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Un «friendly alien» per la nuova capitale europea della cultura: Graz  

Celine Tavella
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 13 Gennaio 2017, n. 826
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Area Architettura

Un nuovo e del tutto particolare edificio è stato costruito nel 2003 a Graz per celebrare la sua nomina a Capitale Europea della Cultura. Ci riferiamo alla romantica cittadina capoluogo della Stiria seconda per popolazione dopo Vienna, che vanta un antico centro storico, uno dei migliori conservati nell’Europa centrale e che dal 1999 è entrato a far parte del Patrimonio dell’Unesco.

Dominata ad est dal promontorio roccioso sul quale era stato costruito il castello, Graz era un forte romano sorto in prossimità di un guado sul fiume Mür e costituiva un nodo stradale e strategico sia da un punto di vista commerciale che militare. La città ricoprì questo importante ruolo strategico militare di frontiera contro i turchi fino al 1749 insieme a quello di nodo commerciale, sede universitaria e collegio dei Gesuiti. Essa era organizzata in due parti e divisa da un unico ponte di legno: a Oriente il borgo murato sviluppatosi alle pendici del castello (Schlossberg) e ad Occidente la Murvorstadt, borgo privo di mura cresciuto dopo che la città era diventata sede di mercato [1] . Il fiume Mür divide e allo stesso tempo unisce queste due parti della città caratterizzate l’una dal centro storico vero e proprio mentre l’altra più nuova ospita il Nuovo museo di arte contemporanea di Graz, il Kunsthaus.

Nel cuore del centro storico sorge il simbolo dell’antica città medievale, la Torre dell’Orologio (Fig. 1). Quest’ultima faceva parte della fortezza eretta dai Bavari sulla sommità della Schlossberg Hill per la difesa contro gli Slavi ed è l’unica parte del castello che venne risparmiata dopo l’occupazione francese nell’'800 in cambio di una forte somma di denaro [2] . La Torre campanaria costituisce quindi un’importante testimonianza del momento storico passato che continua a vivere nel presente offrendo inoltre una straordinaria vista sull’intera città. La parte nuova della città oltre il ponte principale, ospita invece il neonato Museo d’Arte Contemporanea di Graz, il Kunsthaus. Insieme già ad altri musei della città, esso si inserisce all’interno dell’Universal Joanneum, un’istituzione che deriva il suo nome dall’arciduca Johann, fratello di Francesco I, che dette un forte impulso culturale alla città occupandosi anche del suo sviluppo commerciale e igienico. Le collezioni dell’arciduca già dai primi dell’'800 trovarono posto nella sede dello Joanneum il quale inizialmente era stato pensato non solo come museo ma anche come luogo per l’insegnamento [3] . Successivamente la sede si ampliò fino a comprendere la maggior parte dei musei presenti a Graz tra i quali anche il Kunsthaus Graz. Quest’ultimo inoltre si inserisce in un più vasto programma di rinnovamento della città in occasione della sua nomina a Capitale Europea della Cultura avvenuta nel 2003 e mostra come questa città si stia aprendo all’Arte Contemporanea attraendo un sempre maggiore pubblico con opere di «sicuro impatto visivo» [4] .

Sorto sulla riva ovest del fiume Mür in prossimità dell’isola artificiale realizzata dall’italiano Vito Acconci e di fronte alla città vecchia, il museo è espressione del moderno sia per l’intento di riqualificare una zona a lungo degradata, sia per l’utilizzo di innovative tecnologie. Se a un primo sguardo il Kunstahus sembra distaccarsi nettamente dal contesto urbano circostante a causa della sua forma biomorfica, dall’altra cerca un dialogo fecondo con la città e con il suo simbolo tradizionale. La sommità del museo infatti è caratterizzata da una serie di protuberanze (Fig. 2) che permettono alla luce di filtrare e una di queste inquadra perfettamente la Torre dell’Orologio permettendo un punto d’incontro tra il vecchio e il nuovo, tra la storia passata e quella presente. Questa continuità nella storia consente così al nuovo museo di essere portatrice di contenuti innovativi che mostrino le tendenze artistiche contemporanee dagli anni '60 in avanti non abbandonando però il suo legame storico tradizionale.

