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Gli Ologrammi di Dora Tass alla 54.ma Biennale di Venezia  
Enrica Torelli Landini
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 17 Novembre 2011, n. 633
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Area Artisti

Un imprevedibile spirito sacrale mi hanno da subito ispirato queste immagini, nate grazie ad un esperimento apparentemente tecnico affidato alla proiezione molecolare.

Se al sacro, al santo, al divino è legato il tema dell’apparizione, dell’epifania, non è insensato scorgere nelle improvvise visioni che l’occhio incontra (capta) di fronte alle lastre in plexiglas - a secondo del punto di vista, a secondo della posizione della fonte luminosa - un’epifania che le sottrae al tecnicismo, rendendo le sequenze di questi oggetti virtuali – il telefono, il tape recorder, la macchina da scrivere – una sorta di teoria di santi o di profeti. All’inconsistenza dell’oggetto si aggiunge l’elemento circolare onnipresente ed il circolo della luce che domina dall’alto la ‘cosa’, l’oggetto.

La tastiera della macchina da scrivere, o le bobine della vecchia telecamera, se da un lato ricordano in quanto oggetti vaghe ascendenze duchampiane, dall’altro impongono alla visione un gioco liberatorio del pensiero. Insomma il  ready-made duchampiano, sostanziato dalla sfera dell’esperienza mistica, diviene un vero gioco sui prodigi, un anti-ready-made.

Inoltre l’oggetto virtuale si completa quasi sempre con un oggetto concreto (la cornetta reale vicino al telefono virtuale). Questo fa sì che nello stesso luogo, spazio e tempo si percepisca contemporaneamente  il reale e il virtuale, la tecnica e l’esperienza mistica: mondi inconciliabili che entrano così non tanto in dialogo quanto in ‘frizione’ fra loro. L’assurdità di questo ‘assemblaggio’ di sensazioni disparate e distanti intensifica le facoltà visionarie. Afferrare due realtà distinte ha dunque lo scopo di ottenere una ‘scintilla’ dal loro accostamento e - privandoci di un sistema di referenza - di spaesarci.

Con questo esperimento sulla visione è come se l’artista cercasse la collaborazione al di fuori di sé, per andare incontro ad un ‘nuovo ignoto’, conferendo alla sua ricerca sulla proiezione molecolare uno straordinario potere di suggestione.

Il gioco sul buio (la tavola nera di supporto), illuminato dal lampo di luce abilmente orchestrato rende gli objets simili a misteriose apparizioni, a una successione allucinante di immagini contraddittorie.

Se di uno sfioramento surreale (o surrealista) si può parlare nel modo in cui sono presentati gli ologrammi, questo è maggiormente ravvisabile in quella ‘surrealtà’ faticosamente portata avanti da Georges Bataille sui fogli di ««Documents» con gli accostamenti triviali delle sue fotografie (documenti, appunto) che mettono a nudo uno scarto tra realtà e immaginario, tra realtà e simulazione, grazie alla provocazione di un corto circuito, di una paradossale quanto imprevedibile rete di rapporti che ha fatto affermare a una certa critica che la rilettura di «Documents» può presentarsi oggi come un autentico momento chiave del pensiero moderno sull’immagine.

Ecco in questo senso, l’aspetto effimero, temporaneo, provvisorio delle lastre ologrammate di Dora Tass pongono una riflessione non sul ‘divino’ in quanto tale, ma piuttosto su un nuovo, libero modo di pensare le immagini. In questo senso l’artista-creatore fa opera di conoscenza, forse scoprendo in questi oggetti proprietà latenti che altrimenti non potevano essere percepite; esattamente come fa il poeta ogni volta che si serve di una parola in modo inconsueto.

La qualità eminentemente mentale, analitica e critica del lavoro, si distacca anche dalla ‘corposità scomposta’ degli esperimenti di Bataille sull’immagine, provocando tuttavia un risultato per certi versi simile.












Fig. 1
DORA TASS
54.ma Biennale di Venezia

Fig. 2
DORA TASS
54.ma Biennale di Venezia

Fig. 3
DORA TASS
54.ma Biennale di Venezia

Fig. 4
DORA TASS
54.ma Biennale di Venezia

Fig. 5
DORA TASS
54.ma Biennale di Venezia

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