“Se la forza
dei maestri moderni sta
nella costanza, la nostra
dovrebbe
stare nella diversità”
R. Venturi
La
crisi del pensiero matematico, la relatività, la teoria quantistica, la cibernetica e la teoria dell'informazione
convergono verso i nuovi paradigmi dell'a-razionale e dell'incertezza dei quali
il pensiero complesso si fa interprete e
costruttore di una nuova ontologia. “Meccanicismo”, “determinismo”,
“classicismo”, “ordine ripetuto”, “linee rette”, “geometrie euclidee”,
“causalità lineare”, la complessità li dissolve nella dialettica ordine/disordine, li sospende nelle “qualità
emergenti” e nel concetto di “sistema organico”. Nel mutamento paradigmatico [1] che dalla
fisica apre al modello biologico nel quale un sistema è pensato come ente
organico ed evolutivo, la complessità rintraccia
similarità strutturali e isomorfismi con altri sistemi di diversa natura,
applicando principi uniformi. Un pluralismo
che si contrappone al monismo della tradizione classica.
II
pensiero complesso capovolge i criteri riduzionistici del paradigma
razionalista, oltre gli orizzonti concettuali della scienza, investendo la realtà globale dell'uomo e la sua visione del mondo. Definire
il concetto di "complessità" è uno tra i
compiti più ardui del nostro tempo, l'estensione del suo concetto coincide con l'intera
struttura del reale e le modalità di rappresentarlo. E. Morin, tra i maggiori
interpreti di questa rivoluzione culturale, vede nella concezione illuministica
una ragione degenerata nell'estremismo razionalistico che tenta di offrire una
“spiegazione semplicistica” del mondo e di ciò che essa non comprende.
La
logica della complessità interpreta quell’oltre
che trascende certezze, identità e continuità, individuando e snodando trame invisibili alla classicità, in
quanto architettura chiusa. Una dialettica tra estremi classico/anticlassico che sfascia le immote e
predefinite simmetrie aprendo alle dinamiche asimmetrie della
vita e dell'evoluzione. L'audacia della nuova architettura le traduce in forme
estetiche liberatrici dalla millenaria "nevrosi" della
classicità, volgendo alla costruzione di un habitat ecologico per l'uomo
della post-modernità.
L'architettura
è tra le migliori alleate della
complessità. L'architettura complessa si contrappone al criterio
meccanicistico di funzione e propone quello sistemico di organizzazione;
organizzare spazi funzionali in un unico complesso sviluppa campi i cui
gradi di funzionalità superano la pura somma
dei suoi elementi. Spazi da gestire come insiemi ove gli uomini si relazionano,
vivono, pensano, esprimono, sentono,
imparano, producono, creano. Considerare la costruzione un vero e proprio
organismo vivente sia come parte dell'habitat
urbano, sia in quanto parte dell'intero naturale. Se per Le Corbusier
“Il più alto diletto dello spirito umano è la percezione dell'ordine, [e] la
più grande soddisfazione umana è di collaborare o partecipare a quest'ordine”,
allora da questa nuova prospettiva quell’“ordine” è pensato come condizione
particolare di un disordine dinamico, ordinato, evolutivo, poietico. Qui
l’architettura si fa impronta umana sul mondo, spazio umanizzato che sfida il legiforme naturale superandone i limiti senza
violarli, ponendosi come sintesi di ogni esperienza di vita e di conoscenza.
L'architettura
liquida, il cui confine con l’architettura complessa è pressoché labile, è la
forma più esplicita di arte compromessa con la scienza e la filosofia. Essa
compie in questo clima una rottura epistemologica, una rivoluzione paradigmatica che
ridisegna nuove forme per nuove dimensioni della realtà, aprendo a una visione olistica che privilegia
l'organicità globale ai criteri cumulativi e settoriali nella teoria architettonica
dei sistemi abitativi e urbanistici. Erede dell’anticlassico, primo a
osare contro i canoni della classicità, la nuova filosofia dell'architettura traduce visibilmente l'interdisciplinarità
dei saperi; alla riduttiva e monotona
classicità del finito, essa risponde con la fluidità del non-finito,
all'ordine statico e ripetuto propone l’“ordine caotico” e dinamico. L'architettura liquida, comprensibile attraverso
canoni non-euclidei, nella sua spazio-temporalità, tratta una materia priva
d'inerzialità che trova nel virtuale e nel Cyberspazio una libera
e creativa espressione.
Il
paradigma classico e il paradigma della complessità
L'idea
di "modernità" trova
nel Rinascimento la sua eredità. Di quella scienza fondata sull'uomo (N. Macchiavelli,
Erasmo da Rotterdam, F. Bacone e M. E. de Montaigne), Shakespeare ne evocherà
il pathos tragico con le sue contraddizioni. Essi svilupperanno un sapere e una
epistemologia parcellizzati, eredità dei dettami aristotelici; in
particolare, Galileo e Cartesio, concepiranno una scienza autoreferenziale
secondo il paradigma scientista. Su tale
sostrato ideologico, si identifica l'idea di “oggettivo” e la pretesa di
unificare l'intero sapere, attraverso il metodo cartesiano fondato sui
presupposti della razionalità logica e formale. Qui la modernità trae le
sue origini identificandosi con “scientificità” e “razionalità”, come riduzione
del reale al razionale mediante
l'estensione della logica formale e dell'esperienza, e culminando
nell’idealismo hegeliano.
La prospettiva razionalista, assunta come ideologia tra XIX e XX secolo, influenzerà tutte le
esperienze culturali, da quella scientifica a quella umanistica
e artistica, ponendole in conflitto tra loro [2] .
L'eredità cartesiana sarà estremizzata nel Novecento
con il circolo di Vienna, i cui contenuti verranno elaborati nel campo
dell'arte e dell'architettura dal funzionalismo
di Le Corbusier e dalla Bauhaus di W.
Gropius nella prospettiva di un'unificazione teorica delle arti sotto i dettami razionalistici e delle esigenze del mondo
industriale (P. Klee, V. Kandinskij). Tentativi apprezzabili
di fuoriuscita dai modelli razionalistici e dallo “spirito della macchina” li offriranno l’acutezza e la sensibilità di A. Gaudi
e di F. L. Wright; il primo con l’interpretazione spiritualistica dei contenuti
stilistici, il secondo con la versione organica del
funzionalismo.
A
questo storicismo architettonico razionalista, nella seconda metà del secolo scorso, si oppone il post-moderno con forme
linguistiche atte a interpretare la natura spontanea dell'uomo; in particolare,
ciò si esprime con J. F. Lyotard che
concepisce la modernità come qualcosa per la quale non ci sono alternative se
non l'illogica casualità. Per J. Derrida, non vi è quindi possibilità
per costruire, se non “de-costruire”; J. Habermas, al
contrario, distingue la modernità dall'ideologia
modernista riconoscendo nei suoi “principi autorevoli” le “narrazioni” di
Lyotard, non presenti nella critica modernista alla realtà. Ne deriverà la
critica post-moderna al modernismo tout court
ma, in quanto critica ideologica, essa ridurrà alla stessa modernità.
Per
valutare la portata rivoluzionaria del pensiero complesso è necessaria una riflessione nell'ambito del pensiero
scientifico nel quale essa nasce, cresce e si sviluppa. Il
paradigma razionalista fonda la spiegazione dei fenomeni naturali riducendoli
ai loro componenti fondamentali. Il pensiero complesso capovolge tali
criteri riduzionistici e apre a nuove prospettive
che estendono oltre gli orizzonti concettuali della scienza, investendo la
realtà globale dell'uomo e la sua visione del mondo.
Definire il concetto di
"complessità" è uno tra i compiti più difficili del nostro tempo,
la sua estensione riguarda l'intera costituzione del reale e le sue modalità di
rappresentazione. Morin, tra i maggiori
attori della rivoluzione del pensiero complesso, delinea questa
"rottura epistemologica" con il
paradigma culturale classico e l’eredità del razionalismo cartesiano, e
del positivismo ottocentesco. Per il superamento del modello illuministico di
una ragione degradata nell'assolutismo razionalistico, come “spiegazione
semplicistica [del mondo], ci sono voluti
nuovi sviluppi [e la necessità] che la ragione critica diventasse
autocritica” [3] .
La
critica epistemologica moriniana considera la cultura scientifica fondata su
quattro paradigmi: a) ordine e regolarità,
che rifugge disordine e incertezza; b) separabilità,
che riconduce a elementi semplici un
sistema; c) riducibilità, che spiega
su termini di base; d) deduzione-induzione,
derivabili dai principi di identità,
contraddizione e terzo escluso [4] . Ad essa ha
fatto eco il metodo cartesiano, assumendo la matematica (malhesis
universaìis) come riferimento certo di “verità” e implicando, per
conseguenza, la netta separazione tra res
cogitans e res extensa, tra soggetto e oggetto, pur originata dalla
riflessione del soggetto (coscienza)
circa le modalità del suo conoscere e della relazione con l'oggetto conosciuto.
Ciò ha determinato una divergenza tra
ontologia ed epistemologia nella cultura contemporanea, tra pensiero umanistico
e pensiero scientifico, in quanto
“Il metodo scientifico elimina la società e la cultura dalla
costruzione della scienza fisica e biologica. [...] La disgiunzione tra le
scienze naturali e le scienze umane è un prolungamento
della separazione già stabilita da Cartesio tra res extensa e res cogitans” [5] .
Nella seconda metà
del XIX secolo, con l'emergere di nuove condizioni problematiche non
risolvibili, viene reinterpretato il concetto di “scienza” con la scoperta
delle geometrie non euclidee (F. Gauss, B.
Riemann, J. Bolyai, N. Lobacevskji) e posta in discussione l'idea
di “certezza matematica” reinterpretandone i fondamenti (B. Russell, K.
Gödel), e, nel XX secolo, con l'esordio della teoria quantistica, dell'indeterminismo
(N. Bohr, L. De Broglie, W. Heisenberg, E. Schrodinger, E. Fermi, P. Dirac) e
della relatività (G. Ricci-Curbastro, T. Levi-Civita, H. Lorentz, H. Minkowski, T.
Kaluza, F. Klein, A. Einstein).
Questo passaggio dall'idea di “assoluto” a quella di “relativo”, dalla
“certezza” macrofisica e antropometrica all’“incertezza” microfisica, ha
evidenziato l'insensatezza del programma riduzionistico nel risolvere l'intera
realtà nelle scienze fisiche, la cultura e la dimensione psichica ed etica dell’uomo
nelle scienze biologiche.
Il
determinismo scientifico ha accentuato la propria influenza grazie alle
scoperte della biologia molecolare
nomologizzando un “disordine” pensato come impasse
all'interno di un presunto “ordine” assoluto, non riuscendo a giustificare in
questo quadro entropico il sussistere di un ordine biologico produttivo e
conservatore della vita. Si è presa coscienza che il pensiero
scientifico analitico, settorializzante e riduzionistico rischi di perdere di
vista l’idea della “totalità”, del “tutto” e dell’”organico”, i quali
prescindono dal monopolio paradigmatico delle
scienze fisiche, estendendosi alle scienze umane e sociali, e pertanto di elaborare
una “teoria dei sistemi” il cui “oggetto di studio consiste nella formulazione
e nella derivazione di quei principi che sono validi per “sistemi in generale”” [6] .