Sebbene il «Friendly Alien» venne realizzato per un’occasione straordinaria – una nomina a livello europeo- il progetto di una galleria d’arte che ospitasse unicamente mostre d’arte contemporanea era già stato proposto per ben due volte ma senza successo. Già dagli anni 80’ infatti un artista autoctono di nome Günter Waldorf aveva proposto di realizzare una Trigon-Haus nel Pfauengarten (giardino dei pavoni) all’interno dello Stadtpark di Graz. La struttura era stata concepita per ospitare la Biennale fra i paesi «Trigon» promossa dalla Neue Galerie di Graz fra il 1963 e il 1995 e l’intento era quello di promuovere una collaborazione culturale fra Italia, Jugoslavia e Austria ma dopo pochi anni l’iniziativa venne accantonata.

Nel 1997 venne presentato un nuovo progetto da realizzarsi a ridosso del più antico simbolo di Graz, lo Schlossberg Hill ma anche stavolta un referendum ne impedì la costruzione. Fra i diversi progetti presentati, spicca per originalità quello degli architetti inglesi Peter Cook e Colin Fournier che anticipa in larga parte quello che venne poi realmente costruito nel 2003. Il progetto del 1998 definito dagli stessi architetti «the Tongue project», (Fig. 3) era concepito come un edificio fluido e viscoso che si doveva insinuare lungo le pendici della Schlossberg Hill sfidando il vecchio simbolo della città ad integrare il nuovo. Lo scopo ultimo era quello di creare un contenitore pieno di sorprese da scoprire e per questa ragione la parte superiore dell’edificio era dotata di tanti dispositivi elettronici in forma di piccoli «occhi» che richiamavano gli eventi in corso nel museo suscitando la curiosità dei passanti ed invitandoli a entrare per scoprirne i segreti [5] . Ciò che resta di questo progetto tuttavia è solamente un luogo per eventi, il «Dom in Berg» ricavato all’interno della Schlossberg Hill.

Il nuovo Kunsthaus di Graz è frutto della vittoria del concorso europeo del 1999 grazie al quale la città si è potuta regalare un edificio altamente innovativo proprio per il modo in cui è stato pensato dai suoi architetti. Questi, appartenenti al gruppo architettonico inglese degli anni '60 «Archigram», hanno sviluppato un edificio molto particolare che riprende quello del 1997. L’edificio si presenta come un «bozzolo nodoso ma allo stesso tempo dalla pelle liscia» [6] e come la «lingua» del precedente progetto la sua forma si evolve in una serie di larghi imbuti posti sulla sommità dell’edificio (Fig. 4). Questa forma così peculiare deriva in primo luogo dall’affezione al precedente progetto e in particolare al doppio rivestimento curvilineo unito al desiderio di creare una superficie liscia e continua in maniera tale da rendere l’effetto di un continuum tra pavimento, pareti e soffitto. Tutta la struttura infine doveva essere resa attraverso una forma che risultasse adorabile ed amichevole tanto da soprannominare il museo «Friendly Alien» [7] .

