOSTRI SENSI, DI ESAUDIRE I NOSTRI DESIDERI VISUALI, E DISPORLI IN MANIERA CHE LA LORO VISTA CI COLPISCA CHIARAMENTE, per delicatezza, brutalità, tumulto o serenità, indifferenza o interesse; [...].»11

Si legge ancora: «L'ARCHITETTURA è per eccellenza l'arte che raggiunge uno stato di grandezza platonica, ordine matematico, speculazione, percezione dell'armonia, mediante rapporti che sollecitano l'emozione. Ecco il FINE dell'architettura.»12

Nell'amalgama di tanti ingredienti, sono tangibili le tracce della vita d'infanzia: non è un caso, infatti, che il padre sia un orologiaio svizzero, e la madre una pianista: un matrimonio perfetto tra la ragione della tecnica e l'impulso dello stimolo creativo.

Tutto ciò si traduce in Charles-Édouard nella ricerca architettonica di forme semplici, essenziali, che va di pari passo con l'attività contemplativa, in cui sperimenta continuamente l'armonia con l'elemento naturale: «L'architettura è la prima manifestazione dell'uomo che crea il suo universo, e lo crea a immagine della natura, aderente alle leggi della natura, alle leggi che reggono la nostra natura, il nostro universo. [...] Un supremo determinismo illumina le creazioni naturali e ci dà la sicurezza di una cosa equilibrata e ragionevolmente fatta, di una cosa infinitamente modulata, evolutiva, varia e unitaria. Le leggi fisiche primordiali sono poche e semplici. Le leggi morali sono poche e semplici»13.

Nel trattato, inoltre, sono esposti i 5 capisaldi dell'architettura moderna, con cui il maestro apporta un contributo essenziale alle pratiche architettoniche del '900 (inaugurando il Razionalismo), senza tralasciarne però la considerevole portata teorica.

Pochi anni dopo, sulla base dei 5 punti, Le Corbusier e il cugino Pierre Jeanneret progettano un'abitazione privata su commissione di Pierre Savoye, un broker assicurativo la cui richiesta è una residenza di campagna, dove trascorrere le vacanze con la famiglia.

A questo momento storico risale la costruzione di una delle ville più osservate degli ultimi cent'anni, oggi considerata patrimonio del XX secolo dal CMN (Centre des Monuments Nationaux). Si tratta della celebre Villa Savoye, costruita nel 1929, che rappresenta il punto di partenza e la massima espressione del Razionalismo lecorbusieriano: il progetto si può considerare non soltanto l'applicazione della nuova filosofia moderna esposta nel trattato appena pubblicato, ma anche l'aderenza fedele ai 5 punti, che non si limitano così ad un'enumeratio utopica e lontana da fini pratici.

La villa è situata a Poissy, un piccolo sobborgo a 30 km da Parigi, non lontano dalla dinamicità della vita cittadina, ma distante quanto basta per trovare ristoro nella valle della Senna. La residenza si trova in una posizione appartata, immersa nel verde, circondata da una vegetazione rigogliosa che la isola completamente: è impossibile anche solo intravederla dall'esterno del cancello.

Una volta entrati nella tenuta, che inizialmente si estendeva su ben 8 ettari di terreno, ci si sente catapultati all'interno di un quadro impressionista, in una passeggiata lungo sentieri erbosi circondati da prati e frutteti.

Fin da subito il visitatore sperimenta la quiete derivante dal contatto con la natura: la vegetazione è rigogliosa e maestosa, ma lo accompagna dolcemente nella gradevole camminata verso l'abitazione. La stimolazione dei sensi è immediata e costante: i colori caldi dell'ambiente naturale in autunno o vivaci e gioiosi in primavera, il rumore dei passi sul fogliame, l'odore dei frutteti, tutto sembra favorire la quiete.

La villa non sovrasta la collina con superbia, e non disturba l'armonia dell'ambiente circostante, ma, al contrario, si inserisce perfettamente nel contesto, come in un dipinto.

Il sentiero che conduce alla villa ha lo scopo di lasciarla scoprire pian piano, al termine della passeggiata agréable nel verde, o, come preferisce chiamarla il maestro, promenade architecturale (passeggiata architettonica): in questo modo, infatti, Le Corbusier mette in atto fin dal cancello d'ingresso l'idea di un annullamento dei confini tra esterno ed interno.

Ad un'analisi dall'esterno, la nuova casa dell'uomo europeo del Novecento presenta forme e volumi semplici, è completamente bianca, priva di decorazioni e perfettamente simmetrica.

Con la simmetria delle facciate identiche sui 4 lati l'architetto ripropone l'ordine perfetto e deterministico presente in natura, ma è ben lontano da quei principi dell'architettura classica basati sui parallelismi e fortemente criticati da Zevi.14

Nella struttura, infatti, lo "spirito anticlassico", nonostante la staticità resa dalla simmetria della pianta e della facciata, è subito riconoscibile dal diverso uso delle finestre: le ampie vetrate a nastro alleggeriscono l'ordine superiore, e contribuiscono a creare movimento tramite l'alternanza di pieni e di vuoti.

Dall'interno pertanto, le pareti risultano quasi completamente aperte, e permettono di godere del panorama mozzafiato della valle della Senna, come un dipinto incorniciato in una tela orizzontale, dove nessun dettaglio è lasciato al caso: l'uomo vede esattamente ciò che l'architetto vuole che veda. La sensazione derivante dal dialogo con la natura, sia dall'interno che dall'esterno, è di massimo benessere.

