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Il tempio di Apollo Medico a Roma, croce degli archeologi  
Marco di Mauro
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 7 Giugno 2002, n. 301
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Area Archeologia

Il tempio ebbe origine nel 433 a.C., a seguito di una pestilenza, e per questo fu intitolato ad Apollo Medico. Dedicato nel 431, fu restaurato nel 353 e nel 179, e finalmente rifatto negli anni 34-25 a.C. La ricostruzione fu promossa dal console Caio Sosio, che nel 34 celebrava il trionfo giudaico.
La cella del tempio, che custodiva i Libri Apollinares, accoglieva numerose opere d'arte: statue attribuite a Scopas o Lisippo, un quadro di Aristide Tebano, sculture di Philiscos di Rodi ed un Apollo con la cetra di Thimarchides, proveniente dal santuario di Seleucia in Cilicia. Tanto sfarzo era destinato ai riti di un collegio sacerdotale e, talvolta, alle riunioni del Senato. All'esterno si celebravano, fin dal 212 a.C., i Ludi Apollinares.

I rilievi danno l'idea di un podio alto più di 5 metri con scale laterali. Le rovine del podio, composte da blocchi di tufo e di travertino, inglobano frammenti di un edificio più antico, che alcuni identificano con il tempio del 179 a.C.
Il pronao era composto da tre file di sei colonne corinzie, in marmo lunense, tre delle quali sono state rialzate dagli archeologi. Il fusto delle colonne, che misurano più di 14 metri di altezza, alterna scanalature più larghe e più strette. Il sommoscapo si carica di una kyma con perle e astragali, elementi tipici della decorazione augustea. I capitelli, fasciati da foglie di acanto e da cespi di lauro, sono segnati da un taglio che separa la corona inferiore da quella superiore. All'esterno della cella erano applicate otto semicolonne di travertino, stuccate secondo l'uso repubblicano.

L'architrave esterno è composto da 4 fasce con baccellature in alto ed un kyma ornato da ovuli. Su lastre separate è scolpito il fregio con bucrani e candelabri, fra cui si snodano rami di quercia e di alloro (albero sacro ad Apollo). I cassettoni dell'intercolumnio sono decorati da nastri e palmette, scolpiti in modo sintetico e poco naturalistico, in linea con il gusto neoattico che prevale nella tarda età cesariana. Gli scavi promossi dal fascismo svelarono molti elementi della decorazione interna della cella , di cui fu proposta una ricostruzione attendibile. Il primo ordine si componeva di un colonnato parallelo alle pareti, sulle quali si proiettavano le corrispondenti lesene. Il secondo ordine presentava solo delle lesene scanalate con capitelli corinzi ed un architrave liscio. Lungo le pareti scorreva un podio continuo, su cui poggiavano edicole molto aggettanti. Le edicole sembrano realizzate in momenti diversi, perché le colonne scanalate ed i capitelli corinzi riflettano la cultura augustea, mentre le secche cornici dei timpani, ora triangolari ed ora curvi, sono ispirate a modelli del II triumvirato. In corrispondenza del fregio, l'architrave mostra una superficie grezza, che presuppone o un furto, o la presenza di stucchi.

Le colonne del primo ordine, dal fusto liscio, erano concluse da capitelli corinzi con elemento naturalistico molto sviluppato. Uno di essi sostituisce alle volute vegetali, dei serpenti che si avvolgono intorno al "calatos". Al centro dell'abaco, invece del fiore, spiccano il tripode e la gorgone. Il tripode potrebbe alludere all'Apollo Delfico che uccide il serpente, mentre la gorgone richiama il tema della vittoria. Infine il serpente potrebbe alludere alla vittoria di Augusto sull'Egitto, oppure alla sua vittoria contro il culto di Iside, o ancora alla leggenda secondo cui la madre di Augusto sarebbe stata fecondata da un serpente, incarnazione di Apollo.
Un altro capitello documenta un diverso schema compositivo: al centro c'è una corazza, simbolo del trofeo, mentre ai lati abbiamo foglie di palma, simbolo della vittoria e possibile riferimento al trionfo di Sosio sui Giudei. Se questa ipotesi è giusta, il capitello potrebbe appartenere ad una prima fase dei lavori, destinata a celebrare il trionfo di Sosio.

