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Piramide Cestia e Cimitero acattolico: all’ombra di Piranesi, luoghi per riemersioni mito-poietiche *  

Ettore Janulardo
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 24 Agosto 2015, n. 783
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Area Architettura

Non è di maggio questa impura aria

che il buio giardino straniero

fa ancora più buio o l’abbaglia

con cieche schiarite […] [1]

 

La Piramide Cestia, da dimora di un corpo, diviene dal secondo decennio a.C. corpus monumentale della memoria nell’attraversamento delle epoche: integrata nel perimetro delle Mura Aureliane (fig. 1), si fa perno simbolico nel piano urbanistico di Roma, tesa, attraverso la Via Ostiense, verso il porto e il mare.

Manufatto di riferimento esposto agli sguardi (fig. 2) – l’iscrizione commemorativa della costruzione è citata da Piranesi in tal modo: «questo gran Sepolcro è stato condotto a fine dentro lo spazio di trecento e trenta giorni, tempo prescritto dal Defonto nel testamento, come usavasi in que’ tempi» [2] la Piramide contrassegna con la verticalità del suo volume acuto il vicino Cimitero Acattolico, piccola distesa rimasta tendenzialmente lontana – nell’antichità come in età cristiana – dalla definizione simbolico-spirituale del cattolicesimo romano (fig. 3). Densa di sepolcri e nomi stranieri – tra i quali artisti e scrittori come Keats, Shelley, Gregory Corso [3] –, l’area, strutturata nel 1821 sotto papa Pio VII per regolamentare precedenti consuetudini di sepoltura, ospita anche le spoglie di intellettuali italiani quali Bellezza e Gadda, nonché le “ceneri di Gramsci”, attorno alle quali si coagulano le pasoliniane visioni dell’Aventino e del Testaccio. [4] All’ombra della Piramide l’articolazione architettonica della monumentalità cimiteriale assume una valenza urbanistica che connota di profondità letteraria e pittorica l’area, definibile come irregolare nucleo di necropoli al limitare storico dell’Urbs. [5] Nonostante il programma definito dalla napoleonica “Consulta Straordinaria per gli Stati Romani”, a partire dal 19 luglio 1809, per la realizzazione di cimiteri pubblici all’esterno della cinta urbana – segnatamente nell’area del Pigneto Sacchetti e in quella nei pressi della Basilica di San Lorenzo fuori le Mura, «quale evidente e didascalico segno di una auspicata segregazione del mondo dei morti da quello dei vivi» [6] –, nell’Urbe persiste lungamente la tradizione delle tumulazioni all’interno delle chiese. Legata a una propria storia di alterità rispetto al credo ufficiale, l’area del Cimitero Acattolico tende a differenziarsi come luogo al contempo eccentrico rispetto all’abitato ma intrinsecamente connesso alle partizioni e alle regioni delle occupazioni terrene.

Se nell’antico Egitto le «piramidi monumentali e il complesso monumentale ad esse collegato costituivano […] una fortezza intorno a cui si costituiva la città dei morti» e la «pianta della necropoli […] ben corrisponde a quella della città dei vivi», [7] la rilevanza visiva del recinto cimiteriale acattolico è consacrata a Roma dalla prospettiva assunta da Piranesi, che realizza incisioni della Piramide osservata anche dall’area sepolcrale. Il monumento sepolcrale di Caio Cestio gode nei secoli di una raffigurabilità rilevante, inserito com’è nell’urbanistica di accesso/sortita dalla città e oggetto quindi anche di rapidi schizzi artistico-memoriali: [8] ma è con Piranesi che si definisce la visione archeologico-meditativa della Piramide. Vitale compendio delle teatralità del Barocco, l’ottica dell’artista struttura diagonali della visione – e l’obliquità può interpretarsi come una sorta di pomerium che evidenzia il passaggio, mobile come ogni ombra, tra un qui e l’altrove [9] incastonate tra concavi-convessi post-borrominiani, ove agisce anche la memoria delle plasticità costruttive del Palladio, come appare nel trattato Parere sull’architettura (1765), nel quale si realizza il confronto teorico tra Protopiro e Didascalo sul rapporto tra ornamentazione e architettura: «Didascalo - Ma prima di venire alle prove; in che fate voi consistere la severità, la ragione, e l’imitazione? Mi figuro, nelle maniere lasciateci da Vitruvio, e poste in opera da Palladio, e da quegli altri Architetti, che furono i primi a far risorgere questa sorta d’Architettura». [10]