Un modello contemporaneo che adotta, se vogliamo, il medesimo principio di base, seppur con ispirazioni nordeuropee e perfino orientaleggianti, si può osservare nel Museo della Fondazione Beyeler a Basilea, progettato da Renzo Piano nel 1997. L'architettura finestrata, che elimina la separazione tra l'interno e l'esterno, e l'elemento aggettante (citazione olandese del De Stjil), contribuiscono ad incastrare perfettamente la struttura nell'ambiente circostante, senza distinzioni tra il naturale e l'artificiale, secondo quel principio della città-giardino, tipica dell'architettura di paesaggio. A questo scopo sono finalizzate anche le pareti arboree e la presenza dell'acqua riflettente. Anche in questo caso, dunque, le aperture totali, il perfetto bilanciamento tra le leggi della natura e la mano dell'uomo, l'effetto rilassante che stimola i sensi, fanno pensare al maestro svizzero dei lontani anni '30, che curò meticolosamente la valorizzazione della natura e delle sue caratteristiche.

Nel progetto per i Savoye è fondamentale che l'interno si apra all'ambiente esterno, che le pareti si annullino per garantire sia la piena immersione nel verde sia il grado di illuminazione massimo. Come aveva esposto Le Corbusier in L'Esprit Nouveau, l'emozione dell'architettura deriverebbe proprio dal «gioco sapiente rigoroso e magnifico dei volumi nella luce.»15

Tutto ciò è possibile grazie alla cosiddetta Fenêtre en longueur (finestra a nastro), uno dei 5 punti dell'architettura moderna, una grande innovazione sul piano architettonico.

A questo proposito l'architetto svizzero, esponendo uno dei progetti utopistici, quello delle "strade a redents"16 nel trattato del '23, concepisce nuovi «appartamenti che si aprono, in ogni facciata, all'aria e alla luce, e che guardano non sui fragili alberi dei viali attuali, ma su prati, su campi di gioco e ricche praterie.»17

Anche in questo caso egli è consapevole del cambiamento radicale che sta proponendo, e non biasima coloro che non lo capiscono ancora. Ma con lucidità afferma: «In architettura le vecchie basi costruttive sono morte.»18 Bisogna riscoprire i principi fondando nuove basi. «Si preannunciano vent'anni da impegnare nella creazione di queste nuove basi. Periodo di grandi problemi, periodo di analisi, di sperimentazione, periodo anche di grandi rivolgimenti estetici, periodo di elaborazione di una nuova estetica.»19

L'apertura totale delle pareti a favore del dialogo con l'ambiente esterno è possibile grazie alla sostituzione dei muri portanti con uno scheletro in calcestruzzo armato: anche in questo caso la villa di Poissy rappresenta un'icona nella sperimentazione architettonica di materiali innovativi.

Le aperture di una tale ampiezza, inoltre, fanno sì che la casa sia sempre illuminata dalla luce solare. Pertanto, l'elemento naturale sarà sempre protagonista: non solo natura come elemento vegetale, ma anche come fonte di luce.

La presenza preponderante della luce accomuna la villa a molte architetture dei nostri giorni, in cui la ricerca e lo studio dell'illuminazione sfociano in soluzioni talvolta simili a quelle scelte da Le Corbusier, talvolta molto più avveniristiche: ad esempio, nel Walker Art Center di Herzog e De Meuron (Minnesota, 2005) si può parlare di vera e propria "architettura della luce": oltre all'adozione dell'aggetto come strumento di alleggerimento del piano basso, che pure li accomuna a Le Corbusier, gli architetti liquidi annullano completamente le pareti, ma solo durante la notte. Tramite l'uso di pannelli particolari, queste sono riflettenti durante il giorno, e trasparenti nelle ore notturne. L'effetto ottenuto è estremamente interessante: da una parte si abbattono le pareti tra l'esterno e l'interno, dall'altra si ottengono effetti pittoricistici molto originali grazie all'uso sapiente dell'illuminazione artificiale.

Nel Guggenheim Museum di Frank O. Gehry invece, l'effetto luminescente è reso non dalle finestre, ma dall'utilizzo del titanio, il materiale riflettente che conferisce alla struttura un fascino particolare, con effetti chiaroscurali dall'aspetto dinamico e vivace.

Per comprendere la portata dello spirito innovativo di Le Corbusier, che osa uscire fuori dalla sua epoca e fare un salto di almeno 50 anni, fino ai nostri giorni, è sufficiente osservare la famosa cappella di Notre Dame du Haut, a Ronchamp (anni '50), un chiaro esempio di approccio originalissimo allo studio della luce. Anche in questo caso, infatti, Le Corbusier è talmente innovativo che definirlo anticlassico può sembrare quasi riduttivo: la cappella è una struttura degna di essere definita liquida.

É importante rilevare come essa mostri i segni di un cambiamento radicale nella società: è significativo dunque, da una parte il nuovo uso della luce e delle aperture, d'altra parte le linee curve, le pareti tutte differenti, bianche, con il grande tetto in cemento armato, che dominano il paesaggio.

Dall'esterno la fluidità e la plasticità delle forme realizzano a pieno il contatto con la natura, da sempre desiderato, ma generano qualcosa in più: fanno sembrare la struttura quasi sospesa, come in una dimensione di massimo benessere, quasi a voler fermare il tempo.

Dall'interno invece, gli effetti pittoricistici creati dalle aperture tutte diverse tra loro e disposte in maniera asimmetrica, creano una sensazione del tutto nuova: la luce, con i suoi chiaroscuri soffusi, è protagonista e genera emozioni inaspettate.

Un cenno particolare merita l'uso del cemento armato già a Villa Savoye nel '29, una grande novità nell'architettura degli anni '30, che conferisce all'architetto una libertà di espressione mai conosciuta prima. La sperimentazione del béton armé da parte di Le Corbusier inizia con la collaborazione con Peter Behrens, quando si reca in Germania nel 1910. Qui studia l'impiego del calcestruzzo nella realizzazione di silos ed edifici industriali, e ne considera le potenzialità come incredibile strumento di progresso.

Come ribadisce nel suo testo teorico, «La costruzione di cemento armato ha determinato una rivoluzione nell'estetica del costruire».20

Se in Villa Savoye non fosse stato utilizzato il cemento armato, non sarebbe stato possibile applicare nessuno dei 5 capisaldi del modernismo.