La forma biomorfica del Kunsthaus presenta degli interessanti precedenti nell’opera dell’architetto, scenografo, artista e scultore Frederick Kiesler il quale, partendo dalla teoria del «correalismo» elaborò il suo progetto di «Endless house». Questa filosofia dell’ambiente si basa sull’identificare il problema dell’abitare con il processo creativo e formativo della personalità umana. Egli credeva che l’uomo dovesse riconquistare attraverso la creatività il senso generale e complesso dell’abitare e ciò era possibile solo attraverso una continuità psicofisica dell’essere dal microcosmo al macrocosmo. Secondo l’architetto «ogni opera d’arte è un fulcro energetico che interagisce potenzialmente con lo spazio circostante ed è questa interazione che deve essere valorizzata e offerta alla percezione dello spettatore-visitatore». [8] Per concretizzare questo concetto egli elabora un modello di «Endless house» che da spazio cubico tradizionale si trasforma in un luogo stimolatore di esperienze sensoriali nuove, rigenerative delle forze vitali degli abitanti. Questi modelli sono i primi a rompere interamente con la prigione cubica, a trasformare lo spazio in un luogo aperto alla vita, ad elaborare uno speciale sistema di costruzione - il guscio in tensione continua - e a eliminare la netta divisione fra pavimento, pareti e soffitto della scatola muraria. La pianta del pavimento e le sezioni non erano quadrate, rettangolari o circolari ma l’espressione di un flusso di forze vitali intensificate fino al punto di un’intrinseca espansione [9] . Il progetto dell’«Endless House» tuttavia non venne mai realizzato concretamente ma sopravvisse soltanto al livello di architettura utopistica e visionaria.

Da questo punto di vista esso richiama anche un altro progetto elaborato dal gruppo inglese «Archigram» il quale, fondato negli anni '60 dall’architetto Peter Cook, progettava utopistiche città costruite con materiali prefabbricati o sfruttando le recenti scoperte cibernetiche e organicistiche. In quest’ottica Ron Herron, un esponente di questo gruppo architettonico, nel 1964 aveva elaborato un modello di città dal nome «walking city». Questa città era stata progettata per camminare sulle proprie gambe e si inseriva all’interno di una più ampia indagine riguardante le visioni di edifici dalle forme biomorfe situati in contesti urbani e sostenuti da pilastri [10] .

Un ulteriore modello per il Kunstahus di Graz è rappresentato dalla cupola geodetica realizzata dall’architetto Buckminster Fuller intorno agli anni '60. Essa non aveva un pilone centrale che la sosteneva internamente ma ridistribuiva le forze di scarico a tutte le parti della struttura ed esternamente era caratterizzata da un esoscheletro al pari di un riccio di mare o un uovo. Si trattava quindi di una struttura a guscio che «si ispirava al macroscopico - la sfera terrestre e celeste - e al microscopico: il mondo dei microrganismi e dei radiolari» [11] .

Il richiamo alle strutture biologico-cellulari è presente anche nelle forme della «casa dell’Arte». Questa infatti è caratterizzata da tanti imbuti di luce sulla sommità della copertura esterna chiamati «Noozles» che assomigliano a forme cellulari e da una copertura esterna che si comporta come una membrana vivente e interattiva. Inoltre entrambe sono costituite esternamente da una «pelle» di pannelli acrilici e da un sistema interno di programmazione che nel caso della cupola geodetica, in particolare in quella di Montreal, per esempio regola la luce del sole mentre nel Kunsthaus controlla l’illuminazione artificiale dei pixel posti sulla facciata est dell’edificio.