Tra l’apparente classicità delle Vedute e delle Antichità Romane, ove la classificazione tipologico-monumentale consente la riproduzione commerciale delle incisioni – e «non abbiamo quasi mai l’impressione di essere sull’asse dell’edificio, bensì solamente su un raggio vettore […] per dare la sensazione di esistere in un universo asimmetrico», [11] – e la tenebrosità metafisico-preromantica delle Carceri – con armamentario immaginifico che può già percepirsi come visione dell’aldilà e dall’aldilà, inciso non solo nei rami ma soprattutto in una sorta di concrezione rocciosa [12] indagata con archeologica ossessione – l’evidenza della Piramide è elemento di raccordo e transizione: potenziale scala, sul modello egizio o nubiano, verso il cielo, con luminosità accentuata dalle lastre di rivestimento in marmo; strutturale manufatto in opus caementicium a copertura di una telluricità che pare sottintendere il buio dell’altrove. E in costante comunione tra vivi e morti, tra diversi tempi delle stesse esistenze, in «una delle tavole delle Antichità, due danzanti profanatori di sepolture si contendono uno scheletro che ha quasi la loro grazia; un altro ladrone si è impadronito del cranio, mentre a due passi, sul coperchio rovesciato del sarcofago, un bucranio scolpito colloca l’immagine del teschio animale accanto a quella del teschio umano. Letteralmente, la rovina brulica […]». [13]

Il desiderio piranesiano di preservare il ricordo della grandiosità e dei monumenti romani attraverso l’asserita esattezza delle incisioni è dunque di per sé, nelle Vedute e nelle Antichità, testimonianza di una dialettica tra tempo e costruzioni che si fa anche confronto tra spazi e distruzioni – osserva ammirato Piranesi: « […] Muro interno della Stanza, costrutto di mattoni della stessa grandezza, che quì sono disegnati, con tale sodezza, connessione, ed artificio, che ben vi si conoscono tutte le regole, le quali sono state descritte da Vitruvio per costruire i mattonati. […] Intonicatura sopra il muro medesimo, composta di tale consistenza, che ad onta di tanti secoli, e delle inondazioni del Tevere, che bene spesso riempie la Stanza d’aqua ha potuto conservare le pitture […]» [14] –, dissoluzioni ontologicamente attive in ogni territorio utilizzato e successivamente metamorfosato. [15]

Alieni dal geometrismo dei giardini francesi e dalla definita libertà compositiva di quelli inglesi, gli spazi romani appaiono contrassegnati da una vegetazione «che cresce spontanea fra le pietre […] Si direbbe che essa faccia affiorare in superficie le nere chimiche del sottosuolo, tutto impregnato di morti ammucchiati, di rovine e di blocchi di marmo, i miasmi di tutta la vecchiaia di una città che si è disfatta, come un corpo ormai esausto. Le erbe, i cespugli sono così strettamente legati alle rovine da farle sembrare parte del loro regno». [16]