La
“teoria dei sistemi” evidenzia le trame strutturali e isomorfe tra strutture di
diversa natura, per l'applicabilità di principi
comuni. La natura eterogenea di tali sistemi è riducibile a una condizione di omogeneità sulla base di elementi descrivibili in senso olistico privilegiando la
totalità rispetto ai suoi componenti. L'ascendenza del “globale” sul “parziale”
si argomenta nell'indentificare i caratteri propri di un sistema i quali non
sono riducibili ai suoi semplici componenti, ma considerabili - con le loro
interazioni - come effettive “qualità emergenti”. Morin giustifica tali
emergenze affermando che:
“Il tutto è molto più che una forma globale, [è] anche
qualità emergenti. È ancora di più: il tutto retroagisce in quanto tutto
(totalità organizzata) sulle parti. [...] Così perché le parole assumano un
senso definito nella frase che esse formano, non basta che i loro
significati vengano individuati fra altri nel dizionario, non basta che esse
siano organizzate secondo la grammatica e la sintassi, bisogna inoltre che
abbia retroazione della frase sulla parola, nel corso della sua formazione,
fino alla cristallizzazione definitiva delle parole da parte della frase e della
frase da parte delle parole” [7] .
Le carenze e la miopia
della nostra cultura, per Morin, derivano dai canoni cartesiani di “chiarezza” e di
“distinzione” dei concetti, assumendo l'idea del “semplice” come
parametro di fondo che infirma l'idea
di “sistematicità”. Su tali basi, l'assimilazione del determinismo come
paradigma di riferimento rispetto al quale l'idea di “incertezza” si è sempre considerata difettosa come espressione di
mancata conoscenza della realtà. Nello stesso senso, il “disordine” è una condizione
apparente e formale dietro la quale si cela un ordine strutturale, così da
ridurre il complesso al semplice della legge. Tutto ciò, secondo il filosofo e sociologo francese,
ha contribuito a fuorviare l'idea
di “sistema”, il rapporto tra ordine e disordine e la
relazione tra il tutto e le sue parti, impedendo
di comprendere l'impossibilità di ricondurre certi caratteri del sistema a
semplici elementi delle sue componenti.
Al
contrario, secondo la logica della complessità e della teoria dei sistemi se, da un lato, un sistema è possibile considerarlo come il numero dei suoi elementi
componenti e pensabile isolatamente; da un altro lato, considerando le relazioni tra gli elementi
costitutivi il sistema, diviene essenziale pensare quest'ultimo - come già
detto – un insieme di caratteristiche non derivabili dalla pura somma delle sue
componenti, le cui interazioni costituirebbero quelle emergenze irriducibili alle semplici componenti il sistema
medesimo. L'approccio olistico alla realtà
oggettiva e ai linguaggi culturali che la interpretano non vanifica l'identità
e l'autonomia delle discipline, in quanto:
“una simile unificazione non avrebbe alcun senso se fosse
unicamente riduzionista. [...] Ha senso
solamente se è capace di afferrare ad un tempo unità e diversità, continuità e
rotture. [Ciò] è possibile a una teoria dell'auto-eco-organizzazione, aperta su una teoria
generale della physis. Fisica, biologia, antropologia smettono di essere entità chiuse, ma non perdono la loro identità” [8] .
Il tema della
complessità – privo, a tutt’oggi, di uno proprio statuto epistemologico –
rinvia al “problema di come si sia identificata la conoscenza con il tipo di
formazione disciplinare inventato per le scienze nel corso del XIX secolo” [9] . La
logica della complessità origina dalle scienze cognitive [10] ed
evolutive, dalla teoria dei sistemi e dall’epistemologia sperimentale. Su tali
presupposti, si iniziò una riflessione collettiva di pensatori di svariate
estrazioni disciplinari, incrementato e accelerato dagli sviluppi della
cibernetica fucina di esperienze trans-disciplinari come la neurofisiologia, la
fisica dei quanti, l’antropologia, la psicologia, la sociologia, l’economia,
ecc.
La
nuova epistemologia coinvolge in senso più esplicito le
discipline di confine come l'architettura, nella quale convergono più tipi di
conoscenze i cui contenuti culturali sono molteplici e trasversali. Tale
condizione apre l'architettura, in quanto “arte compromessa”, alle discipline
scientifiche nel loro insieme, nonché a
reinterpretazioni filosofiche sulla sua valenza epistemologica e culturale. Il
pensiero complesso e il concetto di “liquidità”, parallelo a quello di “complessità”,
sanciscono prospettive innovative rispetto alla
classicità, intrecciando relazioni con il decostruttivismo. Il pensiero liquido
può considerarsi un precursore del decostruttivismo in quanto esso può
reinterpretarsi e riproporsi attraverso equilibri e fluidità delle forme e
delle funzioni. Allo stesso modo, non può essere compreso il concetto di
“liquidità” senza una lettura delle trame ontologiche del reale offerta dalla
grammatica della complessità.
Uno
dei termini fondamentali è il concetto di
“ordine” il quale, proprio della mente umana, non intrinseco nelle
strutture della natura. È il soggetto infatti che pensando riduce la realtà ai propri modelli; al contrario della
fenomenologia hegeliana che identifica pensiero
ed essere, soggetto e oggetto,
il pensiero complesso ne rintraccia i legami profondi pur nella diversa identità.
La complessità ripensa il soggetto come apertura alla realtà, una realtà sulla
quale lascia la propria impronta, senza tuttavia restringerla entro i
propri schemi. È in questo nuovo “soggetto”
che le scienze naturali e antropo-sociali possono coniugarsi, ed è in tal
senso che, “accanto ai
concetti innovativi di sistema, inter-relazione, organizzazione,
evento organizzatore, è fondamentale il recupero
del soggetto di conoscenza” [11] .
Il
pensiero liquido
Il
soggetto, con le sue paure e incertezze, è al centro di un sistema di
riferimenti che via via perde solidità. Z. Bauman riconduce il fenomeno ai prodromi della postmodernità mediante le
metafore di modernità liquida e solida:
l'incertezza della società moderna originerebbe dal degenerare dei
soggetti da produttori a consumatori. Il consumismo implica, di
conseguenza, la logica del rifiuto umano,
l'omologazione planetaria e la
“civiltà della paura”. La società liquida, pertanto, si configura tramite il
post-modernismo che apre la crisi delle “grandi narrazioni” le quali
proponevano un modello di ordine, all’interno del quale interpretare la storia
del nostro passato [12] .
Secondo Bauman, “liquidità” indica
lo status fisico della società tra l’età moderna e post-moderna riconducibile a
un policentrismo di attività umane, intessute da una fitta rete di interazioni.
Il sistema collettivo offre ampie possibilità di soluzioni per il suo
investimento; in particolare, si delineano due condizioni: la prima che assume
l’incertezza come crisi, l’altra che ne trae un valore. La distinzione
contribuisce a definire il significato di “modernità”; secondo B. Zevi, “La modernità è quella che fa della crisi un
valore e suscita un’estetica di rottura”. Egli lega l’idea di modernità
a due condizioni: a) la crisi,
che può tradursi in nuovi fenomeni culturali; b) l’estetica di rottura che prescinde dalla concezione del “bello” tout court, descrivendo mutamenti con
nuove forme linguistiche e coinvolgendo ogni espressione dell’arte (poesia,
musica, pittura, architettura). Una nuova estetica che interpreta il mutamento
in atto e che propone grandi possibilità per coglierne i frutti.
Il postmoderno
si differenzia e s’interpreta sulla base dei dettami della modernità. I tratti caratteriali che delineano questa modernità
"interpretata" (tra Cartesio
e F. Nietzsche) si riconoscono: a) nella convergenza tra teoria e prassi,
legittimando una conoscenza assoluta nella quale si identifica il potere
(fondazionalismo metafisico); b) nel valorizzare l'idea della
"novità" secondo un percorso lineare; c) nel concepire la storia
secondo i paradigmi della libertà e degli ideali etici, attraverso i dettami
dell'illuminismo, del proletariato e del progresso scientifico; d) nel
subordinare l'eterogeneo e il divenire alle
categorie della totalità e dell'unità verso un orizzonte ontologico e storico
assoluti.
A
ciò il modernismo contrappone il rifiuto dei grandi
sistemi filosofici con le loro forme forti e narrative, proponendo: a)
versioni razionali deboli e instabili, negando fondamenti assoluti alla
conoscenza; b) la negazione dello scorrere
del tempo e dello spirito storicistico della realtà, ovvero l'idea di “universalità” e di “emancipazione della storia” sotto l'egida
degli intellettuali; c) il transito dal paradigma della totalità a quello
del molteplice e della pluralità, con la consapevolezza che non esiste un solo
mondo ma molti mondi. Lyotard fa notare
che “si parla spesso di “post”, ma, molto spesso, è un “pre” che si ha in
mente” [13] .
Egli critica la tesi secondo cui il post-moderno si pone come evento in
successione lineare rispetto al modernismo,
affermando che tale idea è essa stessa moderna in quanto derivante dal
paradigma stesso di modernità; al
contrario, essa deve “inaugurare qualcosa di completamente nuovo” [14] .
Il policentrismo e la rete
associativa riflettono la consapevolezza dell’intera società, sancendo
l’oggettivazione della rivoluzione
informatica la cui valenza innovativa compete con le rivoluzioni
agricola e industriale. L’informatizzazione,
in quanto assenza dell’inerzialità, costituisce la nuova economia, assieme alla
materia e all’energia; essa è la linfa che alimenterà l’economia globale.
Afferma A. Saggio:
“Il mondo di oggi è permeato dall’informazione. L’informazione, anzi, è
esattamente la materia prima dell’architettura di oggi! Sì, non è più il
mattone, è l’informazione. Una informazione che penetra nei nostri database,
crea gli algoritmi dei nostri progetti, determina inedite possibilità di
mutazione e adattamento topologico, che segna la possibilità di gestione,
trasformazione, sviluppo anche futuro dell’edificio” [15] .
Un dinamismo che origina dalla nuova
materia di assumere diverse configurazioni; l’idea di liquidità presenta l’informazione come materia fluida che assume
forma dagli input a cui è soggetta,
rendendo l’immagine in perenne mutamento. Definire in tal senso
l’“informazione” permette di concepire una connessione tra modernità, crisi ed
“estetica di rottura”, nonché induce alla riflessione sull’idea che
modernizzare non vuol dire esclusivamente “liquefazione”, ma anche “ibridazione”.
Per cogliere il senso della
rivoluzione digitale è necessario riflettere sui mutamenti delle modalità di
comunicazione, comprenderne i modelli di riferimento e su come prendano forma
esigenze e aspirazioni. Il senso di questa ricerca si pone dal punto di vista
del problema architettonico con l’analisi dei tratti caratteriali di
un’architettura della crisi, di un’architettura che incarni quell’“estetica di rottura” all’interno della
rivoluzione informatica. Con l’era industriale, l’utilità ha sostituito
la bellezza, processo innescato dal funzionalismo come sostrato culturale
dell’architettura razionalista, le cui ricadute sulla società globale hanno
avuto un duplice riscontro sull’architettura e sul mondo dell’informazione in
generale.
Il decostruttivismo
Il sostrato filosofico
del decostruttivismo è il post-strutturalismo [16] ,
linea filosofica connessa parzialmente al pensiero di Derrida. Egli critica il
logocentrismo della psicoanalisi e della fenomenologia, rielaborando il
concetto di “differenza” ontologica di M. Heidegger, sostenendo che l’essere è
differenza, irriducibile ad ogni identità in quanto differisce già da se
stesso. Sostiene inoltre l’abbandono del linguaggio puro che pretenda cogliere
l’essere nella sua essenza. Derrida considera che alla base del linguaggio non
vi sia una parola detta, ma una scrittura all’origine, sovvertendo l’ordine tra
voce e scrittura e assegnando a quest’ultima la funzione primaria di accesso
all’essere mediante l’idea di “differenza”.
Il decostruttivismo
nasce come teoria letteraria diffondendosi, poi, in altre esperienze culturali.