Il progetto del nuovo Kunsthaus, forte delle sperimentazioni utopistiche di Archigram e del «Tongue project», venne votato il 7 Aprile del 2000 da una giuria di architetti e specialisti nella progettazione di spazi espositivi ed è caratterizzato da una forma organica estremamente inusuale. L’aspetto è quello di una grossa bolla blu che sembra soprelevarsi sul fiume Mür e sul resto della città. Essa si imposta a ridosso di un antico edificio in ghisa, la «Eisern Haus» (Fig. 5), casa di ferro, che venne realizzata nel 1845 dall’architetto J. Benedict Withalm. L’edificio costituiva il primo esempio di palazzo in Europa continentale caratterizzato da pezzi prefabbricati in ghisa ancora prima del Crystal Palace di Londra e contribuì a restituire un accento architettonico moderno alla via. Esso era organizzato in maniera funzionale e moderna perché agiva come punto d’incontro sociale. Al pian terreno ospitava negozi, al primo piano vi era un caffè di classe, il cafè Meran e infine l’edificio culminava con una terrazza panoramica sul tetto sensazionale per quei tempi. La facciata inoltre conteneva in una nicchia al centro la statua della Musa Polymnia, la musa del canto invece che le tradizionali immagini sacre [12] . Progressivamente la «Casa di Ferro» cadde in uno stato d’abbandono accanto ad un parcheggio in ghiaia nel mezzo di un quartiere a luci rosse fino a quando con la costruzione del Kunsthaus venne scoperta la facciata di ferro e vennero recuperate le proporzioni originali dei piani: al piano terra vi è il foyer del museo, nell’ammezzato gli uffici e al primo piano dove prima si trovava il cafè Meran vi sono le sale espositive della «Camera d’Austria» [13] . Quest’ultima è un’iniziativa che, sorta nel 1975 per volere di un gruppo di artisti all’interno del «Forum Stadtpark», venne inglobata nel Kunsthaus per sottolineare l’importanza del medium della fotografia non solo da un punto di vista estetico ma anche storico- culturale. L’obiettivo finale del Kunsthaus era proprio quello di favorire la discussione di «rilevanti tematiche che si estendono oltre il campo dell’arte, l’osservazione critica dello sviluppo culturale e un dialogo costante con gli ultimi metodi di produzione dell’arte» [14] .

La nuova galleria d’arte sorge sulla riva ovest del fiume Mür all’angolo tra la Murvorstadt e la Lendkai in un sito estremamente irregolare e architettonicamente impegnativo a causa della limitazione di alcuni edifici barocchi e del design della «casa di Ferro» [15] . Il rapporto che la nuova galleria d’arte instaura con l’antico edificio in ghisa è di vivace dialettica in quanto il corpo bluastro e tondeggiante del museo si appoggia serenamente all’edificio in ghisa rettilineo e l’unione tra i due edifici viene idealmente sancita dal cosiddetto «Needle». Quest’ultimo è un corridoio vetrato a forma di «fagiolo allungato» [16] che cuce come un ago i due edifici, il Kunsthaus e l’«Eisern Haus». Esso «sembra letteralmente galleggiare sopra la strada senza poggiarsi, sospeso nella struttura d’acciaio della bolla» [17] e rappresenta esso stesso un capolavoro d’arte permettendo la vista della città a 360º (Fig. 6). Oltre che punto panoramico dopo essere usciti dal ventre scuro della bolla, il «Needle» funge anche da angolo relax con i suoi molteplici divanetti, luogo informativo e spazio espositivo aggiuntivo.

Esternamente l’edificio biomorfico è caratterizzato da una «pelle» simile ad una membrana rivestita da pannelli blu in plexiglas e contraddistinta da 16 protuberanze sulla sommità. I «Noozles» sono dei coni di luce autoportanti posizionati tutti nella stessa direzione, eccetto uno che inquadra la Torre dell’Orologio, ed hanno la funzione di illuminare l’ultimo piano espositivo sia con la luce naturale che con quella artificiale a seconda delle esigenze espositive. Realizzati come il resto della copertura in plexiglas, in inverno hanno inoltre la funzione di trattenere la neve sulla metà superiore [18] .