E la definizione mito-poietica di quest’area dell’Urbe giustappone e con-fonde il graduale definirsi all’insegna del pittoresco post-settecentesco del giardino sepolcrale acattolico con il retaggio della classicità, a sua volta strutturato secondo una tipologia altra, nella quale i volumi riecheggerebbero un tragitto di tipo iniziatico, verso il cielo o come protezione-accompagnamento per gli Inferi. Senza poter corrispondere, nella cattolica teografia urbanistica romana, a una strutturata figura del Cosmo, la Piramide assume il ruolo di certo punto di riferimento nella topografia urbana. Leggiamo la didascalia dell’incisore per la Tavola XL: «Veduta della Piramide di Cajo Cestio, situata sopra l’antica Via Ostiense, oggi detta di S. Paolo. Il Lato, che guarda sopra la strada verso Levante è la Facciata principale. […] Mura di Roma, le quali sono congiunte ai lati della Piramide. Furono esse dilatate sino a questo Sepolcro dall’Imperatore Aureliano; e poscia quivi ristabilite ne’ tempi posteriori. […] Porta Ostiense detta oggi di S. Paolo». [17]

Con una abilità compositiva che ha alle spalle le innovazioni manieristiche del Tintoretto – i contrasti chiaroscurali e gli scorci di luce; l’architettonica teatralità e la fuga in diagonale del Ritrovamento del corpo di san Marco – l’incisore settecentesco mostra che la Piramide è anche ierofania, manifestazione di una sacralità all’incontro tra spazi civili e oltre-mondo, edicola della memoria che protegge luoghi ctoni ai quali, nelle ombre delle tavole piranesiane, sembrano consacrarsi quelle oscurità che segnano le masse monumentali definendone la consistenza ma anche l’intrinseca fragilità, la consustanziale caducità. Se ogni chiarore di volumi edificati è solo frammento della storia – nella dialettica di costruzione/dissoluzione che l’artista riproduce, in alcune tavole, mostrando in contemporanea l’alzato e il sotterraneo, le masse e le rovine, i marmi e i rovi –, la fascinazione piranesiana per le oscurità dell’Urbe si nutre anche dell’apporto storico-letterario, in grado di suscitare molteplici proiezioni – livello sopraelevato/inferiore; teorica navigabilità a guisa di una smisurata Venezia – che, con un riferimento a Plinio, rendono omaggio al genio costruttivo romano all’insegna dell’utile e del necessario: « […] Ammiravano inoltre le cloache, che, a detto d’ognuno, sono la massima delle opere, per essere stati scavati i monti, e […] per essere stata ridotta Roma pensile, e navigata al di sotto». [18]

Incisore prolifico – ricorda Argan: «Ha formazione di vedutista, canalettiana; ma preferisce l’incisione alla pittura. È architetto; ma costruisce solo una chiesa, piccola e stupenda, Santa Maria del Priorato, e invece ritrae all’incisione i monumenti antichi, documenta con ammirevole esattezza i reperti degli scavi di Ercolano, teorizza e polemizza sull’architettura», [19] e “mentale” architetto sommamente parco – lontano dalla costruzione ma affascinato dalla ricostruzione delle distruzioni del tempo, nonché dalla delineazione di un anti-universo smisuratamente claustrofobico –, Piranesi è autore di uno dei primi monumenti del vicino cimitero acattolico, quello del giovane scozzese Sir James Donald (fig. 4). E, alla ricerca di effetti «per risuscitare Roma, per spandere sulle sue rovine la maestà di una luce che non appartiene al mondo dei vivi, ma all’immortalità», come osserva Focillon (Estetica dei visionari), egli realizza soprattutto una sorta di definitivo omaggio a una costruzione verticale che si innalza sulla superficie orizzontale, in un confronto che compendia assi differenti: il chiarore e l’oscurità, quanto si vede e ciò che si potrebbe vedere, memoria di altre piramidi scomparse, come la Meta Romuli dell’Ager Vaticanus o come quelle della Piazza del Popolo. Sorta di epitome dell’immaginario artistico teso a raffigurare architetture come archeologici resti, «dal momento che non possediamo delle epoche anteriori a quella di Piranesi nessuna documentazione che eguagli in abbondanza e soprattutto in bellezza la sua […], l’immagine che egli ha lasciato delle rovine romane del suo tempo si è poco a poco allargata retroattivamente nella fantasia umana […]». [20]

