Una delle più grandi soddisfazioni per chi si trova a Ravello con spirito di conoscenza consiste nel vagare per i boschi delle montagne che dominano la Costiera Amalfitana per poi scoprire all'improvviso, tra verdure rugiadose immerse in un'atmosfera quasi tropicale, d'estate umida e al tempo stesso tiepida, le sobrie vestigia di un edificio seicentesco che protegge discretamente parti di una più antica fabbrica bizantina.
Nel verde incontaminato e talvolta quasi preistorico che circonda questi antichi borghi medievali ravellesi sono sopravvissute fino ad oggi Chiese di modeste dimensioni collocate ai margini dell'abitato, che erano popolate da una comunità a suo tempo numerosa per quantità di fuochi e bocche, poi diminuiti drasticamente.
Grazie alla segnalazione di don Giuseppe Imperato Jr., nel 1991 visito la Chiesetta di Santa Maria della Pomice in località Sambuco nel Comune di Ravello sita a valle della strada per il Valico di Chiunzi, guidato da Antonio Ferrara cultore di storia ravellese, insieme ad Alberto White e mia sorella Serena.
La piccola Chiesa sconsacrata è abitata da un mulo, oppure un asino: sono passati tanti anni e non mi ricordo più esattamente ... Gli passiamo dietro ben consci che un suo calcio può essere fatale anche per il più robusto dei rocciatori ...
Giriamo dietro l'altare seicentesco e ci appare subito la vista di un piccolo ma bellissimo catino absidale che mostra in tutta la sua magnificenza un esempio brillante di arte bizantina, purtroppo in precario stato di conservazione. Infatti il tonachino, estremamente sottile, tende a distaccarsi dal muro soprattutto lungo i bordi esterni, presenta una superficie lacunosa, piena di macchie e incrostazioni di vario tipo, anche se nel suo complesso conserva una discreta leggibilità. Mi appare subito chiaro che l'affresco è di pregevole fattura medievale e merita la massima considerazione, nonostante fossero stati sollevati dubbi in proposito.
Dobbiamo constatare che in genere le Chiese che appartengono alla tipologia di Santa Maria della Pomice sono portate alla naturale estinzione per la collocazione decentrata rispetto ad un territorio demograficamente povero, che nel corso dei secoli tende progressivamente a rinsaldarsi entro l'abitato, anche per ragioni meramente pratiche o difensive. Molto probabilmente la sopravvivenza di questa piccola Chiesa fu dovuta ad un complesso equilibrio di faticosa sopravvivenza di valori della tradizione religiosa, della memoria storica civica e toponomastica e infine, in tempi più recenti, degli studî di storia locale.
Un autorevole riconoscimento
Sempre nel 1991, tornato a Roma ed essendo desideroso di ottenere un'autorevole conferma della mia datazione dell'affresco come opera di età medievale, sottoposi le riproduzioni fotografiche dello stesso all'analisi di Angiola Maria Romanini, nota studiosa oggi scomparsa, che allora era direttrice dell'Istituto di Storia dell'Arte Medioevale e Moderna dell'Università "La Sapienza" di Roma.
La Romanini, alla presenza di Alessandro Tomei, mi disse al primo colpo d'occhio e senza alcuna esitazione che l'affresco poteva essere paragonato alla qualità esecutiva del « secondo maestro del Duomo di Anagni ».
Necessità di un restauro urgente
L'affresco è stato visto e studiato anche da altri competenti studiosi.
Oggi esso merita certamente un'approfondita analisi stilistica, storica e documentaria, soprattutto in vista di un suo urgente restauro conservativo e di una più ponderata azione di studio, pubblicazione scientifica dei materiali esistenti, e anche recupero, valorizzazione e tutela di tutto il complesso monumentale.
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