Ciò che rende il Kunsthaus un vero e proprio edificio camaleontico, è la sua facciata multimediale Bix (Fig. 7). Questa infatti è composta da pannelli acrilici in plexiglas come tutto il rivestimento esterno ma nella parte est vi sono 930 tubi circolari fluorescenti posti sotto la copertura. Questi vennero montati dal 2001 al 2003 dalla squadra berlinese Realities United che caratterizzarono la facciata come una «pelle attiva e intelligente» capace di comunicare attraverso questi pixel, i «desideri» del museo al resto della città. Essa quindi si comporta come una vera e propria membrana comunicante tra lo spazio interno del museo e quello esterno del pubblico verso il quale si mostra e si identifica. Attraverso l’utilizzo di questa moderna tecnologia che concepisce la luce non più come superficie ma come volume, il fianco del Kunsthaus si trasforma da semplice facciata in uno «show di luce, uno schermo del cinema, un tabellone pubblicitario e una lavagna per le notizie pubbliche fungendo da schermo gigante a bassa risoluzione» [19] . Questi segnali, annunci, brevi sequenze possono anche essere interpretati come «rivelazioni o forse richiami» [20] soprattutto se uniti all’installazione sonora dell’artista americano Max Neuhaus. «Time Piece Graz» venne realizzata nel 2003 in concomitanza con l’apertura del museo e si attiva sotto forma di mormorio dieci minuti prima di ogni cambio d’ora. Inizialmente si ha la percezione di un suono flebile quasi un sussurro proveniente dal fiume Mür poi progressivamente il suono cresce d’intensità e quando finalmente si percepisce chiaramente da dove esso provieni, si interrompe bruscamente suscitando la curiosità dei passanti. Il fine dell’installazione infatti è proprio l’interrogarsi sul tipo e sulla provenienza del suono infatti l’artista sostiene che «la nostra percezione dello spazio dipende tanto da ciò che sentiamo quanto da ciò che vediamo» [21] . Il suo lavoro non è materialmente tangibile eppure è costantemente presente e insieme ad altri espedienti adottati all’interno del museo, ha la funzione di attirare un sempre maggior pubblico non solo di esperti d’arte ma anche e soprattutto di giovani.

L’esperienza che il visitatore compie invece all’interno del museo può essere definita un autentico viaggio nell’ignoto come e può essere paragonata a quella di Giona all’interno della balena. Al pari del profeta che viene risucchiato dalla balena per volontà di Dio, il visitatore è inghiottito dal «Traveletor» e destinato a scoprire nuove e incredibili cose. Con questa trovata Cook e Fournier vogliono rendere la loro idea di museo come «un posto che gioca con il nostro desiderio di ritrovare noi stessi in compagnia di cose sorprendenti e inaspettate, scontri bizzarri, cose che talvolta non sono subito pienamente digeribili» [22] . Il «Travelator», che non si presenta come un comune ascensore, conduce dal luminoso e smaltato foyer all’interno dell’oscura bolla blu ed è un mezzo capace di svelare un mondo del tutto nuovo e imprevedibile. In uno schizzo disegnato dai due architetti (Fig. 8) esso viene chiamato «Pin», uno spillo «pronto a pungere l’enorme bolla blu generando un effetto di sorpresa che si risolve spazialmente a ogni nuova esposizione» [23] . «Se in un primo momento esso infonde uno stato di euforia dall’altro lascia che il visitatore risolva la domanda sul come scendere nuovamente offrendo ad esso due approcci differenti ai lavori artistici: uno più semplice sulla scia dello scorrere del «Pin» e l’altro più attento sul come dovresti scendere giù nuovamente» [24] .

Una volta accolti nell’arioso foyer all’ingresso, inizia per il visitatore uno strabiliante e imprevedibile viaggio che lo porta all’interno della pancia del misterioso alieno. Appena il viaggiatore scende dal Traveletor, la cui particolarità è rappresentata anche dal fatto che bisogna esser disposti a lasciarsi trasportare, «la storia viene parzialmente rivelata al visitatore perché si trova in una «black box», uno spazio largo e armonioso che si configura come uno studio adatto per creare, esporre e osservare l’arte elettrica ed elettronica» [25] . Questo primo spazio espositivo, –Space 02 -  insieme all’altro piano espositivo è caratterizzato da una pianta libera da strutture prestabilite che permettono un’enorme libertà nelle scelte espositive, da un sistema di illuminazione molto vario e flessibile ad ogni nuova scelta espositiva e da pareti curvilinee che tendono a confondersi con la copertura esterna (Fig. 9). Grazie a questi accorgimenti inoltre i piani riescono a rendere perfettamente ciò che Colin Fournier intendeva per «esperienza cinetica sbilanciata» ossia una capacità di suscitare nello spettatore un senso di stupore dovuto all’imprevedibilità degli spazi [26] .

