Breve Premessa Queste "considerazioni" in forma frammentaria si
propongono di offrire agli amici del Bta alcuni spunti di
riflessione sul ruolo delle arti nell'attuale civiltà occidentale.
Concepite come "glosse" al testo del prof. Emanuele Severino (si
veda in particolare il terzo capitolo di "Sortite" pagg. 25-36),
vogliono essere di stimolo alla lettura e all'approfondimento del
suo ultimo libro (che, peraltro, raccoglie una serie di articoli,
da lui pubblicati in tempi più o meno recenti sul "Corriere della
Sera" e sul "L'Europeo").
--Nella società in cui viviamo, la "bella forma", ossia la
dimensione estetica dell'esistenza, si caratterizza come
"superfluo". L'arte è un qualcosa cui l'uomo dedica (o meglio
"è
chiamato" a dedicare) le energie superflue, il "di più ", ovvero
il cosiddetto "tempo libero". La bella forma è stata estromessa
dall'esistenza quotidiana di milioni di individui. In certo senso,
l'uomo comune ne è stato "alienato".
L'alienazione, con tutte le sue implicazioni sociali e politiche,
risponde ad uno scopo preciso: l'arte, snaturata la sua funzione
primaria - l'evocare l'immagine a scopo catartico, salvifico
contro il terrore generato dall'imprevedibilità dell'esistenza -
è stata riproposta come passatempo, momento di relax, di disimpegno
e "defaticazione" rispetto all'attività primaria (il "necessario"
da cui dipende il "superfluo"), la produzione di ricchezza.
Il "tempo libero", nel quale viene relegato il momento estetico,
assolve alla funzione di reintegrazione della forza lavorativa.
L'intensità (leggera) della fruizione dell'arte evapora nella
frammentarietà dello svago. La coscienza vigile da essa richiesta
scivola nel dormiveglia della passività (quante persone, la sera,
si addormentano davanti al televisore?).
--Facendo leva su questa funzione "defaticante", la società dei
media ha fondato un'ulteriore (macroscopica) occasione di
"business", produzione di altra ricchezza, impossessandosi del
tempo libero delle masse, offrendo loro un "surrogato" di estetica
attraverso mille canali mediali, la TV, la radio, il cinema, certe
mostre e musei del XX secolo. La nuova dimensione estetica
coinvolge le tribù metropolitane in differita, colpisce da
lontano, attraverso suggestioni incontrollabili dal singolo, che
riducono i più alla mera funzione di fruitori passivi, "tele-
spettatori" - coloro che guardano da lontano. In certo senso,
l'arte, attraverso le varie forme di snaturamento, è stata
trasformata in strumento di suggestione delle masse. Il potere
salvifico della trasformazione del vissuto collettivo in immagine,
che da sempre ha agito sull'uomo in occasione della "festa",
elevandolo al di sopra della quotidiana battaglia per la
sopravvivenza, fisica, sociale e mentale, è stato piegato alle
esigenze della produzione: l'arte come "evasione, divertimento,
spettacolo, passatempo, lusso".
--Strumento di "salvazione" dal terrore generato
dall'imprevedibilità della vita - il rimedio per eccellenza
predisposto dalla nostra civiltà per lenire l'angoscia del
divenire (tutto viene dal nulla e tutto vi ritorna, noi compresi)
- è, oggigiorno, la scienza nella sua accezione più
propriamente
tecnologica. Razionalizzare tutto, o comunque, tutto il possibile,
significa ridurre il margine di imprevedibilità che minaccia la
nostra esistenza. La suprema minaccia è la morte. La sua ombra si
allunga sulle nostre quotidianità sotto forma di angoscia e
dolore. Il riparo è l'automazione, la scienza, la medicina - la
nuova magia e religione -. La Filosofia come rimedio ha fatto il
suo tempo: si è assistito al suo naufragio e suicidio.
--L'arte, restituita alla sua funzione originaria, potrebbe ancora
"salvarci", restituire la civiltà occidentale ad una dimensione
primigeniamente umana: l'immagine eleva ed elevando de-
soggettualizza, aiuta a superare il "principium individuationis",
a farci sentire parte di un tutto. Smarrire la propria dimensione
estetica-estatica, o peggio vederla capitolare dinanzi ad una sua
progressiva snaturazione (spesso portata a compimento o sfruttata
alla stregua di "instrumentum regni"), equivale, in senso
metaforico, a gettar via le chiavi dell'unico "paradiso in terra".
--La riflessione filosofica ha mostrato come la bellezza non possa
esser considerata un qualcosa di "superfluo". Essa è connaturata
ad ogni aspetto della vita, ne racchiude in sè il senso
più
profondo. La dimensione estetica, insegna Kant, insieme a quella
scientifico-conoscitiva e a quella etica ma, ancor più
profondamente e "sinteticamente" di ambedue, definisce l'uomo in
quanto Uomo, ossia rappresenta la sua consapevolezza di essere-
per-qualcosa, dona un fine all'esistenza. L'uomo non si orienta
solamente in base alle leggi spazio-temporali della fisica o a
quelle etiche delle varie forme di morali. Al di là di esse,
natura e società umana, si fondono in una superiore comunione
grazie al potere evocatrice dell'arte, sia essa immagine, suono,
parola, gesto.
--L'estetica rientra più propriamente all'interno della dimensione
"festiva". Scaturisce dalla "festa", come momento di aggregazione
sociale ed evocazione collettiva dei momenti salienti della vita,
nascita, amore, morte. L'arte, intesa sotto tutte le sue forme,
(architettura, scultura, pittura, poesia, musica, ecc.) è il
prolungamento nell'ordinario (quotidianità) dello straordinario,
la festa come presa di coscienza di sè stessi e del mondo
circostante. L'arte è "prendere consapevolezza", spogliarsi delle
mille maschere che nascondono l'individuo a sè stesso, lo tengono
artificialmente lontano dall'eterno nocciolo della questione: chi
sono, da dove vengo, quanto mi resta da vivere. Sforzarsi di dare
risposta a queste domande significa misurarsi con il divenire, il
nulla, la follia. In questo senso, Van Gogh "è" il suo
autoritratto.
SORTITE (Piccoli scritti sui rimedi - e la gioia)"
del prof. Emanuele Severino
(edito da Rizzoli nel novembre 1994)
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