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Bruno Munari. Dalla copertina alla coperta, fino al riciclaggio del ciclo  
Francesco Franco
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 21 Marzo 2007, n. 451
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Nel 2007 ricorre il centenario della nascita di un artista che gode di un folto gruppo di estimatori entusiasti. Dopo aver guardato alle principali avanguardie e movimenti del Novecento (dal Futurismo, al Dadaismo, al MAC, fino al Nouveau Realisme), spesso tenendosi a una certa distanza critica, Munari si occupa, fin dagli anni Settanta, di laboratori didattici per i bambini, mostrando un modo differente di guardare l'arte, i suoi materiali e il mondo in cui viviamo.

Un artista affermato che si mette a realizzare lavori artistici tra i bambini, con forte entusiasmo, come uno di loro (appena più esperto), suscita da subito una forte attenzione tra gli operatori didattici, molto viva ancora oggi.

L'entusiasmo degli insegnanti, dei pedagoghi e di varie associazioni culturali sembra essere superiore, soprattutto in questo inizio di secolo, rispetto agli studi degli accademici, non molto numerosi neppure in passato.

In una quindicina di cartelle, le prime di altri saggi che proporrò sull'opera di Munari, vorrei soffermarmi solamente su due differenti "libri d'artista": Prima del disegno (Corraini, 1996) e Libro letto (Interflex, 1993). Cercherò di evidenziare la sua attenzione per la realizzazione materiale e grafica di due differenti "libri-oggetto", parallelamente all'interesse per gli aspetti narrativi, poetici, critici e anche didattici. Concluderò poi con l'analisi de Sul riciclaggio (1993), un brevissimo racconto-saggio, sull'operazione giocosa della trasformazione degli oggetti, uno dei procedimenti estetici alla base dell'arte del Novecento e del lavoro di Munari artista, ma anche "narratore" e "saggista".


In Prima del disegno il lavoro di Munari, per la realizzazione materiale dei volumi, non si applica su ogni singola copia (come talvolta accade nei libri-oggetto), ma riguarda ogni aspetto progettuale e grafico. L'artista è autore del testo, dei disegni e del progetto grafico di un piccolo volume composto solamente con trentanove proposizioni, difficilmente collocabile nell'ambito dei generi letterari. È un libro di narrativa, di saggistica ? Di che tipo di narrativa o saggistica ?

Più facile definire il suo genere editoriale. È un "libro d'artista" in edizione economica, tipologia sulla quale Munari lavora volentieri e che descrive in alcuni aspetti essenziali, precedenti la "scrittura" delle pagine:

    il libro è un oggetto che delimita un blocco di spazio. Per attraversare questo spazio occorre sfogliare [...]. Ci si mette un certo tempo ed è come una passeggiata nella neve. Per entrare [...] bisogna aprire la copertina, che è come una porta che permette l'attraversamento del libro (Munari 1993, p. 7).

L'analogia copertina-porta viene espressa graficamente da Munari già nel '45, quando nel suo primo libro per bambini, who's there ? Open the door ! (ripr. in Tanchis 1986, p. 92), disegna sulla copertina una porta con un oblò da cui si scorgono un muso e un occhio di un animale misterioso, che ci spingono a entrare.

L'invito alla lettura e alla visione, in modo più discreto e sottile, è presente anche in Prima del disegno. Attraverso una sottile feritoia sulla copertina, del tutto simile per forma e proporzioni a quella dei suoi "occhiali paraluce", oggetto di carta dal sapore un po' dadaista (Molinari 1999, pp. 16, 17), vediamo subito qualcosa che sta all'interno del volume: due segmenti retti, di pochi millimetri, divergenti (uno quasi verticale, l'altro diagonale), tracciati su una carta ruvida da disegno.

Ma aprendo la "porta" del libro tutto cambia: i due segni (accompagnati da un terzo, di orientamento opposto, invisibile dalla feritoia) si rivelano come due archi di circonferenza. Visti dalla strettissima apertura della copertina, che ne mostrava pochi millimetri, erano apparsi rettilinei (la curvatura infinitesimale di un piccolissimo tratto di un arco di circonferenza non viene percepita dall'occhio).