Una decostruzione del “logocentrismo” che si propone di demolire le antinomie
nell’interpretazione di un’opera, di “smontare le parti di un tutto”. Il
contenuto filosofico decostruttivista è “pensare il proprio pensiero”, un
processo auto-riflessivo elevandosi a meta-comunicazione, superando selve di
strutture e frammentazioni categoriali. Una svolta epistemologica che apre alla
trasversalità interdisciplinare e alla diffusione dei contesti. All’eccessiva
attenzione alla forma, che trascura il contenuto tematico e creativo di
un’opera (secondo lo strutturalismo), la decostruzione sconvolge il criterio
classico del costrutto; essa, pur
riconoscendo all’interno di un sistema un’intrinseca coerenza, ne estrapola le
logiche usandole per smantellarlo.
Nel radicalismo
rivoluzionario derridiano nulla è accolto secondo un criterio
d'evidenza, ma tutto viene dissolto dal procedimento della decostruzione, in quanto “la decostruzione è la de-naturalizzazione
del naturale”. Riconosciuta estranea al nichilismo, la decostruzione riesce tra
le forme più irruenti dell'ermeneutica
contemporanea estremizzando l’ermeneutica utilizzata da Nietzsche e
Foucault. Dalla fenomenologia di E. Husserl,
dall'ontologia di Heidegger, dallo strutturalismo linguistico di F. de Saussure
e dalle riflessioni di Nietzsche e di S. Freud, Derrida elabora una
decostruzione della “metafisica della
presenza”. Tale presenza viene decostruita ridefinendone i contenuti;
all’interno della stessa antinomia,
da un lato, nella sua affermazione più esplicita e idealizzata;
dall’altro lato nella complessità della sua struttura.
Derrida
non concepisce la decostruzione come metodo d'interpretazione. Il concetto di
“metodo” si elabora all’interno di quella
filosofia nei cui presupposti la stessa decostruzione si riconosce.
Al di là degli schemi di relazione tra soggetto che pensa e oggetto conosciuto,
la decostruzione penetra e trasforma le stesse strutture e istituzioni. Una
circolarità tra l'elemento oggettivo e
quello soggettivo nella quale emergono analogie, processo decostruttivo ed
ermeneutica. Tuttavia Derrida si distanzia dai principi che fondano l'ermeneutica i quali legano la “metafisica della presenza” al “logocentrismo”. Le ricadute della riflessione
derridiana hanno coinvolto vari ambiti del sapere dalla letteratura al
diritto, dall'architettura all'arte in generale [17] .
Il programma
derridiano è “decostruire” dall’interno la filosofia con l’ordine strutturato
dei suoi concetti, come dall’esterno in quanto essa non potrebbe definire.
Sovvertendo una struttura, emergono le contraddizioni celate in ogni sistema
presunto “ordinato” individuandole come suoi germi distruttivi, usando lo
stesso principio decostruttivo senza richiamarsi a un principio superiore.
“Decostruire” non muove da un’idea all’altra ma rivoluziona un sistema
concettuale perfetto, una sintesi che supera le antinomie approdando non nel
contraddittorio assoluto, ma riconoscendole parti attive di un complesso
dialettico. La decostruzione non origina da un nuovo sistema logico dato, ma è
interna al sistema, agisce in esso ponendolo perennemente in crisi, in quanto
“la logica dell’argomento usato per difendere una posizione contraddice la
posizione che è stata affermata” [18] . Non
si afferma l’autoriflessione del testo, ma si ricava il tarlo del paradosso
mediante il quale si decompone il discorso e la coerenza tra l’essere e
l’agire.
L’opposizione al dissolvimento nichilista, mossa dalla fenomenologia, dal marxismo umanista e
dall’esistenzialismo analitico, si esprime nell’“oltrepassamento” heideggeriano,
il quale affida all'architettura la funzione di tradurre, mediante l'opera
d'arte, la coscienza dell’appartenenza di una società
a una certa epoca. Nel
programma decostruttivo dell'ontologia, Heidegger tenta di superare la
dialettica hegeliana attraverso un’ontologia
ermeneutica, mostrando il forte legame tra 'essere' e 'linguaggio'; una sostanziale
relazione tra “decostruzione” heideggeriana e derridiana, il cui
processo decostruttivo mira al senso stesso di un sistema o di una qualsiasi realtà. Il “decostruire” è inteso nella sua accezione positiva, in quanto la
“distruzione appartiene alla costruzione” [19] . Nella riflessione ontologica,
Derrida estremizza le istanze heideggeriane sulla definibilità
e sull’identità dell'Essere, avendo in sé un'intrinseca differenza costitutiva
di ogni spazio esistenziale, rispetto al quale tutto è decentrato, quindi non
esprimibile.
Tuttavia, la sterilità linguistica rispetto all'essere si
rapporta alla presenza stessa del
linguaggio il quale muove sulla scia dell'Essere, rinviando alla sua stessa
origine e decentrando la ragione
fondativa dello stesso interrogativo sull’Essere. Secondo Derrida, il
linguaggio, non fondato su presupposti metafisici, si riduce alla sola
impronta, ovvero la scrittura, sulla
quale origina il discorso. Emergono le radici antropologiche del problema
dell’essere.
La critica
contemporanea suole contrapporre il decostruttivismo a post-moderno, ma ciò
risulta ingiustificato. Subordinare, da
parte del modernismo, l'eterogeneo alla totalità è il bersaglio comune al decostruttivismo
e al post-modernismo; quest’ultimo infatti propone un mutamento dal paradigma
della totalità a quello del molteplice; così
il decostruttivismo, a sua volta, stravolge l'equilibrio e la gerarchia
della composizione classica creando
geometrie instabili e decomponendo le forme pure.
Si è riflettuto sull’idea di
“modernità” elaborando varie tesi sociologiche sulla vita comunitaria dell'uomo
giungendo alla necessità di una nuova scienza empirica come “teoria sociale”
della modernità come “scienza interpretativa dei mutamenti intercorsi nel
passaggio dalla società tradizionale a quella moderna” (M. Ghisleni 1998). C’è
da considerare che per Habermas la sociologia “si occupa soprattutto degli
aspetti anomici della disgregazione dei sistemi sociali tradizionali e della
formazione di quelli moderni” [20] . Lo status della modernità è tuttavia ampio
e la complessità degli enti ai quali essa si richiama implica riferimenti a
tempi e modelli tra loro diversissimi.
Nel
rapporto con la fenomenologia,
il pensiero derridiano si pone fra
storicismo e strutturalismo, in particolare nell'analisi sulla genesi storica
e metastorica (strutturale) delle
idee husserliane. Secondo Husserl, infatti, è deducibile
l’esistenza di un “io trascendentale” non conforme ad una logica pura e accessibile attraverso l’esperienza. Per Derrida, al contrario, un “io trascendentale”
puro è astratto, prescinde dalla
storia; il trascendentale in quanto tale coesiste alla realtà pur non essendone
definito. La decostruzione concepita come
indagatrice dell'esperienza, a sua volta, emerge come costruzione, esibendo
delle condizioni a priori nascoste nella realtà, ma, tuttavia, come causa della
sua stessa esistenza. Derrida e i filosofi post-moderni,
definiti nichilisti, come espressione della precarietà del pensiero
occidentale, sono
criticati dal mondo scientifico per l’incomprensione sui risultati della fisica
quantistica e di decostruzione dell'epistemologia moderna; per N. Salngaros, in particolare, il
decostruttivismo in architettura equivale a un “virus” contaminante il
pensiero logico e la conoscenza in generale.
Con
l’introduzione da parte di R. Dawkins del modello del meme [21] , come fattore interpretativo sulla
trasmissione delle idee, Salngaros conferma le tesi critiche di R. Wolin sul contenuto
logico nihilista della filosofia derridiana. Tuttavia, Salingaros, proprio
sulla base delle tesi di Dawkins, lo contesta considerando queste stesse tesi
come altre forme di meme. Salingaros,
inoltre, condivide la posizione di C. Alexander che pone in relazione la
religione con la geometria, riconoscendo il ruolo storico della tradizione
religiosa nel processo della conoscenza, in particolare nella relazione tra
architettura e filosofia.
Nel dibattito tra
letteratura, arte e architettura, non vi è ente che indichi qualcosa senza che
questo si riferisca ad altro che non sia presente, in quanto ogni ente può
trasformarsi in un’espressione che, a sua volta, muti altri enti di un sistema.
Il solo elemento esprimibile è la “differenza”; qualsiasi testo interpretato
(letterario, figurativo, architettonico) deve sottoporsi ad una rilettura la
quale, a sua volta, produrrà un ulteriore testo, aprendo un processo
ermeneutico all’infinito. Un aspetto fondamentale della decostruzione è la
trasversalità interdisciplinare: l’intrecciarsi dei confini tra i saperi, o tra
forme d’arte, apre alla contaminazione dei contenuti
epistemici e alla dispersione dei contesti. Un mix di strategie della logica
decostruttiva con le logiche della complessità e della teoria
dei sistemi. Da tali sinergie disciplinari, emergono forti relazioni tra
filosofia decostruttivista e architettura.
Il decostruttivismo
in architettura
Il decostruttivismo - movimento che si vuole contrapposto al
post-moderno - intende “de-costruire ciò che è
costruito”, interpretando
la costruzione e il progetto come testo e sovvertendo il rapporto tra
significato e forma [22] . Per
Derrida, la decostruzione in architettura
“non è semplicemente la tecnica di un architetto che sa
de-costruire ciò che è costruito, ma una interrogazione che tocca la tecnica
stessa, l’autorità della metafora architettonica e di lì costituisce la sua
personale retorica architettonica. La decostruzione non è solo, come il suo
nome sembra significare, la tecnica della costruzione alla rovescia, se essa sa
pensare l’idea stessa della costruzione. Si potrebbe dire che non c’è nulla di
più architettonico della decostruzione, ma anche nulla di meno di
architettonico. Un pensiero architettonico può essere decostruttivo solo in
questo senso: come tentativo di pensare ciò che stabilisce l’autorità della
concatenazione architettonica nella filosofia” [23] .
Tra gli aspetti
costruttivi della filosofia derridiana, l’impegno che l'architettura è
chiamata a svolgere è: a) depurare la razionalità dall'ideologia razionalista,
risolvendosi nell’estrema versione del de-costruire;
b) continuità nel post-modernismo, elaborando un concetto più maturo di
“modernità”; c) nuova logica progettuale secondo l'idea multidimensionale di
conoscenza. Si apre un discorso di depurazione dai vecchi paradigmi, di
dislocazione dalle fissità classiche del “costruire” in opposizione al fluido
“de-costruire”; in altri termini, l’architettura si reinterpreta non più nella
sua staticità, ma come architettura dislocata tra costruzione e de-costruzione,
o meglio, una dialettica tra costruibile e de-costruibile. Questa
“dislocazione” si attua attraverso la “distorsione tipologica” (Torri del Peak - Z. Hadid, Hong Kong,
1983), svalutando i materiali tradizionali, ribaltando tra interno/esterno degli edifici, aprendo le pareti (Ove Arup).
La valenza
della interdisciplinarietà sulla quale è impostata la nuova teoria
dell’architettura (1985) viene espressa nella collaborazione tra il filosofo
Derrida e gli architetti P. Eisenman e B. Tschumi per un progetto del parco
della Villette di Parigi, sancendo il
concetto di “decostruzione”; in particolare, il primo è il fedele traduttore
del decostruzionismo derridiano. Le forme regolari cedono a forme oblique e
frammentarie, attingendo parzialmente al costruttivismo russo (J. G. Chernikov,
K. S. Melnikov). Il paradosso è che l’idea di casa come “habitat” sia inversa
alla percezione e all’interpretazione dell’uomo del proprio ambiente [24] .
Varie tendenze si diffondono nella seconda metà dello scorso
secolo, dall’architettura decostruttivista di Tschumi come diretta espressione
del pensiero derridiano, al più complesso stereotipo dell'iper-frammentazione
di D. Libeskind; da Frank O. Gehry, autore del Guggenheim Museum di Bilbao, che decostruisce in senso sostanziale
sviluppando il “non-finito”, e perturbando i tradizionali canoni di verticalità
e orizzontalità, ad Hadid la quale, prescinde dal pensiero derridiano,
riprendendo dalle scuole del costruttivismo russo e del suprematismo di K. S.