L'architrave era composto da due fasce, una liscia e l'altra decorata da foglie di acanto, separate da una fila di perle e astragali. Un frammento del fregio presenta una sfilata di animali destinati al sacrificio, di prigionieri incatenati e di inservienti, che portano sulle spalle un "ferculum" su cui poggia il trofeo. I prigionieri sono germani e non giudei, quindi non alludono al trionfo di Sosio, bensì ai trionfi di Augusto del 29 a.C. (trionfo sui Germani, trionfo di Azio, trionfo sull'Egitto). Gli inservienti ricompaiono in un altro frammento, dove però il "ferculum" sostiene i pani della cerimonia trionfale. La direzione di questa processione è opposta alla precedente, quindi appartiene ad un settore speculare. Altri due frammenti del fregio presentano scene di battaglia. Sotto l'architrave, vi era una fila di cassettoni decorati a motivi floreali stilizzati.

Il soffitto della cella presentava un fregio vegetale di stile tardo-cesariano. Dunque, il tempio di Apollo Medico offre il primo esempio di decorazione interna di una cella. E' giusto chiedersi se ciò che vediamo è cronologicamente coerente o c'è stato un restauro, forse in età adrianea, a cui potremmo assegnare le edicole. Se tutto risale al tempo di Caio Sosio, bisogna ipotizzare un cambiamento di maestranze dovuto all'intervento di Augusto.



ANALISI DELLE SCULTURE FRONTONALI

L'indagine archeologica sui frontoni del tempio di Apollo Sosiano è nata dall'esame di una scultura esposta nel Museo Capitolino (oggi al Museo Montemartini, su Viale Ostiense), rinvenuta presso il tempio e riconosciuta come originale greco. Accanto alla statua, ritenuta un Apollo in lotta con Ercole, un Apollo saettante o un Teseo, si rinvennero tre riccioli di capelli in bronzo. Sandro Stucchi pubblicò nel Bollettino Comunale di Roma (1953-1954) un'analisi accurata della statua, definita come Apollo che scaglia la freccia per uccidere il Pitone. Egli propose una datazione intorno al 460-465 a.C., l'epoca del frontone di Olimpia, e un'attribuzione all'ambiente artistico di Crotone, dove le fonti attestano un gruppo con Apollo che uccide il Pitone. Lo Stucchi, esperto delle correzioni ottiche che intervengono nelle sculture frontonali, sostenne che la statua provenisse da un piedistallo.

Queste conclusioni furono rovesciate da Eugenio La Rocca 1, che identificò la statua con Teseo e, mediante una pulitura del marmo, scoprì un foro praticato sulla schiena per fissare la statua al frontone. Poi condusse un'ispezione sugli occhi, rivelando l'originale colorazione delle iridi, e sul capo, scoprendo due file di forellini con impronte dei perni di bronzo e tracce di un restauro della chioma. Tuttavia, La Rocca fu molto cauto nell' assegnare i riccioli di bronzo alla statua in esame: dapprima pensò che andassero eliminati, perchè i perni saldati ai riccioli non trovano piena corrispondenza con i fori sulla testa, che peraltro già contengono dei perni. Solo in seguito si convinse che i riccioli spettassero al Teseo, ma li attribuì ad una fase di restauro.