A questo proposito, per la loro importanza in architettura e urbanistica a livello internazionale, è necessario soffermarsi proprio sui 5 punti lecorbuseriani, e studiare, nello specifico, che tipo di applicazione questi hanno trovato nella villa di Poissy.

Essi sono: i pilotis (pilastri), le toit-terrasse (tetto-giardino), le plan libre (pianta libera), la façade libre (facciata libera) e le fenêtres en longueur (finestre a nastro).

Come scrive lo stesso architetto: «Je vous rappelle ce 'plan paralyse' de la maison de pierre et ceci à quoi nous sommes arrivés avec la maison de fer ou de ciment armé. Plan libre, façade libre, ossature indépendante, fenêtres en longueur ou pan de verre, pilotis, toit-jardin et l'intérieur muni de "casiers" et débarrassé de l'encombrement des meubles.»21

I pilotis sono pilastri molto esili in cemento armato che sostengono i solai, anch'essi in calcestruzzo armato. Utilizzandoli, Le Corbusier eleva la costruzione separandola dal suolo e dall'umidità, rendendola quasi una "scatola sospesa", garantendo inoltre la fruibilità dello spazio sottostante.

L'area infatti è concepita sia come passaggio pedonale, sia come accesso carraio alla rimessa, dietro una parete vetrata curva che simula e facilita il percorso con la vettura.

L'idea dei pilotis in cemento armato risale, in realtà a molto tempo prima: nel 1914, infatti, Le Corbusier progetta la Maison Dom-ino, una struttura in calcestruzzo armato in cui la pianta e i prospetti sono indipendenti dall'edificio. Il sistema è ideato per essere estensibile come le tessere del domino, così da creare molteplici combinazioni possibili di assemblaggio: in questo modo si sarebbe facilitata la produzione in serie di quartieri popolari a basso costo22.

Le Corbusier pone il cemento armato al centro della ricerca che conduce sull'estetica purista; nel progetto della Maison Dom-ino sono contenute tutte le caratteristiche del movimento: il rigore geometrico, l'essenzialità delle forme, la spinta per la produzione in serie, elementi di cui parla insieme all'amico Ozenfant nell'articolo Après le cubisme, comparso sull'Esprit Nouveau nel 1920, molto prima quindi della casa a Poissy.

Inoltre, nel trattato del '23 Le Corbusier dichiara di aver già esposto l'argomento a Auguste Perret con il progetto delle cosiddette città-pilotis, estremamente funzionali in quanto finalizzate ad eliminare tutti i problemi derivanti dalle fondamenta delle case, dai condotti dell'acqua e del gas, dalle metropolitane, da tutto ciò che si trovava nel sottosuolo. L'idea avrebbe triplicato la superficie circolabile: «corrispondeva a un bisogno, costava meno caro, ed era più sana dell'attuale modo di procedere»23.

La soluzione, che veniva appunto dai pilotis, consisteva nel costruire nuovi quartieri (e Le Corbusier prende in esame proprio la città di Parigi) a partire dal livello del suolo. I pilastri in cemento armato avrebbero sostenuto il pianoterra degli immobili, fungendo da fondamenta, elevandoli di cinque o sei metri rispetto al suolo, in modo tale da impiegare lo spazio sottostante come area di transito per i camion pesanti pittosto che per le metropolitane. Ne sarebbe derivata una nuova rete di circolazione indipendente da quella delle vetture e dei pedoni. Inoltre, bar, locali e ristoranti non sarebbero più stati quella «specie di muffa che invade i marciapiedi», ma spostati sulle terrazze, sarebbero stati «consacrati al riposo tra le distese di verde e di fiori».24

Sebbene non trovò mai una realizzazione pratica, il progetto risulta fin troppo avveniristico se si considera la dimensione cronologica, al punto da sfiorare l'utopia.

Tornando alla villa, la realizzazione del tetto-giardino, il secondo punto, è un altro tentativo ben riuscito di aumentare la superficie degli spazi fruibili, e di creare continuità tra l'ambiente esterno e quello interno. Il tetto diventa un'area utilizzabile, dove non è escluso che si possa addirittura inserire una piscina: presentando un giardino rilassante, esso unisce la dimensione estetica a quella funzionale strettamente architettonica: l'erba che cresce tra le lastre in cemento, infatti, fa da coibente nei confronti dei piani inferiori, e l'utilizzo del cemento armato garantisce solai molto più resistenti.

Inoltre, dal tetto, l'azzurro del cielo è incorniciato dal verde della vegetazione lussureggiante: l'impressione è quella di contemplare un quadro all'aria aperta: l'architettura non smette di creare emozioni. «L'ARCHITETTURA è un fatto d'arte, un fenomeno che suscita emozione, [...] l'Architettura È PER COMMUOVERE.»25

Anche il terzo punto, quello del cosiddetto plan libre, o pianta libera, è un'ulteriore conseguenza diretta dello scheletro portante en béton armé: i piani risultano indipendenti tra loro, pertanto, sono sufficienti leggeri tramezzi separatori posti a piacimento dall'architetto.

Con il quarto punto Le Corbusier teorizza il principio della facciata libera, o façade libre, secondo cui le facciate, indipendenti dalla struttura portante, possono essere concepite dall'architetto con estrema libertà.

Il quinto e ultimo principio è quello delle finestre a nastro, di cui sopra.

I cinque costrutti teorici, alla base della teoria funzionalista, trovano realizzazione in diverse altre abitazioni lecorbusieriane. In Villa La Roche-Jeanneret, ad esempio, è possibile riscontrare tutte le strategie teorizzate ed adottate a Poissy: le vetrate a nastro che alleggeriscono la struttura, i pilotis e lo scheletro in cemento armato, il tetto-giardino, il minimalismo, gli ambienti costruiti e razionalizzati a seconda della loro funzionalità.