Se alcuni simboli appaiono «più importanti di altri”, può dirsi che «la loro eternizzazione sia dovuta al ruolo essenziale da essi svolto nella costruzione del Sé sociale»: [21] a differenza degli archetipi junghiani, «questi simboli sembrano giocare un ruolo rilevante nell’emergere dell’immaginario della comunità; agiscono sull’apparato psichico dell’Io e del Super-Io per creare un legame forte, finanche permanente tra una persona e un luogo […], ma il meccanismo è indiretto, poiché ha bisogno di certi tropi geografici e comunitari per agire e affinché si metta in scena nella psiche dell’individuo […]». [22]

A fronte della suggestione dell’archetipo – “numinosità”-numen – che può proiettarsi su luoghi e oggetti, si mette qui in evidenza il costituirsi-definirsi di un luogo plurimo per riemersioni mito-poietiche. Scrive Ragon: « […] nel tessuto dello spazio urbano e rurale, la morte disegna un tracciato di luoghi, di oggetti, con le proprie allegorie e i propri simboli, i propri segnali e riferimenti [eppure la morte] non è stata mai, se non di rado, studiata dal punto di vista dello spazio architettonico, dell’urbanistica, delle arti decorative. Sembra ci si sia dimenticati che il primo architetto conosciuto, Imhotep, l’autore delle piramidi a scalini del re Zoser […], il solo architetto che sia stato divinizzato, fu prima di tutto il progettista di una tomba». [23]

Segnacolo del limes tra Urbs e altro/aldilà, monumento cui si dedicano diverse tavole nel terzo tomo de Le antichità romane, [24] appare allogena criptica struttura per la quale Piranesi osserva, al suo interno (figg. 5,6,7,8), «figure, allusive, per quanto si può congetturare dai loro portam.ti, alla dignità sacra di C. Cestio, uno de’ settenviri degli Epuloni, l’offizio de’ quali era l’apparecchiare l’Epulo, o sia Convito agli Dei, e particolarm.te a Giove, in occasione de’ prosperi segnalati successi della Repubblica, oppure per deviare qualche grave imminente calamità; siccome riferiscono molti scrittori antichi, e moderni». [25] (figg. 9,10)

E l’immagine piranesiana della Piramide – sorta di stupa che, tra i vari elementi necessari, possiede almeno la base quadrata – si fa presentificazione del passato da ridisegnare e ricostruire in emblematico continuum tra storia pagana ed epoche successive – come nelle Diverse Maniere di adornare i cammini, del 1769, si è individuato «il primo germe dello stile egittizzante, con la sua profusione di sfingi, di immagini di Osiride e di mummie» [26] –, paradigmatica conferma della ricorrente topografia dell’Urbe, che mantiene nei secoli sistemazioni spaziali delle zone funzionali definite in età romana: qui in chiave di perdurante alterità. Se i geroglifici e il repertorio decorativo egizio affascinano gli artisti europei del Settecento, in un’ideale anticipazione della vague egittologica condensata intorno alle campagne militari nord-africane del Direttorio, [27] tanto da esser proposti anche come elemento d’apparato e d’arredo, la ri-costruzione urbana operata da Piranesi è assimilabile all’iscrizione geroglifica: «Vitruvio ci dice che il Tempio di Marte doveva essere collocato fuori città […]; Valeriano afferma da parte sua che la civetta era, presso gli egiziani, il simbolo della morte. Dando al Tempio di Marte la forma di una civetta, Piranesi riassume così “alla egiziana” la principale informazione fornita da Vitruvio, e indica il piano del Tempio sotto forma di un geroglifico topologico». [28]

E per un corpo scomparso fattosi monumento tanato-poietico la Piramide, luogo dell’esser-stato, diviene infine geroglifico delle proiezioni topografiche, tra memoria dell’Egitto e disegno piranesiano dell’Urbe.