Accanto alla statua del Museo Capitolino, La Rocca pose una statua di Atena, allora conservata negli uffici comunali, che presenta sul dorso i medesimi fori per applicare dei serpentelli metallici. A questa scultura può essere collegato un frammento di chitone drappeggiato, di uguale provenienza. L'opera, certamente posteriore all'Atena Partenos e all'Atena Lemnia, potrebbe risalire al 440-430. Ne consegue che anche la datazione dell'Apollo va posticipata di un ventennio rispetto all'ipotesi di Stucchi.
Durante il fascismo furono scavate aree immense ed i frammenti marmorei furono accumulati nei fornici del Teatro di Marcello. Qui La Rocca riuscì a individuare una serie di sculture della stessa qualità di marmo (marmo pario) e di assoluta coerenza stilistica. Fra queste emerge una coppia di Amazzoni a cavallo, riconoscibili dalla corta veste di pelle. I cavalli, in atto di impennare, presentano sul retro un incasso analogo a quello scoperto sulla schiena di Apollo. Un'altra figura, identificata come una Vittoria in volo, fu ricomposta da La Rocca che riunì un frammento di testa in posizione frontale, un frammento di dorso con panneggio mosso dal vento e la parte inferiore di un chitone, da cui sbuca un piede che non poggia a terra. Negli occhi emersero tracce di colore, e nel naso i segni di un restauro condotto in età antica. Il tipo di panneggio presuppone le innovazioni apportate da Fidia nella metà del V secolo. I capelli sono raccolti in una benda detta "saccos", che trova riscontro nella Kore Albani, nota da copie di cui la migliore è attribuita alla cerchia fidiaca (440-430 a.C.).

La Rocca proseguì la sua ricerca affiancando un torso maschile ed un frammento di veste, dal modellato molto sciupato. Sulla coscia sinistra riconobbe una pelle di leone, consueto attributo di Ercole.
Allo stesso modo, pose in relazione un torso virile ed un ginocchio piegato su una roccia, in modo da ricomporre una figura inginocchiata, forse un caduto. Abbiamo ancora un torso maschile giacente, con il braccio destro steso lungo il fianco e il braccio sinistro rivolto in alto. Sotto il pettorale sinistro si nota un foro, dove possiamo immaginare la freccia che lo trafigge. La Rocca pose il ferito nell'angolo sinistro del timpano e lo mise in relazione al Niobide giacente di Kopenhagen. A sua volta, questo Niobide giacente si inserisce in un gruppo di tre Niobidi, scoperti negli Orti Sallustiani e dispersi fra il Museo Nazionale Romano e la Ny Carlsberg Glyptoteck. Infine conserviamo dei frammenti minori, in marmo pentelico, che La Rocca isola come sculture acroteriali. Le loro dimensioni sono generalmente inferiori a quelle dei frammenti frontonali.



INTERPRETAZIONE DELLE SCULTURE FRONTONALI

La Rocca vi legge una interpretazione dell'Amazzonomachia, con la presenza di Atena al centro della scena. Le proporzioni delle statue variano dal centro alle estremità, quindi la figura di Atena, che assiste impassibile alla lotta, ha dimensioni colossali. Secondo lo studioso, agli estremi del frontone sorgevano i due caduti, i soli in grado di riempire gli angoli, seguiti internamente dalle Amazzoni. A sinistra e a destra di Atena vi sarebbero Ercole e Teseo, autori della prima spedizione contro le Amazzoni. Fu allora che Ercole si impadronì della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni, mentre Teseo si innamorò di Antiope, la rapì e la condusse con sè ad Atene. Ma il matrimonio di Teseo e Antiope scatenò l'ira delle Amazzoni, che mossero una spedizione contro Atene. Così nasce l'Amazzonomachia attica, che vediamo rappresentata. Teseo, affiancato dalla Vittoria che gli porge la corona, lotta contro un'Amazzone. L'altra Amazzone, sul lato sinistro, è identificata con Ippolita.