Già a questo punto, all'inizio dell'esperienza di lettura-visione della copertina e del frontespizio, si svolge una comunicazione complessa attraverso il titolo, la feritoia, i segni e l'azione del voltar pagina. Leggendo il titolo del libro ci si chiede cosa ci sia Prima del disegno, quale sia esattamente l'argomento di un volume così intitolato. Attraverso la feritoia si riceve una prima risposta parziale, poi la pagina dietro la copertina toglie ogni ambiguità: prima del disegno c'è il "Segno". Con la lettura, successivamente, si apprenderà che esso è il protagonista anche del racconto interno.

Si può vedere il volumetto come una forma narrativa ibrida, un "racconto illustrato", o come un insieme di illustrazioni "narrate" dalle didascalie. È difficile stabilire se Munari sia partito dal testo, per creare poi le immagini o viceversa. Marzia Corraini, curatrice ed editrice della collana in cui il libro è stato pubblicato, afferma che le didascalie sono state realizzate dopo aver scelto i "segni" da pubblicare, alcune "a gruppi", altre singolarmente (Notizie fornite per e-mail da Marzia Corraini, il 7/7/2003). Resta forte, comunque, l'idea che Munari realizzi i "segni" spesso avendo già in mente (o manoscritta) la descrizione verbale da apporvi successivamente: i segni sono, in buona parte, l'esemplificazione grafica delle sue fantasie e teorie (empiriche) sul mondo del segno e del disegno. Il tratto che accomuna sia la scrittura sia i disegni è l'economia degli elementi. Per Munari «ogni artista inventa o sceglie il segno che caratterizzerà il suo disegno. Il segno è la linea caratterizzata come texture, come spessore e materia che costituirà il disegno» (Munari 1994a, p. 138).

Prima del disegno non è uno dei "libri illeggibili" che Munari progetta, in vari momenti, fra il 1949 e il 1992, in cui «non c'è nulla da leggere ma molto da conoscere attraverso i sensi» (ivi, p. 8), poiché all'interno non vi è nulla di scritto. Non «è un libro che comunica per forme e colori, per sequenze, per materie ([...] pagine lisce e pagine ruvide, oppure molli e rigide...)» (ivi). È un volume (nel senso geometrico del termine) che contiene «un racconto visivo che si può "leggere" anche attraverso il formato del libro, per esempio, il tipo di carta che si è impiegato, i colori, i tagli» (Pittarello 1993, p. 13). Sicuramente «il formato del libro, a volte, aiuta a comprendere meglio un messaggio» (ivi, p. 58). Le dimensioni del volume di Munari sono contenute: può essere maneggiato senza sforzo, si può portare con sé quasi come un breviario, un "libro delle ore" in cui a ogni riflessione sul segno si accompagna un'immagine che aiuta la meditazione: «È un libro di comunicazione plurisensoriale, oltre che visiva» (Munari 1993, p. 8).

In ogni pagina c'è una frase che accompagna un'immagine segnica. Il testo si apre con quattro domande:

    [insieme di segni] Quanti segni ci sono per fare i disegni ?
    [insieme di segni] Che importanza ha il segno per il disegno ?
    [insieme di segni] Cosa comunicano i segni di diverso spessore ?
    [insieme di segni] Come stanno assieme due segni diversi ? (Munari 1996, pp. 3, 5, 6, 8)

Ogni interrogativo viene accompagnato da un'immagine che non risponde a esso, ma dà solo un'esemplificazione di alcuni elementi ai quali la domanda può riferirsi. Il primo quesito è il solo al quale si potrebbe dare una risposta secca, numerica: i segni di Munari, che accompagnano la frase nel bianco della carta da disegno Fedrigoni, sono di due tipi: punti e linee.

È forse questa la risposta ? I punti e le linee sono i soli tratti esistenti per fare i disegni ? Anche se questa fosse la soluzione, sarebbe solo una delle tante possibili che l'immagine dà al testo. A ben guardare molte di queste lineette corte e curvate sembrano virgole, alcune nascono da un punto, per un secondo movimento dello strumento che, scivolando, le origina. 'Punti' e 'linee', due tipologie di segni necessarie per fare un disegno, ma anche per comporre un testo scritto: gli elementi della creazione grafica sono gli stessi del testo ? Una domanda che Munari non scrive ma provoca con le sue forme.

