L'Amleto ha rappresentato per Edward Gordon Craig un costante oggetto di riflessioni e una inesauribile fonte di stimoli creativi.
Interprete protagonista della tragedia 1, dopo aver abbandonato la recitazione 2 Craig iniziò a confrontarsi con il testo di Shakespeare lavorando all'ideazione di un possibile allestimento dell'opera che superasse i limiti del realismo scenico, in direzione di una dimensione simbolica ritenuta più conforme allo spirito dell'autore. Venuta meno la possibilità di realizzare in modo autonomo una messa in scena dell'Amleto per il fallimento della Purcell Operatic Society 3, prenderà forma, dalla difficile collaborazione con il Teatro d'Arte di Mosca diretto da Stanislavskij, un rivoluzionario allestimento della tragedia (1912) che segnerà la storia del teatro del XX secolo 4, pur deludendo profondamente Craig che vedrà disattese molte delle innovative soluzioni sceniche da lui proposte 5. Dopo questa controversa esperienza, Craig non realizzerà nessun'altra messa in scena dell'Amleto, ma continuerà a occuparsi a più riprese della tragedia annotandone il testo e soprattutto eseguendo una serie di xilografie per l'edizione illustrata dell'Hamlet pubblicata dalla Cranach Press di Weimar (1929) 6.
Tra i numerosi bozzetti dedicati all'Amleto realizzati dall'artista inglese durante il corso di quasi tutta la vita, quelli contenuti in Towards a new Theatre (1913) 7 rivestono un particolare interesse perché non costituiscono soltanto degli originali appunti di regia ma rappresentano anche un contrappunto visivo, talora dissonante, rispetto alle citazioni e alle riflessioni che lo stesso autore affianca alle immagini offrendo una chiave interpretativa del proprio innovativo approccio al teatro.
In questa sede prenderemo in esame, in particolare, due bozzetti - relativi alla scena quinta del I atto dell'Amleto - che precedono la data di inizio della collaborazione con Stanislavskij per l'allestimento dell'edizione moscovita della tragedia shakespeariana (1908).
Il primo bozzetto, realizzato nel 1904 (fig. 1)8, mostra una figura stilizzata che si trova sulla cima di un rilievo collocato, in posizione centrale, in fondo al palcoscenico. La silhouette scura - quasi una anticipazione di quelle che saranno le black figures realizzate per l'edizione dell'Hamlet pubblicata dalla Cranach Press 9 - si staglia sul fondale chiaro nel quale sono appena distinguibili delle formazioni nuvolose simili a quelle immaginate da Craig per una scena di fondo approntata per il dramma musicale di Purcell Dido and Aeneas (1900) 10 (fig. 2) 11. Un copricapo appena accennato e un mantello poggiato sulla spalla destra contraddistinguono il personaggio che sembra essere raffigurato di spalle mentre osserva lo spazio infinito del cielo che si apre davanti a lui. Il rilievo collinare, rappresentato in ombra sul palcoscenico, si confonde con la figura umana, determinando una continua linea di demarcazione tra gli elementi del cielo e della terra.
Il personaggio rappresenta il vertice di una composizione piramidale - un motivo che diverrà ricorrente in Craig (figg. 3 e 4)12 -, ma la sua posizione centrale e predominante viene quasi annullata dalle dimensioni dello spazio che si apre di fronte a lui. I due lunghi tendaggi del sipario, disegnati ai lati del bozzetto, accentuano il verticalismo dell'immagine, delimitando un varco che sembra aprirsi verso l'infinito.
La didascalia che accompagna il bozzetto - Amleto, atto I, scena 5 - lascia supporre che il personaggio rappresentato possa essere il principe di Danimarca rimasto solo dopo l'uscita di scena del fantasma del padre alle prime luci dell'alba. L'idea di mostrare Amleto 13 in ombra, in contrapposizione al falso splendore della corte, costituirà del resto il tema centrale di una delle scene più significative dell'intero allestimento della tragedia al Teatro d'Arte di Mosca: la scena seconda del I atto.
Un bozzetto, datato 1910, contenuto in Towards a new Theatre (fig. 5), rappresenta quello che presumibilmente fu l'allestimento di questa scena nell'edizione dell'Amleto moscovita 14. In una conversazione con Stanislavskij 15, Craig descrive così la composizione che intendeva realizzare per questa scena, chiarendone gli aspetti simbolici:
Fin qui abbiamo visto due mondi, uno di fronte all'altro: quello di Amleto e quello della corte. In primo piano Amleto disteso su due cuscini grigi, neri; sembrano quasi una tomba aperta. Un velo enorme, trasparente, ampio quanto tutto il palcoscenico, lo separa dal mondo della corte. Il mondo della tirannia e dello splendore è tutto d'oro con degli sprazzi di colori violenti, diabolici. È una scalea, una piramide che ha al vertice il re e la regina 16 . Un enorme mantello d'oro e di porpora scende dalle spalle del re, dell'usurpatore, e copre tutta la scena, formando tante onde dorate. Dalle creste delle onde emergono le teste dei cortigiani rivolte in su, verso il trono. La corte noi la vediamo attraverso gli occhi di Amleto, e la ascoltiamo attraverso la maschera delle parole. Ma quel che sentiamo è falso, quel che vediamo è vero. 17
La descrizione di questa messa in scena, che trova sufficiente corrispondenza nel disegno contenuto in Towards a new Theatre (fig. 5), sembra riprendere, rovesciandolo di segno, il tema della composizione piramidale che contraddistingue il bozzetto relativo alla scena quinta del I atto. In entrambi i casi l'immagine è costruita secondo una prospettiva centrale che mette in risalto le figure poste al vertice dell'ideale piramide delineata dalle linee di composizione.
Nel disegno che descrive la scena seconda del I atto la piramide che si intende rappresentare è quella del potere, la realtà della materia che risplende soltanto perché ricoperta di quel denaro e di quell'oro che ne determinano la corruzione. Al vertice della composizione piramidale del bozzetto relativo alla scena quinta del I atto troviamo invece la purezza del principe di Danimarca, la sua "anima bella" che, non a caso, si volge verso il cielo, in direzione del dominio di quella legge morale che stenta ad affermarsi nel mondo sensibile.
In entrambi i bozzetti, Amleto - secondo l'interpretazione intrisa di platonismo di Craig 18 - è il simbolo dello spirito incorrotto che si contrappone alla materia. Come tale si trova immerso nell'ombra, isolato o in solitudine, in una dimensione interiore che rappresenta quella verità rispetto a cui la corte non è che il caduco mondo dell'apparenza. Proprio in quanto figura dello spirito che non subisce i condizionamenti della materia, Amleto ha accesso al mondo dei morti e può comunicare con il fantasma del padre. Ma se, per ragioni diverse, padre e figlio non sono che anime disincarnate, che hanno in comune la distanza dal mondo materiale, allora può divenire quasi ridondante raffigurare entrambi i personaggi per rendere il significato profondo di una scena dove pure il colloquio tra i due sembrerebbe rappresentare la parte più rilevante.
Vero è che, nell'allestimento dell'Amleto al Teatro d'Arte di Mosca, il fantasma e Amleto, secondo quanto stabilito da Shakespeare, compariranno assieme sul palcoscenico e lo spettro verrà concepito da Craig come un uomo realisticamente tratteggiato, sebbene quasi completamente avvolto da un lenzuolo-sudario grigio 19. A questo tipo di caratterizzazione si giungerà però solo molto tardi perché Craig incontrerà sempre numerose difficoltà nel dare una fisionomia compiuta a una figura che avrebbe dovuto apparire al tempo stesso regale e abbrutita, forte e lacerata dal tormento, reale e soprannaturale 20.
L'altro bozzetto relativo alla medesima scena (fig. 6) - che si trova in Towards a new Theatre prima del frontespizio - presenta ancora una volta un solo personaggio collocato in fondo al palcoscenico. La didascalia posta sotto la tavola riporta invero soltanto la data della sua realizzazione (1907) e genericamente il titolo della tragedia a cui si riferisce (Hamlet). La citazione di alcuni versi di Shakespeare 21 che accompagnano il bozzetto e l'esplicita affermazione con la quale Craig apre il brano di commento che affianca la tavola esaminata in precedenza 22 (fig. 1) specificano tuttavia che si tratta di un'altra raffigurazione della scena quinta del I atto.
L'accostamento con il testo di Shakespeare rende, in questo caso, palesemente anomala la presenza di un solo personaggio nel bozzetto perché non è il monologo pronunciato da Amleto subito dopo l'uscita dello spettro di scena a essere citato, bensì i versi con i quali il fantasma del re rivela al figlio la propria identità invitandolo a vendicare la sua morte violenta.
Due dovrebbero dunque essere i personaggi rappresentati nel bozzetto: lo spettro del re e Amleto che ascolta le rivelazioni del padre, interrompendo peraltro il suo racconto con una forte esclamazione («O God !») che rende attiva la sua presenza in scena. Craig rappresenta invece nella tavola un solo personaggio stilizzato che sembra incamminarsi - ancora una volta con le spalle rivolte alla platea - in direzione di una luce proveniente dal fondo del palcoscenico. Potrebbe trattarsi del principe di Danimarca, raffigurato mentre, sopra un torrione del castello di Elsinore 23, sta ascoltando le parole dello spettro, forse nascosto dietro alla struttura architettonica di forma cubica posta alla sua sinistra 24 da cui proviene la luce 25.