Il frontone sarebbe greco, databile al 440-430 per analogie con la Kore Magna ed altre sculture coeve, opera di un maestro che risente della cultura fidiaca, ma conserva degli elementi che richiamano stilemi di epoca severa. L'artista, che rivela un'alta sensibilità nel modellato dei corpi, sarebbe nato in ambiente ionico e avrebbe soggiornato in Attica durante l'attività di Fidia.
Il frontone sarebbe stato smontato e portato a Roma in età augustea. La Rocca esclude che provenga da Atene, perché sarebbe menzionato dalle fonti storiche, e lo attribuisce al santuario di Apollo ad Eretria. Questo tempio arcaico, saccheggiato nelle Guerre Persiane, fu riedificato nel V secolo. Abbiamo tuttavia alcuni resti del frontone originario, che illustrava la battaglia delle Amazzoni. Ne fanno parte un gruppo di Teseo e Antiope, conservato nel Museo di Calcide, ed un'Amazzone inginocchiata 2 nell'atto di scagliare una freccia, conservata nel Museo dei Conservatori, a Roma. Dobbiamo rilevare il carattere assolutamente politico della tematica amazzone, in particolare dopo la Pace di Callias (449), che siglò la fine delle Guerre Persiane. Le Amazzoni del Partenone sono riprese in due momenti: da un lato, esse muovono da Oriente per assalire Atene; dall'altro, sono sconfitte dagli Ateniesi e respinte in Asia Minore.

Oltre alla provenienza del frontone - ammesso che sia un frontone - dobbiamo chiederci quale valore potesse assumere a Roma. Il tema dell'Amazzonomachia non è nuovo a Roma, a giudicare da un rilievo della collezione Valle-Medici 3 che presenta un tempio tetrastilo con scena di Amazzonomachia. La vivacità del gruppo è tale che gli archeologici ipotizzano, ancora una volta, un'origine greca. Secondo La Rocca, il tema delle amazzoni avrebbe suggerito ai Romani non tanto la lotta degli Ateniesi contro i Persiani, quanto la lotta di Augusto contro Cleopatra. Quindi saremmo di fronte ad un "interpretatio" romana, in cui la figura stante di Atena alluderebbe a Roma trionfante.

La tedesca Erika Simon, docente dell'università di Wurzburg, ha integrato la relazione di La Rocca con alcune osservazioni. In primo luogo, ha sottolineato che il tempio sorge quasi attaccato al Teatro di Marcello, che ne copre la vista dal basso. Allora, se davvero c'era un frontone greco, perché Augusto avrebbe costruito il Teatro a così breve distanza ? Forse - spiega la Simon - il frontone si poteva ammirare attraverso i fornici del teatro.

Il tedesco German Hafner, in un articolo pubblicato nel 1987, esprime seri dubbi sulla ricostruzione avanzata da La Rocca. La prima delle sue critiche è molto discutibile: sostiene che un atto di spoliazione così duro, qual'è la rimozione di un frontone, sia da escludere in età augustea.
Più fondata è la seconda obiezione di Hafner. Se consideriamo le proporzioni di un timpano greco e vi inseriamo al centro la statua di Atena - osserva - ne risulta un triangolo così largo che le statue individuate da La Rocca galleggiano nel vuoto. Peraltro, è noto che i timpani romani hanno una pendenza più accentuata di quelli greci, allora gli spazi liberi sarebbero ancora più estesi. A queste considerazioni si può solo opporre l'ipotesi che alcune sculture siano andate perdute, o siano rimaste sul tempio d'origine.
Hafner si chiede ancora che senso abbia la presenza di Atena nel mezzo di un frontone greco, sul tempio di Apollo Medico. È una presenza dominante che non prende parte alla scena, che relega in secondo piano la divinità titolare e lo stesso culto del tempio.
Veniamo ora al presunto Teseo, su cui Hafner ha molte riserve. La Rocca critica la proposta di Stucchi di riconoscervi un Apollo saettante, ma l'identificazione con Teseo suscita nuovi dubbi, perché nel braccio non abbiamo tracce del foro e della grappa adoperati per fissare lo scudo di bronzo. Il polso è liscio, integro, non reca traccia di un perno, che pure sarebbe indispensabile per reggere uno scudo metallico.
Un altro elemento di indagine è la posizione del Teseo, visto che il panneggio della gamba è completamente disgiunto dal resto della figura ed entrambi i piedi sono opera di restauro. Dunque, la sua inclinazione in avanti è solo un'ipotesi. La figura potrebbe avere lo sguardo verso l'alto e quindi, un diverso rapporto con il protagonista della scena. L'unica certezza che abbiamo riguarda il ginocchio, che certamente poggiava su qualcosa, magari un sasso.

