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Appunti di Filosofia dell'Arte
Considerazioni in margine a
Sortite
Emanuele Severino,
Sortite
Rizzoli, 1994
Francesco Dipalo
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 11 luglio 2000, n. 30 (22 gennaio 1995)
http://www.bta.it/txt/a0/00/bta00030.html
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			Estetica

Breve Premessa Queste "considerazioni" in forma frammentaria si propongono di offrire agli amici del Bta alcuni spunti di riflessione sul ruolo delle arti nell'attuale civiltà occidentale.

Concepite come "glosse" al testo del prof. Emanuele Severino (si veda in particolare il terzo capitolo di "Sortite" pagg. 25-36), vogliono essere di stimolo alla lettura e all'approfondimento del suo ultimo libro (che, peraltro, raccoglie una serie di articoli, da lui pubblicati in tempi più o meno recenti sul "Corriere della Sera" e sul "L'Europeo").

--Nella società in cui viviamo, la "bella forma", ossia la dimensione estetica dell'esistenza, si caratterizza come "superfluo". L'arte è un qualcosa cui l'uomo dedica (o meglio "è chiamato" a dedicare) le energie superflue, il "di più ", ovvero il cosiddetto "tempo libero". La bella forma è stata estromessa dall'esistenza quotidiana di milioni di individui. In certo senso, l'uomo comune ne è stato "alienato".

L'alienazione, con tutte le sue implicazioni sociali e politiche, risponde ad uno scopo preciso: l'arte, snaturata la sua funzione primaria - l'evocare l'immagine a scopo catartico, salvifico contro il terrore generato dall'imprevedibilità dell'esistenza - è stata riproposta come passatempo, momento di relax, di disimpegno e "defaticazione" rispetto all'attività primaria (il "necessario" da cui dipende il "superfluo"), la produzione di ricchezza.

Il "tempo libero", nel quale viene relegato il momento estetico, assolve alla funzione di reintegrazione della forza lavorativa. L'intensità (leggera) della fruizione dell'arte evapora nella frammentarietà dello svago. La coscienza vigile da essa richiesta scivola nel dormiveglia della passività (quante persone, la sera, si addormentano davanti al televisore?).

--Facendo leva su questa funzione "defaticante", la società dei media ha fondato un'ulteriore (macroscopica) occasione di "business", produzione di altra ricchezza, impossessandosi del tempo libero delle masse, offrendo loro un "surrogato" di estetica attraverso mille canali mediali, la TV, la radio, il cinema, certe mostre e musei del XX secolo. La nuova dimensione estetica coinvolge le tribù metropolitane in differita, colpisce da lontano, attraverso suggestioni incontrollabili dal singolo, che riducono i più alla mera funzione di fruitori passivi, "tele- spettatori" - coloro che guardano da lontano. In certo senso, l'arte, attraverso le varie forme di snaturamento, è stata trasformata in strumento di suggestione delle masse. Il potere salvifico della trasformazione del vissuto collettivo in immagine, che da sempre ha agito sull'uomo in occasione della "festa", elevandolo al di sopra della quotidiana battaglia per la sopravvivenza, fisica, sociale e mentale, è stato piegato alle esigenze della produzione: l'arte come "evasione, divertimento, spettacolo, passatempo, lusso".

--Strumento di "salvazione" dal terrore generato dall'imprevedibilità della vita - il rimedio per eccellenza predisposto dalla nostra civiltà per lenire l'angoscia del divenire (tutto viene dal nulla e tutto vi ritorna, noi compresi)

- è, oggigiorno, la scienza nella sua accezione più propriamente tecnologica. Razionalizzare tutto, o comunque, tutto il possibile, significa ridurre il margine di imprevedibilità che minaccia la nostra esistenza. La suprema minaccia è la morte. La sua ombra si allunga sulle nostre quotidianità sotto forma di angoscia e dolore. Il riparo è l'automazione, la scienza, la medicina - la nuova magia e religione -. La Filosofia come rimedio ha fatto il suo tempo: si è assistito al suo naufragio e suicidio.

--L'arte, restituita alla sua funzione originaria, potrebbe ancora "salvarci", restituire la civiltà occidentale ad una dimensione primigeniamente umana: l'immagine eleva ed elevando de- soggettualizza, aiuta a superare il "principium individuationis", a farci sentire parte di un tutto. Smarrire la propria dimensione estetica-estatica, o peggio vederla capitolare dinanzi ad una sua progressiva snaturazione (spesso portata a compimento o sfruttata alla stregua di "instrumentum regni"), equivale, in senso metaforico, a gettar via le chiavi dell'unico "paradiso in terra".

--La riflessione filosofica ha mostrato come la bellezza non possa esser considerata un qualcosa di "superfluo". Essa è connaturata ad ogni aspetto della vita, ne racchiude in sè il senso più profondo. La dimensione estetica, insegna Kant, insieme a quella scientifico-conoscitiva e a quella etica ma, ancor più profondamente e "sinteticamente" di ambedue, definisce l'uomo in quanto Uomo, ossia rappresenta la sua consapevolezza di essere- per-qualcosa, dona un fine all'esistenza. L'uomo non si orienta solamente in base alle leggi spazio-temporali della fisica o a quelle etiche delle varie forme di morali. Al di là di esse, natura e società umana, si fondono in una superiore comunione grazie al potere evocatrice dell'arte, sia essa immagine, suono, parola, gesto.

--L'estetica rientra più propriamente all'interno della dimensione "festiva". Scaturisce dalla "festa", come momento di aggregazione sociale ed evocazione collettiva dei momenti salienti della vita, nascita, amore, morte. L'arte, intesa sotto tutte le sue forme, (architettura, scultura, pittura, poesia, musica, ecc.) è il prolungamento nell'ordinario (quotidianità) dello straordinario, la festa come presa di coscienza di sè stessi e del mondo circostante. L'arte è "prendere consapevolezza", spogliarsi delle mille maschere che nascondono l'individuo a sè stesso, lo tengono artificialmente lontano dall'eterno nocciolo della questione: chi sono, da dove vengo, quanto mi resta da vivere. Sforzarsi di dare risposta a queste domande significa misurarsi con il divenire, il nulla, la follia. In questo senso, Van Gogh "è" il suo autoritratto.

SORTITE (Piccoli scritti sui rimedi - e la gioia)"
del prof. Emanuele Severino
(edito da Rizzoli nel novembre 1994)



	
 

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