La villa di Poissy non solo rappresenta presto un'icona per la vasta gamma di innovazioni che contiene, ma esercita ancora oggi una forte influenza per architetti, intellettuali e progettisti, grazie ad assonanze sia dal punto di vista concettuale, che della formazione dello spazio dell'abitazione.

Potrebbe essere immediato infatti il parallelo con la celebre Villa Dall'Ava di Rem Koolhas, completata nel 1991.

Come Villa Savoye, essa si trova in una posizione strategica rispetto al centro di Parigi e alla valle della Senna. Anche Koolhas utilizza i pilotis, o meglio una "foresta" di pilotis, per contrassegnare l'ingresso pedonale all'abitazione. Tuttavia, mentre in Le Corbusier la promenade architecturale esterna è una vera e propria immersione nella natura che conduce alla scoperta delle forme essenziali e geometriche della villa, in questo caso il percorso verso l'interno è costituito da un piccolo sentiero a zig-zag scandagliato da pilastri molto esili, posizionati anche in obliquo: la sensazione derivante è del tutto diversa: i pilotis, non più bianchi ma colorati in diverse sfumature di grigio, rendono movimento, disordine, la casa sembra un corpo galleggiante più che una scatola sospesa ed elevata nella sua perfezione.

L'architetto olandese, pertanto, sembra sì prendere spunto dall'estetica di Le Corbusier, per poi decostruire e rivisitare i suoi punti chiave in un'ottica del tutto nuova: il piccolo sentiero zigzagante che permette l'accesso alla casa è una ricostruzione rovesciata del principio con cui Le Corbusier progetta l'elegante passaggio curvilineo per le vetture al pianoterra.

Come è stato affermato, la sagoma della villa di Saint Cloud, dal punto di vista volumetrico, sembra «una Villa Savoye aggressiva e malandata».26

Sul tetto-giardino, ad esempio, altro elemento comune in entrambe le case come luogo di svago, Koolhaas inserisce una piscina priva di parapetto di sicurezza, quasi a non voler disturbare la purezza dei volumi. Di notte, inoltre, l'illuminotecnica conferisce all'abitazione un aspetto scenografico, cinematografico.

All'interno, la villa di Poissy favorisce la continuazione di quel processo iniziatico, quasi catartico, che coincide con la passeggiata architettonica: ad esempio, la pavimentazione della rampa che conduce da un piano all'altro, dagli spazi comuni a quelli privati, è posizionata in diagonale per rafforzare il senso dinamico: il movimento dell'uomo nello spazio è controllato in maniera meticolosa dall'architetto, che mette in equilibrio le distinzioni tra gli ambienti di vita privata e comune, gli scorci e le vedute dall'interno (che non sono casuali, ma incorniciate appositamente), le proporzioni tra i volumi studiate in maniera maniacale.

Egli controlla e dirige continuamente il movimento dell'uomo all'esterno e all'interno della villa, nulla è lasciato al caso. La scelta si può far risalire a quei viaggi giovanili che lo arricchirono immensamente: «L'architettura araba ci fornisce una preziosa lezione. La si apprezza in movimento, a piedi: è camminando, muovendosi attorno che si vedono svilupparsi gli strumenti ordinativi dell'architettura.»27

Ma un'ispirazione ancor più preponderante risale a tempi non sospetti, al primo viaggio in Italia. Siamo nel 1907, quando Le Corbusier si trova a Firenze, e visita il monastero di Ema. Egli rimane impressionato dalla concezione della divisione degli spazi, da come questa favorisca così bene la separazione della dimensione individuale da quella collettiva. Per la rampa in diagonale perciò, si ispira a una salita del monastero che conduce al piano superiore e delicatamente apre la vista verso l'esterno tramite aperture ad arco.

In Koolhaas, le citazioni dei maestri dell'architettura che lo hanno preceduto sono molteplici, ma non sistematiche. Si tratta per lo più di squarci, frammenti, che rappresentano un mondo attuale metropolitano, eterogeneo, una neo-società liquida, in cui catalogare un codice organizzato e sistematico potrebbe risultare utopistico. Egli non è sofisticato e meticoloso come il maestro svizzero, ma è grazie ai rapporti tra lo spazio e alle interrelazioni tra l'interno e l'esterno che il suo oggetto funziona, e raggiunge la fama internazionale.28

Ma c'è qualcosa che accomuna Le Corbusier ad un grande maestro del passato, che pure si è distinto nel rifiuto di soggiacere ad un codice classico antico e Rinascimentale fiorentino, in cui si può individuare la compresenza, o meglio, la dialettica tra un codice classico e spinte anticlassiche che anticipano il '900: si tratta di Palladio, un architetto «nettamente anti-architettonico», come è stato definito, che «stupisce per bizzarria», e fonda la sua ricerca sull'opposizione tra l'estetica del precetto (dei "filosofi", degli architetti greci e romani), e quella dell'arbitrio, per cui si sceglie di contravvenire agli schemi dominanti, ritenuti incapaci di esprimere in toto le proprie capacità.

«Nell'arbitrio era ormai trovato il diritto miracoloso del genio, nella 'bizzarria' una intima e pur prepotente necessità di poesia».29

La spinta anticlassica palladiana, favorita dall'ambiente veneziano, e razionalmente inserita nel contesto classico della ricerca di una bellezza pura, dell'imitazione degli antichi, del manierismo, consiste in slanci di rottura, anticlassici per l'appunto, in cui però non si avverte una dicotomia antinomica tra i due sistemi, bensì un connubio ben riuscito: proprio su questo concetto si fonda la teoria di Giulio Carlo Argan, il quale, non fermandosi all'interpretazione purovisibilista dell'oggetto, riconosce in Palladio quel tentativo ben riuscito di dialogo e convivenza tra due codici opposti, l'uno volto al raggiungimento della perfezione michelangiolesca, l'altro teso alla ricerca di un assurdo, un inspiegabile, una bizzarria. Si potrebbe affermare che lo stato embrionale di quel progetto anticlassico, coraggioso, bizzarro, che darà poi vita alla liquidità dei nostri giorni, passando obbligatoriamente per Le Corbusier, è racchiuso proprio in Palladio.