Malevic. Un'architettura
"senza geometria" [25] ,
piani e assi privi di tradizionali strutture e particolari architettonici, una anti-architettura avvolta su se stessa e che, nello stesso tempo, si dipana attraverso la duttilità delle sue geometrie.
Sintesi tra una nuova concezione dell’habitat costruito e
dello spazio architettonico nel quale il caos ha una funzione
ordinatrice. L’instabilità geometrica caratterizza le opere decostruttiviste decomponendone le forme, frammentandone i volumi, scomponendo in
asimmetrie, senza canoni estetici tradizionali. Il decostruttivismo,
decostruendo ciò che è costruito, ripensa un'architettura nella
quale ordine e disordine coesistono senza contraddirsi. La ricerca decostruttivista è una derivazione
del costruttivismo russo del secolo scorso,
che infranse l’equilibrio e la gerarchia della composizione classica, “destabilizzandone la purezza formale”;
essa, esasperando le opere degli architetti
russi, portò a compimento il radicalismo avanguardistico costruttivista [26] .
Se dunque
l’architettura decostruita non può subordinarsi alle sole funzioni, tuttavia
l’architettura di Eisenman e Tshumi è pensata ancora come riparo umano. Secondo
Derrida, la ragione dell’esperienza architettonica risiede nella ricerca di
nuove forme, sperimentarne le possibilità evolutive e inventando nuove
architetture. Tali condizioni estreme si rendono possibili grazie alla
Cyber-architettura. Eisenman ne è uno degli ispiratori. La Cyber-architettura,
creando spazi virtuali della percezione, attinge alla tesi derridiana sulla
perdita di funzionalità, per la quale prevede una architettura svincolata dalla
sola funzione abitativa una “architettura esclusivamente [come] spazio del
vissuto” (A. L. Rossi).
Tra pura virtualità e
architettura costruita esistono alcuni tratti comuni. Significativo il
riscontro nella decostruzione sulla perdita della funzione dell’abitare e che
la Cyber-architettura ha derivato, da un lato le geometrie non ordinarie,
l’abbandono degli schemi figurativi tradizionali e l’interpretazione estensiva
dell’idea di “forma”; dall’altro lato la negazione del sistema architettura/funzione abitativa come
criterio fondante della logica progettuale.
Per Derrida, la
filosofia dell’architettura decostruttivista è sostanzialmente irrazionale; la
decostruzione infatti non corrisponde all’idea di demolire edifici, né ad una
“metafora architettonica”, ma un approccio positivo a una diversa idea di
“costruzione”. Una costruzione decostruttivista è un costruire non logocentrico
che non accentri il senso della costruzione e la chiuda su se stessa, ma, al
contrario, la apra al contesto con le sue variabili ed evoluzioni.
Ma se il logocentrismo
configura il senso tradizionale con cui l’habitat
viene concepito dalla nuova filosofia dell’architettura, tuttavia
“il Logocentrismo, che
può condurre alla decostruzione attraverso la ri-articolazione Metafisica, si
incentra sull’architettura, seppur trascendendone le etichette. Il pensiero
architettonico [...] può essere considerato decostruzionista solo nel seguente
significato: come tentativo di visualizzazione di ciò che stabilisce l’autorità
che unisce architettura e filosofia” [27] .
Per Eisenman, la
decostruzione è speculativa, ricava l’irrazionale dal razionale, svelando
realtà nascoste. La filosofia di Eisenman concepisce i progetti
decostruttivisti in contrasto con l’insieme, un’architettura dell’alienazione,
auspicando un rinnovamento del metodo. Gehry, l’architetto della frammentazione,
tuttavia non decostruisce il sistema dell’architettura nel suo complesso, così
Tshumi che apre al concetto di “creazione” in architettura come
destabilizzazione dei processi creativi.
La dialettica di Gehry
e di Eisenman converge nell’anticlassicismo smentendo in qualche modo i
contenuti stessi del decostruttivismo il quale trae il proprio significato da
ciò che è stato già edificato. Tra i concetti che il decostruttivismo ha
infranto è quello di “spazio”. Uno spazio immagine del caos che dissolve la
percezione; ne consegue che il sistema
habitat è decentrato e sviluppato secondo geometrie prive di elementi
precostituiti. Lo sviluppo di organismi architettonici è il risultato di
diverse tendenze interpretative intorno all’idea di “decostruire”.
Hadid, al contrario,
concepisce un agire dinamico. La “dinamica” è stato il paradigma fondamentale
nell’architettura del XX secolo, oggi si impone un’architettura basata su una
sintesi formale all’interno di un’ampia complessità spaziale, espressione di una
complessa articolazione dei volumi. Lo spazio decostruttivista non è uno spazio
euclideo, non descrive spazi ed elementi ordinati e coerenti in un quadro
predefinito, ma è uno spazio che riflette l’irrazionalità e contiene in sé
tutti gli effetti della rivoluzione culturale del nostro tempo. Nuove geometrie
che descrivono nuovi spazi abitativi per possibilità alternative al modo tout court dell’abitare, una geometria
che esula dai solidi idealistici e statici, propri di un pensiero logocentrico
e platonico, aprendo a un ordine dinamico, un “ordine caotico” che interpreti
lo stato critico e destabilizzante della società contemporanea.
La città
post-modernista disgrega il paradigma della pianificazione modernista e della
prevedibilità ordinatrice, implicando ricadute sul piano psicoanalitico:
l’architettura decostruttivista esprime la crisi identitaria di una società in
rapida trasformazione. È questa rapidità
il valore aggiunto alla normale crisi di un’epoca, in quanto tratto
caratteriale della cyber-cultura e della Globalizzazione. Condizioni di un
vissuto di incertezza e di piena crisi d’identità di una società che la
cyber-cultura incarna nella progettualità virtuale degli spazi.
La società della
cyber-cultura, attraverso gli spazi della percezione, smaterializza il vissuto,
procede dalla realtà fisica a quella della virtualità. Le nuove geometrie non
euclidee riflettono l’incertezza e il bisogno di ricercare forme di vita
lontane dalla tradizione. La cyber-cultura fa eco a tali esigenze attraverso la
filosofia derridiana della decostruzione la quale ne definisce i presupposti, e
il pensiero liquido di Bauman che ne denuncia gli effetti. La decostruzione
evidenzia le contraddizioni interne del sistema e, mediante l’ermeneutica, lo
destruttura costantemente.
La cyber-cultura si
esprime in senso esplicito nella rivoluzione informatica e nel post-moderno. In
questa interazione tra decostruzione e virtualità, l’immaterialità delle
immagini, l’assenza d’inerzialità si fanno cultura di una società ripensata
sulla sovrapposizione e sul caos. Una trans-architettura mediata dalla
cyber-cultura. Se quindi il progetto è la matrice dalla quale fiorisce il
criterio cognitivo della de-costruzione,
progettare attende un proprio rovescio: un procedimento speculare de-costruttivo. Il senso che danno le
scienze cognitive al concetto di “progetto” restringe al contingente, a quei
processi interni all’intero naturale il cui atto originario è affidato al puro
caso. Dunque, il “caso” attiverebbe una serie di progetti al proprio interno o,
se si vuole, il progetto in senso assoluto che nega se stesso. Ma tutto questo chiude nella contraddizione.
Pensiero
complesso e architettura organica
La consapevolezza che
non esista un unico punto di vista sulla realtà ma una pluralità di aspetti dai
quali considerarla, ha condotto ad una successiva presa di coscienza circa la
possibilità di scegliere l’arte come un modo più aperto di osservare il mondo.
L’architettura, quale arte compromessa che concentra in sé varie forme di
sapere, concretizza questa libertà verso possibili sinergie intellettuali. Il concetto autentico di “complessità”
non si assimila come “incertezza” nella sua accezione negativa, ma nel
significato costruttivo di “multidimensionalità”; in esso si compendiano tutte
le discipline quali immagini di un unico sistema all’interno del quale
tali categorie sono intercomunicabili.
Il pensiero complesso
illumina sulle insufficienze e gli errori del razionalismo esasperato che espunge
tutto ciò che sfugge dalle categorizzazioni presunte privilegiate e dalle
sovrastrutture prestabilite. Dinanzi a tale pericolo, Morin invita a
“pensare senza mai
chiudere i concetti, di spezzare le sfere chiuse, di ristabilire le
articolazioni fra ciò che è disgiunto, di sforzarci di comprendere le
multidimensionalità, di pensare con la singolarità, con la località, con la
temporalità, ma non dimenticare mai le totalità integratrici”.
Al binomio “semplice/complicato” si contrappone il “complicato/complesso”, alla presunta
“oggettività” la “relazione reciproca”, il non ridurre semplicemente dall’infinito al finito, ma spiccare un salto qualitativo dall’infinito della complicazione al finito della complessità. Da tale trasformazione emergono significati
che altrimenti, con l’idea riduttiva della complicazione, non risalterebbero.
La realtà non è né semplice né complessa, è l’uomo che costruisce sistemi e,
mediante questi, ne interpreta e ne informa la struttura; la condizione
d’incertezza che ne deriva tra fenomeno modellizzato e sistema osservatore
induce a reinterpretare l’idea di “razionalità”. Un passaggio
dal razionalismo a una razionalità metodologica.
Nello stesso concetto
di “differenza” derridiana, fondato sul dubbio e sull’ambiguo e che prescinde
dalla storia e dalla struttura, si innesca provocante il concetto di
“complessità”. L’incertezza che insinua la coscienza dell’uomo smitizzando
l’dea di “onniscienza” che ha presunto porsi a guida della storia, indicando il
fine dell’arte e dell’architettura, sfalda quei codici che selezionano i
contenuti e i temi del progetto. Se, da un lato, si apre un mondo incerto, da
un altro lato, al di là della crisi in quanto tale, nasce lo stimolo a valutare
le possibilità espressive di un mondo, o meglio di mondi, sempre più ampi e
complessi con i quali la nostra intelligenza si va confrontando.
D’altra parte, il
decostruttivismo filtra il post-moderno e l’idea organica nell’architettura,
traendo i propri contenuti linguistici dalla geometria frattale, non-euclidea e
quanto-spaziotemporale. Non essendo lo spazio semplicemente
antropometrico, esso apre a ulteriori dimensioni, assimilandole alla
molteplicità delle proprie funzioni. Sul piano della percezione si evolve dal
puro sguardo alla visione, dalla prospettiva del sensibile, che restringe allo
spazio iper-dimensionale, alla sua liberalizzazione con la virtualità, dalla
dimensione dell'oggetto a quella dell'evento che muta il senso
stesso del progetto.
La scienza, da parte
sua, interpreta il mondo naturale, di cui la tecnologia è
l’azione trasformante; tuttavia essa è un’azione confinata all’interno del nomologico. L'architettura, mediante la
creatività, varca questo limite, oltre la semplice lettura analitica del mondo
e delle sue trasformazioni, c’è l'uomo come realtà emergente sulla totalità
fenomenica; ovvero, la creatività dell’arte e l’architettura. Dice Le Corbusier: “L’architettura è un fatto
d’arte, un fenomeno che suscita emozione, al di fuori dei problemi della
costruzione, al di là di essi. La costruzione è per tener su. L’architettura è
per commuovere”.