Un altro bozzetto - non presente in Towards a new Theatre - realizzato da Craig per questa scena sembra confermare questa ipotesi (fig. 7) 26. Si tratta quasi di una immagine speculare rispetto alla precedente. La figura umana - disposta frontalmente - si trova ancora una volta al centro del corridoio formato dalle due semplici e asimmetriche strutture architettoniche - invertite di posizione - collocate sopra a uno dei torrioni del castello di Elsinore. Il rapporto tra le proporzioni del personaggio e quelle dell'ambiente che lo circonda è decisamente maggiore; tuttavia saremmo quasi tentati di supporre che Craig, attraverso questi bozzetti, intendesse delineare un unico spazio circolare - delimitato dai merli del bastione del castello - che risultasse totalmente agibile da parte degli attori 27.
In tal senso questo bozzetto raffigurerebbe la semicirconferenza non visibile nel precedente, rivelando la sorgente di quella luce i cui soli effetti vengono mostrati nell'altra immagine.
La fonte luminosa, che sembra indicare una presenza soprannaturale, appare dunque provenire da un tumulo - forse il simbolo della tomba del padre - che peraltro ha un corrispettivo nel rilievo del terreno, completamente immerso nell'ombra, che si trova nell'altro bozzetto, in posizione simmetrica rispetto a quest'ultimo. Lo spettro del re potrebbe trovarsi sotto quell'ammasso informe di detriti, oppure identificarsi con quella luce che proviene dalla terra, mentre in alto una strana forma che ricorda un volatile sembrerebbe alludere al desiderio di quest'anima di volare in cielo 28.
Le difficoltà, cui si è fatto cenno poc'anzi, incontrate da Craig nel definire un'immagine dello spettro che fosse portatrice di così tanti significati apparentemente tra loro contraddittori, potrebbero suffragare l'ipotesi che l'unica figura presente nei due bozzetti appena esaminati sia quella del principe di Danimarca. D'altra parte non è possibile escludere che, soprattutto nella tavola contenuta in Towards a new Theatre, si intendesse raffigurare lo spettro del re. La citazione dei versi di Shakespeare con i quali il fantasma si presenta al figlio sembrerebbero confermare questa ipotesi, anche se rimarrebbe aperta la questione relativa alla necessaria presenza di Amleto sul palcoscenico.
La luce sullo sfondo potrebbe rappresentare in questo caso l'annuncio dell'alba che costringe lo spettro a tornare nel luogo di tormenti dove è stato relegato per non aver potuto mondare in vita i propri peccati 29. Ma potrebbe anche essere quella luce che Craig utilizzerà nella scena prima dell'atto I della rappresentazione moscovita per tracciare il cammino di uno spettro che avrebbe dovuto manifestare la propria essenza soprannaturale scomparendo nell'oscurità, sullo sfondo delle pareti grigie, per poi apparire all'improvviso, grazie a un particolare e complesso gioco di illuminazione 30.
Ciò che sembra emergere, in ogni caso, da entrambi i bozzetti contenuti in Towards a new Theatre è l'isolamento e, dunque, la solitudine del personaggio raffigurato: una condizione che accomuna il padre e il figlio. I merli del torrione del castello, collocati in primo piano nella tavola che precede il frontespizio del volume, sembrano delimitare uno spazio inaccessibile a coloro che non riescono a liberarsi dai vincoli della materia per compiere quella che Platone definiva una "seconda navigazione" 31. Il dolore lancinante del padre e la lacerazione inferta nell'anima del principe di Danimarca dalle sue parole sembrano trovare un simbolico riscontro nella spaccatura determinata dalla disposizione delle due strutture architettoniche collocate ai due lati del personaggio. Si tratta di un motivo visivo, ripreso da una architettura reale - la Porta spaccata del tempio balinese - , che Craig aveva già utilizzato in un bozzetto del 1905 relativo alla scena prima dell'atto III del Giulio Cesare di Shakespeare 32, e che tornerà più volte nelle tavole dedicate alle scene prima, quarta e quinta del I atto dell'Amleto (figg. 7, 8 33, 9 34, 10 35).
Il rapporto che Craig, secondo una visione pseudopitagorica, ritiene di individuare tra la figura geometrica del quadrato e l'elemento maschile 36 può offrire una ulteriore chiave di lettura del bozzetto che apre la serie di tavole contenute in Towards a new Theatre (fig. 6), così come dell'altro che ne offre una immagine speculare (fig. 7). In questo senso, si potrebbe ipotizzare che le due elementari strutture architettoniche - un parallelepipedo e un cubo di dimensioni diverse ma entrambi imponenti rispetto alla figura umana - simboleggino le anime del re e di suo figlio, separate con violenza da un mondo che non attribuisce più alcun valore né alla legge, né, tanto meno, alla morale. Lo spirito del re sembra incombere sul principe di Danimarca e quasi comprimere la sua coscienza affinché faccia trionfare il diritto positivo.
Amleto si trova invece, su un diverso livello, all'interno di quella sfera della morale, il cui peso appare quasi nullo rispetto alle leggi stabilite dagli uomini. Nella interpretazione craighiana della tragedia di Shakespeare, del resto, diritto e morale non sembrano destinati a incontrarsi nella superiore sintesi dell'eticità. Ecco che allora le due strutture architettoniche potrebbero rappresentare ancora lo spirito - il cubo, simbolo di perfezione perché formato da lati tutti uguali - che sulla terra viene superato e, dunque, sconfitto dalla materia, ovvero l'imponente parallelepipedo che sembra quasi schiacciare una figura umana simbolicamente scissa tra le due dimensioni.
Anziché imitare la realtà ricreando la sua immagine superficiale, Craig semplifica la scena per rappresentare delle essenze, degli êidos. A tal fine comincia a delineare la possibilità di utilizzare a teatro degli screens, degli schermi mobili uniformi e monocromi componibili in forme tridimensionali 37, che avrebbero consentito di superare una tipologia di messa in scena puramente denotativa, in direzione di un allestimento di tipo connotativo, in grado di dare vita a mutevoli forme volumetriche elementari di ordine simbolico 38.
È in fondo un principio euristico che sembra guidare Craig verso la ricerca di una forma di artificiosità che possa rivelare una verità che in natura rimane celata dall'apparenza. È sorprendente, in questo senso, come le sue ricerche "verso un nuovo teatro" muovessero nella stessa direzione di quelle che Husserl, negli stessi anni, stava conducendo in campo filosofico 39.
In un'opera fortemente platonica come le Ricerche logiche (1900-1901), la finalità di cogliere, attraverso l'intuizione categoriale, l'universale o la forma in sé a partire da un oggetto empirico trova una corrispondenza nella volontà da parte di Craig di pervenire alla definizione di allestimenti scabri ed essenziali. Husserl, invero, sotto l'influenza del neokantiano Natorp, già nelle Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica (1913-1952), si avvicina alla problematica trascendentale offrendo una dimostrazione genetico-ostensiva delle forme che rimane estranea a Craig. D'altra parte, alle riflessioni svolte da Craig in Scene (1923) 40, a proposito della necessità di utilizzare a teatro forme volumetriche elementari, semplici e monocrome, sembra adattarsi perfettamente il motto che riassume le finalità della ricerca fenomenologia: zu den Sachen selbst ! 41
Ma in un teatro che mira alla semplificazione per far emergere delle idee, delle essenze universali, non può trovare spazio la particolare ed esondante personalità di un attore che, immedesimandosi nella parte, non fa in realtà che impersonare se stesso, perdendo di vista quel modello ideale che dovrebbe invece portare in scena. Ecco dunque che Craig, commentando i due bozzetti dedicati alla scena quinta dell'atto I dell'Amleto 42, torna a riproporre in modo acuto - come già aveva fatto in un saggio uscito nel 1907 su The Mask dal significativo titolo The Actor and the Über-marionette 43 - alcuni temi contenuti nel Paradoxe sur le Comédien di Diderot, anticipando per certi aspetti quelle che saranno le riflessioni di Brecht sul Verfremdungseffekt 44.
Scrive Craig:
Sia questo disegno, del 1904, che quello fatto per la stessa scena nel 1907, rispecchiano fedelmente le mie idee sull'attore e i suoi poteri. Nel primo, non è certo facile dominare la scena dal punto di vista in cui si trova l'attore; nel secondo, poi, solo un eroe ne sarebbe capace.
Perché metto l'attore in un teatro di burattini ?
Se, come dicono tutti, è un fantoccio, per Roscio, sarà ben un fantoccio superiore 45 .
Per dominare la scena recitando di spalle e in ombra in fondo al palcoscenico (fig. 1) o in uno spazio nel quale la figura umana sembra quasi scomparire di fronte alle dimensioni delle strutture architettoniche (fig. 6), l'attore deve in primo luogo avere un pieno dominio su se stesso. In The Actor and the Über-marionette, Craig parla della necessità di dominare le emozioni per acquisire un pieno controllo sul corpo ed evitare lo spettacolo "disgustoso" 46 dato dall'attore che, soggiogato da una alienante sensibilità, «si muove come uno in preda al delirio, o come un pazzo, barcollando qua e là» 47.