Un ulteriore elemento accomuna i due maestri, e lo si può constatare comparando la villa di Poissy con la sontuosa Villa La Rotonda.

Da una descrizione di quest'ultima si legge: «The site is pleasant and delightful as can be found, because it is on a small hill of very easy access, and it is watered on one site by the Bacchiglione, a navigable river; and on the other it is encompassed about with most pleasant risings which look alike a very great theatre and are all cultivated about with most excellent fruits and most exquisite vines; and therefore as it enjoys from every part most beautiful views, some of which are limited, some more extended, and others which terminate with the horizon, there are loggias made in all four fronts».30

Questa visione della villa palladiana non è lontana da quella proposta dallo stesso Le Corbusier della casa a Poissy: «La maison est une boîte en l'air au milieu des prairies dominant le verger...Le plan est pur...Il est à sa juste place dans l'agreste paysage de Poissy. Les habitants, venus ici parce que cette campagne agreste était belle avec sa vie de campagne, ils la contempleront, maintenue intacte, du haut de leur jardin suspendu ou des quatre faces de leurs fenêtres en longueur. Leur vie domestique sera inserée dans un rêve virgilien.»31

L'idea del mito virgiliano, di un paesaggio bucolico incontaminato, in cui la bellezza naturale si sposa con la mano colta dell'uomo, ricorre in entrambe le concezioni architettoniche.

Nel caso specifico dell'abitazione dei Savoye, la scelta della collocazione a Poissy risale proprio alla volontà di ricreare quel locus amoenus in cui vivere le vacanze appartati seguendo la linea epicurea; come è stato osservato: «From the hygenically equipped boudoirs, pausing while ascending the ramps, the memory of the Georgics no doubt interposes itself; and, perhaps, the historical reference may even add a stimulus as the car pulls out for Paris».32

Il connubio tra la perfezione di una dimensione classicheggiante e un linguaggio che, sorprendentemente, ne rifiuta i codici, si trova in particolar modo nella Cappella di Ronchamp, dove la disposizione asimmetrica delle finestre (che rimangono pur sempre figure geometriche pure ed essenziali), rimanda subito ad una facciata di tipo anticlassico, per il superamento dei principi di parallelismi e simmetria che avevano dominato fino ad allora.

Ma Le Corbusier, come sostiene anche Zevi, attua un superamento, apre le porte al liquido degli anni '90: proponendosi di rendere il movimento e l'energia cinetica tramite l'asimmetria e la distribuzione delle finestre (solo apparentemente casuale), egli si rifà contestualmente alla visione futuristica di Boccioni e Duchamp per la ricerca di fluidi dinamici, e all'astrattismo geometrico di Mondrian, nell'uso delle linee rette che delineano le aperture: fin dal primo impatto è immediato, in effetti, il rimando alla Composizione con giallo, blu e rosso, e agli esiti di rigore geometrico molto severo in cui sfocia la loro ricerca.

«Le Corbusier is, in some ways, the most catholic and ingenious of ecletics. [...] there is always an element of wit suggesting that the historical (or contemporary) reference has remained a quotation between inverted commas, possessing always the double value of the quotation, the association of both old and new context.»33

La Cappella di Ronchamp, dunque, si può considerare il vero esempio di anticlassico già proteso verso il liquido: è stupefacente, in questo senso, la modernità del maestro svizzero, che anticipa di circa 40 anni un fenomeno tutt'ora in fieri.

Non c'è traccia dei 5 punti, del razionalismo, della pianta e dei tracciati: l'operazione messa in atto è una vera e propria tabula rasa del sostrato precedente, una scelta coraggiosa: comunicare attraverso un linguaggio non ancora codificato, o meglio, comunicare con un codice di grado zero.34

Le Corbusier ha il coraggio di manifestare la crisi postbellica, di dichiarare la consapevolezza del cambiamento totale di un'epoca, di cui non si è ancora preso coscienza.

La cappella di Ronchamp è un concentrato di tutti gli elementi di rottura con il passato: non solo dunque il rifiuto dei parallelismi e delle simmetrie, ma anche l'analisi dei fasci di luce solare, la ricerca dell'energia cinetica, le forme plastiche e fluide che dinamizzano la visione complessiva, senza sottovalutare la riflessione sul tempo, o meglio sullo "spazio temporalizzato".35

Tutto sembra predisporre al liquido, dare inizio alla ricerca di un nuovo e complesso codice architettonico, «un'architettura d'azione, in un espressionismo astratto, un linguaggio di grado zero.»36

Già osservando la villa di Poissy, un elemento inaspettato, che risulta quasi bizzarro rispetto alla simmetria ineccepibile e alla geometria pura dei volumi, è rappresentato dall'ultimo ordine, curvilineo e asimmetrico, un elemento di rottura, quasi "di disturbo" al cospetto di tanta perfezione.

Quell'elemento "disturbatore", in realtà, insieme all'alteranza di pieni e di vuoti, dinamizza e alterna slanci di energia cinetica a momenti di massima staticità: la villa, così appartata e indisturbata, vuole essere funzionale alle nuove esigenze dell'uomo moderno, proteso verso il futuro, e, al contempo sembra collocata in un microcosmo fuori città, bucolico, senza tempo.

La riflessione sul tempo, che Le Corbusier sembra non aver trascurato fin dal primo Razionalismo, è un elemento portante alla base della ricerca filosofica dell'architettura liquida dei nostri giorni e trova, come si è detto, nel futurismo di Boccioni e Duchamp, alcune delle migliori rappresentanze.37

La destrutturazione futurista delle forme nello spazio, ispirata alla ricerca cubista, inizia a considerare la dimensione temporale come elemento imprescindibile del prodotto artistico: la propensione verso il futuro, l'ansia del progresso, la velocità dei flussi dinamici, danno una lettura di certo non pacifica dell'opera d'arte. Inconfondibile in questa fase l'approccio multidimensionale dello spazio-tempo, che di lì a breve avrebbe approfondito in altri ambiti Albert Einstein.