Lo Space 02 è uno spazio parzialmente a pianta libera perché caratterizzato da una serie di pilastri in cemento che scandiscono in maniera regolare il piano. Tuttavia è possibile ricreare qualsiasi tipo di ambiente grazie anche alle pareti ricurve e all’atmosfera buia e introversa che contrasta fortemente con il foyer sottostante. L’impossibilità di far penetrare la luce naturale ha quindi comportato l’adozione di un’illuminazione artificiale attraverso file di tubi fluorescenti circolari posti nel pavimento che conferiscono all’ambiente un’atmosfera non terrestre [27] . Anche il soffitto contiene una serie di luci fluorescenti che possono rendere effetti di luce più prolungati o ad intermittenza. Se invece esse vengono montate in maniera simmetrica creano una superficie uniforme e conferiscono al tetto un interessante tocco grafico [28] .

Trasportati dal secondo «Traveletor» che sorvola letteralmente il primo piano espositivo, si arriva allo Space 01 (Fig. 10). Quest’ultimo si differenzia dal sottostante Space 02 perché è caratterizzato da un’atmosfera completamente diversa, ariosa, grazie agli imbuti di luce che permettono alla luce naturale di penetrare e illuminare le installazioni e le opere d’arte. I 16 «Noozles» costituiscono l’elemento distintivo di questo ambiente completamente curvilineo a causa della natura organica dell’edificio e per il fatto di trovarsi nel punto più alto del museo. Realizzati in plexiglas e prefabbricati singolarmente come la copertura esterna, sono concepiti come conchiglie autoportanti e si rivolgono tutti nella stessa direzione eccetto uno che inquadra la Torre dell’Orologio [29] . Secondo Peter Cook lo spettatore «muovendosi all’interno di questo spazio si imbatte in questi imbuti di luce che portano avanti un gioco ironico e buffo mostrando un panorama teatrale del grazioso castello sulla cima della massiccia montagna dello Schlossberg oltre il fiume. O in alternativa, mostrando le antiche chiese dal campanile a cipolla, ti ricordano che sono già presenti altri esseri a forma di bolla del XVIII secolo» [30] .

Queste protuberanze sono anche molto importanti perché consentono di illuminare l’ambiente espositivo con tre tipi di luci diverse: la piena luce naturale, i flussi fluorescenti contenuti all’interno di essi e un intero impianto artificiale nascosto nel sottotetto.

Infine dallo Space 01 attraverso un ponte si arriva al «Needle» che sovrasta lo spazio espositivo sottostante e ne consente una panoramica dall’alto. La caratteristica preponderante di questo corridoio dalle estremità curve, è la trasparenza ed esso sorprende maggiormente dopo un percorso di rivelazione progressiva; dall’immersione dopo il luminoso foyer nel corpo scuro della bolla fino ad un graduale cammino verso la luce che culmina con questo inaspettato ambiente. Qui infatti «ci si stacca da ogni cosa ad eccezione che della vista della città - essa stessa un’opera d’arte - dopo un processo di sforzo visivo e di stanchezza» [31] .

Oltre a far compiere questo misterioso viaggio nell’ignoto creando un ambiente totalmente immersivo, il Kunsthaus mira a coinvolgere la fascia giovanile attraverso il suo Laboratorio d’Arte Mediale (Medienkunstlabor) e lo Space 03 situato fra i due maggiori piani espositivi. Il «laboratorio d’arte mediale» nasce con l’intento di riflettere sui nuovi mezzi di comunicazione per abbattere la distinzione fra l’arte relegata nei musei e la quotidianità della vita. Questo spazio, collocato nella parte inferiore della «Camera d’Austria», permette agli artisti e agli esperti dei networks di creare lavori di qualunque genere grazie all’ausilio di uno schermo portatile e di una connessione ad alta velocità che consente anche di dialogare con gli altri utenti al pari di come avviene sul Web [32] .