Con simili parole si esprimeva Diderot nel Paradoxe sur le comédien a proposito della sensibilità morbosa degli attori:
La sensibilità, secondo l'unica accezione finora data di questo termine, è, mi pare, quella disposizione, compagna della debolezza dell'organismo, effetto della mobilità del diaframma, della vivacità dell'immaginazione, della delicatezza dei nervi, che inclina a compatire, a fremere, ad ammirare, a temere, a turbarsi, a piangere, a svenire, a soccombere, a fuggire, a gridare, a perdere la ragione, a esagerare, a disprezzare, a disdegnare, a non avere alcuna idea precisa del vero, del buono e del bello, a essere ingiusti, a essere folli 48 .
Secondo quanto afferma Craig in The Actor and the Über-marionette, non può essere definito artista l'attore che si sforza di riprodurre la Natura, immedesimandosi a tal punto da entrare "nella pelle del suo personaggio" 49 e da lasciare dominare la sua mente dalle emozioni che ne conseguono, perché non crea nulla, limitandosi a copiare una realtà che è già una pallida copia di una idea superiore. Negando valore artistico a ogni attività puramente imitativa, Craig sembra peraltro dare una personale soluzione al problema della condanna dell'arte espressa da Platone: 50
Misera arte e abilità da quattro soldi se non può offrire al pubblico lo spirito, l'essenza di un'idea, se è in grado soltanto di esibire una copia priva d'arte, un fac-simile della copia stessa ! Questo si chiama essere un imitatore, non un artista 51 .
La necessità di non portare a teatro una copia della natura era stata sottolineata anche nel Paradoxe sur le Comédien:
Riflettete un momento su ciò che a teatro si chiama esser vero. Significa forse mostrare le cose come sono nella realtà ? Niente affatto. Il vero, in tal senso, sarebbe soltanto il banale. Che cos'è dunque il vero sulla scena ? È la conformità delle azioni, dei discorsi, dell'aspetto, della voce, del movimento, del gesto, a un modello ideale immaginato dal poeta, e spesso esagerato dall'attore 52 .
Un tale modello ideale, secondo Diderot, è sempre stato tenuto presente dai grandi attori come Roscio o Garrick, il "Roscio inglese":
Ti chiamo a testimonio, o Roscio inglese, celebre Garrick: tu che per unanime giudizio di tutte le nazioni esistenti passi per il primo attore mai conosciuto, rendi omaggio alla verità ! Non mi hai forse detto che, sebbene tu provassi forti emozioni, la tua recitazione sarebbe risultata debole, se, qualsiasi passione o carattere dovessi rappresentare, non fossi riuscito ad innalzarti col pensiero alla grandiosità di un fantasma omerico col quale cercavi di identificarti ? E confessa che cosa hai risposto quando ti ho replicato che dunque, recitando, non t'ispiravi a te stesso: non hai forse ammesso che te ne guardavi bene, e che, se sulla scena apparivi così sorprendente, era solo perché recitando esibivi un essere d'immaginazione che non eri tu ? 53
Sono rari però gli attori che pongono un limite alla propria personalità per attingere a questa superiore sfera ideale e divenire veri artisti. In The Actor and the Über-marionette, Craig - come già Diderot nel Paradoxe - sembra oscillare tra la condanna del modo di concepire la recitazione nei teatri contemporanei e la fiducia nelle potenzialità degli attori:
oggi assistiamo allo strano spettacolo di un uomo contento di enunciare i pensieri a cui un altro ha dato forma, mostrando la propria persona in pubblico. Fa questo perché è lusingato; e la vanità ... non ragiona. Ma sempre finché esisterà il mondo la natura umana combatterà per la libertà e si ribellerà all'essere fatta schiava, semplice veicolo per l'espressione dei pensieri di un altro 54.
In futuro l'attore dovrà cessare di essere l'elemento più subalterno nel processo di produzione teatrale per divenire un attivo artefice del teatro dell'avvenire:
vedo uno spiraglio attraverso il quale gli attori potranno evadere in tempo dal servaggio in cui si trovano. Essi devono creare per se stessi una nuova forma di recitazione, consistente in gesti simbolici. Oggi essi impersonano e interpretano; domani dovranno rappresentare e interpretare; e dopodomani dovranno creare 55 .
Soltanto riuscendo a dominare se stesso e il proprio personaggio, recitando cioè in maniera fredda e distaccata, l'attore potrà avere accesso all'ambito dell'arte. Questo non è tuttavia un compito facile. Il principale ostacolo è costituito dal corpo umano, facile preda delle emozioni, che sembra essere per sua natura inutilizzabile come materiale artistico 56. Si tratta allora di compiere una transustanziazione dall'organico all'inorganico 57, trasformando il corpo in una macchina 58 che obbedisca alla mente, all'anima razionale, affinché l'attore possa cogliere e restituire in palcoscenico quell'"essenza di una idea" che per Craig rappresenta il solo oggetto e fine dell'arte.
Con toni paradossali, che saranno fraintesi dai suoi detrattori, Craig auspica l'utilizzazione a teatro di una figura inanimata, una marionetta, o meglio, una "Über-Marionette" 59, immagine di un Dio 60 o simbolo dell'uomo 61 considerato nella sua essenza spirituale.
Si spiega così il riferimento al teatro di burattini contenuto nel commento che accompagna il bozzetto relativo alla scena quinta del I atto dell'Amleto eseguito nel 1904 (fig. 1). Ecco che la tavola si presenta allora come un disegno di scena per una rappresentazione di marionette 62. Si intende alludere in tal modo alla necessità di esercitare un totale controllo nei confronti dello strumento corpo affinché l'attore possa dominare una scena che altrimenti rischierebbe di annullarne la presenza. L'attore-marionetta, tuttavia, pur essendo un grande interprete, è ancora soltanto uno strumento nelle mani dell'autore. Come scriveva Diderot nel Paradoxe sur le Comédien:
Un grande attore è una [...] [marionetta] meravigliosa, di cui il poeta regge i fili e al quale indica ad ogni riga la vera forma che deve assumere 63.
In prospettiva futura l'attore del teatro dell'avvenire dovrà però affrancarsi - era questo anche l'auspicio di Diderot - dal rapporto di sudditanza nei confronti del drammaturgo per assumere egli stesso il controllo dei propri mezzi espressivi diventando così un vero artista. L'attore dovrà andare oltre l'eteronomia che contraddistingue la marionetta per trasformarsi in una Über-Marionette 64.
Come il concetto di Über-Mensch nietzscheano allude a un cambiamento radicale dell'umanità, così quello di Über-Marionette per Craig non implica un potenziamento dei caratteri della marionetta tradizionale bensì una sua trasformazione in una figura superiore che non presenta comunque altre analogie con quella proposta dal filosofo tedesco 65. Nella prefazione all'edizione di On the Art of the Theatre del 1924 Craig definisce la Über-Marionette «the actor plus fire, minus egoism» 66, un attore che assumendo il pieno controllo del proprio corpo si sottrae al mondo fenomenico, liberandosi dal principium individuationis per ricongiungersi con una dimensione universale e spirituale, con «the fire of the gods and demons, without the smoke and steam of mortality» 67.
Si tratta dunque di passare dalla leggerezza e dalla grazia naturale della marionetta allo stato superiore di libertà e di consapevolezza espresso dalla Über-Marionette che si consegue soltanto attraverso un processo di disincarnazione che avvicina a una dimensione spirituale altrimenti invisibile.
Kleist, in un saggio dedicato alla marionetta - Aufsatz über das Marionettentheater -, volendo sottolineare la superiorità dell'elemento inconscio in campo estetico, aveva individuato in questa figura il simbolo del Bello. Grazia e bellezza, contrastate dalla riflessione e dalla conoscenza dell'uomo troverebbero per Kleist la loro espressione più pura «in quella struttura umana che ha o nessuna o un'infinita coscienza, cioè nella marionetta, o in Dio» 68.
Il motivo dialettico kleistiano - nessuna coscienza della marionetta, coscienza finita dell'uomo, infinita coscienza di Dio - trova un parziale riscontro nei rapporti che secondo Craig intercorrono tra l'attore-marionetta, il commediante tradizionale e l'attore Über-Marionette. Così come Kleist conclude in modo pessimistico che la possibilità per l'uomo di «gustare di nuovo dall'albero della conoscenza per ricadere nello stato di innocenza» 69 sia realizzabile soltanto nell' «ultimo capitolo della storia del mondo» 70, Craig, mostrando altrettanto scetticismo, sembra talora considerare l'avvento della Über-Marionette un orizzonte trascendentale piuttosto che una concreta circostanza pienamente attuabile. Ritiene comunque di poter individuare, di volta in volta, in alcuni grandi artisti di teatro 71, almeno una immagine di quello che dovrà essere l'attore del teatro dell'avvenire.