Non più dunque la prospettiva rinascimentale e l'eternità dell'opera, ma una visione della realtà rinnovata, multiforme, nervosa e frenetica: la guerra, le nuove costruzioni, i troppi eventi che mutano radicalmente la storia dell'Europa, portano, nel corso dei decenni, a quella società liquida, così complessa e labile, sui cui meandri si indaga da alcuni anni con una certa laboriosità.

Il concetto di liquido, infatti, è oggetto di diverse discipline. Una delle definizioni ad oggi più esaustive si trova nel noto sociologo Zygmunt Bauman: la modernità liquida sarebbe caratterizzata dalla «convinzione sempre più forte che l'unica costante sia il cambiamento e l'unica certezza sia l'incertezza».38

É chiara dunque la posizione dei sociologi rispetto alla condizione dell'uomo contemporaeo: in questa società liquida, in cui tutto è istantaneo, fluido, instabile, l'individuo sperimenta la drammaticità della solitudine e dell'incertezza.

Dal punto di vista strettamente architettonico, la liquidità delle costruzioni è evidente nell'evoluzione della destrutturazione cubo-futurista delle forme, che trova maggiore applicazione nella gestione dei volumi di Gehry e Mendini, ad esempio, i cui volumi scomposti comunicano tra loro freneticamente, in una lotta di monadi, che nell'insieme rende la visione estremamente dinamica ed energica. La società rappresentata è quindi un network di singoli in continua espansione, i quali, nonostante la globalizzazione e la rapidità delle comunicazioni, vivono una condizione di profonda solitudine.

Possiamo considerare, se vogliamo, quel terzo ordine curvilineo e scomposto di Poissy, quell'elemento "disturbatore" della quiete virgiliana, come la rappresentazione anticlassica di un sentimento liquido che Le Corbusier aveva già interiorizzato.

Certamente siamo ben lontani dal raffinatissimo Jean Nouvel (sebbene la scelta del bianco sia un elemento da valutare), per citarne soltanto uno, ma prendendo in esame la Cappella di Ronchamp, senza dubbio risulta sorprendente il superamento dell'anticlassico già proteso verso un atteggiamento liquido.

Inoltre, mentre è concentrato sulla cappella a Ronchamp, negli anni '50, Le Corbusier torna ad occuparsi delle abitazioni dell'uomo moderno, elaborando quella che sarà una delle sue teorie principali, il Modulor. L'abitazione è concepita prima di tutto come una maison à habiter: la casa è uno spazio che deve rispondere a tutte le esigenze funzionali e pratiche dell'uomo: egli diventa l'unità di misura, il modello a cui tutto deve essere ispirato. Le linee guida di questa nuova architettura sono le proporzioni fisiche dell'uomo stesso, simbolicamente stilizzato, con il braccio alzato e la mano aperta.

Il singolo è al centro dell'indagine artistico-architettonica: torna l'antropocentrismo umanistico-rinascimentale, e se vogliamo, molto più indietro nel tempo, la formula protagorea: l'uomo è misura di tutte le cose.

Il sistema di proporzioni del Modulor è applicato nell'Unité d'habitation di Marsiglia (1947-1952), un imponente monolite di diciotto piani e trecentotrentasette appartamenti duplex, edificato e pensato per soddisfare la carenza di abitazioni in seguito al boom demografico del dopoguerra.

Anche in questo caso, il tetto non è escluso dalla ricerca funzionale: viene adibito infatti come area di gioco per i bambini.

La funzionalità degli interni a misura d'uomo in realtà è ricercata fin dal progetto di Villa Savoye, sebbene non abbia ancora trovato una concezione teorica ben precisa.

La casa è lo spazio dove l'uomo vive ed esprime se stesso, una piccola parte del mondo in cui ritorna con una finestra sempre aperta verso l'ambiente esterno.

Non è casuale negli anni '60 la collaborazione di Le Corbusier con l'ingegnere Adriano Olivetti, che tuttavia non andò in porto a causa della morte prematura di quest'ultimo. Si tratta della progettazione della cosiddetta Usine Verte (Fabbrica verde), un centro di calcolo elettronico che avrebbe ospitato i progenitori dei computer. La matrice del progetto intendeva sostituire al modello della tipica Usine noire uno stabilimento avanguardistico, frutto della ben nota indole utopica di entrambi i maestri. Il progetto era ambizioso: umanizzare la fatica delle estenuanti e alienanti ore di lavoro tramite il contatto e il dialogo con l'ambiente agrario circostante, ristabilendo così «intorno al lavoro le 'condizioni di natura'»39. Il concetto di umanizzazione dello stabilimento è espresso chiaramente nel ritorno alla predilizione delle aperture vetrate, che regalano uno squarcio di paesaggio di montagna, cristallizzato di nuovo in una sorta di dipinto impressionistico, la cui chiave di lettura sarebbe stata il trinomio sole, spazio, verde.

Il posto di lavoro si traduce in uno spazio dove l'uomo può sperimentare l'emozione proveniente dall'osmosi con il cosmo. Anche in questo caso Le Corbusier non delude le aspettative dei sostenitori più fedeli del suo spirito innovativo: egli infatti, non solo rievoca l'interesse antropologico verso la dignità dell'uomo in quanto lavoratore, ma promuove una riflessione attiva sul problema dell'integrazione tra fabbrica e ambiente, anticipando ampiamente le discussioni attualissime circa l'impatto ambientale.

