bta.it Frontespizio Indice Rapido Cerca nel sito www.bta.it Ufficio Stampa Sali di un livello english


Lo sguardo oltre il confine
Un viaggio tra le immagini

 

Ciclo di conferenze

a cura di Emanuele Carlenzi e Lara Scanu

 

Roma, Mercati di Traiano - Museo dei Fori Imperiali

30 ottobre - 26 novembre 2015








SEZIONE I

Il terrore delle immagini da Traiano a oggi

Il proposito è quello di ripercorrere il riconoscimento di elementi legati al terrore e alla violenza nelle opere d’arte, ponendo a confronto immagini dell’età antica con raffigurazioni concernenti l’evo moderno e l’età contemporanea.

Il percorso sarà condotto a partire dai rilievi della Colonna Traianea, raffiguranti scene di battaglia, per poi aprire ampi collegamenti con il Rinascimento ed il Barocco, dove il terrore e la violenza si traducono in scene di tortura, per giungere, infine, al Modernismo e al Postmodernismo, dove tale concetto si esplica nella tortura della figuratività prima e nelle immagini del terrore derivanti dai grandi drammi della contemporaneità dopo.



La violazione dei diritti umani: la denuncia delle immagini

Claudia Cieri Via
Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo

 

 



SEZIONE II

Nudo ideale, erotismo e pornografia: un confine da toccare

Il concetto della nudità conduce a molteplici riflessioni, che possono far interagire diverse modalità di visione in relazione alla fisicità del corpo umano. Questo consente di ripercorre tale tematica a patire dall’essenza ideale del nudo antico per affrontare altresì ciò che muove lo spettatore, dal Quattrocento all’Ottocento, alla pulsione erotica nei confronti dell’opera e all’esplicazione di una sessualità del tutto priva di mediazione ideologica nei tempi coevi.

 

 

Il corpo “parlante”: accademie di nudo virile tra XVIII e XIX secolo

Fabio Cafagna
Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo

 

Si esamina, per un arco di tempo che va dalla metà del Settecento ai primi decenni del secolo successivo, una particolare categoria di dipinti. Questa, pur accomunando opere che esibiscono un’unica figura, potrebbe includersi nel gruppo delle pitture di storia, costituendone il grado zero, la forma minima. Tale tipologia è, infatti, costituita da quelle particolari prove accademiche in cui lo studio dal vero del modello (solitamente maschile) è occasione per disporre la figura in modo tale che essa, anche se solitaria, sia in grado di narrare un evento. Si scelgono così le pose esemplari (“parlanti”) del Gladiatore ferito, di Filottete straziato dal dolore, di Endimione addormentato, di Prometeo legato alla rupe, e ancora quelle del Caino disperato, di Abele morente e dell’atleta trionfante.

L’interesse di questi dipinti non si esaurisce nell’analisi del soggetto e nella loro contestualizzazione all’interno della specifica storia formativa dell’autore. A queste prospettive se ne aggiunge almeno un’altra, quella che indaga il rapporto tra il modello e l’artista, e che consente di leggere nella scelta della posa e nella trattazione del corpo nudo non solo prove di abilità tecniche e compositive, ma anche il rispecchiamento del creatore nella sua opera. In questo senso, la scelta delle attitudini assume spesso un valore morale e l’eloquenza dell’immagine esprime talvolta tormenti, sfide e ideali dell’autore stesso.

Questa particolare categoria della pittura, dunque, in un arco di tempo che si dispone a cavallo tra due secoli, fu un banco di prova insostituibile per il giovane artista. Nei dipinti che ne fanno parte, si addensano questioni divergenti: da quelle classiche sulla pittura di storia e sul suo ruolo nella società a quelle riguardanti più specificamente il tema dell’espressività del corpo e della sua eloquenza, da quelle tecniche sull’anatomia e sulla fisiologia della macchina umana a quelle più intime che velatamente emergono nelle scelte delle pose e dei modelli.

Alla luce dell’ampia bibliografia sul tema, si è pensato di creare un percorso che, analizzando casi specifici, sappia mostrare la complessità della materia e lasciare aperte interessanti vie per la critica, quali, ad esempio, l’influente ruolo delle immagini nelle strategie di comunicazione e l’evoluzione dei concetti di bellezza e di canone.