Secondo Carlo Gasparri, fra il panneggio della gamba e quello del busto c'è una integrazione di stucco che, allo stato attuale, non ci consente di stabilire se il panneggio originale prosegue. Se avessimo la conferma che i due frammenti appartengono alla stessa figura, essa non potrebbe inclinarsi molto. In attesa che si compiano ulteriori indagini, Gasparri ipotizza una posizione più sollevata in modo che il panneggio non cada verticale - come sostiene La Rocca - bensì obliquo.

Veniamo ora alle Amazzoni, di cui Hafner contesta la posizione con giusti argomenti. Un cavaliere solleva i piedi solo quando il cavallo s'impenna, quindi la posizione del cavallo di sinistra non può essere orizzontale. Il problema è che, nella ricostruzione di La Rocca, il cavallo di sinistra è già chiuso in uno spazio limitato e non può assumere un'altra posizione. Riguardo all' Amazzone di destra, che La Rocca presenta su un cavallo impennato, Hafner solleva tre obiezioni: 1) una statua equestre a tutto tondo non può reggersi su uno zoccolo solo; 2) la figura, che doveva reggersi su una base, sembra concepita ed eseguita a sé stante; 3) nessuno monta un cavallo impennato con le gambe diritte. Questa viceversa è la posizione di chi sta cadendo e si sbilancia in avanti, quindi cade il nesso con l'eventuale Teseo.

L'analisi di Hafner prosegue con la Nike, che non poggia i piedi sulla base. Poichè non può essere appesa come un angioletto del presepe, occorre immaginare un oggetto (un sasso ?) su cui possa poggiare. Il tedesco solleva dubbi anche sull'identificazione della dea, poiché i capelli raccolti nella benda si trovano anche nelle raffigurazioni di Artemide. La statua di Ercole, riconoscibile dalla pelle di leone, secondo Hafner richiede una lieve rotazione. Non sappiamo le ragioni di questa ipotesi, che di sicuro non nasce da un esame oggettivo. Il torso maschile giacente è stato oggetto di ipotesi contrastanti. La Rocca lo ricostruisce in posizione molto rigida, con il braccio sinistro aperto verso l'esterno a reggere lo scudo. A questa ricostruzione ne è stata opposta un'altra, dove il braccio sinistro non regge lo scudo, ma si piega nel tentativo di sfilarsi una freccia. Il foro lasciato dalla freccia è ancora visibile sulla schiena del caduto, ma nel frontone non vi sono arcieri e le Amazzoni combattono corpo a corpo. Quindi, è lecito chiedersi chi possa avere scagliato questa freccia. Sulla schiena di Atena, di Teseo e delle Amazzoni si osservano tracce dei perni che fissavano le statue sul timpano. In base ai fori, molto rozzi, tipici dell'età augustea, Hafner sostiene che le sculture non siano state concepite per un frontone e che, pervenute a Roma, siano state poste all'esterno del santuario, contro il muro del podio. In realtà, il tedesco trascura che le sculture frontonali greche non hanno bisogno di perni, perché sono concepite con solidi appoggi, come nel Partenone.

Carlo Gasparri rigetta l'ipotesi che il frontone raffigurasse un' Amazzonomachia, per due motivi: da un lato, un' Amazzonomachia celebra una vittoria dei Greci contro le Amazzoni, mentre qui i morti sono solo greci; dall'altro, non si conosce alcuna Amazzonomachia ambientata su un terreno roccioso. Dunque, Gasparri sostiene che il frontone ricomposto da La Rocca comprenda figure relative a due tematiche diverse: una scena di Amazzonomachia ed una strage di Niobidi.
Il problema nasce dall'esistenza di tre sculture di Niobidi, rinvenute negli Orti Sallustiani, che presentano forti analogie con il torso maschile giacente individuato da La Rocca. Di queste tre sculture, due scivolarono nel mercato antiquario e furono acquistate dalla Ny Carlsberg Glyptotek di Kopenhagen, e la terza si trova nel Museo Nazionale Romano. Proviamo ad esaminarle.