La ratio alla base del progetto consiste nel creare un feedback nuovo tra il committente e lo spazio che lo accoglie, secondo un'architettura che possa emozionare il cliente-tipo della moderna società macchinista. La forte carica evocativa delle sue strutture, pur essendo già espressa già nel manifesto razionalista del '23, viene rinvigorita due anni dopo con l'Appel aux industriels, rivolto, tra tanti altri, allo stesso Olivetti. Nel '23 scrive chiaramente: «Nella pianta è già compreso il principio della sensazione».40

Sulla stessa lunghezza d'onda, ma in maniera differente, si colloca il movimento cosiddetto "organico" dell'americano Frank Lloyd Wright41, per cui l'osmosi tra la struttura e l'ambiente circostante diventa una vera e propria simbiosi. Ai geometrismi e alle forme pure vengono sostituite linee fluide che intendono penetrare e confondersi nell'ambiente naturale che le genera. «Del resto, non si pone una casa sopra la cascata se non si è acquistata coscienza del fluire.»42

Risulta sempre interessante osservare, ricercare, andare a ritroso nel tempo e studiare le opere e la filosofia di grandi personalità come quella di Le Corbusier, ma uno spunto di riflessione ancora più stimolante potrebbe essere rappresentato dal tentativo di immaginare cosa avrebbe pensato il maestro svizzero di questo nostro terzo millennio, così pieno di opportunità, ma anche così spaventoso, turbolento, vacillante; come si sarebbe comportato, fino a dove lo avrebbe portato quel suo spirito avveniristico troppo precoce per un'epoca non ancora pronta. Forse questa liquidità avrebbe dato realizzazione alle sue utopie, o forse lo avrebbe proiettato ancora più avanti nel tempo. Quello che conosciamo per certo intanto, è l'eredità dal valore inestimabile lasciata all'architettura e all'urbanistica, documentatata, tra l'altro, in opere scritte egregiamente, da un uomo di cui non si finisce mai di scoprire ed apprezzare la ricchezza intellettuale.









NOTE

1 L. PIRANDELLO, Il fu Mattia Pascal, Varese, Crescere Edizioni, 2012, pp. 10-11.

2 G. BAIONI, Kafka. Romanzo e parabola (1962), Milano, Feltrinelli, 1997, pp. 106-107.

3 Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto del Futurismo, in Le Figaro, 1909.«2)Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. [...] 4) Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un'automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo...un'automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia. [...] 8) Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perchè dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell'impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell'assoluto, poichè abbiamo già creato l'eterna velocità onnipresente.»

4 Il De Stijl, o Neoplasticismo olandese, è un movimento avanguardistico fondato nel 1917, dunque piuttosto in ritardo rispetto alle altre avanguardie. Piet Mondrian e Theo van Doesburg utilizzano per la prima volta il termine Neoplasticismo nel Manifesto De Stijl (Lo stile) per descrivere la loro arte, che intendeva essere astratta, essenziale e geometrica. Appartiene a questa fase la sperimentazione del Mondrian più maturo, direttamente riconoscibile nell'astrattismo geometrico di Composizione con giallo, blu e rosso del '37. Il movimento si fa subito strada in architettura, pittura e design, abbracciando i consensi e la partecipazione di numerosi architetti e artisti celebri, quali Gerrit Thomas Rietveld, Mies van der Rohe, Walter Gropius, Amédée Ozenfant, oltre ai già citati Theo van Doesburg e Piet Mondrian.

5 B. ZEVI, Il linguaggio moderno dell'architettura. Guida al codice anticlassico,Torino, Einaudi, 1973, p. 37. Zevi, elaborando le 7 invarianti del linguaggio dell'architettura moderna, inserisce, tra queste, la sintassi della scomposizione quadridimensionale basandosi su un disegno del regista berlinese Hans Richter, intitolato Filmmoment e risalente al '23, che sarebbe la summa di tutti i principi teorici del movimento. Per un approfondimento, rimando a B. ZEVI, Poetica dell'architettura neoplastica, Torino, 1974.

6 LE CORBUSIER, Vers une Architecture, Parigi, Cres, 1923; trad. it. a cura di P. Cerri e P. Nicolin, Verso una Architettura, Bergamo, Longanesi, 2010, p. 47.

7 Ivi.

8 P. Gras e T. Paquot, Le Corbusier voyageur, L'HARMATTAN, Paris, 2008.

9 Ivi. «Al di là degli appunti, delle foto e degli schizzi, che, nel corso delle sue scoperte o riscoperte, lo confortano nella certezza che l'emergenza della modernità sia inevitabile, il viaggio muove in Le Corbusier una riflessione sul senso del mondo, e più precisamente sul ruolo chiave dell'architettura nel divenire delle società: 'L'architettura è la prima manifestazione dell'uomo che crea il suo universo'».

10 Acerbi C. M. E Margiotta L. (2012), LE CORBUSIER «Far di pietre inerti un dramma», in http://www.tracce.it/id=471&id_n=31421.

11 LE CORBUSIER, op. cit., p. 9.

12 Ivi, p. 86.

13 Ivi, p.56.

14 É nota la dura polemica dello studioso contro le simmetrie e i parallelismi del classicismo. Nella sua opera definisce la simmetria come una forma di nevrosi, bisogno spasmodico di sicurezza, paura della crescita e del tempo vissuto, passività, o, in termini freudiani, omosessualità. Per un'analisi più approfondita rimando a: B. ZEVI, Il linguaggio moderno dell'architettura. Guida al codice anticlassico, Einaudi, Torino, 1973.

15 LE CORBUSIER, op. cit., p. XXV.

16 Per un'analisi ulteriore dell'argomento rimando a LE CORBUSIER, Urbanisme, Cres, Parigi, 1924.

17 LE CORBUSIER, op. cit., p. 47.

18 Ivi, p.48.

19 Ibid.

20 LE CORBUSIER, op. cit., p. 47.

21 «Vi ricordo quella 'pianta paralizzata' della casa in pietra e quella a cui siamo arrivati con la casa in ferro o in cemento armato. Pianta libera, facciata libera, struttura indipendente, finestre a nastro o pannelli di vetro, pilastri, tetto-giardino, e l'interno munito di "mobiletti" e libero dall'ingombro del mobilio.» LE CORBUSIER, Précision sur un état présent de l'architecture et de l'urbanisme, Paris, Crès, 1930, p. 123.