 

 

Venere e le sue compagne nei palazzi romani del Seicento

Francesca Cappelletti
Università degli Studi di Ferrara – Dipartimento di Studi Umanistici

 

 

Se questo non fosse un corpo: pornografia e merce, due mondi in relazione

Emanuele Carlenzi (Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo)

 

La nudità del corpo è stata per molti secoli approcciata nella storia dell’arte come una tematica legata alla possibilità di sublimare il soggetto ed immortalarlo nella sua condizione di perfezione. Il concetto di winckelmanniana bellezza tuttavia decade a cavallo del XX secolo, quando il soggetto rappresentato non è più finalizzato a guardare il volto dello spettatore-voyeur che commissiona opere dedite alla contemplazione ed al piacere estetico, quanto invece si fa tramite di sperimentazioni formali e pittoriche che mutano radicalmente il significato del nudo e della figura femminile in modo più specifico.

Da Courbet a Picasso, da Louise Bourgeois a Jeff Koons, l’intervento si propone, attraverso un excursus artistico che attinge a vari periodi della storia, dalla fine dell’Ottocento alla contemporaneità più prossima, di comprendere come il concetto di nudità abbia subito delle profonde modifiche e di come l’arte abbia agito spesso in termini pornografici e demistificatori, generando opere al limite della legittimità e connotando il nudo di un realismo spudorato, che si tenta di indagare in relazione ai cambiamenti della storia dell’arte.

 

 

I nudi maschili di Wilhelm von Gloeden

Raffaella Perna
Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo

 

L’intervento affronta l’opera del fotografo tedesco Wilhelm von Gloeden (1856-1931), e in particolare la recezione dei suoi nudi maschili en plein air, la cui alterna fortuna critica nel corso del Novecento è strettamente legata al processo di riconoscimento politico delle istanze omosessuali.

Tra la fine del XIX secolo e la Prima Guerra Mondiale le immagini di Gloeden raggiungono fama internazionale: in questo periodo le sue foto all’albumina di vedute e tipi siciliani, di figure abbigliate all’antica e nudi maschili vengono esposte in importanti mostre, distribuite come cartoline, pubblicate su riviste specializzate e su periodici ad alta tiratura. I nudi e le scene arcadiche di Gloeden interessano la critica dell’epoca perché condividono la vena citazionista e il gusto per il revival tipici della fotografia Pittorialista; nel contempo le componenti omoerotiche di queste foto ne favoriscono la diffusione anche tra un pubblico omosessuale, attraverso i volumi e le riviste dedicati al nudo diffusi in Europa soprattutto a partire dai primi anni del Novecento. Negli anni Trenta, in pieno regime fascista, il fondo di Gloeden viene sequestrato dalla polizia e l’erede del fotografo, Pancrazio Buciunì, viene processato con l’accusa di detenzione e commercio di foto pornografiche. Dopo vari decenni di oblio, negli anni Settanta l’opera di Gloeden viene riscoperta: benché i motivi all’origine della rinnovata attenzione critica siano molteplici, un impulso decisivo proviene da studiosi coinvolti nella nascita dei Gay and Lesbian Studies, che vedono in Gloeden un simbolo di riscatto e di liberazione omosessuale.

 

 

Venere e Verità: nudo nelle allegorie e nei miti tra antichità e Rinascimento

Lara Scanu
Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo

 

Tutte le immagini che ci propongono al loro interno una figura nuda ci restituiscono una scena priva di contestualizzazione temporale: l’elemento transeunte degli abiti, una volta eliminato, consente al soggetto di sopravvivere nel tempo inalterato, rendendolo eterno e ben riconoscibile. È il caso delle divinità e di alcune allegorie che ci sono pervenute in maggior numero, sin dalle raffigurazioni più antiche, completamente nude.

L’intervento si propone di ripercorrere, attraverso alcuni esempi salienti, la storia del nudo femminile nell’arte tra antichità ed età moderna, facendo prendere le mosse all’analisi da due importanti figure che hanno come loro attributo principale proprio la nudità: la pagana Venere, dea dell’amore e della bellezza, e l’allegoria della Verità, due donne che esibiscono il proprio corpo proprio per completare la comprensione, da parte dello spettatore, del proprio significato.

 

 



SEZIONE III

Arte e conoscenza: un percorso sensoriale

La visione di un’opera d’arte pone lo spettatore di fronte ad un’esperienza multisensoriale. Con l'affrontare questa tematica si ha l’intenzione di dimostrare come la percezione di un’opera non coinvolga esclusivamente la vista, che di sicuro è il medium sensoriale primario che ci consente di accedere all’arte, ma che si propone come un’esperienza estetica totale: un quadro, come una scultura, come un brano musicale, come un testo scritto stimolano l’attivazione, seppur inconscia, della nostra intera fisicità, stabilendo con l’opera un rapporto empatico e concreto, che consente allo spettatore di individuarsi come essere vivente.