Lo Space 03 invece è un laboratorio dedicato esclusivamente ai bambini e dà loro l’opportunità di approcciarsi all’arte e di sperimentare tecniche e materiali artistici. Questo ambiente, caratterizzato da pareti oblique e da oblò da cui è possibile vedere il foyer sottostante, si presta a divertenti percorsi e altre attività come feste di compleanno consentendo ai bimbi di scoprire il mondo dell’arte attraverso il gioco [33] .

Nel complesso la Nuova Casa dell’Arte è indice di un nuovo tipo di linguaggio architettonico estremamente anti classico dovuto sia alla sua forma esterna che condiziona necessariamente anche quella interna, sia alla sua volontà di apertura nei confronti della società contemporanea e dei giovani in particolare attraverso l’utilizzo di moderne tecnologie.

La sua forma curvilinea che rifiuta ogni simmetria e ordine classico, può essere ricondotta alla geometria non euclidea e ricorda per il suo andamento sinuoso triangolare, una bolla o un alieno o addirittura un cuore o polmone umano o esseri ameboidali. Inoltre gli spazi interni caratterizzati da una rete metallica che avvolge tutto il corpo curviforme dell’edificio, permettono sempre nuove soluzioni allestitive grazie alla pianta libera e all’articolato sistema di illuminazione. Infine, l’impiego delle tecnologie multimediali nella camaleontica facciata e la riflessione sui nuovi media, la inseriscono nella vita quotidiana insieme alle ampie vedute della città visibili dal «Needle».

In conclusione il Kunsthaus di Graz non è solamente caratterizzato da un’architettura anti classica ma si può inserire all’interno di una logica «liquida» che mostra una propensione verso i bisogni che la società moderna esprime di volta in volta ponendosi come un mezzo attraverso cui approcciarsi all’arte contemporanea in maniera non tradizionale.







NOTE


[1] A. M. HOHMANN-VOGRIN, Graz Gründerzeit, in Storia urbana. Rivista di studi sulle trasformazioni della città e del territorio in età moderna, 120, Luglio-Dicembre 2008, pp. 185-206, p. 185

[2] Ibidem, p. 187

[3] Ibidem, p. 187

[4] G. MARIOTTI, L’invenzione di Graz03, in Bell’Europa, Novembre 2003, pp. 76-86, p. 77

[5] P. COOK, the city seens as a garden of ideas, Monacelli Press, New York, 2003, p. 120

[6] Ibidem, p. 94

[7] P. COOK E C. FOURNIER, A Friendly Alien: Ein Kunsthaus fur Graz, Hatje Cantz Publishers. September 30, 2004, p. 26

[8] M. BOTTERO, Frederick Kiesler, l’infinito come progetto, Testo e Immagine, Torino, 1999, p. 69

[9] F. KIESLER, Notes of Architecture as Sculpture, in Art in America, maggio-giugno 1966, pp. 57-68, pp. 67-68

[10] M. HOLZER-KERNBICHLER E P. PAKESCH, Kunstaus Graz, Guida architettonica, Universitatdruckerei Klampfer, St Ruprecht/Raab, 2004, p. 18

[11] M.J. GORMAN, Buckminster Fuller, architettura in movimento, Skira editore, Ginevra-Milano, 2005, p. 115

[12] A. M. HOHMANN-VOGRIN, Graz Gründerzeit, in Storia urbana. Rivista di studi sulle trasformazioni della città e del territorio in età moderna, 120, Luglio-Dicembre 2008, pp. 185-206, p. 191

[13] M. HOLZER-KERNBICHLER E P. PAKESCH, Kunstaus Graz, Guida architettonica, Universitatdruckerei Klampfer, St Ruprecht/Raab, 2004, p. 24

[14] P. COOK E C. FOURNIER, A Friendly Alien: Ein Kunsthaus fur Graz, Hatje Cantz Publishers. September 30, 2004, p. 210

[15] I. D, A Friendly Alien: Ein Kunsthaus fur Graz, Hatje Cantz Publishers. September 30, 2004, p. 17