22 La Maison Domino può essere associata al modello ateniese della polykatoikia, che, analogamente allo schema lecourbusieriano, è un tentativo ben riuscito di conciliare le competenze avanzate dell'edilizia locale con una maodopera a basso costo. Concepita negli anni '30 come palazzina a più piani destinata alle famiglie borghesi, solo nel dopoguerra essa fu utilizzata su larga scala, e adattata a tutte le classi sociali: lo schema, infatti, fu largamente promosso dal governo ateniese il quale, dopo la II Guerra Mondiale e la successiva guerra civile, aveva favorito questo tipo di costruzioni per promuovere la ricostruzione postbellica e velocizzare la ripresa economica. Per uno studio più approfondito della nascita e dello sviluppo della polykatoikia vedi: Dimitris Emmanuel, The Growth of Speculative Building in Greece: Modes of Housing Production and Socioeconomic Changes, tesi di dottorato, London School of Economics and Political Science, Londra 1981.

23 LE CORBUSIER, op. cit., p. 45.

24 Ibidem.

25 Ivi, p. 9.

26 L. PRESTINENZA PUGLISI, Rem Koolhaas. Trasparenze metropolitane, Torino, Testo & immagine, 1997.

27 LE CORBUSIER e P. JEANNERET, Oeuvre complète 1929-1934, Zurigo, Willy Boesiger, 1947.

28 Per uno studio più approfondito dell'argomento, rimando a: Gloria Piccolo, Villa D'Ava, Villa Savoye, Villa Tugendhat.

29 G. C. ARGAN, Classico Anticlassico. Il Rinascimento da Brunelleschi a Bruegel, Milano, Feltrinelli, 1984, p.351.

30 COLIN ROWE, The Mathematics of the Ideal Villa, First published in Architectural Review, 1947, p.2. «Il posto è gradevole e delizioso, perchè si trova su una collinetta facilmente accessibile, ed è bagnato da un lato dal Bacchiglione, un fiume navigabile; dall'altro è abbracciato da molte piacevoli alture che ricordano un teatro grandioso, tutte coltivate con frutta eccellente e vini squisiti; perciò, offrendo vedute bellissime da ogni parte, alcune delle quali limitate, altre più estese, altre ancora che terminano con l'orizzonte, ci sono logge in tutti e quattro i lati.»

31 Ivi. p. 2. «La casa è una scatola sospesa nell'aria, al centro di praterie che dominano i frutteti...La pianta è pura. Si inserisce perfettamente nel paesaggio agreste di Poissy. Gli abitanti, giunti perchè questa campagna agreste era piacevole con la sua vita campagnola, la contempleranno, mantenuta intatta, dall'alto del loro giardino sospeso o dalle quattro facce delle loro finestre a nastro. La loro vita domestica sarà inserita in un sogno virgiliano.»

32 Ivi, p.3. «Dalle camere a norma igienica, alle pause mentre si salgono le rampe, senza dubbio viene richiamata la memoria delle Georgiche; ed è persino probabile che la citazione storica aggiunga uno stimolo quando la macchina viene tirata fuori per andare a Parigi.»

33 Ivi, p. 15. «Le Corbusier è, in qualche modo, il più cattolico e geniale degli eclettici. Gli ordini, i richiami ai Romani, rappresentavano un'autorità nell'architettura tradizionale; e, se è difficile per l'architetto moderno essere tanto specifico su ogni singola civiltà come lo fu Palladio nei confronti dei Romani, in Le Corbusier c'è sempre un elemento ingegnoso che suggerisce che il riferimento storico (o contemporaneo) è rimasto una citazione tra virgolette, che possiede cioè sempre un doppio valore, quello di una citazione che associa sia il vecchio contesto che il nuovo.»

34 C. M. ACERBI e L. MARGIOTTA, 2012.

35 B. ZEVI, 1973.

36 C. M. ACERBI e L. MARGIOTTA, 2012.

37 «Il tempo non è più 'la strada da fare per conseguire certe cose' e dunque non conferisce più valore allo spazio. La quasi istantaneità dell’epoca software inaugura la svalutazione dello spazio.» in Z. BAUMAN, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 132-133.

38 Ivi.

39 S. BODEI, Le Corbusier e Olivetti. La Usine Verte per il Centro di calcolo elettronico, in www.quodlibet.it/schedap.php?id=2170.

40 LE CORBUSIER, op.cit, p. 33.

41 La casa sulla cascata del 1936 rappresenta l'espressione più emblematica e meglio riuscita della concezione wrightiana, volta a costituire un organismo equilibrato e simbiotico tra la mano dell'uomo e l'elemento naturale, ed espressa in "Architettura organica" del 1939. Nel primo periodo della sua lunga carriera, Wright si dedica alla progettazione delle famose Prairie Houses, basate sulla modernità delle tecniche, sulla funzionalità, e sull'uso di materiali naturali, ma sostanzialmente sul ritorno al concetto di casa come nucleo familiare, come home e non solo house. Wright radunò diversi architetti influenti dell'epoca nella Prairie School, attiva dal 1890 al 1910.

42 B. ZEVI, op. cit., p. 55.







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Vedi anche nel BTA: USCITE DI ARCHITETTURA LIQUIDA









Fig. 1
LE CORBUSIER, Facciata frontale della villa con finestre a nastro e pilotis, 1928-1931
Villa Savoye, Poissy, Yvelines, Francia

Fig. 2
Scorcio della villa immersa nel verde
Villa Savoye

Fig. 3
Toit-terrasse visto dall'interno della parete finestrata
Villa Savoye

Fig. 4
Angolo del tetto-giardino con vista sull'interno e sull'ambiente naturale esterno
Villa Savoye

Fig. 5
Scala elicoidale interna
Villa Savoye

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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