Se dunque è necessario un attore-marionetta per recitare nelle difficili condizioni raffigurate nella tavola relativa alla scena quinta del I atto dell'Amleto realizzata nel 1904 (fig. 1), soltanto un "eroe" 72, un "fantoccio superiore" 73, ovvero una Über-Marionette, è in grado di dominare lo spazio scenico rappresentato nel bozzetto eseguito nel 1907 per il medesimo soggetto (fig. 6). Scrive Craig a proposito di quest'ultima tavola nel commento che accompagna quella eseguita nel 1904:
La scena avrà proporzioni altissime rispetto alle sue, eppure egli [l'attore - Über-Marionette] la dominerà. Privato del volto, continuerà a dominarla con l'azione. Privato perfino del movimento, messo in condizione disperata, continuerà a dominarla con l'unica cosa che gli sarà rimasta: una maschera 74 .
Questo brano, assieme al riferimento al celebre attore romano Roscio 75 contenuto nel medesimo commento citato in precedenza 76, indica come il concreto percorso da seguire per avvicinarsi all'ideale rappresentato dalla Über-Marionette passi attraverso la reintroduzione della maschera a teatro. In uno spazio come quello rappresentato del bozzetto del 1907 dedicato all'Amleto le espressioni effimere del volto, i gesti e persino il movimento dell'attore, non essendo chiaramente percepibili dallo spettatore, non hanno più alcun valore. Solo la maschera, in quanto simbolo, può veicolare ancora un significato, l'"essenza di una idea" 77.
La "persona" 78 spersonalizza l'attore, o meglio, elimina il carattere individuale, l'"egoismo" che solitamente lo contraddistingue. Costringendo l'attore a una recitazione distaccata e simbolica lo rende una Über-Marionette in grado dominare pienamente una scena che potrà anche assumere dimensioni enormi rispetto alla figura umana. Craig non esclude la possibilità che un attore in grado di controllare perfettamente le proprie emozioni, e dunque l'espressione del proprio volto, possa fare a meno della maschera 79. Ciononostante ritiene che «l'unico mezzo adatto a rappresentare l'espressione dell'anima mediante l'espressione del volto [sia] la maschera» 80.
Soltanto un teatro inorganico - un teatro che sappia prendere le distanze dall'apparenza fenomenica, da quella «vita di carne e di sangue» che domina gli uomini che non riescono a guardare oltre gli involucri costituiti dai loro corpi - può rappresentare la bellezza dello spirito, ingenerato, incorruttibile, immutabile, che Craig considera paradossalmente simile alla morte, pur ritenendolo fondamento ed essenza dell'essere. Scrive Craig in The Actor and the Über-marionette:
Questa vita di carne e sangue, che noi tutti amiamo, non è per me qualcosa in cui frugare e da mettere in mostra davanti al mondo, sia pure in forma convenzionale. Credo che la nostra aspirazione debba essere piuttosto cogliere una lontana, breve visione di quello spirito che chiamiamo Morte - evocare cose belle dal mondo immaginario; dicono che sono fredde, quelle cose morte, io non so - spesso sembrano più calde e più vive di ciò che si ostenta come vita. Ombre - spiriti mi sembrano essere più belli e vitali che uomini e donne, invischiati in meschinità, oggetti inumani, enigmatici: gelidissimo gelo, angustissima umanità. Considerando abbastanza a lungo le cose della vita, non scopriremo forse che non sono né belle, né misteriose, né tragiche, ma inerti, melodrammatiche, sciocche, e che cospirano contro la vitalità - contro ogni calore ? E da tali cose, a cui manca il sole della vita, non si può trarre ispirazione. Come da quella vita misteriosa, gioiosa, di una perfezione estrema che si chiama Morte - vita d'ombre e d'immagini sconosciute, dove non è vero che tutto sia oscurità e nebbia, come si immagina, ma al contrario vividi colori, vivida luce, nitide forme; popolata di figure strane, fiere, solenni, pacate, sospinte verso una meravigliosa armonia di movimento: da tutto questo è possibile trovare ispirazione 81 .
Ecco che la questione della identificazione della figura umana rappresentata nel bozzetto dedicato alla scena quinta del I atto dell'Amleto realizzato nel 1907 viene quasi a cadere del tutto. Se infatti la Über-Marionette, l'attore disincarnato, non impersona dei caratteri ma rappresenta simbolicamente delle essenze metafisiche ovvero degli spiriti e delle ombre, il personaggio in scena, anche alludendo alla figura, o meglio, all'anima di Amleto, evocherà comunque la presenza dello spettro del re. Craig ritiene, d'altra parte, che il solo modo per portare a teatro le tragedie di Shakespeare - che peraltro considera inadatte alla rappresentazione perché già perfette alla lettura 82 - consista nell'inserire in ogni frammento del dramma un senso di spiritualità, creando una particolare atmosfera che predisponga la comparsa di fenomeni soprannaturali sul palcoscenico:
l'uomo che voglia rappresentare questi drammi come Shakespeare, forse, avrebbe voluto, deve inserirne ogni frammento in un senso di spiritualità; e per far questo egli deve evitare completamente quel che è materiale, semplice razionalità, o meglio ciò che rivela soltanto il proprio involucro materiale, altrimenti lo spettatore si troverebbe di fronte qualcosa di opaco e di impenetrabile 83 .
Dominare il corpo al punto di annullarlo per giungere a mostrare una essenza immateriale non è però un esercizio semplice. Se la maschera, così come avviene nel teatro orientale, può aiutare l'attore ad allontanarsi da sé e a rappresentare un universo di simboli, è necessario in ogni caso un lungo tirocinio che non ammette scorciatoie 84 e che soltanto alla fine gli permetterà di dominare la scena. Scrive Craig nel commento che accompagna il bozzetto per l'Amleto del 1904:
Ma ciò [dominare la scena] è possibile solo a prezzo di enormi sacrifici, per il bene del teatro. Perché sacrifici ? Perché a meno che ne conosciate uno voi, non è stato ancora scoperto un altro modo, né si scoprirà mai, probabilmente. Mi chiedete perché ? Quando avrete risposto a tutte le domande del poeta sul fiore nella spaccatura del muro, ne saprete molto più di me, e non avrete più isogno di farmi domande. Se non ci fossero misteri nella vita, la vita sarebbe priva di valore; ogni cosa per piccola che sia dovrebbe essere considerata tale.
Allora sì che potremo migliorare e dominare il mondo e quella cosa tanto più difficile ... noi stessi. Allora saremo davvero ATTORI 85 .
In queste parole possiamo rintracciare una reminiscenza dell'etica cristiana del sacrificio che avvicina a Dio ma soprattutto un riferimento implicito a quella poetica simbolista che costituisce uno dei più importanti presupposti dell'opera di Craig. L'arte, come la vita, non si lascia mai penetrare in tutti i suoi significati. Craig sembra esprimere in questo brano quello che Heidegger in Der Ursprung des Kunstwerkes (1935) 86 indicherà come il fecondo conflitto tra il mondo (Welt), ciò che l'opera d'arte dice esplicitamente, e la terra (Erde), una riserva di significati, in essa contenuti, mai completamente esplicitabili. L'arte apre e fonda un mondo mettendo in opera la verità ma al tempo stesso rende manifesta l'oscurità ovvero il nascondimento da cui proviene ciò che viene svelato. É quella dimensione che Craig definisce misteriosa e che ritiene essere posta a fondamento della vita e dell'arte. Alla realtà del mondo visibile fa riscontro una realtà del mondo invisibile cui l'uomo partecipa in tutto il suo dualismo, di realtà e spirito, di visibile e invisibile. Soltanto liberandosi dai vincoli imposti dalla materia per attingere alla più alta sfera spirituale l'uomo acquisirà il pieno controllo su di sé e sul mondo che lo circonda. Un tale uomo sarà allora un attore perfetto.
Craig sembra convinto che il presupposto da cui partire per arrivare a tale risultato consista nella consapevolezza dell'esistenza di un mondo soprannaturale che circonda il mondo naturale. È ancora Platone a influenzare le riflessioni di Craig, ma è soprattutto Shakespeare a indicare la via, proprio nella scena quinta del I atto dell'Amleto:
NOTE
Desidero ringraziare il prof. Fernando Mastropasqua che ha promosso la realizzazione di questo lavoro suggerendo importanti spunti di ricerca e acuti stimoli di riflessione durante le lezioni seminariali del corso di Storia del teatro che si è svolto nell'anno accademico 1997/1998 nell'ambito della Scuola di Specializzazione in Storia delle Arti dell'Università di Pisa. Colgo l'occasione anche per rendere omaggio alla memoria di Goffredo Raponi, studioso e traduttore di Shakespeare, che ha voluto donare al BTA, a
Festina Lente Centro Internazionale di Ricerca Storico Artistica e alla Biblioteca di Liber Liber (Progetto Manuzio) il frutto di anni di lavoro dedicati all'opera shakespeariana. Si vedano in proposito i seguenti articoli:
http://www.bta.it/col/a0/01/coll018.html
http://www.bta.it/txt/a0/02/bta00232.html
http://www.bta.it/txt/a0/02/en/bta00232.html
1
Nel 1894 Craig recitò per la prima volta nel ruolo di Amleto per la compagnia itinerante shakespeariana di W. S. Hardy. In seguito ebbe modo di interpretare la parte di protagonista della tragedia per il Parkhurst Theatre di Londra (1896), dirigendo contestualmente le prove degli altri attori della compagnia che con orgoglio definiva propria (cfr. Edward Craig, Gordon Craig. La storia della sua vita, a cura di Marina Maymone Siniscalchi, traduzione di Marina Maymone Siniscalchi e Veronica Simcock Zipoli, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1996, p. 105 ss).