L'architettura,
quale atto creativo, è il fertile paradosso che aspira alla razionalità pura,
superandola. Ordine e ribellione; su tale apparente contraddizione s’implementa
la dialettica ordine-caos, si sfida il legiforme con la creatività,
controllando la natura. Come afferma E. L. Boullée, “l’architettura è l’arte di
progettare e portare alla perfezione un edificio qualsiasi”. Il punto, però, è
definirne il senso in questo contesto. Se essa corrisponde non solo a puri
rapporti di equilibrio tra condizioni fisiche, tecniche ed estetiche, ma
estende alle condizioni ecologiche e sistemiche, psichiche ed etiche, secondo
la logica di un “caos ordinato”, allora “l’arte di progettare” giunge al suo
compimento.
Dalla subordinazione
razionalista della progettazione
architettonica alla progettazione urbanistica come razionalizzazione delle forme architettoniche in relazione
alle proprie funzioni. Questo è il cammino che impegna la nuova filosofia
dell’architettura. Un'economia degli spazi e dell’analisi dell’architettura
come fattore evolutivo e di progresso, integrando la tecnologia con
la dimensione estetica. Dall'architettura organica la libera creatività si
svincola dalle sovrastrutture imposte dai canoni culturali, verso l’unità delle
componenti tra luce e spazi visivi. Su tali premesse, si armonizza l’edificio
con l’ambiente esterno, lo sviluppo orizzontale e l’adattamento morfologico dei
luoghi naturali. È l’eredità del funzionalismo organico di Wright [28] , dal
quale tutti i movimenti successivi hanno attinto
sviluppandone particolari aspetti.
L’architettura
organica, contrapposta a quella razionalista che ha dominato il XX secolo,
esprime nella logica del progetto le strutture normative e le logiche della
complessità degli organismi viventi. Tale concetto, che può sintetizzarsi
nell’architettura della complessità, è il punto di approdo di un lungo processo
evolutivo che muove dal futurismo al neoplasticismo, così dall’architettura
organica funzionalista al decostruttivismo. Gli strumenti della geometria
frattale e di alcuni aspetti della logica della complessità vengono utilizzati
dagli architetti e dagli urbanisti nell’ambito della progettazione. Tuttavia va
considerato il fatto che definire “architettura complessa” vuol dire assumere
una nuova filosofia
dell’architettura, introdurre nuovi paradigmi all’interno dei ragionamenti del
progettista, nuove ottiche dalle quali vedere il mondo, sia negli spazi
naturali sia negli spazi culturalizzati, in modo completamente nuovo.
Wright, legando
l’edificio all’ambiente, coniuga l’azione dell’uomo con la natura ove la forma
determina la propria funzione come “organismi plasmati sulle necessità
psicologiche dell’uomo”. Esempi sono la Casa Kaufmann (Casa sulla cascata), un connubio tra edificio e natura, e il Guggenheimm Museum di New York uno
spazio privo di separazioni con forma a spirale. C’è di più. La
relazione tra individuo e società, all’interno della realtà naturale, è
concepita come evoluzione dal semplice al complesso; l’architetto americano
contrappone all’antropometria classica dello sviluppo in verticale di Le
Corbusier un’antropometria orizzontale aperta alla natura e al divenire, in
quanto:
“l’architettura deve
riflettere con naturalezza quella realtà mista di occulta simmetria, grazia e
ritmo che rappresenta l’essenza più profonda di una dimensione naturale di
vita. […] l’architettura organica è un’architettura prima di tutto naturale,
fatta di natura per la natura” [29] .
Lo spazio possiede una
propria struttura mediante la geometria, o le tante geometrie, l'architettura
ne trae le forme (virtuali) dando loro vita. Il
concetto di “processualità” deve
assumersi come input per delineare i
tratti evolutivi delle forme.
Le forme, infatti, sono l'espressione ontologica ed estetica dell'esistere, e
in esse è contenuto lo stesso processo evolutivo e dinamico degli enti
esistenti: “non esiste metamorfosi senza forma, non esiste forma senza
metamorfosi”. Tali trasformazioni coinvolgono la struttura del reale
manifestandosi nelle trasformazioni sociali,
storiche, politiche, linguistiche, estetiche, pertanto il processo trasformante
non procede in senso lineare, ma discontinuo, oscillante tra la memoria storica
e l’oltrepassare l'immobilità del sapere.
La nuova architettura
teorica non prescinde dallo “spazio del vissuto” in quanto intrinseco alla
complessità del mondo. Wright, al di là della radice razionalistica alla quale
appartiene e considerando il carattere organico della sua filosofia
progettuale, si esprime:
“è giunta l’ora per
l’architettura di riconoscere la propria natura, di comprendere che essa deriva
dalla vita e ha per scopo la vita come oggi la viviamo, di divenire la più
intensa espressione dell’uomo”.
Come approccio
cognitivo alla progettazione, libero da dogmatismi classicisti, per P.
Feyerabend:
“abbiamo bisogno di un
insieme di assunti alternativi o, dal momento che questi assunti saranno del
tutto generali di costruire, per dir così, un intero mondo alternativo al fine
di scoprire i caratteri del mondo reale in cui pensiamo di vivere” [30] .
Movimento parallelo
dell’architettura organica è la scuola di
Graz (G. Domenig, E. Hunt, E. Gross, F.
Gross, W. Hollomey, H. Pichler), trasversale all’architettura
decostruttivista, il cui programma è liberarsi dalle forme obsolete e di ogni
segno predefinito, virando su fenomenologie di relazione e di rapporti tra
differenze. Presupposti per una filosofia dell’architettura che interpreta i
mutamenti sociali, culturali e politici, e, attraverso strategie originali come
gli “spazi-laboratorio”, propone soluzioni tali da imporsi come polo di ricerca
avanzata. Il punto forte è abbandonare i modelli tradizionali sulla concezione
dello spazio aprendo ad una analisi critica intorno agli schemi organizzativi
del territorio; riformulando, ad esempio, il criterio di spazio pubblico in una
città contemporanea; partendo dallo stato di disordine urbano proporre
interventi attraverso sperimentazioni tecnologiche di alta valenza, allo stesso
tempo, risolutiva e creativa.
Tra
i dettami fondanti del pensiero complesso emerge l’asserto: “Il tutto è maggiore delle sue componenti”. Concetto in base al
quale è ripensato il sistema del mondo, secondo un criterio organico della realtà. La psicologia
della Gestalt [31] nega la divisione dell’esperienza umana nelle sue componenti elementari,
ma considera l’intero come fenomeno emergente rispetto alla loro somma. L’oltre
la somma delle sue parti (molarismo epistemologico o emergentismo)
corrisponde, ad esempio, alle caratteristiche di una società le quali non
coincidono con quelle degli individui che la costituiscono. O ancora, ciò che
noi siamo e percepiamo esprimono una organizzazione complessa che veicola gli
stessi processi del nostro pensiero; percezione e sensazione sono stati immediati, una
combinazione di diversificate componenti di un’unica esperienza reale in atto. In senso più esteso, ciò prelude lo sviluppo del concetto di “complessità” che estende al processo di
funzionalità tra i propri elementi e l’ambiente nel quale un qualsiasi sistema
è immerso. Questo può considerarsi un modo alternativo di definire un “sistema
organico”. Finora l'architettura ha studiato e operato su oggetti e mai su
eventi, se non come risultato dall'intreccio
di oggetti e momenti dissociati, oggetti di un mucchio nel quale l'architettura
relaziona funzioni semplicemente
accostandoli, assemblando caratteristiche comuni. Al contrario, qui si cerca di
reinterpretare le strutture dì tali oggetti in un insieme organico dal
quale definire qualità e caratteri emergenti. È proprio dalla relazione di tali
emergenze che viene sviluppato il concetto di “organismo architettonico”.
Non oggetti ma eventi,
non mucchi ma organismi. All’interno di questi nuovi rapporti, la luce e lo
spazio sono l’essenza delle forme e delle loro funzioni; la luce è l’elemento
di sintesi estetica, energetica e dimensionale, e lo spazio non più un ente
puramente dato nel quale si giustappongono semplici relazioni tra oggetti, ma
un fatto interno e mobile alla costruzione stessa.
Un passaggio dall’oggetto all'evento, dalla “pura costruzione” al “sistema sintropico” [32] .
Su tali presupposti lo
sviluppo organico tra urbanizzazione e territorio può
essere letto in chiave sistemica. L'architettura
urbana deve osservare la medesima distinzione, concepire la città
in sinergia con l'ambiente. La logica
del mucchio concepisce la costruzione un fatto estraneo all'ecosistema,
alieno all'ambiente naturale; la logica dei sistemi relaziona il fatto
costruito al contesto, intesse
sinergie con le forze, gli spazi e gli equilibri che la natura pone a
disposizione. L’azione umana non è un'impasse
della natura, ma un suo completamento, un ricavare l’universo antropico
dall'universo naturale come sua continuità e superamento.
Su
queste premesse, l’idea derridiana di “differenza” va reinterpretata. Differenti
spazi per differenti attività, alterazioni delle forme che aprono a
multifunzioni, un’ermeneutica delle forme che assume ruoli diversificati,
liberi da canoni precostituiti e che si competa con una società molteplice e
complessa. Consapevoli che “progettare” significa interpretare, trasformando le
forme dell’abitare secondo le complesse strutture degli eco-sistemi i quali
evolvono continuamente, si approfondisce il concetto di “organismo”,
contrapponendo l’eccentricità agli schemi della centralità. Si apre così al
molteplice e alla differenziazione, esplorando sentieri nuovi e intrecciando
rapporti interattivi con il territorio.
Il paradigma della
complessità organizza tali esigenze secondo programmi di ricerca i quali
riflettono le diversificazioni della realtà tra loro incommensurabili, senza
che alcuna di esse possa considerarsi privilegiata. Tuttavia, tra certezza
dogmatica e incertezza scettica esiste un equilibrio: la prospettiva della
certezza, irrinunciabile per l’uomo, con la consapevolezza che i traguardi
delle conoscenze sono in perenne movimento. A tale proposito, A. Lizcano
scrive:
“Il caos non penetra
da un ipotizzato elemento esterno al sistema ribolle dentro il suo stesso
ordine. E così pure l’inverso: il caos è un nodo di potenzialità all’interno
del quale si sprigionano, con stupefacente ostinazione, nuove configurazioni di
ordine, come se gli ordini fossero fenomeni effimeri che emergono da una
matrice caotica per farvi necessariamente ritorno” [33] .
Questo “perenne
movimento” si giustifica nel nuovo paradigma che lega l’“ordine” al “caos”, nella
mutua implicazione di stati ontologici considerati incommensurabili dai criteri
del pensiero classico. Il pensiero complesso sguscia dal centralismo
razionalista, attraverso la “fluidità”, sovverte l’idea canonica di “reticolo”,
schiude in più dimensioni la relazione tra oggetto osservato e soggetto
osservante, interpreta l’ambiguità dello spazio in ogni sua proiezione
(presupposto teorico del virtuale), getta uno “sguardo “oltre” [che pone]
l’architettura in un’altra luce che non si era mai vista prima” (P. Eisenman).
Z. Hadid, a sua volta, afferma:
“Penso che il massimo
impegno per un architetto debba essere l’organizzazione della pianta, saperci
entrare dentro, gestirla e muoversi in essa. La fluidità della pianta, la sua
frammentazione, l’azzardo perfettamente calcolato, sono idee desunte dagli
insegnamenti da Malevich e dai suprematisti, che conducono a nuove forme di
utilizzazione e creazione dello spazio” [34] .
La relazione tra pensiero complesso
e architettura organica apre a quella tra complessità e pensiero liquido; una
sinergia che prelude a nuove prospettive filosofiche, progettuali e funzionali
per la ricerca architettonica del XXI secolo.