La Niobide conservata a Roma è stilisticamente assai vicina alle sculture del tempio di Apollo, malgrado la consueta datazione in età severa. Gasparri ne posticipa la datazione verso il 440-430 a.C. in base allo stile dei panneggi, alla forte mascella ed al taglio degli occhi, che richiamano il viso dell'Apollo.
Il Niobide in fuga di Kopenhagen ha subito una moderna operazione di levigatura, che ha raffreddato il modellato dei panneggi. La testa col "saccos" presenta forti analogie con la testa della Vittoria. Come nelle sculture osservate da La Rocca, anche qui notiamo delle incertezze nelle soluzioni plastiche. Il panneggio mosso dal vento e sollevato dalla freccia che lo trafigge non è risolto in maniera ottimale, come se lo scultore si fosse impegnato in un soggetto superiore alle sue capacità. Il Niobide giacente di Kopenhagen, che pure mostra una certa rigidità di panneggio, ha la stessa posizione del torso giacente individuato da La Rocca.

Insomma, l'affinità formale e tematica fra questi tre Niobidi ed alcune sculture studiate da La Rocca fa pensare che provengano da un solo frontone greco, che a Roma fu smembrato tra gli Orti Sallustiani ed il Tempio di Apollo Sosiano. Sarebbe un'ipotesi interessante, ma presenta una evidente difficoltà: se vogliamo comporre un frontone con i tre Niobidi degli Orti Sallustiani ed alcune sculture del tempio di Apollo Sosiano, scopriamo di avere due caduti da inserire nell'angolo sinistro. Per risolvere il problema, Gasparri verifica la ricostruzione del caduto di La Rocca e scopre che potrebbe avere un orientamento opposto, cioè con i piedi rivolti a destra. Infatti, se la figura fosse rivolta con i piedi a sinistra, il braccio destro sarebbe completamente occultato ed il braccio sinistro, intento a sfilare la freccia, farebbe ombra sul viso. Peraltro, non è certo che il caduto fosse collocato nell'angolo del frontone: potrebbe anche stare fra le zampe di un cavallo. Quindi - conclude Gasparri - possiamo ipotizzare una collocazione diversa, che permetterebbe di inserire i due Niobidi giacenti nello stesso frontone. Infine possiamo immaginare, sul tempio di Apollo ad Eretria, un frontone principale con la strage dei Niobidi (tema connesso ad Apollo) ed uno posteriore con scena di Amazzonomachia. Rimane un interrogativo a cui, oggi, non siamo in grado di rispondere: che senso ha smembrare un frontone greco e dividere le sculture fra il Tempio di Apollo Sosiano e gli Orti Sallustiani ? L'unica ipotesi finora avanzata, molto debole, è che il Tempio di Eretria fosse già in rovina al tempo di Augusto. Lo scarso numero di sculture recuperate avrebbe impedito di ricomporre i due frontoni, così Sosio avrebbe scelto una soluzione di ripiego.





NOTE

1 E. La Rocca, Amazzonomachia: le sculture frontonali del tempio di Apollo Sosiano, Roma 1985.

2 Gli scavi hanno rivelato che l'Amazzone, databile al VI secolo a.C., proviene dal santuario di Eretria e giunse a Roma come trofeo o decorazione di una villa.

3 Intorno al 1520 il cardinale Della Valle aveva, nel giardino del suo palazzo in Via del Corso, una collezione di rilievi classici. Questi erano stati rinvenuti nella stessa Via del Corso, laddove è stato individuato l'Arcus Novus di Domiziano (203 d.C.). Poco oltre sorgeva l'Arcus Vetus di Claudio. Nel 1584 la collezione fu venduta al cardinale Ferdinando de' Medici, che allora costruiva la propria residenza romana. Negli scavi degli anni '30 sono emerse altre lastre scolpite dell'età di Claudio, che furono reimpiegate nell'Arcus Novus ed ora sono esposte al Museo dei Conservatori.





 
fig. 1
Tempio di Apollo Sosiano

Grafico di Marco di Mauro.
 

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