[16] P. COOK, the city seens as a garden of ideas, Monacelli Press, New York, 2003, p. 95

[17] M. HOLZER-KERNBICHLER E P. PAKESCH, Kunstaus Graz, Guida architettonica, Universitatdruckerei Klampfer, St Ruprecht/Raab, 2004, p. 53

[18] I. D, Kunstaus Graz, Guida architettonica, Universitatdruckerei Klampfer, St Ruprecht/Raab, 2004, p. 55

[19] C. SLESSOR, Light fantastic, media facade, in The Architectural Review, Marzo 2004, pp. 38-39

[20] P. COOK, the city seens as a garden of ideas, Monacelli Press, New York, 2003, p. 94

[21]   M. HOLZER-KERNBICHLER E P. PAKESCH, Kunstaus Graz, Guida architettonica, Universitatdruckerei Klampfer, St Ruprecht/Raab, 2004, p. 60

[22] P. COOK E C. FOURNIER, A Friendly Alien: Ein Kunsthaus fur Graz, Hatje Cantz Publishers. September 30, 2004, p. 116

[23] M. HOLZER-KERNBICHLER E P. PAKESCH, Kunstaus Graz, Guida architettonica, Universitatdruckerei Klampfer, St Ruprecht/Raab, 2004, p. 39

[24] P. COOK E C. FOURNIER, A Friendly Alien: Ein Kunsthaus fur Graz, Hatje Cantz Publishers. September 30, 2004, p. 110

[25] P. COOK, the city seens as a garden of ideas, Monacelli Press, New York, 2003, p. 94

[26] P. COOK E C. FOURNIER, A Friendly Alien: Ein Kunsthaus fur Graz, Hatje Cantz Publishers. September 30, 2004, p. 110

[27] D. LENTINI, Lights…Kamera…Action! Introducing Graz’s Friendly Alien, in emaj online journal of art, 2007 https://emajartjournal.files.wordpress.com/2012/08/damian.pdf visitato in data 26 Agosto 2016

[28] P. COOK E C. FOURNIER, A Friendly Alien: Ein Kunsthaus fur Graz, Hatje Cantz Publishers. September 30, 2004, p. 231

[29] I. D, A Friendly Alien: Ein Kunsthaus fur Graz, Hatje Cantz Publishers. September 30, 2004, p. 87

[30]   P. COOK, the city seens as a garden of ideas, Monacelli Press, New York, 2003, p. 95

[31] I. D, the city seens as a garden of ideas, Monacelli Press, New York, 2003, p. 95

[32] D. LENTINI, Lights…Kamera…Action! Introducing Graz’s Friendly Alien, in emaj online journal of art, 2007 https://emajartjournal.files.wordpress.com/2012/08/damian.pdf visitato in data 26 Agosto 2016

[33] M. HOLZER-KERNBICHLER E P. PAKESCH, Kunstaus Graz, Guida architettonica, Universitatdruckerei Klampfer, St Ruprecht/Raab, 2004, p. 37






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Vedi anche nel BTA: USCITE DI ARCHITETTURA LIQUIDA








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Fig. 1
Torre dell'Orologio sulla Schlossberg Hill
Graz

Fig. 2
Noozles sulla sommità del Kunsthaus

Fig. 3
The Tongue Project
Graz
Foto cortesia di Peter Cook e Colin Fournier, 1998

Fig. 4
Forma biomorfa del Kunsthaus

Fig. 5
J. Benedict Withalm, Eisern Haus, 1845

Fig. 6
Needle con veduta panoramica di Graz

Fig. 7
Facciata multimediale Bix, Realities United, 2001-2003

Fig. 8
Schizzo che descrive il gesto dello spillo pronto a pungere la bolla,
Foto cortesia di P. Cook e C. Fournier, 2003

Fig. 9
Space 02,
Kunsthaus Graz

Fig. 10
Space 01,
Kunsthaus Graz

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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