L
'architettura liquida e il pensiero complesso
L’“architettura liquida” è
definibile come un’architettura tra immutabilità e variabilità le cui strutture
sono allo stesso tempo duttili e stabili [35] . Dal
punto di vista epistemologico, la concezione può assimilarsi come architettura
invisibile la quale, pur collegata agli sviluppi tecnologici, estende
all’’architettura, alla scultura e alle arti verso forme evanescenti. Ciò
rinvia all’idea che l’invisibile oltrepassa il visibile nelle infinite
possibilità strutturali e architettoniche, prive di conoscenza cognitiva se non
di una minima parte della realtà. Per L. Spuybroek, l’architettura liquida
è
“una teoria progettuale
anti-ortogonale basata sul dissolvimento di tutto ciò che è consolidato e
acquisito in architettura, attraverso l’utilizzo di tecnologie multimediali.
L’architettura abbraccia il movimento e approfondisce le proprie possibilità di
metamorfosi e flessibilità, nel nome della fantasia” [36] .
Per Tanaka Jun, le idee nascono e
si sviluppano nella virtualità realizzandosi attraverso diversificazioni, ciò,
solo per la forza creativa in se stessa, si pone sulla stessa scia del
razionalismo di Le Corbusier. L’architettura tout court si limita ad offrire soluzioni connesse a una ampia
serie esigenze, l’architettura liquida, al contrario, nasce e crea liberamente
nel virtuale del cyber-spazio. G. Deleuze distingue gli oggetti virtuali da
quelli reali in quanto i primi, potendo realizzarsi, non si
contrappongono ai secondi, perché in possesso di una loro intrinseca realtà.
Egli dichiara che
“gli oggetti possibili sono
prodotti a posteriori. Con un trucco vengono fatti divenire oggetti reali come
se fossero esistiti già in precedenza. L’‘attualizzazione’ di oggetti virtuali
procede per differenze, dispersioni e differenziazioni. Questo genere di
‘attualizzazione’ è, in linea di principio, del tutto sconnesso con l’identità.
Le categorie reali sono del tutto diverse da quelle virtuali che si
attualizzano” [37] .
Al
di là dei presupposti filosofici ed epistemologici, il concetto di
“architettura liquida” fu definito attraverso un legame indissolubile con il
cyber-spazio da M. Novak il quale, attraverso sistemi software, rielabora forme
architettoniche complesse rendendole duttili e malleabili, quindi liquide. Le
figure generate digitalmente vengono completamente manipolate dai progettisti,
ridisegnate secondo la natura formale e la plasticità del contesto. Il
cyber-spazio apre a un nuovo universo, realtà “virtuale”, multidimensionale,
generata attraverso le reti della comunicazione globale. Un universo vissuto ma privo di vincoli propri dello spazio e del tempo, un
universo non inerziale. Una dimensione che va oltre l’accumulo e la diffusione
della cultura, della scienza e dell’arte, superando la pura iniziativa umana.
Il connesso rapporto tra progetto e virtualità amplia le valenze degli spazi fisici,
potenziandone la risposta ai bisogni di chi ne usufruisce; tale è la
finalità primaria di ogni progettista operante nel ciberspazio. Così si esprime
Novak,
“nella
misura in cui lo sviluppo dell'interazione degli uomini con i computer rovescia
l'odierna relazione tra l'uomo e l'informazione, collocando l'uomo all'interno
dell'informazione, esso è un problema architettonico, ma, oltre questo, il
ciberspazio ha una propria architettura e inoltre può contenere architettura.
Ripetiamoci pure: il ciberspazio è architettura; il ciberspazio ha
architettura; e il ciberspazio contiene architettura” [38] .
Nel
ciberspazio si accede allo stesso modo come si accede nello spazio fisico,
l’unica variante è, appunto, l’assenza di inerzialità, implicando una serie di
mutamenti e alterando quasi indefinitamente le potenzialità creative e
progettuali. Nella sua totale artificialità, al di là della sua apparente
naturalezza, essa si concentra in uno spazio modulato ma vivo, uno spazio
architettonico che non può descriversi senza un’architettura di nuova
concezione, libera dalla pura dimensione fenomenica. In esso si concentrano
edifici, città, paesaggi e tanti altri fatti i quali convergono nell’innovativa
idea di esplorare. A tale riguardo,
per Novak,
“Una
architettura liquida nel ciberspazio è chiaramente un'architettura smaterializzata,
un'architettura che non si accontenta più solo dello spazio, della forma e
della luce, e di tutti gli aspetti del mondo reale. È un’architettura di
relazioni mutevoli tra elementi astratti”. [39]
Sul
concetto di “liquido”, insiste:
“mi
riferisco a una entità animistica, animata, metamorfica, che supera i confini
delle categorie e richiede le operazioni cognitivamente ricche del pensiero
poetico: il ciberspazio è liquido. Ciberspazio liquido, architettura liquida,
città liquide. L'architettura liquida è qualcosa di più dell'architettura
cinetica e dell'architettura robotica, un'architettura di parti fisse e legami
variabili. L'architettura liquida è un'architettura che respira e pulsa.
L'architettura liquida è un'architettura la cui forma è contingente agli
interessi dello spettatore; è un'architettura che si apre per accogliermi e si
chiude per difendermi; è un'architettura senza porte né corridoi, in cui la
stanza successiva è sempre dove mi occorre che sia e ciò che mi occorre che
sia. L'architettura liquida produce città liquide, città che cambiano al
cambiare di un valore, in cui visitatori con retroterra diversi vedono paesaggi
diversi, in cui i dintorni cambiano con le idee in comune, e si sviluppano
quando le idee maturano oppure si dissolvono” [40] .
Ciberspazio
e architettura liquida sono le componenti costruttive del concetto esteso di
“paesaggio”. Essi costituiscono ciò che può considerarsi un “principio di
relatività”, nel quale la percezione delle forme e delle strutture di chi lo
penetra e lo vive si accentui e risalti sempre più. Il coinvolgimento di
questo processo evolutivo di trasformazione estende oltre l'osservatore, lo
stesso progettista non guarda all’oggetto in sé, ma alla processualità nella
quale questo è inserito, con la sua genesi e le sue successive mutazioni.
Osserva S. Tagliagambe che “Un'opera di architettura liquida non è più un
singolo edificio, ma un continuum di edifici, che si evolvono fluidamente o aritmicamente
sia nello spazio sia nel tempo” [41] .
Un
esempio che risponde ai nuovi paradigmi è il museo Guggenheim che rappresenta un “monumento oltre il museo”. Gehry ha
sovvertito le regole canoniche
del fare architettura, virando verso la sperimentazione, orientandosi su soluzioni che
agevolino le esigenze della vita moderna. I mutamenti della società implicano i
mutamenti sui criteri di progettazione delle strutture e delle architetture;
esse sono espressioni di tali trasformazioni sociali nelle forme come nelle
logiche. La complessità della
società con le sue relazioni complesse
si riflette attraverso strutture con
forme complesse. Su questa scia,
oltre l’indiscussa provocazione dell’architettura di Gehry,
quel che emerge è la funzionalità delle strutture; come, d’altra parte,
l’immergersi correttamente nel contesto urbanistico, sociale e ambientale. Tuttavia, i suoi progetti sconcertano l’osservatore in quanto privi di proporzioni, senza coerenza tra quel che contengono nel loro
interno e ciò che esprimono con le loro forme estetiche.
Uno dei caratteri
fondamentali dell’architettura del cyber-spazio è definita dalla struttura
frattale delle sue geometrie. Nel pensiero classico, il linguaggio euclideo si
traduce in forme regolari con assi di simmetria definendo un modello estetico
fondato sull'armonia e la proporzione. Nell'architettura antica si notano già
analogie con le geometrie frattali. Alcuni capitelli egizi presentano
riproduzioni degli insiemi di G. Cantor [42] ,
così la pianta di Castel del Monte ad
Andria che ricorda l'insieme di B. Mandelbrot. Tuttavia tali esperienze
storiche esprimono semplici relazioni di forme estetiche frutto di una realtà
inconscia e non di un vero e proprio contenuto di pensiero. Nella cultura
contemporanea, tuttavia, gli sviluppi della logica complessa e della “teoria
dei sistemi” individuano in quei legami formali linguaggi interpretativi tra la
struttura del mondo naturale e la creatività della mente umana. Mandelbrot, ad esempio, evidenzia
analogie tra la geometria frattale e gli oggetti naturali; così F. O. Gehry e
D. Libeskind che si ispirano nei loro progetti alla rottura di simmetrie, creando forme curve,
plastiche e dinamiche.
L’idea di spazio come “assoluto dei
valori plastici”, nella sua realtà “multidirezionale”, con la teoria dei
frattali elabora una “struttura frattale dell’universo”. La geometria frattale
spiega le strutture – cui noi attribuiamo una valenza estetica – esistenti in
natura, penetrando lo stato caotico della realtà; al contrario, la geometria
euclidea, in quanto pura astrazione, la visualizza esemplificandola attraverso
il tridimensionale.
Conseguenza
della geometria frattale è la dimensione frattale che misura il grado di
irregolarità e di complessità di un oggetto frattale. Il concetto di dimensione
si è evoluto da Euclide fino al XX secolo, dalla percezione intuitiva dello
spazio a tre dimensioni fino alla quarta e a n-dimensioni. In questa evoluzione
le strutture spazio-temporali, attraverso raffinate analisi, sono approdate a
nuove categorie interpretative ed applicazioni nella scienza e nell’arte.
Dalla
geometria frattale origina lo sviluppo di una linea di ricerca su modelli
mediante cui produrre forme elaborate da sistemi di funzioni iterate di
L-Sistemi (IFS) [43] .
Per i sistemi di funzioni iterate nella natura, in particolare in biologia,
emergono varie forme frattali come le membrane alveolari di scambio gassoso o i
lembi fogliari nei vegetali; nonché la descrizione dettagliata in senso
quantitativo di forme diagnostiche per patologie o per l’osservazione e lo
studio dell’arte [44] .
La dimensione frattale ha una forte valenza interpretativa in architettura
analizzando la complessità di un edificio, che, a sua volta, fornisce elementi
aggiuntivi per interpretare la stessa complessità. La sua efficacia si
manifesta in campo urbanistico valutando lo sviluppo di una città e le
modifiche delle forme del territorio che trova particolare espressione in uno
studio elaborato da M. Batty e P. Longley sull’involuzione frattale della città
di Cardff (Scozia) o dell’istituto di Scienza del Campus di Cranbrook, nel
Michigan (USA) sul modello degli attrattori strani [45] .
Altro
fattore è l’autosomiglianza mediante cui interpretare le comuni strutture tra
la natura e l’arte. Se i frattali sono pensabili come un “codice genetico”
delle forme architettoniche, in quanto contengono le necessarie informazioni
per la loro costruzione entro un esiguo numero di istruzioni (in analogia al
DNA e agli organismi viventi), l’autosomiglianza può assumersi come funzione replicativa delle forme, un
processo iterativo estensibile all’urbanistica e al territorio come felice
sintesi tra natura e cultura. Le città nella loro evoluzione sviluppano,
mediante processi di adattamento ed economicità strutturale all’interno di
spazi organizzati, secondo moduli simili ad un organismo vivente. L'evoluzione
di una città può quindi essere prevedibile;
il processo evolutivo delle singole città è analogo ad un organismo nel quale
si sviluppa l'organizzazione spaziale e relazionale degli insediamenti sul territorio.
P. Portoghesi riconosce che
“nella storia dell'architettura, l'auto-similarità, le
strutture a "cascata", lo scaling, la frammentazione geometrica, sono "ferri del mestiere",
procedimenti compositivi attraverso i quali si persegue l'unità nella molteplicità
e in cui spesso si ravvisa la chiave della bellezza” [46]
In
questo ampio contesto, non è possibile trascurare il Mondo 3 di K. Popper, noosfera nella quale
vive la dimensione intellettuale dell’uomo e dei suoi costrutti mentali (mondo delle teorie). Esso si colloca
all'interno del sistema dei cosiddetti “tre mondi popperiani”: 1) mondo degli
stati fisici, o “realtà esterna”; 2) mondo degli stati di coscienza e delle
rappresentazioni, o dell’organizzazione interna dell’“io”; 3) mondo dei
contenuti oggettivi del pensiero (filosofia, arte, scienza). Sulla base di tali
distinzioni epistemologiche, per Popper, qualsiasi analisi intellettuale
procede essenzialmente con le unità strutturali e strumenti del “terzo mondo”. Un
mutamento di prospettiva che riguarda una conoscenza priva di un soggetto
conoscente, che si occupa di teorie in quanto tali, di problemi in se stessi,
considerati astrattamente e da assumere e interpretare in modo oggettivo.