Ma gli interrogativi restano aperti (come l'opera), come il libro di Munari che narra le vicende del "Segno", un solo personaggio, dalle molte identità. Dopo le quattro domande d'apertura, infatti, inizia la narrazione: il segno «verticale è imponente [...] spezzato è geografico [...] sottile determina uno spazio dove il segno grosso balla come un matto» o «si spezza senza alcun rumore» (ivi, pp. 10, 14, 20, 28). Può costituire «l'inizio di un prato» o «lo spazio di un sospiro [...] insetti non ben definiti» (ivi, pp. 30, 32, 34).

Può girare «come una trottola», restando «fermo» (ivi, p. 36). Fa tantissime cose questo personaggio di Munari, come i protagonisti dei racconti di Gianni Rodari ai quali spesso Munari, nelle sue illustrazioni, dà un segno grafico d'esistenza.

Molti anni prima di realizzare Prima del disegno, Munari illustra Favole al telefono di Rodari, del 1962, per Einaudi. "Alice cascherina", protagonista dell'omonimo breve racconto di Favole al telefono, si muove quanto il personaggio "Segno" di Munari in Prima del disegno. Com'esso ha moltissime avventure: entrambi svirgolano nei testi e nei disegni e, forse, proprio la ritmicità, il rotolare della scrittura e delle immagini testuali di Rodari, danno a Munari alcune idee grafiche per interpretare i raccontini dello scrittore. In Prima del disegno, invece, Munari, come scrittore e illustratore, arriva a spingere parole e segni in una dimensione testuale e figurativa a tratti "ermetica", spesso straniante, di impostazione anche filosofica a volte (semiotico-estetica).

Di tutt'altra impostazione sono, invece, i disegni che illustrano le raccolte di Rodari, Filastrocche in cielo e in terra (1960) e Favole al telefono, dove l'elemento cromatico complica l'azione del segno. La pagina, inoltre, è concepita per accogliere i testi: il disegno spesso gira intorno a essi, si ritaglia il suo spazio tra le righe, interferendo a volte con la narrazione, sovrapponendosi ai caratteri tipografici. Nel raccontino in versi Como nel comò, ad esempio, si racconta che, a causa di un accento, gli abitanti di Como finiscono chiusi in un comò (Rodari 1993, p. 11). Mentre legge questa frase il lettore si rende conto di essere finito nel comò anch'egli, poiché Munari, col suo disegno, ha chiuso in un cassetto del suo comò, disegnato in giallo, la frase dello scrittore e chiunque capiti in quel punto del testo con gli occhi immersi nella lettura. Il disegno rafforza l'immagine mentale che deriva dalla scrittura.

L'interazione tra testo e figure, frequente nelle due raccolte rodariane, manca del tutto in Prima del disegno, dove Munari è autore sia del testo sia dei disegni. Qui, nello spazio della pagina bianca, scrittura e immagine sono sempre graficamente indipendenti, ma il loro legame semantico è comunque forte. Nei libri di Rodari, Munari deve illustrare testi altrui e i disegni, quindi, seguono la sua personale lettura del testo narrativo: prima viene il testo poi l'illustrazione, com'è consuetudine di ogni libro letterario.

Al contrario in Prima del disegno Munari, come unico autore, sembra partire da alcune immagini che hanno tra loro rapporti segnici, per accennare alla storia del segno che le "abita": «l'importante è sempre il racconto ottenuto attraverso le possibilità della tipografia e non semplicemente della letteratura» (Tanchis 1986, p. 30).

Ogni coppia di pagine del libro è composta da una didascalia nella pagina di sinistra (quasi sempre in alto) e da un'immagine sulla destra (che raramente occupa entrambi i fogli).

Si potrebbe definire un libro d'aforismi illustrato, sul tema del segno, ma, il rapporto narrativo che collega le proposizioni sembra essere troppo forte per una raccolta di argute sentenze.

Sembra più un racconto, concepito come una serie di proposizioni staccate, un tentativo di narrare le possibilità di esistenza del Segno in un mondo figurativo pre-disegnativo, con un'economia testuale nella quale è «soprattutto la carta a comunicare, come materiale» (Pittarello 1993, p. 35), come supporto che precede il disegno. Munari sa che «il libro come oggetto, ha le sue costanti nel materiale, nel formato e nella rilegatura e inoltre nell'azione dello sfogliare che si svolge nel tempo e che ha dunque un ritmo visuale-temporale» (ivi, p. 36). Questo ritmo visuale-temporale dipende dal racconto e dalla quantità di elementi "da leggere" (grafici, semantici, sintattici, estetici, ecc.). Per Enrico Morteo lo scrittore-illustratore vuole «mettere in luce la struttura delle cose (dei segni, dei linguaggi, delle forme ...). Se dovessi dare una definizione sintetica di Munari, sceglierei l'immagine di uno strutturalista implacabile» (Morteo 1999, p. 10).