2
Craig pose prematuramente termine alla propria carriera di attore (1897) prima ancora di compiere i ventisei anni di età (cfr. Edward Craig, op. cit., p. 122).
3
Craig, in qualità di direttore di scena della società artistica fondata da Martin Fallas Shaw, realizzò la messa in scena di tre drammi musicali (Dido and Aeneas e The Masque of Love di Purcell, Acis and Galatea di Händel) che, seppure apprezzati dai critici più illuminati, non apportarono alle casse della Purcell Operatic Society denaro sufficiente a mantenerla in vita (cfr. Edward Craig, op. cit., p. 132 ss.).
4
A proposito della messa in scena dell'Amleto di Craig e Stanislavskij si veda in particolare: Ferruccio Marotti, Amleto o dell'oxymoron, Roma, Bulzoni, 1966, pp. 175-280.
5
Ben tredici delle scene progettate da Craig vennero modificate durante l'allestimento moscovita (cfr. Ferruccio Marotti, Introduzione a Edward Gordon Craig, Il mio teatro: L'arte del teatro; Per un nuovo teatro; Scena. Introduzione e cura di Ferruccio Marotti, traduzione di Ferruccio Marotti, Milano, Feltrinelli, 1971, p. XXXVIII).
6
Colin Franklin (Id., Fond of Printing. Gordon Craig as Tipographer, with a Foreword by Edwars Craig on Illustration in general, London, Hurtwood Publications, 1980, pp. 13-23) ritiene che Craig abbia compiutamente realizzato attraverso le xilografie pubblicate dalla Cranach Press quella immagine dell'Amleto cui avrebbe voluto dare vita nell'allestimento di Mosca.
7
Edward Gordon Craig, Towards a new Theatre. Forty Designs for Stage Scenes with critical Notes by the Inventor Edward Gordon Craig, London & Toronto, J. M. Dent & sons Limited, 1913.
8
Cfr. Gordon Craig, op. cit., p. 34.
9
In particolare, una black figure che rappresenta Amleto voltato di spalle ricorda la silhouette raffigurata nel bozzetto. Questa xilografia si trova riprodotta anche sulla copertina dell'edizione dell'Amleto curata da Alessandro Serpieri (cfr. William Shakespeare, Amleto, a cura di Alessandro Serpieri, con testo a fronte, Venezia, Marsilio, 1997).
10
Sulla messa in scena di Dido and Aeneas allestita da Craig per conto della Purcell Operatic Society si veda in particolare: Anna Maria Monteverdi, Edward Gordon Craig e la messa in scena di Dido & Aeneas, "Baubo", IX, 15, 1994.
11
La riproduzione della xilografia realizzata da Craig è stata tratta dal volume curato da Janet Leeper (Id., Edward Gordon Craig, Designs for the Theatre, London, Penguin Books, 1948). Cfr. anche Cesare Molinari, Regie e scenografie di Gordon Craig, "Critica d'arte", V, 27, 1958, pp. 172-173.
12
In alcuni casi Craig disegnerà delle vere e proprie piramidi. È il caso delle due xilografie qui riprodotte che sono state tratte dal seguente volume: Edward Gordon Craig, Woodcuts and some Words, with an Introduction by Campbell Dodgson, C. B. E., London & Toronto, J. M. Dent & sons LTD, 1924.
13
Nel corso della relazione attribuiremo il nome Amleto esclusivamente al principe di Danimarca. Il re Amleto, suo padre, verrà di volta in volta indicato con altre locuzioni o semplicemente con i nomi di spettro, spirito o fantasma.
14
Nelle note che accompagnano il bozzetto, Craig afferma esplicitamente che l'immagine si riferisce alla messa in scena dell'Amleto presso il Teatro d'Arte di Mosca. Questa fu una delle poche scene in cui le indicazioni di Craig vennero sostanzialmente rispettate. Erano qui infatti pressoché assenti quegli schermi mobili uniformi e monocromi composti in forme tridimensionali (screens) - sulla disposizione mobile dei quali, peraltro, era incentrato quasi tutto l'allestimento scenico - che procurarono quei problemi tecnici che determinarono in massima parte l'adulterazione di numerose scene ideate da Craig (cfr. Edward Craig, op. cit., pp. 299-300).
15
La trascrizione in russo dei colloqui tra Craig e Stanislavskij, relativi all'allestimento dell'intera tragedia, si trova presso il Museo del Teatro d'arte di Mosca. Una trascrizione in inglese di una parte di queste conversazioni si trova invece presso la Biblioteca Nazionale di Parigi. Quest'ultima riguarda i colloqui relativi alle seguenti scene: atto I, scene seconda e terza; atto III, scene seconda, terza e quarta; atto IV, scene prima, seconda, terza, quinta e sesta (cfr. Marotti, Amleto o dell'oxymoron, cit., p. 177).
16
In questa citazione, come in quelle che seguiranno, le sottolineature sono state aggiunte al testo per mettere in evidenza i passi ritenuti più interessanti ai fini dell'analisi dei bozzetti presi in esame. Ulteriori interventi sui brani citati sono stati segnalati attraverso l'uso di parentesi quadre.
17
L'intero brano viene riportato da Marotti (Id., Amleto o dell'oxymoron, cit., p. 206). Il bozzetto relativo alla scena seconda dell'atto I contenuto in Towards a new Theatre è accompagnato da un commento simile che però non mette in rilievo il simbolismo della composizione piramidale.
18
In una delle conversazioni avute con Stanislavskij, Craig dichiara: «Amleto è spirito, ma tutto quel che lo circonda è materia» (cfr. Marotti., Amleto o dell'oxymoron, cit., p. 198). E ancora, più avanti: «L'idea fondamentale del dramma è nella lotta dello spirito con la materia, nell'impossibilità della loro unione, nell'isolamento dello spirito dentro la materia» (cfr. Marotti., Amleto o dell'oxymoron, cit., p. 202). A proposito della interpretazione simbolica della tragedia da parte di Craig si vedano, in particolare: Umberto Artioli, Teorie della scena dal naturalismo al surrealismo, I, Dai Meininger a Craig, Firenze, Sansoni, 1972, p. 307 ss. e Christopher Innes, Edward Gordon Craig, Cambridge - London - N. Y. - New Rochelle - Melbourne - Sidney, Cambridge University Press, 1983, pp. 149 ss.
19
Si veda la foto di scena relativa alla rappresentazione moscovita riprodotta anche nella monografia scritta da Marotti: Id., Edward Gordon Craig, Bologna, Cappelli, 1961. Inizialmente Craig aveva pensato di rappresentare lo spettro - alla maniera degli affreschi medioevali - come una figura scarnificata divorata dai vermi (cfr. Marotti, Edward Gordon Craig, cit., pp. 106-107; Id., Amleto o dell'oxymoron, cit., pp. 240-241).
20
Cfr. Marotti, Edward Gordon Craig, cit., pp. 106-108; Id., Amleto o dell'oxymoron, cit., pp. 240-241. Craig scrisse anche un saggio intorno al problema della rappresentazione degli spettri nella messa in scena delle tragedie di Shakespeare: The Ghosts in the Tragedies of Shakespeare by Gordon Craig, "The Mask", III, 4-6, 1910, pp. 61-66 (tr. it. di Ferruccio Marotti: Gli spettri nelle tragedie di Shakespeare, in Gordon Craig, Il mio teatro, cit., pp. 144-153).
21
Gordon Craig, op. cit., p. [iv]. Cfr. Shakespeare, op. cit., Atto I, scena 5, vv. 9-25.
22
«As frontispiece to this book, I have another design for this same scene in Hamlet» (Gordon Craig, op. cit., p. 33).
23
In primo piano sono raffigurati i merli del torrione.
24
La presenza nel bozzetto di questa forma semplice e lineare, così come dell'altra, simile a un parallelepipedo, che si trova sul lato destro, indica la volontà da parte di Craig di delineare una messa in scena basata sull'uso di quegli screens che saranno poi effettivamente utilizzati, con esiti controversi, per l'allestimento dell'Amleto presso il Teatro d'Arte di Mosca.
25
Nei colloqui avuti con Stanislavskij per la messa in scena dell'Amleto al Teatro d'Arte di Mosca, Craig sosteneva che lo spettro del re avrebbe dovuto emanare una luce fredda (cfr. Marotti, Edward Gordon Craig, cit., pp. 108; Id., Amleto o dell'oxymoron, cit., p. 241).
26
Il bozzetto si trova riprodotto in un volume pubblicato da George Nash (Id., Edward Gordon Craig 1872-1966, London, Her Majesty's Stationery Office, 1967) senza che venga specificato l'anno della sua realizzazione.