 

 

 

Bibliografia

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* Presentato nell’ambito di “ Archeologia e Antropologia della Morte”, III Incontro internazionale di Studi, a cura della Fondazione Dià Cultura. Roma 20-22 maggio 2015.

[1] Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci, Milano, Garzanti, 1957, http://docenti.lett.unisi.it/files/138/8/3/1/pasolini ___ gramsci.pdf, p. 37.

[2] Giovanni Battista Piranesi, Le antichità Romane, Roma 1784, Tomo III, tav. XLI (Ed. orig. 1748).

[3] «Spirit/is Life/It flows thru/the death of me/endlessly/like a river/unafraid/of becoming/the sea»: versi di Gregory Corso scolpiti sulla sua lapide.

[4] « [...] tra Porta San Paolo e Testaccio, non lontano dalla tomba di Shelley. Sul cippo si leggono solo le parole: Cinera Gramsci, con le date»: Pier Paolo Pasolini, op. cit. Note.

[5] Delineazioni storiche differenti non impediscono confronti tipologico-urbanistici con l’area del cosiddetto “Cimitero degli Inglesi” – in realtà di origine Evangelica Riformata Svizzera – che a Firenze assume, dopo il 1865, una configurazione a “isola” sopraelevata rispetto ai viali di circonvallazione.

[6] Laura Bertolaccini, “La questione delle sepolture e le scelte urbanistiche durante l’occupazione francese (1809-1814)”, in Enrico Guidoni (a cura di), L’urbanistica di Roma dal Medioevo al Novecento, Roma, Kappa, 2007, pp. 127-128.

[7] Michel Ragon, Lo spazio della morte: saggio sull’architettura, la decorazione e l’urbanistica funeraria, Napoli, Guida, 1986, p. 50 (Ed. orig. 1981)

[8] Ricordiamo qui le rappresentazioni della Piramide ad opera di Giovanni Paolo Pannini.

[9] Cfr. Ettore Janulardo, “Due opere di Bruegel fra comico e tragico”, comunicazione al XXVI Convegno Internazionale “Comico e tragico nella vita del Rinascimento”, Chianciano Terme-Pienza, 17-19 luglio 2014 (Atti in preparazione).

[10] Giovanni Battista Piranesi, Parere sull’architettura, tratto dalle Osservazioni sopra la lettre de Monsieur Mariette aux auteurs de la Gazette Littéraire de l’Europe, https://architectureinabox.files.wordpress.com/ 2008/08/parere_2.pdf, p. 16.

[11] Marguerite Yourcenar, “La mente nera di Piranesi”, in Idem, Con beneficio d’inventario, Milano, Bompiani, 20042, p. 130 (Ed. orig. 1962).

[13] Marguerite Yourcenar, op. cit., pp. 116-117.

[14] Giovanni Battista Piranesi, Le antichità Romane, Roma 1784, tav. XLV.

[15] Rispetto alle solidità volumetriche, evidenzia aspetti dinamico-trasformativi Ejzenstejn nella sua analisi Piranesi o la fluidità delle forme, ove la Carcere oscura viene «fatta reagire dinamicamente sott’effetto di una vera e propria esplosione ideale delle tensioni formali in essa insite […] Questo metodo […] ha per risultato, scrive Tafuri, la forma della “diluizione” come conseguenza dell’esplosione degli elementi del Carcere»: cfr. Franco Speroni, “Il sogno di Juvarra”, in Elisa Debenedetti (a cura di), Architettura città territorio, Roma, Bonsignori, 1992, p. 23.

[16] Jean-Jacques Lévêque, Piranesi, Milano, Alfieri e Lacroix, 1989, p. 12 (Ed. orig. 1980).