Il titolo del libro viene tradito al suo interno, dove i segni sono quasi sempre organizzati in 'disegno', in immagini spesso non figurative o con un variabile grado di figurazione. È difficile stabilire quando ci si trovi in presenza di 'segni puri' e quando invece essi costituiscano una 'figura'. Per Munari esiste il segno puro, assoluto, che viene dal nulla ? Il punto di partenza è ancora e sempre il foglio da disegno (la pagina bianca per lo scrittore):

    Il fatto che Munari in giapponese significhi "fare dal nulla" mi sembra una bella coincidenza. Conoscevo bene Munari [...], quando parlavamo di astrattismo [...] cercava, appunto, di cominciare da zero; cercava sempre  di capire che cosa potevano essere i simboli, le suggestioni, l'alfabeto sul quale poter poi impostare, forse, discorsi lunghi. Partire da zero era un po', secondo me, la sua ossessione (Sottsas 1999, p. 22).

In uno scritto intitolato Un linguaggio di simboli e di segni ? Munari manifesta l'intenzione di comporre un racconto solamente con segni e simboli:

    Se noi ora proviamo a usare tutti questi segni e simboli, mescolandoli secondo una necessità di espressione, supponendo che essi siano già noti, come lo saranno in futuro, possiamo cercare di fare un racconto che abbia un senso ? È chiaro che ci vuole anche una certa elasticità di lettura, di interpretazione [...]. Proviamo a usare i simboli come si usano le parole nelle poesie: parole che hanno più di un significato e che secondo come e dove sono messe cambiano espressione. [...]
    Il discorso dovrebbe essere molto chiaro, in certi punti troppo chiaro, in altri addirittura ermetico come nella poesia (Munari 1972, pp. 76, 78).

Tutto quello che Munari si propone di fare in questo scritto viene portato a compimento in Prima del disegno.

In Un linguaggio di simboli e di segni ?, infatti, alla fine del testo non racconta una storia, come afferma di fare, ma compone una brevissima poesia visiva, in cui il testo ha lo stesso incolonnamento dei simboli grafici convenzionali, di cui costituisce l'esatta decodifica verbale, utilizzando il codice riportato alla pagina precedente. Al contrario in Prima del disegno non c'è alcun "vocabolario" per i segni grafici e i termini che utilizza: le operazioni di scrittura e di lettura non sono semplici azioni binarie di codifica e ricodifica sulla base di un codice allegato, ma assumono un'ambiguità molto più ampia. Munari, in questo libro, non si preoccupa di "farsi capire bene", a tutti i costi:

    Per farsi capire bene, bisogna subito mettersi in contatto con gli stereotipi mentali di chi ti ascolta, altrimenti non capisce. Se non si stabilisce questo contatto, il ricevente non sa cosa pensare delle tue affermazioni, perché non sa come riferirle a qualcosa che già conosce (Meneguzzo 1993a, p. 112).

Anche se Prima del disegno si pone, iniziamente, come un'opera "intellettuale" è un libro quasi vuoto. In un libro quasi vuoto è più facile entrare. Se il volume è completamente pieno di parole può scoraggiare un lettore pigro; se invece è composto di testi brevi, e può essere letto un po' alla volta, attrae maggiormente.

Ci sono molti modi, per Munari, in cui un libro può essere "letto". Per fare un libro di Roberto Pittarello racconta vari modi, insegnati ai bambini, per costruire manualmente i loro testi, in tutte le fasi di lavorazione, a partire dal semplice foglio di carta. Munari nel 1993, nella prefazione a questo testo, definisce il libro come «un oggetto che delimita un blocco di spazio», nel quale «per entrare [...] bisogna aprire la copertina, che è come una porta che permette l'attraversamento del libro» (Munari 1993, p. 7). Questo "attraversamento del libro" è ottico, manuale, ma non pienamente corporeo. Per Munari questo è un limite ? Perché il lettore possa entrare fisicamente nel racconto, farsi "avvolgere" completamente nella lettura, deve poter entrare anche col proprio corpo (non solo con le mani) nel Libro Letto.