27
Si vedano in proposito le considerazioni svolte da Fernando Mastropasqua (Id., Parola e immagine nella regia del Giulio Cesare di E. G. Craig, "Critica d'arte", LV, 4, 1990) in relazione al bozzetto - pubblicato in Towards a new Theatre - realizzato da Craig per la scena prima dell'atto III del Giulio Cesare di Shakespeare.
28
La morte violenta, subita prima di aver chiesto perdono per i propri peccati, costringe l'anima del re a vagare di notte e ad ardere tra le fiamme dell'inferno di giorno.
29
Curiosamente, Craig, in uno dei colloqui con Stanislavskij, si chiede quale sia il motivo per cui Shakespeare abbia fatto finire il re all'inferno: «Non penserete mica» - dice, rivolgendosi a Stanislavskij - «che va all'inferno perché prima di morire non ha fatto la comunione, spero». Stanislavskij gli fa notare allora che la tragedia consiste proprio in questo: «Amleto [...] vede al di là della vita il padre che soffre e lo prega di liberarlo delle pene; Amleto quindi soffre per l'incapacità di vendicare la morte del padre ...». Craig a questo punto, rispondendo a Stanislavskij, offre una illuminante chiave di lettura della tragedia di Shakespeare: «No, per me la tragedia di Amleto è un'altra: è la tragedia di come vivere mantenendo intatta la propria bellezza morale, la propria spiritualità» (le citazioni sono tratte da Marotti, Amleto o dell'oxymoron, cit., p. 242).
30
Cfr. Marotti, Amleto o dell'oxymoron, cit., p. 242. Cfr. anche Cesare Molinari, Regie e scenografie di Gordon Craig, "Critica d'arte", V, 28, 1958, p. 302.
31
Riferimenti più o meno espliciti al pensiero filosofico di Platone sono costantemente presenti nell'opera artistica e teorica di Craig.
32
Il rapporto esistente tra la Porta spaccata del tempio balinese e il varco determinato dalle due strutture "a grata" rappresentate nel bozzetto dedicato al Giulio Cesare è stato individuato da Fernando Mastropasqua (Id., op. cit., pp. 75-77).
33
Questa tavola si trova riprodotta in: Denis Bablet, Esthétique générale du décor de Théâtre de 1870 à 1914, Paris, Éditions du Centre National de la Recherche Scientifique, 1965. La didascalia del volume specifica che si tratta di un bozzetto realizzato tra il 1896 e il 1900 per le scene prima e quarta [del I atto] dell'Amleto.
34
Questo bozzetto è stato pubblicato nella autobiografia di Craig (Edward Gordon Craig, Index to the Story of my Days. Some Memoirs of Edward Gordon Craig 1872-1907, London, Hulton Press, 1957). La didascalia che accompagna l'immagine è la seguente: Hamlet, act I, 1903. Si tratta con tutta probabilità della scena prima del I atto. Il personaggio in ombra nel varco tra le due strutture architettoniche simmetriche sembrerebbe essere Marcello - che sta sopraggiungendo con Orazio - avvistato da Francisco che ha appena terminato il proprio turno di guardia ed è stato sostituito da Bernardo (raffigurato sugli spalti). Craig potrebbe invero aver inteso raffigurare nel personaggio in ombra lo spettro del re. In questo caso però si tratterebbe di una libera interpretazione della scena, perché il numero e la disposizione dei personaggi non rispetterebbero il testo shakespeariano.
35
Questa tavola si trova riprodotta nella prima edizione di On the Art of the Theatre (Edward Gordon Craig, On the Art of the Theatre, London, William Heinemann, 1911). La didascalia specifica che si tratta di un bozzetto realizzato nel 1904 per la scena quarta del I atto dell'Amleto.
36
«Penso che si possano individuare due tipi distinti di movimento: il movimento del due e del quattro, che è il quadrato, il movimento dell'uno e del tre, che è il circolo. Nel quadrato c'è qualcosa di eminentemente virile, nel circolo qualcosa di eminentemente femminile» (Edward Gordon Craig, Gli artisti del teatro dell'avvenire [1907], in Id., Il mio teatro, cit., p. 30).
37
L'idea di una scenografia completamente nuova basata sulle possibilità offerte dagli screens di dare vita a «mille scene in una», attraverso una composizione e una scomposizione di forme che avrebbero dovuto rendere dinamica la scena, venne portata avanti da Craig proprio a partire dal 1907, anno in cui venne realizzato uno dei due bozzetti dedicati alla scena quinta dell'atto I dell'Amleto analizzati in questa sede. A proposito degli screens si vedano, in particolare, le considerazioni svolte da Bablet (Id., op. cit., pp. 321-325).
38
Come è già stato ricordato in una nota precedente, gli screens verranno poi effettivamente utilizzati per la messa in scena dell'Amleto presso il Teatro d'Arte di Mosca. Subiranno tuttavia delle modifiche di rilievo rispetto alla primitiva concezione craighiana per l'impossibilità della tecnologia teatrale dell'epoca di tradurre in concreto questo rivoluzionario approccio alla scenografia.
39
In campo figurativo si assisteva invece alla riscoperta di Cézanne - l'importante mostra postuma della sua opera è del 1907 -, un altro artista che si era mosso nel campo della pittura in direzione di una semplificazione e squadratura dei volumi che aprirà la strada al cubismo. Molinari (Id., L'opera grafica di Gordon Craig, "Critica d'arte", VI, 34, 1959, p. 231) individua proprio nel bozzetto del 1907 dedicato alla scena quinta del I atto dell'Amleto una stilizzazione di gusto cézanniano.
40
Scrive Craig in un ipotetico dialogo concernente il proprio innovativo modo di concepire la messa in scena: «questa è la quinta scena, una scena di forma e colore, priva di pittura e di disegni, una scena semplificata a cui è aggiunta la mobilità.
Perché questa forma ? Perché schermi o pannelli o muri uniformi, lisci ?
Ve lo dirò. Immaginate che davanti a voi io faccia rapidamente quel che ho messo tanti lunghi anni a fare. Immaginatemi dunque alla ricerca della forma essenziale dell'abitazione umana, così da poter costruire poi l'abitazione-palcoscenico per l'uomo del palcoscenico.
Eseguo rapidamente 250 modelli delle sue varie abitazioni su tutta la terra. Ne faccio due come quelle che usava nel 5000 a. C., tre nel 2000 a. C., cinque nel 500 a. C., dieci nel 100 a. C, venti nel 100 d. C., trenta nel 1000 d. C., sessanta nel 1500 d. C., cinquanta nel 1700 d. C., settanta nel 1900 d. C.
Le metto in fila, le studio.
Il mio scopo è di gettar via ogni parte di ogni abitazione che non si trovi in tutte le altre.
Perché ?
Per scoprire le parti che dall'anno uno tutti gli uomini hanno considerato essenziali.
Perché ?
Per costruire una scena.
Perché ?
Perché il costruire scene è un'attività artistica e non un fabbricar giocattoli.
Non voglio la confusione di un asilo infantile nel mio teatro.
Non voglio perdere ogni anno migliaia di sterline nel solito bric-à-brac del teatro moderno.
È una perdita di denaro, di legno, di tela, e io non voglio disperdere le forze e la caratteristica dello spettatore in quanto spettatore e le capacità dell'artista in quanto artista. L'artista deve parlare agli spettatori attraverso la scena, non deve ostentare di fronte al pubblico una grande casa di bambole.
Dopo aver eliminato in duecentocinquanta modelli ogni particolare che non si ritrova in tutti gli altri, adesso ha solo le parti essenziali che formano l'abitazione dell'uomo. Rimangono le pareti.
Il pavimento.
Il soffitto ... e nient'altro.
E che forma hanno ?
Ci sono colonne sopra o vicino ? Protuberanze ? Nel soffitto, per esempio ? Qualche cornice, qualche bordo ? Ci sono porte, finestre, rialzi, e così via ? No. Perché non ne ho trovati in tutti i modelli ... Ho trovato che le uniche cose presenti in tutte le abitazioni umane sono un pavimento piano, mura piane, un soffitto piano» (Edward Gordon Craig, Scena [1923], in Id., Il mio teatro, cit., pp. 223-225).
41
Andare "verso le cose stesse" significa superare "l'atteggiamento naturale", fondato sulla credenza, per arrivare a cogliere, attraverso la sospensione del giudizio (epoché), le essenze. Appare molto simile l'atteggiamento di Craig, che, riflettendo amaramente sulle difficoltà incontrate per portare a teatro le proprie idee, scrive: «Insomma vi avrei dato la cosa in se stessa, nella sua realtà, non la sua immagine soltanto, se solo fossi stato utilizzato dopo aver mostrato cos'ero capace di fare. Eppure, a dispetto di tanta indifferenza, sono stato in grado di portare il lavoro un passo avanti verso la realtà, portandolo un passo indietro» (Gordon Craig, Scena, cit., p. 222).
42
Gordon Craig, Towards a new Theatre, cit., p. 33.
43
Edward Gordon Craig, L'attore e la supermarionetta [1907], in Id., Il mio teatro, cit., pp. 33-57.