Secondo il filosofo austriaco,
“In questo modo può
sorgere un intero nuovo universo di possibilità o potenzialità: un mondo che è
in larga misura autonomo [...] L'idea di autonomia è centrale per la mia teoria
del terzo mondo: sebbene il terzo mondo sia un prodotto umano, una creazione
umana, esso a sua volta crea, al pari di altri prodotti animali, il suo proprio
ambito di autonomia” [47] .
Questo “mondo
autonomo” agisce sugli stati mentali degli individui, per cui ci si orienta
verso
“una epistemologia
oggettivista che studia il terzo mondo [e che] può gettare una luce immensa sul
secondo mondo, quello della coscienza soggettiva, specialmente sui processi di
pensiero degli scienziati; ma non è vera l'affermazione reciproca” [48] .
Per Popper, la “mente”
non è un insieme di processi psicofisiologici o sede di credenze, desideri,
emozioni, ma produttrice di conoscenza e teorie, pertanto essa è autonoma
rispetto al cervello [49] :
“ciò che può chiamarsi
il secondo mondo - il mondo della mente - diventa, a livello umano, sempre di
più l'anello di congiunzione tra il primo e il terzo mondo: tutte le nostre
azioni nel primo mondo sono influenzate dal modo in cui noi afferriamo il terzo
mondo ad opera del nostro secondo mondo” [50] .
Da tale prospettiva,
la mente è un luogo di confine tra due distinte dimensioni, quella fisica e
quella della conoscenza. Secondo Popper, in tale “luogo di confine” tra l'io e
il mondo significa che noi agiamo in base a specifiche "congetture"
su noi stessi, sulla nostra condizione ambientale e sui nostri stati di
relazione con gli altri. Il mondo 3
di Popper, i cui "oggetti" sono le idee, le immagini, i suoni, le
storie, i numeri, è il mondo dei puri costrutti teorici che, con la fisicità
del mondo 1, costituisce il presupposto fondamentale per la comprensione della
natura del cyber-spazio.
Dimensione
cognitiva dell’architettura liquida e del pensiero complesso
La logica delle scienze cognitive
scompone in parti i sistemi complessi, naturali o artificiali, per componenti
semi-indipendenti al fine di conservare e comprendere la struttura degli stessi
sistemi. L’eccessiva decomposizione di un problema in sotto-problemi,
oltrepassando il limite dell’interdipendenza, rende impossibile il grado
sufficiente della sua risolvibilità. Tale criterio è condiviso dalla logica
della complessità. Nella struttura funzionale di un sistema esiste un limite
oggettivo il quale, oltre a rendere possibile la conoscenza e la ricostruzione
di un sistema da parte dell’uomo (in senso epistemologico), è intrinseco alla
struttura del sistema stesso.
Il significato ontologico di tale limite
si ricava dal criterio stesso della superiorità del sistema complesso nella sua
totalità rispetto alla somma delle sue parti procedendo all’inverso; ovvero,
ricavando all’interno delle strutture componenti lo stesso sistema ipotizzando
un limite 'fisiologico' originario. Un valore critico dal quale derivi per
n-volte gli elementi componenti l’intero sistema, quella caratteristica
differenziale tra la totalità e la somma lineare delle sue parti componenti. Un
valore critico che va al di là del significato epistemologico circa la
possibilità di ricostruzione e comprensione strutturale dell’intero sistema. Il
limite critico per la decomponibilità di un sistema complesso equivale pertanto
alla differenza tra la sua totalità funzionale e la somma dei suoi componenti
elementari, una relazione implicativa tra il limite dell’interdipendenza tra
l’insieme delle parti di un sistema complesso e la differenza tra sua la
totalità e la somma dei suoi componenti elementari.
Sul piano della
percezione, lo spazio reale estende a tutti i sensi del soggetto, al contrario
dello spazio virtuale che coinvolge perlopiù sensazioni visive. La continuità
dello spazio reale non determina distinzioni tra la diversità degli ambienti;
lo spazio reale implica problemi sulle condizioni di realizzabilità, sulla
natura dei materiali, tutti aspetti inesistenti nello spazio virtuale.
L’imperfezione e l’imprevedibilità dello spazio reale contrasta con lo spazio
virtuale nel quale ogni elemento è perfettibile e immaginabile dalla
creatività, in quanto frutto di un progetto. Tuttavia, nel mondo virtuale, tali
elementi sono di carattere puramente imitativo. Ciò mostra analogie e
differenze; se sul piano della pura percezione visiva le due specie di spazio
sono identiche, tuttavia esse non sono sovrapponibili. Se dalla progettazione
dello spazio virtuale emergono affinità culturali rispetto allo spazio fisico
che, a sua volta, riflette le qualità stilistiche e le concezioni sulla sua
natura, d’altra parte, al di là delle possibili interferenze tra le due
dimensioni, le variabili del mondo reale sono infinite, per cui qualsiasi
tentativo di elaborazione tridimensionale non potrà che fallire. La complessità
del mondo è infatti la diretta espressione degli infiniti di ordine superiore o
trans-finiti concepiti da Cantor [51] .
Conseguenza
della geometria frattale è la dimensione
frattale, mediante la quale si misura il grado di “irregolarità” e di
“complessità” di un oggetto frattale. Progettare
spazi non-euclidei impronta su logiche differenti con soluzioni in apparenza
distanti dalla progettazione architettonica tout
court. Ciò risiede non tanto nelle potenzialità insite nello strumento
informatico, utile per un fine, ma è una nuova cultura che diviene sistema nel
quale la progettazione di spazi nasce, cresce e si sviluppa. Questo implica il
superamento di una architettura costruita come unico luogo nel quale si
manifesta l’esperienza dello spazio della percezione, ma che si individua anche
nelle esperienze di luoghi virtuali. L’idea di “spazio” con il quale l’individuo
si confronta non è limitata ai luoghi fisici ma estende a sistemi viventi
nella memoria di un computer. Distinte realtà un solo sistema culturale
globale. E tutto manifestandosi anche nella difficoltà di individuare un unico
movimento di avanguardia in architettura che unifichi tutte le esperienze
precedenti.
Nella cyber-architettura convergono
architetti e urbanisti con distinti linguaggi ed esperienze; il punto è
individuare tratti comuni. Tra i differenti architetti che progettano spazi non-euclidei
emergono grandi differenze qualitative, ciò che conta è individuare un comune
contenuto di pensiero. Essenziale è la privazione delle forme, in quanto la
cyber-architettura attinge a processi propri dalla scienza e dell’arte, come da
nuove culture visive, non distinguendo mai tra la produzione di massa e la
cultura d’élite.
L'architettura, in quanto arte
compromessa con altre discipline, è tra le migliori alleate della complessità.
L'architettura complessa contrappone al criterio meccanicistico di funzione quello
sistemico di organizzazione; organizzare spazi funzionali in un unico
complesso che sviluppa campi e sistemi superiori alla somma delle funzioni dei
loro elementi costitutivi. Spazi da gestire come insiemi nei quali gli uomini
si relazionano, vivono, pensano, esprimono, sentono, imparano, producono,
creano. Considerare la costruzione un vero e proprio organismo vivente
rispetto al suo interno, sia come parte dell'habitat naturale e urbano. La procedura consta nello
schematizzare la struttura del sistema in costruzione, sviluppandone gli
organi. Nell'architettura coesiste la ricerca dell'ordine matematico
e del legiforme naturale e la sfida alla
natura che viola gli schemi imposti dalla rigidità delle sue leggi.
L'analisi ontologica
ed epistemologica del concetto di “complessità”, i legami
con il pensiero liquido e le sue ricadute sul problema filosofico
dell'architettura, sono realtà nelle quali si concentra ogni esperienza umana
(conoscitiva, emotiva, psicologica, sociale, politica, antropologica, ecc.).
Definire il concetto di "complessità" è uno tra i compiti più ardui
del nostro tempo. L'estensione del suo concetto riguarda l'intera costituzione
del reale e le sue modalità di rappresentazione, implicando una rivoluzione
assolutamente radicale.
L’architettura complessa, contrapponendo al criterio
meccanicistico di funzione quello sistemico di organizzazione, organizza
spazi funzionali sviluppando un sistema complesso superiore alla somma delle
sue parti e funzioni. Un'architettura aperta nella quale gli spazi siano
veri e propri organismi viventi e parte dell'habitat naturale; un passaggio dal
criterio meccanicistico-funzionale del costruire sulla natura,
all'edificare un sistema integrato e di sviluppo sinergico con la
natura. Una vera architettura ecologica. Esempi
di questa nuova filosofia architettonica sono l’interpretazione dello spazio museale e il ruolo della coscienza nella percezione dell’iper-dimensionalità.
Il pensiero complesso concepisce lo
spazio museale oltre se stesso. Al di là della staticità del racconto, lo
pensa come momento dinamico della narrazione, cogliendo il senso degli
'oggetti' esposti per immergervi il fruitore. Non cimeli ma fatti vivi che
godano della fluidità dell'ambiente museale; fatti, oggetti e storie da memorizzare che solo
la fluidità di una struttura liquida e complessa
è in grado di narrare e interpretare.
Secondo quanto esprime P. Eisenman: “lo sguardo oltre [pone] l'architettura
in un'altra luce, una luce che non si era mai vista prima” [52] .
È
nella coscienza che converge e si giustifica ogni modalità percettiva del mondo esterno. Il
decostruttivismo ne agevola l'adeguato linguaggio interpretativo attraverso le
strutture liquide che esplicitano quel
“disagio ermeneutico” espresso dalla sensibilità filosofica di Derrida,
confliggendo con la capacità percettiva del fruitore dell'opera d'arte,
oppressa entro spazi non idonei. In sintonia con gli assunti del filosofo
francese, il pensiero complesso traduce l'atemporalità dello spazio museale, la
quale, attraverso l'architettura liquida, rende percepibile alla
coscienza il “percorso della memoria”.
L'architettura è
dunque un punto di convergenza di scienza e tecnologia, la sintesi
intellettuale che traduce e connette il pensiero filosofico, l’espressione
artistica e l’esperienza scientifica, nonché lo specchio della società e della
politica. Attraverso percorsi obbligati, dal futurismo di F. T. Marinetti
all’architettura organica di Wright,
si è giunti al decostruttivismo nel quale confluiscono pensiero liquido,
geometria frattale, pensiero complesso, teoria dei sistemi, di cui vengono
espresse nuove forme estetiche. Come afferma Tagliagambe:
“Dall'architettura
organica, come linguaggio espressivo di una progettazione che riprende leggi e criteri conformi agli elementi naturali, si
contrappone ai criteri razionalistici ed è assumibile come una delle basi
partenza dei nuovi sviluppi di pensiero filosofico della nuova architettura” [53] .
È possibile ritenere che i germi della nuova filosofia
dell’architettura si distinguono in tre momenti tra loro connessi: la complessità e il decostruttivismo come sostrato ontologico ed epistemologico; la liquidità nella nuova estetica e
dinamicità delle forme; il
Cyber-spazio che
introduce a un nuovo discorso progettuale e virtualmente creativo. Pensiero
liquido e complessità rimarranno pertanto gli obiettivi
dell’architettura del XXI secolo.