[17] Giovanni Battista Piranesi, Le antichità Romane, Roma 1784, tav. XL.

[18] Giovanni Battista Piranesi, De Romanorum magnificentia et architectura, Roma 1761, http://dx.doi.org/10.3931/e-rara-13753, p. 43.

[19] Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte moderna, Firenze, Sansoni, 2008, Vol. III, p. 292. Si aggiunge, su Santa Maria del Priorato: «E tutto, in quella chiesa, è inciso con un tratto forte e profondo, che si direbbe “inchiostrato” come nell’incisione. La spiegazione si trova nei suoi scritti sull’architettura. Inutilmente i moderni teorici cercano di riattivare la schietta funzionalità degli edifici antichi, la purezza strutturale del tempio greco: sono pure congetture e la funzione, la vita del passato sono finite per sempre». Sul sarcofago a Piramide di Santa Maria del Priorato si leggano le osservazioni di Tafuri: «Nell’altare di San Basilio, “la mensa, il dorsale, il tronco di piramide del sarcofago a pianta ovale posto a coronamento, il medaglione centrale sopra il ciborio, il globo con il gruppo statuario del volo del santo inserito nella piramide, si ricompongono come immagine labirintica, immersa in una totale ambiguità. Il complesso descritto, infatti, si trova in controluce rispetto all’abside, ma direttamente investito dalla luce proveniente dall’alto”». In Francesco Dal Co, Piranesi e la malinconia, in Giovanna Curcio, Elisabeth Kieven (a cura di), Storia dell’architettura italiana. Il settecento, Milano, Electa, 2000, http://www.engramma.it/rivista/saggio/italiano/gennaio/ saggio.html.

[20] Marguerite Yourcenar, op. cit., p. 138.

[21] Guy Lanque, Cent ans de solitude: la construction de Rome, archétype de la patrie,  Les cahiers de psychologie politique, n. 18, Janvier 2011, http://lodel.irevues.inist.fr/cahierspsychologiepolitique/index.php?id=1793 (trad. dell’Autore).

[22] Ibid.

[23] Michel Ragon, op. cit., p. 29.

[24] A dimostrazione della rilevanza della tematica/ambientazione sepolcrale, due libri dei quattro de Le antichità romane sono dedicati, come recita il sommario, a «Gli Avanzi de Monumenti Sepolcrali esistenti in Roma, e nell’Agro Romano colle loro rispettive piante, elevazioni, sezioni, vedute esterne ed interne: colla dimostrazione de sarcofagi, ceppi, vasi cenerarj, e unguentarj, bassorilievi, stucchi, musaici, iscrizioni, e tutt’altro ch’è stato in essi ritrovato: e colle loro indicazioni e spiegazioni».

[25] Giovanni Battista Piranesi, Le antichità Romane, Roma 1784, tav. XLIV.

[26] Marguerite Yourcenar, op. cit., p. 141.

[27] Battaglia delle Piramidi del 21 luglio 1798.

[28] Serge Conard, “De l’architecture de Claude-Nicolas Ledoux, considerée dans ses rapports avec Piranèse, Georges Brunel (a cura di), Piranèse et les français, Colloque Tenu à la Villa Médicis, 12-14 Mai 1976, Roma 1978.








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Fig. 1
Piramide Cestia, foto © 2012

Fig. 2
Piramide Cestia, foto © 2012

Fig. 3
Piramide Cestia, foto © 2012

Fig. 4
PIRANESI, Monumento funerario di Sir James Donald,
Roma, Cimitero Acattolico,
foto © 2012

Fig. 5
Piramide Cestia, foto © 2012

Fig. 6
Piramide Cestia, foto © 2012

Fig. 7
Piramide Cestia, foto © 2012

Fig. 8
Piramide Cestia, foto © 2012

Fig. 9
Piramide Cestia, foto © 2012

Fig. 10
Piramide Cestia, foto © 2012




Foto cortesia Ettore Janulardo

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