È questo il nome di un letto creato dal designer insieme a Marco Ferreri e prodotto dalla Interflex, composto di pagine colorate realizzate in vari materiali, sui margini delle quali è scritto un breve racconto con poche frasi. Piegato si sfoglia come un grande libro (sono le dimensioni a determinare la tipologia di un oggetto ?), ma scomponendo, slegando le sue pagine dalla copertina-coperta, è possibile entrarvi dentro, senza interrompere la lettura:

    il bambino ha l'impressione [...] di diventare personaggio del racconto: il libro si apre, si distende, si fa letto, ma ancora si piega, diventa tenda, diventa capanna, diventa recinto (Cavadini 1999, p. 36).

È un luogo dove è possibile il gioco, la proiezione, la simulazione, il racconto; è una «struttura semplice, da lasciare come suggerimento perché il bambino vi si insedi, ne inventi le funzioni, vi si nasconda, vi si adagi, vi si rinchiuda, vi faccia la sua casa» (ivi).

Friedrich Hölderlin ha scritto in un libro: «poeticamente abita l'uomo su questa terra» (cit. e comm. da Heidegger 1976, p. 127). Nel libro-letto di Munari questo "abitare" diventa reale, con uno sguardo a modelli d'uso abitativo orientale, in particolare giapponesi, in cui il contatto col suolo è mantenuto costantemente in tutte le attività primarie dell'uomo.

L'autore scrive alcune frasi che analizzano l'oggetto in modo poetico e giocoso:

    è un libro abitabile / [...] piccoli sogni / sono già nelle pagine / un sogno morbido di gatti / [...]. basta sdraiarsi / sulle pagine scelte / le materie diverse / stimoleranno i sogni / come quando / si dormicchia sull'erba / o sulla spiaggia / coprendo la sabbia / con un asciugamano di spugna / o sul velluto di un divano / o sulla pelliccia di pecora. / [...] le brevi frasi / del testo da leggere / sono combinabili tra loro / in storie diverse. / Ogni libro è letto / ma ogni letto / non è anche un libro (Munari 1994b, p. 57).

È una creazione che porta a nuovi esiti la tipologia del "libro-oggetto" come luogo di espressione delle arti visive.

Al pari di Rodari nei suoi racconti, anche Munari parte dal linguaggio, dai vari significati delle parole a seconda dei contesti, arrivando a creare, attraverso un doppio senso, un oggetto reale, tridimensionale, che può essere usato.

In un raccontino di Rodari, come s'è visto, per colpa di un accento, la città di Como diventa un comò che Munari, col suo disegno, rende reale sulla pagina. Nell'idea che porta al Libro Letto si parte, forse, dal termine 'copertina', nel senso letterale del diminutivo, "piccola coperta"; ma anche dall'idea che la lettura, soprattutto quella delle favole, di cui Munari è scrittore e illustratore, concili il sonno. Non serve portarsi un libro a letto se si può dormire in un libro. Il Libro Letto è 'letto', ovviamente, sia come "nome comune di cosa", sia come "participio passato" del verbo leggere.

Se Rodari fosse vissuto abbastanza per vedere questa creazione di Munari ne avrebbe tratto un raccontino (magari giocato su un tale che aveva letto il proprio letto o andava a dormire ogni sera nel suo libro, infilandosi sotto la sua copertina).

Non è un'invenzione che si pone prevalentemente come opera d'arte, come un'istallazione in una galleria, in cui lo spettatore può entrare. È un oggetto comune, pensato per la casa, uno spazio d'uso che nasce dal legame di due oggetti spesso usati uno nell'altro (il libro a letto). È anche un oggetto che porta con sé una leggera provocazione, di sapore dadaista. Non è un ready-made modificato, o un materasso su cui l'artista si esprime (come il famoso Letto di Robert Rauschenberg): è un'ibridazione di design fra due tipologie di oggetti. In un'intervista, a Munari viene chiesto: «Ti senti un neodadaista in senso costruttivo ?» (Marucci 1986, p. 13). L'artista risponde: «Sì, forse è una buona definizione, perché il Dada rompe i codici, ma non bisogna soltanto fare questo, occorre anche dare qualche esempio di quello che potrebbe essere una produzione nuova» (ivi).