NOTE
[1] Dalla nascita
della scienza moderna (XVII secolo), la fisica ha imposto il paradigma del
“pensare scientifico” secondo un modello analitico, razionalista e
riduzionistico. Dalla seconda metà del XX secolo, un nuovo paradigma è stato
sostituito dalle scienze biologiche, secondo i criteri dell’organizzazione, del
caos ordinato e delle qualità emergenti.
[2] Es. la decorazione-copertura della Tour Eiffel
[3] E. Morin Il metodo!. La natura della natura, Milano, R. Cortina Editore, 2001, p. 45 (già
citata)
[4] Il principio del
terzo escluso stabilisce che date le due proposizioni costituenti una contradictio, cioè dati un
giudizio affermativo e un giudizio negativo di ugual soggetto e di ugual
predicato, non solo essi non possono essere né contemporaneamente veri né
contemporaneamente falsi (già stabilito dal principio
di non contraddizione), ma è necessario che uno di essi sia vero e l’altro
falso, e che la falsità dell’uno implichi la verità dell’altro e viceversa,
senza una “terza” possibilità. Il principio del terzo escluso è con ciò un
corollario del principio di contraddizione, dal quale è distinguibile soltanto
quando lo stesso principio di contraddizione venga fuso con quello di identità.
[5] R. Fortin Comprendre le complexité. Introduzion à la méthode d'Edgar
Morin cit. 2004, pp.
4-5
[6] L. Von Bertalanffy Teoria
generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni, Milano,
Mondadori, 2004, p. 66.
[7] E. Morin Il metodo!.
La natura della natura, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2001, pp.
142-143.
[8] E. Morin Introduzione al pensiero complesso.
Milano, Sperling & Kupfer, 1993, p. 49
[9] I. Stengers La sfida della complessità (a cura di G.
Bocchi e M. Ceruti) B. Mondadori, 2007, p. 57
[10] Le scienze
cognitive hanno come elemento di studio la cognizione di elementi
pensanti, sia naturali che artificiali. La mente dell’uomo viene esaminata
nella sua capacità di interagire con settori differenti come la
neurofisiologia, la neuroscienza cognitiva, la psicologia cognitiva,
l’intelligenza artificiale, la linguistica cognitiva e la filosofia della
mente, estendendo a discipline come l’antropologia, la genetica, l’informatica
e l’economia.
[11] A. Anselmo, Edgar
Morin. Dal riduzionismo alla complessità, ed. Siciliano (2000), p. 55
[12] Per alcuni analisti (Bordoni), il post-modernismo è in
declino, è visto come epoca di transizione verso un’era ancora da definirsi.
[13] T. Maldonado 11 futuro della modernità, Feltrinelli, Milano 1987, p. 16.
[14] J. F. Lyotard 11 postmodernismo spiegato ai bambini,
Feltrinelli, Milano 1987, p. 88.
[15] A. Saggio Architettura e modernità. Dal Bauhaus alla rivoluzione
informatica. Carocci Ed. 2007, p. 40
[16] La tendenza alla radicalizzazione e
al superamento della prospettiva strutturalista in campo filosofico (J. Derrida, G. Deleuze, J. F. Lyotard), psicoanalitico (J. Lacan),
politico e sociologico, in ottica neomarxista (L. Althusser, M. Foucault) e nell'analisi del testo
letterario (R. Barthes, M.
Blanchot).
[17] Per la critica
ufficiale, tuttavia, le ricadute del
decostruttivismo riconducono la ricerca architettonica al Movimento
Moderno, non affrontando direttamente
tematiche sociali.
[18] S. Petrosino
Jacques Derrida e la legge del possibile. Un'introduzione ed. Guida,
Napoli 1983 p.
141
[19] II decostruire è in relazione alla fenomenologia husserliana.
[20] A. Santucci Habermas,
la teoria critica della società e le scienze sociali, ed. Il Mulino 1970
p. 57
[21] Il meme è "l’unità auto-propagantesi" di evoluzione culturale, analoga al gene per
la genetica; elemento di una cultura o civiltà
trasmesso da mezzi non genetici, per imitazione.
[22] M.
Wigley, P. Johnson, F. O. Gehry, D. Libeskind, R. Koolhaas, P. Eisenman, Z. M.
Hadid e B. Tschumi enunciano il “decostruttivismo”. Essi attingono dal
radicalismo avanguardistico costruttivista
russo che infrange l’unità, l’ordine e l’equilibrio del classicismo, concependo
una geometria instabile come “destabilizzazione della purezza formale”.
[23] J. Derrida Architetture ove il desiderio può abitare
“Domus” n. 671 (1986)
[24] La Casa VI (1972)
è l’esempio di contraddizione tra classico e funzione in cui l’utilità di una
scala contrasti con un’altra falsa scala ad essa simmetrica.
[25] Il riferimento è
la geometria euclidea, espressione dei canoni tradizionali dello “spazio
tridimensionale” separato dalla coordinata temporale.
[26] Da cui l’anteporre “de” al termine costruttivismo, come deviazione dall'originaria
corrente architettonica.
[27] G. Broadbend, Deconstruction
a Student Guide, Editor J. Glusberg Publisherl, A. Papadakis, New York,
1991, p. 8.
[28] F. L. Wright si
colloca tra gli architetti del funzionalismo (del razionalismo formale di Le
Corbusier, ed empirico di A. Aalto; tuttavia egli concepisce il progetto come
un organismo interno al sistema naturale.
[29] F.
L. Wright La
città vivente Einaudi, Torino
1966. 49
[30] P. Feyerabend Ambiguità e
armonia - Lezioni trentine, a cura di
Francesca Castellani, Laterza, 1999, p. 50
[31] La tesi
fondamentale della Gestalt o Gestaltpsychologie è che alcuni tipi
di oggetti complessi non possono ridursi ai loro elementi costituenti, alla
loro pura sommatoria; il fenomeno si evidenzia maggiormente rispetto a oggetti
complessi come forme geometriche, musica,
o realtà fisiche complesse come particelle
in un campo elettrodebole. Il falsificazionismo popperiano, in particolare,
è invece vicino alla psicologia
della forma o Gestaltpsychologie, il cui principio di fondo è
che la psiche umana possegga di per sé, in modo innato, forme (Gestalten)
entro cui strutturare i dati sensori dell'esperienza. Ancora più congeniale al
falsificazionismo è la teoria della psicologia dell'età evolutiva (epistemologia
genetica) formulata e sperimentata da J. Piaget, secondo il quale
l'uomo, nella formazione delle sue strutture cognitive, a partire
dall'infanzia, non fa altro che sviluppare moduli interpretativi
dell'esperienza che poi vengono progressivamente sostituiti con altri moduli
interpretativi e cognitivi più evoluti e complessi.
[32] Sintropia, entropia
negativa, o neghentropia. Fattore di
organizzazione degli elementi fisici, umani e sociali, che si oppone alla
tendenza naturale al disordine, o entropia. La neghentropia modifica un sistema
da disordinato a ordinato.
[33] A. Lizcano Complessità e sostenibilità. Il territorio e
l’architettura. Ed. Gangemi, 2007, p. 47
[34] P.
Schumacher Hadid digitale. Paesaggi in movimento “Testo &
Immagine” n. 156, 2004
[35] DNA e algoritmi
genetici esemplificano tali concetti.
[36] L. Spuybroek L'Architettura del Continuo, (tr. it. di L. Tramontin) Edil-Stampa, 2004, p. 51
[37] G.
Deleuze Differenza e ripetizione (1968)
ed. R. Cortina, Milano 1997, p. 85.
[38] M. Novak Architetture liquide nel cyber-spazio in “Cyberspace”, p. 44
[41] S. Tagliagambe Epistemologia del Cyberspazio ed. Demos,
Cagliari, 1997 p. 51
[42] L'insieme
di Cantor è un frattale (di tipo
deterministico). Prendendo due insiemi di Cantor negli intervalli [0, 1] e [2, 3], e contraendo l'intervallo [0, 3] di un
fattore 1/3, si ottiene nuovamente l'insieme di Cantor. Esso ha una
"dimensione non intera", intermedia fra le dimensioni 0 e 1
rispettivamente del punto e della retta. Infatti la sua dimensione di Hausdorff
è pari a ln(2)/ln(3).
[43] Molti degli
oggetti “reali” che ci circondano, come ad esempio nuvole, alberi, felci e
broccoli ( ) condividono una notevole proprietà: ognuno di essi `e uguale
all’unione di copie (ridotte in dimensioni) dell’oggetto originale. Ad esempio,
la struttura “tronco da cui si dipartono rami” di un albero `e replicata nella
struttura “ramo da cui si dipartono rametti”, e nella struttura “rametti da cui
si dipartono foglie”. Analogamente, le foglie di una felce ne replicano la
struttura globale, ed a loro volta sono costituite da micro-foglie disposte in
modo da imitare la felce.
[44] Lo scienziato R. Taylor utilizzò l’autosomiglianza per
descrivere le opere di J. Pollock.
[45] Sistema di equazioni
differenziali a bassa
dimensionalità (non lineari) generatore un comportamento complesso
[46] P. Portoghesi Natura e architettura, ed. Skira (1999) pp. 395-396.
[47] K.R. Popper Conoscenza oggettiva. Un punto di vista
evoluzionistico Armando, Roma, 1975 pp. 164-165.
[49] Il dualismo tra
mente e cervello (problema mente-corpo) di Popper che prevede un’irriducibilità
ontologica tra gli ambiti mentale e fisico. Esso si contrappone al monismo
anomalo di D. Davidson il quale, al contrario, identifica le due realtà pur
prescindendo dal concetto sostanzialistico, considerando il mentale condizione
privilegiata sul legiforme.
[50] K. R. Popper La conoscenza e il problema corpo-mente
ed. il Mulino, 1994, p. 85.
[51] L’infinito
cantoriano è strutturato secondo livelli d’infinito (א 1, א 0, …), o trans-finiti,
con “densità” numerica sempre più intensa, quindi “infiniti” sempre più
potenti.
[52] G. Ciucci
Peter Eisenman. Opere e progetti, a cura di P. Ciorra, Milano, Electa 1993
[53] S.
Tagliagambe Epistemologia del cyberspazio ed. Demos, Cagliari, 1997, p. 75
BIBLIOGRAFIA
BROADBEND
2000
G.
Broadbend, Deconstruction a Student Guide,
Editor J. Glusberg Publisherl, A. Papadakis, New York 2000
CIUCCI 1993
G. Ciucci Peter Eisenman. Opere e
progetti (a cura di P. Ciorra) Milano, Electa 1993
DELEUZE 1997
G. Deleuze
Differenza e ripetizione ed. R. Cortina, Milano 1997
E. Husserl La
cosa e lo spazio: lineamenti fondamentali di fenomenologia e critica della
ragione (introd. e cura di V. Costa, tr. M. Averchi, A. Caputo S. Mannelli)
Rubbettino, 2009.
E. Husserl Logica, psicologia, filosofia: un'introduzione alla
fenomenologia (a cura di
A. Masullo) Napoli, Il Tripode, 1961
LIZCANO
2007
T.
Maldonado 11 futuro della modernità, Feltrinelli,
Milano 1987
NOVAK
PIAGET 1971
J. Piaget, Epistemologia genetica Bari, Laterza, 1971
POPPER 1975
POPPER 1994
P.
Portoghesi Natura e architettura, ed.
Skira (1999) pp. 395-396
SCHUMACHER 2004
P.
Schumacher Hadid digitale. Paesaggi in
movimento “Testo
& Immagine” n. 156, 2004
STENGERS
2007
TAGLIAGAMBE
1997
L. Von Bertalanffy Teoria generale
dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni, Milano, Mondadori 2004
WRIGHT 1966
F. L. Wright La città vivente Einaudi, Torino 1966
Vedi anche nel BTA: USCITE DI ARCHITETTURA LIQUIDA
|