Architetto,
designer, artista, membro onorario della Bezabel Academy of Arts and Design di
Gerusalemme, Chevaler des Arts et des Lettres in Francia, premiato con
l'Architectural League a New York: Alessandro Mendini. Ospite alla Casa del
mago (Casa Depero) a Rovereto, con sue opere in mostra fino al 17 ottobre,
incontra al Mart giovani architetti e artigiani, chiacchierando e progettando
insieme a loro, durante un workshop lungo un giorno.
In
comune il mago e l’arlecchino hanno un mondo fiabesco di oggetti, mobili,
pitture, ambienti, installazioni intrecciate, complesse, polemiche,
paradossali, ironiche, letterarie, come racconta Nicoletta Boschiero, curatrice
della mostra insieme a Gabriella Belli. “Da
Depero a Mendini si rinnovano le promesse che già in epoca futurista hanno
ri-fondato il gusto della vita di tutti i giorni, quelle attese di felicità che
hanno arricchito le nostre case di oggetti straordinariamente belli, quelle
speranze di una quotidianità full colours in cui l’uomo-bambino possa vivere
liberamente”, scrive Belli nel catalogo che accompagna la mostra.
Stappare
una bottiglietta Campari (Depero) con un cavatappi Alessi (Mendini) è uno di
quei gesti che racchiude il segreto di un secolo di fortunato design italiano.
Ma qual è il segreto della
fortuna degli oggetti Mendini ?
Un oggetto della
quotidianità può diventare un “monumento da casa”, “un piccolo arco di trionfo
da appartamento”
(risponde, guardando alle camere come a un palcoscenico da teatro dentro cui si
muove lo stupefacente spettacolo della vita). “Io cerco emozione, sconcerto, cerco di percepire fisiologicamente l’oggetto, di psicologizzare lo spazio. Come si coordinano gli abiti e gli
accessori alle persone così all’uomo si accordano mobili e oggetti” (così
nascono le sue famose Sculture per uomo, come la consolle giacca o il mobile
scarpa). “Un pensiero si muove dietro
all’oggetto”.
Quale ?
“Il patchwork di
situazioni differenti che concorre alla sua creazione. La comprensione del
rapporto emotivo che c’è tra l’uomo e i suoi oggetti. La capacità di guardare
alla performatività dell’oggetto” (il cavatappi antropomorfo da lui disegnato per
Alessi diventa uno dei best seller della ditta) “e alla sacralità del quotidiano” (la caffettiera che progetta per Bialetti, allungata e colorata per bande, entra nella quotidianità del gesto
più diffuso nelle case degli italiani).
I musei conservano
oggetti, le case si riempiono di oggetti, la vita di un uomo è fatta di milioni
di oggetti di cui un giorno poi nemmeno si ricorda più. Che ne pensa di questa
invasione un inventore di oggetti ?
“Un oggetto è un
trasmettitore. Può comunicarci piacere, simpatia, ricordi, energia, critica,
bellezza. Per me l’importante è che non ci lasci indifferente. Che il più
possibile ci stupisca, per questo amo molto le aberrazioni dimensionali che
confondano e facciano riflettere sulla pregnanza delle cose” (ricorda nella sua
mostra di Parigi, una testa umana e la facciata di una chiesa riproposte, di
uguali dimensioni, in una sala della Fondazione Cartier). “Ma dobbiamo sapere che gli oggetti hanno un inzio e una fine, come le
persone...” (durante una performance del 1974, Mendini faceva bruciare una sua
sedia enorme e inutilizzabile).
Il confine tra oggetto e
opera d’arte però è a volte davvero labile, quando parla di “fine degli
oggetti” intende anche la fine delle opere d’arte o per queste prevede un
intervento, un restauro ?
“Gli oggetti che
utilizziamo quotidianamente, hanno un inizio e una fine. Certo ce ne sono altri
che assumono un’altra funzione, più estetica. Quelli possono durare di più...
anche due o trecento anni...” (la sua celebre Poltrona Proust, nata dal
re-design di una poltrona antica, recupero di quel tempo perduto proustiano che
si riscontra nel titolo, colorata in stoffa e legno come un quadro coevo alla
citazione letteraria, tra impressionismo e puntillismo, viene trasformata da
arredo in monumento, alta 4 metri, e rivestita in mosaico bisazza).
A un architetto piace di
più progettare un vaso o un grattacielo ?
“A me piacciono di più
le cose piccole. I vasi, però, mi fanno paura. Hanno troppe forme possibili e
un grado di libertà che non li lega a una precisa funzione d’uso, il contenere
fiori è solo un pretesto. Il vaso è un oggetto che sembra facile ma è
difficilissimo”.
I suoi oggetti hanno
spesso un’anima giocosa e l’altro giorno a casa Depero ho sentito un bambino
commentare la sua Sedia Scivolavo, “è
bellissima, sembra quasi risucchiata dalla finestra”. Ha mai pensato di
disegnare un giocattolo ?
“Ai bambini i miei
oggetti piacciono molto, io sono stato un appassionato di Walt Disney e da
piccolo volevo disegnare fumetti, ma non sono mai riuscito a disegnare un
giocattolo”.
Del suo Atelier di
Milano, fondato insieme al fratello Francesco, si è detto sia un laboratorio sul
tempo della visione, dell’estetica, della psicologia, che propone figure
poetiche in contrasto con la violenza del mondo. Due progetti a questo
proposito molto simbolici, due torri, quella del Paradiso a Hiroshima e quella
Civica di Gibellina (la prima in una città distrutta da un bombardamento
atomico nel 1945 e la seconda da un terremoto nel 1968). Come pensa le città
Mendini ?
“A Gibellina la mia
torre suonava le voci del popolo, antichi canti popolari registrati, scandiva i
ritmi della giornata lavorativa, non solo quelli religiosi che siamo più
abituati a sentire dalle campane delle chiese ma quelli legati al lavoro delle
persone. L’uomo per me è il centro, di un oggetto come di una città. Ma, mentre
gli oggetti finiscono, le città sono vicende sempre aperte, progetti in
divenire e mai complete”.
Dal microcosmo delle
stanze al macrocosmo delle città, dunque, possiamo trovare la poetica dell’oggetto
e il senso dell’abitare nella nostra quotidianità ?
“Il senso va cercato
nell’ipotesi utopica, nella dinamica espansa, centrifuga e senza fine, polifonica,
di questa folla di figure piene di contrasti...”.