Semplice ed eccezionale l'idea, importante il processo:

    più che altro io penso che quello da considerare sia il passaggio di una forma, che ha delle dimensioni, attraverso una metamorfosi, come fluida, per diventare un'altra. Allora non si ha più una forma definita, ma un momento di passaggio da una forma a un'altra, e questo è riconoscibile soltanto attraverso il movimento e attraverso l'azione del farlo, e non tanto nell'oggetto finito in sé (Hajek 1999, p. 138).

La presa di possesso dello spazio nei suoi libri, nelle istallazioni e negli ambienti, è totale «e sempre attuata con un dispiegamento di mezzi minimo, al limite dell'evanescente» (Vaccari 1999, p. 140).

I segni di Munari sono rielaborazioni di una tradizione figurativa e astratta precedente o sono elementi primari del disegno e della pittura che provengono, per sottrazione, dall'osservazione diretta degli elementi del mondo naturale ?

Nell'esperienza culturale di Munari, nel suo sguardo al mondo, un disegno, un quadro, o una radice sembrano essere tutti elementi "naturali", appartenenti al cosmo, prodotti dell'agire di esseri viventi. La differenza naturale/artificiale nel suo pensiero e nel suo fare artistico sembra non avere alcuna importanza: il suo atelier è pieno di "elementi naturali", è «un vero e proprio memento sull'origine della progettazione» (Meneguzzo 1993b, p. 8).

È presente nell'artista «l'idea di una "naturalità" strutturale insita in ogni cosa» (Tanchis 1986, p. 32, ma v. anche p. 66). Tutto può essere 'natura' e tutto 'cultura', tutto può essere oggetto di rappresentazione visiva o di racconto.

In Prima del Disegno c'è un insieme di segni che riproduce una radice raccolta a Monte Olimpino (Como), luogo di soggiorno dell'artista, «come segno dell'albero che fu» (Munari 1996, p. 54). Munari sa che l'uomo proietta sul mondo le proprie categorie mentali: si può vedere ogni cosa come segno di qualcos'altro. I segni della natura sono 'segni' solo nel mondo dell'uomo:

    L'astrazione e il pensiero astratto non esistono in natura: l'astrazione è una ricerca dell'essenzialità, per poter essere memorizzabile, codificabile (Meneguzzo 1993a, p. 103, ma v. anche p. 104).

Ma i segni, astrazioni umane, possono essere ricombinati e piegati a "significare" più cose, dando agli artisti visivi e agli scrittori la possibilità dell'ambiguità di rappresentazione, dell'allusione.

Anche il riciclaggio di alcuni oggetti può diventare un'operazione attributiva di senso, nel momento in cui tali oggetti vengono intesi come 'segno' di qualcos'altro nell'arte visiva e nella narrativa.

Sul riciclaggio, un brevissimo racconto di Munari, fonde i piani della realtà, del presente del passato e della storia delle arti visive. Il riciclaggio industriale, il riuso dadaistico dell'oggetto, le "polpette della nonna", l' "acrobata" sono tutti elementi che interagiscono nel testo:

    Un tale in bicicletta sta andando al laboratorio di riciclaggio dei materiali, a consegnare un sacco di rifiuti di materie plastiche indefinite.
    Il problema del riciclaggio [...] presenta molti sotto-problemi: il nuovo materiale che si ricava dal riciclaggio non ha le stesse caratteristiche che lo stesso materiale aveva prima, ma ne ha abbastanza per poterlo usare in altri casi da definire. In natura, dove tutto si ricicla, un frutto ha dentro di sé il seme col quale si può riciclare e produrre altri frutti uguali.
    [...] qual è il seme della plastica ? [...] Stanco di aspettare la risposta quel tale in bicicletta sta ora andando dal ciclista a prendere alcuni pezzi di ricambio che deve consegnare a un suo amico di nome Pablo [...]: un manubrio e una sella di bicicletta da corsa (Munari 1994c, p. 184).

Poi Pablo ricompone i due oggetti in modo differente «e tutti vedono in questa composizione un teschio di toro con le corna»: «questa operazione si definisce "riuso"» (ivi).