44
A proposito del Verfremdungseffekt si vedano in particolare i seguenti saggi di Bertolt Brecht: Id., Breve descrizione di una nuova tecnica della recitazione che produce l'effetto di straniamento, in Id., Scritti teatrali, Traduzioni di Carlo Pinelli, Mario Carpitella, Emilio Castellani, Paolo Chiarini, Roberto Fertonani, Renata Mertens, vol. I, Torino, Einaudi, 1975, pp. 177-189; Id., Breviario di estetica teatrale, in Id., Scritti teatrali, cit., vol. II, pp. 155-190; Id., Il teatro sperimentale, in Id., Scritti teatrali, cit., vol. I, pp. 155-169.
45
Gordon Craig, Per un nuovo teatro [1913], in Id., Il mio teatro, cit., pp. 181-182. La traduzione, pur restituendo il significato del brano, non è sempre fedele al testo originale in inglese: «As frontispiece to this book, I have another design for this same scene in Hamlet. One was made in 1904, the other in 1907. It shows you what I really think of the actor and his powers. In the 1904 design, you see I have put him in a place where he can dominate with difficulty. In 1907 I put him in a place that would need a hero to dominate it.
Why put the actor in a Guignol Theatre ?
Everyone calls him a puppet, and, by Roscius, if he is to be one, he shall be a superior puppet. He shall be as small as you like, the place shall tower above his little head, and yet he shall dominate it» (Gordon Craig, Towards a new Theatre, cit., p. 33).
46
Gordon Craig, L'attore e la supermarionetta, cit., p. 35.
47
Ivi, p. 34.
48
Denis Diderot, Paradosso sull'attore, a cura di Paolo Alatri, Traduzione di Jole Bertolazzi, Roma, Editori Riuniti, 1979, p. 112.
49
Gordon Craig, L'attore e la supermarionetta, cit., p. 38.
50
Il fatto che in relazione alla citazione che segue venga riportato un brano tratto dal III libro de La Repubblica (Gordon Craig, L'attore e la supermarionetta, cit., p. 38), prova che Craig aveva una conoscenza diretta della filosofia platonica.
51
Gordon Craig, L'attore e la supermarionetta, cit., p. 38. Nel mese di marzo del 1908 Craig pubblicherà su "The Mask" un aforisma di Nietzsche in cui si ironizza a proposito della presunta profondità interpretativa degli attori che si immedesimano nei personaggi: «Filosofia degli attori. È una beata illusione dei grandi attori, che i personaggi storici da essi interpretati abbiano realmente avuto quegli stessi sentimenti che essi provano nel recitare la loro parte, - ma in ciò commettono un madornale errore: la loro forza imitativa e divinatoria, che essi vorrebbero volentieri gabellare per una facoltà chiaroveggente, penetra abbastanza a fondo, ma appunto soltanto per spiegare i gesti, gli accenti e gli sguardi e l'aspetto esteriore in generale; essi colgono cioè l'ombra dell'anima di un grande eroe, di uno statista, di un guerriero, di un ambizioso, di un geloso, di un disperato, penetrando fin nei pressi dell'anima, ma non fino allo spirito dei loro oggetti. Indubbiamente sarebbe una bella scoperta, che occorresse soltanto l'attore chiaroveggente, invece dei pensatori, dei competenti, degli specialisti tutti, per illuminare nelle sue profondità l'essenza di una qualsivoglia condizione ! Tuttavia non dobbiamo dimenticare, appena si fanno sentire tali pretese, che l'attore è appunto una scimmia ideale e scimmia a tal punto che non può affatto credere all'"essenza" e all'"essenziale": tutto è per lui giuoco, suono, gesto, scena, fondale e pubblico» (Friedrich Nietzsche, Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali. Nota introduttiva di Giorgio Colli. Versione di Ferruccio Masini, 3a ed., Milano, Adelphi, 1984, pp. 190-191).
Contro questo "istrionismo della decadenza" Nietzsche proponeva un "istrionismo dionisiaco", inteso come fenomeno di pienezza comunicativa che avrebbe dovuto passare attraverso una rivalutazione della corporeità. Pur prendendo le mosse da una analoga critica nei confronti della figura dell'attore tradizionalmente inteso, Craig approderà invece a opposte conclusioni teorizzando l'avvento di una Über-Marionette che avrebbe portato a teatro una recitazione disincarnata, finalizzata alla evocazione di essenze spirituali. In ogni caso Craig, scegliendo di pubblicare su "The Mask" questa citazione nietzscheana, mostrava di muoversi in una direzione opposta a quella intrapresa da Stanislavskij con la sua teoria della pereivanie. Non stupisce dunque che la messa in scena dell'Amleto al Teatro d'Arte di Mosca sia risultata infine affetta da quello che Marotti definisce un certo "ibridismo" tra le forme esteriori (scenografia, illuminazione, movimenti degli attori) stabilite da Craig e quelle interiori (sentimenti dei personaggi, psicotecnica degli attori) dirette da Stanislavskij (Marotti, Gordon Craig, cit., p. 113; Id., Amleto o dell'oxymoron, cit. pp. 257 ss.).
52
Diderot, op. cit., p. 86.
53
Ivi, p. 115. Nel Paradoxe sur le Comédien la recitazione basata sull'immedesimazione è esplicitamente considerata una prerogativa dei cattivi attori, che non fanno che mostrare a teatro una parte del loro carattere, non riuscendo a generalizzare tale condizione, né tanto meno, a interpretare un personaggio che non sia loro affine: «un metodo sicuro per recitare male, banalmente, è quello d'interpretare il proprio tipo. Se voi siete un tartufo, un avaro, un misantropo, li reciterete bene, ma non farete nulla di ciò che il poeta ha inteso fare; perché, lui, ha creato il Tartufo, l'Avaro, e il Misantropo» (Diderot, op. cit., p. 106).
54
Gordon Craig, L'attore e la supermarionetta, cit., p. 36.
55
Ivi, p. 37.
56
Gordon Craig, L'attore e la supermarionetta, cit., pp. 34-37.
57
Artioli, op. cit., p. 320.
58
Gordon Craig, L'attore e la supermarionetta, cit., p. 42.
59
Il neologismo viene mutuato dal termine nietzscheano "Über-Mensch".
60
Edward Gordon Craig, Contro la stupidità gli dei stessi combattono invano, in Id., Il trionfo della marionetta. Testi e materiali inediti di Edward Gordon Craig, a cura di Marina Maymone Siniscalchi, traduzione di Marina Maymone Siniscalchi, Roma, Officina, 1980, p. 90. Craig ha riflettuto a lungo sul tema della marionetta. Oltre ad aver scritto una serie di brevi testi teatrali per marionette - raggruppati sotto il titolo di Drama for fools -, ha pubblicato su due riviste da lui dirette, dal titolo particolarmente significativo - "The Mask" e "The Marionette" -, una serie di saggi, commenti, interventi riguardanti questa particolare espressione dell'arte teatrale. Pur variando più volte le circostanze della sua presunta origine, Craig ha sempre inteso sottolineare il carattere sacro della marionetta respingendo l'idea che potesse essere considerata soltanto un'immagine degenerata dell'attore. Particolarmente significativa è la favola pubblicata nel 1912 in "The Mask", nella quale un certo Ivanowitch, ovvero Gordon Craig, narra come l'Artista, nato da una lacrima di Dio, abbia incantato gli uomini con la bellezza di una figura modellata a immagine del Padre (cfr. Gordon Craig, Il trionfo della marionetta, cit., pp. 14-15).
61
Gordon Craig, L'attore e la supermarionetta, cit., pp. 55-56.
62
La presenza nel bozzetto di quei tendaggi del sipario di cui Craig aveva sempre negato la necessità a teatro segnalava già prima della lettura del commento che lo spazio rappresentato era in realtà quello di un teatro di burattini.
63
Diderot, op. cit., p. 116. Il termine "marionetta" è stato messo tra parentesi quadre perché non compare nella traduzione curata da Jole Bertolazzi che preferisce usare il termine "burattino". Nel testo originale in francese (cfr. Denis Diderot, Paradoxe sur le Comédien, in Oeuvres Esthétiques, textes établis, avec introductions, bibliographies, notes par Paul Vernière, Paris, Editions Garnier Frères, 1959, p. 148) il termine utilizzato da Diderot è "pantin" che può avere entrambi i significati. Dato il contesto della frase - si parla esplicitamente di fili che ne azionerebbero i movimenti - sembra più opportuno tradurre "pantin" con "marionetta", come d'altra parte aveva fatto Guido Neri in una precedente versione del Paradoxe (Denis Diderot, Paradosso sull'attore, in Scritti di estetica, a cura di Guido Neri, traduzione di Guido Neri, Milano, Feltrinelli, 1957, p. 42).
64
A proposito della figura della Über-Marionette teorizzata da Craig, si veda in particolare: Denis Bablet, Edward Gordon Craig: l'attore e la supermarionetta, "Quaderni di teatro", II, 8, 1980, pp. 23-29.
65
Le analogie tra lo Über-Mensch nietzscheano e la Über-Marionette di Craig sembrano tuttavia fermarsi qui. Come è noto, lo Über-Mensch rappresenta colui che è in grado di volere quell'Eterno Ritorno, che costituisce una radicalizzazione dell'immanenza e una negazione, quindi, della trascendenza platonico-cristiana. Craig si muove invece nella opposta direzione tentando di portare a teatro l'essenza della spiritualità.
66
Edward Gordon Craig, On the Art of the Theatre. Fifth impression with new illustrations, London - Melbourne - Toronto, William Heinemann, 1957, pp. ix-x.
67
Ivi, p. x.
68
Heinrich von Kleist, Sul teatro di Marionette, traduzione di Leone Traverso, in Id., Opere, a cura, con introduzione e note di Leone Traverso, Firenze, Sansoni, 1959, p. 856.
69
Ibidem.
70
Ibidem.
71
In primo luogo la celebre danzatrice Isadora Duncan rappresentava per Craig una esemplificazione del concetto di Über-Marionette (cfr. Gordon Craig, Gli artisti del teatro dell'avvenire, cit., p. 9 e Edward Craig, Gordon Craig, cit., p. 220). Nel corso degli anni, poi, Craig riconobbe in Ettore Petrolini e nei fratelli De Filippo l'immagine di ciò che considerava l'attore perfetto (cfr. Ferruccio Marotti, Gordon Craig, la solitudine, il futuro, in Gordon Craig in Italia. Atti del Convegno Internazionale di Studi. Campi Bisenzio, 27-29 gennaio 1989, organizzato dal Centro Studi Storia del Teatro in Età Contemporanea, a cura di Gianni Isola e Gianfranco Pedullà, Roma, Bulzoni, 1993, pp. 37-38).
72
Gordon Craig, Il mio teatro, cit., p. 182. Si veda il brano citato in precedenza che accompagna la tavola relativa alla scena quinta del I atto dell'Amleto realizzata nel 1907.
73
Gordon Craig, Per un nuovo teatro, cit., p. 182. Craig (Id., Towards a new Theatre, cit., p. 33) usa l'espressione "superior puppet".
74
Gordon Craig, Il mio teatro, cit., p. 182. Nel testo originale in inglese leggiamo: «He shall be as small as you like, the place shall tower above his head, and yet he shall dominate it. His face shall go, nothing shall be left but his actions, and yet he shall dominate it. Movement shall be taken from him, and he shall be placed in so hopeless a situation that nothing but a mask shall be left him, and yet he shall dominate» (Gordon Craig, Towards a new Theatre, cit., p. 33).
75
La tradizione attribuisce a Roscio, attore vissuto nel I secolo a. C., l'introduzione della maschera nel teatro romano (se ne sarebbe servito per nascondere il proprio strabismo). La maschera in realtà veniva già utilizzata sin dagli inizi del teatro romano (cfr. Oscar G. Brockett, Storia del teatro. Dal dramma sacro dell'Antico Egitto agli esperimenti degli anni ottanta, a cura di Claudio Vicentini, Traduzione di Angela De Lorenzis, Venezia, Marsilio, 1988, p. 80).
76
Cfr. Gordon Craig, Per un nuovo teatro, cit., p. 182.
77
Gordon Craig, L'attore e la supermarionetta, cit., p. 38.
78
Il termine latino, probabilmente di origine etrusca, indicava la maschera degli attori.
79
Nel 1907 Craig scriveva a questo proposito, rivolgendosi a un immaginario interlocutore: «Intanto non dimenticare che chi si è avvicinato più di ogni altro al tipo dell'attore ideale, con un perfetto dominio della mente sulla natura, è stato Henry Irving. Su di lui ci sono molti libri, ma il migliore di tutti resta il suo volto. Procurati tutti i suoi ritratti, le fotografie, i disegni che riesci a trovare, e prova ad esaminarli. [...] [T]i troverai di fronte a una maschera» (Gordon Craig, Gli artisti del teatro dell'avvenire, cit., p. 9).
80
Ibidem.
81
Gordon Craig, L'attore e la supermarionetta, cit., p. 44.
82
«Amleto non è adatto per sua natura alla rappresentazione scenica; Amleto e le altre opere shakespeariane hanno una forma così perfetta alla lettura, che vengono inevitabilmente a perdere moltissimo quando ci son presentate dopo aver subito un trattamento scenico» (Gordon Craig, L'arte del Teatro [1905], in Id., Il mio teatro, cit., pp. 85-86). Qualche anno dopo Craig ribadirà questo concetto citando un simile giudizio espresso da Goethe sempre a proposito dei drammi di Shakespeare (cfr. Gordon Craig, I drammi di Shakespeare [1908], in Id., Il mio teatro, cit., p. 154).
83
cfr. Gordon Craig, Gli spettri nelle tragedie di Shakespeare, cit., pp. 152-153.
84
Scrive Craig: «Le scorciatoie non ci interessano, e neppure ci interessano i lavori d'effetto e il denaro» (Gordon Craig, Gli artisti del teatro dell'avvenire, cit., p. 18). Scriveva Diderot negli Eléments de physiologie: «L'acteur a pris l'habitude de commander à ses yeux, à ses lèvres, à son visage. Ce n'est pas l'effet du sentiment subit de la chose qu'il dit, c'est l'effet d'une longue étude» (Denis Diderot, Eléments de physiologie, édition critique, avec une introduction et des notes par Jean Mayer, Paris, Libraire Marcel Didier, 1964, p. 293).
85
Gordon Craig, Per un nuovo teatro, cit., p. 182. Nel testo originale in inglese troviamo scritto: «But all this shall be done only at enormous self-sacrifice for the sake of the theatre. 'But why sacrifice ?' says somebody. Well, if it can be done in any other way, all the better, but it never has been done, and it seems that it never will be done. 'Why ?' you ask. Well, when you have answered all the questions the poet asks about the flower in the crannied wall you will be much wiser than ever I could be, and there will be no need to ask me. If there are no mysteries in life, then life is of absolutely no value; but every tiny thing is a great mystery, and every tiny thing should be treated as such.
So shall we develop ourselves and dominate the world and that much more difficult thing - ourselves. Then we shall indeed be ACTORS» (Gordon Craig, Towards e new Theatre, cit., p. 33).
86
Cfr. Martin Heidegger, L'origine dell'opera d'arte, in Id., Sentieri interrotti, Presentazione e traduzione di Pietro Chiodi, Firenze, La Nuova Italia, 1984, pp. 3-69.
87
Shakespeare, op. cit., Atto I, scena 5, vv. 175-176. Craig conclude un breve saggio dedicato alle figure degli spettri nelle tragedie di Shakespeare proprio con questa citazione tratta dall'Amleto (cfr. Gordon Craig, Gli spettri nelle tragedie di Shakespeare, cit., p. 153).
DIDASCALIE
Fig. 1
Edward Gordon Craig, Hamlet, atto I, scena 5 (1904).
Bozzetto pubblicato in: Edward Gordon Craig, Towards a new Theatre. Forty Designs for Stage Scenes with critical Notes by the Inventor Edward Gordon Craig, London & Toronto, J. M. Dent & sons Limited, 1913.
Fig. 2
Edward Gordon Craig, Dido and Aeneas (1900).
Bozzetto pubblicato in: Janet Leeper, Edward Gordon Craig, Designs for the Theatre, London, Penguin Books, 1948.
Fig. 3
Edward Gordon Craig, [s. t., s.d.].
Bozzetto pubblicato in: Edward Gordon Craig, Woodcuts and some Words, with an Introduction by Campbell Dodgson, C. B. E., London & Toronto, J. M. Dent & sons LTD, 1924.
Fig. 4
Edward Gordon Craig, [s. t., s.d.].
Bozzetto pubblicato in: Edward Gordon Craig, Woodcuts and some Words, with an Introduction by Campbell Dodgson, C. B. E., London & Toronto, J. M. Dent & sons LTD, 1924.
Fig. 5
Edward Gordon Craig, Hamlet, atto I, scena 2 (1910).
Bozzetto pubblicato in: Edward Gordon Craig, Towards a new Theatre. Forty Designs for Stage Scenes with critical Notes by the Inventor Edward Gordon Craig, London & Toronto, J. M. Dent & sons Limited, 1913.
Fig. 6
Edward Gordon Craig, Hamlet (1907).
Bozzetto pubblicato in: Edward Gordon Craig, Towards a new Theatre. Forty Designs for Stage Scenes with critical Notes by the Inventor Edward Gordon Craig, London & Toronto, J. M. Dent & sons Limited, 1913.
Fig. 7
Edward Gordon Craig, Hamlet [s.d.].
Bozzetto pubblicato in: George Nash, Edward Gordon Craig 1872-1966, London, Her Majesty's Stationery Office, 1967.
Fig. 8
Edward Gordon Craig, Hamlet, atto I, scene 1 e 4 (1896-1900).
Bozzetto pubblicato in: Denis Bablet, Esthétique générale du décor de Théâtre de 1870 à 1914, Paris, Éditions du Centre National de la Recherche Scientifique, 1965.
Fig. 9
Edward Gordon Craig, Hamlet, atto I (1903).
Bozzetto pubblicato in: Edward Gordon Craig, Index to the Story of my Days. Some Memoirs of Edward Gordon Craig 1872-1907, London, Hulton Press, 1957.
Fig. 10
Edward Gordon Craig, Hamlet, atto I, scena 4 (1904).
Bozzetto pubblicato in: Edward Gordon Craig, On the Art of the Theatre, London, William Heinemann, 1911.
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