Chi non conosce l'opera d'arte alla quale Munari si riferisce forse si perde un po' del divertimento del racconto sul riciclaggio, dove il protagonista è un ciclista che, verso la fine del racconto, dona la parte anteriore della sua bicicletta a Marcel Duchamp, per farne una (nota) scultura dadaista, mentre un acrobata del circo, passando da lì per caso, si fa dare anche l'altra ruota:

    anche questa seconda ruota venne riciclata anzi riusata, completata con sella e pedali. L'acrobata (tutti l'abbiamo visto) andava avanti dritto e in curva, faceva come niente marcia indietro, restava anche fermo, si spostava a zig zag. Tutti applaudirono. E così si concluse il ciclo del ciclo (ivi, p. 185).

Munari colloca Pablo nella storiella, senza dire esplicitamente che si tratta del celebre artista Pablo Picasso: descrivendo i principali elementi di due note opere, lascia ai suoi lettori, estimatori d'arte, la possibilità di riconoscere l'identità del personaggio.

Molti libri di Munari «sono indirizzati a un lettore adulto che conosca già, e apprezzi, il modo munariano di lavorare, di progettare e di raccontare il proprio lavoro [...], indirizzati cioè a un pubblico la cui capacità di astrazione si ritenga abbastanza elevata» (Meneguzzo 1993b, p. 96).

La scrittura di Munari si esprime su ogni cosa, talvolta letteralmente, "applicandosi" agli oggetti. Alla ricerca di una "narrazione continua" l'artista crea quasi una forma di "scrittura continua", che coincide con le costruzioni dei suoi pensieri e si interrompe con essi per ricominciare altrove, su un'altra pagina.







Riferimenti bibliografici

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Luigi Cavadini, Libro Letto, in Finessi 1999, p. 36.

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Beppe Finessi (a cura di), Su Munari: 104 testimonianze + 152 inediti di Bruno Munari, Milano, Abitare Segesta, 1999.

Hajek 1999
Miroslava Hajek, Nello spazio, in Finessi 1999, pp. 136-139.

Heidegger 1976
Martin Heidegger, Poeticamente abita l'uomo, in Id., Saggi e Discorsi, Milano, Mursia, 1991 (trad. di Gianni Vattimo), pp. 125-138.

Marucci 1986
Luciano Marucci, Viaggi nell'arte. Creativa mente. Incontro con Bruno Munari, Cauda Pavonis, 1986.

Meneguzzo 1993a
Marco Meneguzzo, Intervista. Tecnica per usare la tecnica, in Meneguzzo 1993b, pp. 103-118.

Meneguzzo 1993b
Marco Meneguzzo, Bruno Munari, Laterza, Bari 1993.

Molinari 1999
Luca Molinari, Occhiali paraluce, in Finessi 1999, pp. 16-17.

Morteo 1999
Enrico Morteo, Good Design, in Finessi 1999, pp. 10-11.

Munari 1972
Bruno Munari, Un linguaggio di simboli e di segni ?, in Id., Arte come mestiere, Bari, Laterza, 1972 (ampliata rispetto alla I ed. del 1966), pp. 73-79.

Munari 1993
Bruno Munari, Libri senza parole, in Pittarello 1993, pp. 7-9.

Munari 1994a
Bruno Munari, I laboratori, in Munari 1994d, pp. 136-167.

Munari 1994b
Bruno Munari, Libro Letto, in "Domus", nº 760, Maggio 1994, pp. 57-59.

Munari 1994c
Bruno Munari, Sul riciclaggio, in Munari 1994d, pp. 184-185.

Munari 1994d
Bruno Munari, Codice ovvio (a cura di P. Fossati), Einaudi, Torino 1994 (ed. ampliata di una I ed. del 1971).

Munari 1996
Bruno Munari, Prima del disegno, Corraini, Mantova 1996.

Pittarello 1993
Roberto Pittarello, Per fare un libro, Sonda, Torino 1993.

Rodari 1993
Gianni Rodari, Filastrocche in cielo e in terra, in Id., I cinque libri, Einaudi, Torino 1993, pp. 3-189.

Sottsass 1999
Ettore Sottsass, Mu-nari = fare dal nulla, in Finessi 1999, p. 22.

Tanchis 1986
Aldo Tanchis, Bruno Munari, Milano, Idea Books, 1986.

Vaccari 1999
Franco Vaccari, Mostre in un baule, in Finessi 1999, p. 140.












 
 

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