 

 

Quando il corpo entra nell’opera d’arte. I sensi ed i loro desideri

Emanuele Carlenzi (Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo)

 

Affrontare la sensorialità nella storia dell’arte può condurre a molteplici vie. Quella che si vuol proporre con questo intervento indaga il momento in cui gli artisti hanno sentito la necessità di coinvolgere il loro corpo all’interno delle opere d’arte, consentendo alla percezione sensoriale di diventare il mezzo principale per la propria espressione e costringendo lo spettatore ad attivare i propri sensi per reagire ad essa.

Partendo dall’Espressionismo Astratto infatti il confine tra arte e vita si fa sempre più labile ed il campo esistenziale dell’uomo inizia a sovrapporsi al campo spaziale dell’opera d’arte. Questo determina un passaggio di fondamentale importanza che si verifica tra gli anni Cinquanta e Sessanta: dall’opera d’arte in quanto oggetto alla performance. Ciò consente allo spettatore di partecipare attivamente ad un processo artistico che coinvolge i suoi sensi come quelli dell’autore e ad approcciare all’opera in termini non più solo estetico/visivi ma all’interno di un rapporto più complesso, un rapporto, quello tra l’artista, l’opera e lo spettatore, del quale si vuole indagare lo sviluppo dalla metà dello scorso secolo in poi per mettere in luce come la percezione sensoriale sia stata al centro di una nuova realtà artistica.

 

 

Questione di tatto. Il tocco e i suoi esiti in alcuni soggetti delle opere d’arte

Lara Scanu (Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo)

 

La visione di alcune opere d’arte ci colpisce per la sua gestualità e per le percezioni sensoriali che questi riescono a farci immaginare e simulare. Per quanto riguarda l’arte figurativa, sono soprattutto alcuni soggetti tratti dal mito e dalla storia religiosa a consentirci questo accesso particolarmente empatico con l’opera.

Questo intervento si propone di indagare alcuni miti pagani ed episodi religiosi dove il vero protagonista della narrazione è il senso del tatto: il tocco, l’afferrare, lo sfiorare sono i gesti che consentono lo sviluppo della narrazione letteraria e pittorica, dall’innamoramento di Apollo e Dafne alla trasformazione di Clori in Flora, dalle mani incrociate nella danza delle Tre Grazie al ratto di Proserpina fino a giungere all’episodio evangelico dell’incredulità di San Tommaso.

 

 

Sentire attraverso le immagini. La musica nell’arte figurativa tra XVI e XVII secolo

Claudio Strinati
Ministero per i Beni e le Attività Culturali

 

 

Cortocircuiti tra sensi e tempo: corpo e memoria nell'opera di Louise Bourgeois

Carla Subrizi
Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo


Si cercherà di partire da una domanda: quali sensi e quali temporalità caratterizzano un'opera d'arte oggi? L'opera di Louise Bourgeois, in particolare le installazioni, tra Maman e le Celle saranno lo spunto per indagare come la conoscenza che l'arte produce sia un atto performativo: della soggettività come sé e come altro, della propria coscienza e della coscienza dell'altro in una relazione di scambio linguistico e affettivo. I sensi si modificano quando si incontrano e coesistono all'interno di una medesima esperienza percettiva. Allo stesso modo il tempo non indica un processo lineare ma una stratificazione simile alla forma che l'opera restituisce.





SEZIONE IV

L’icona. Limiti semantici e significati culturali dell’immagine

A partire dal senso della parola, si vuole mettere a fuoco il significato del termine icona applicato alle immagini e sondare in questo modo le infinite implicazioni semantiche e culturali che uno specifico soggetto riserva, sia esso umano o rappresentativo di una civiltà o di un periodo storico, dei quali anche un monumento può esserne l’emblema. Dalla fruizione politica, a quella religiosa a quella commerciale, l’icona si è insinuata non solo nella Storia dell’Arte, ma continua ad esercitare il suo potere su chi la vede tutt’oggi.

 

 

San Lazzaro di Costantinopoli e la difesa delle immagini sacre all’epoca della Controriforma: un caso esemplare nella Roma del Seicento

Federico De Martino
Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali - Museo di Roma - Palazzo Braschi

 

Nel 1681 il pittore pistoiese Lazzaro Baldi ha eretto a proprie spese nella chiesa dei SS. Luca e Martina un altare dedicato a san Lazzaro di Costantinopoli, monaco e pittore vissuto nell’VIII-­IX secolo, che fu perseguitato dall’Imperatore iconoclasta Teofilo. Baldi ha anche pubblicato un breve libro sulla vita del santo, dedicato al Principe Livio Odescalchi, nipote di papa Innocenzo XI. Il rilancio della figura dell’iconografo greco si inserisce nel contesto della controriforma cattolica e offre lo spunto per una riflessione sul dibattito seicentesco sulle immagini sacre.

 

 

Immagini e paradigmi della rivolta. L’icona come vocabolario

Matteo Provasi
Università degli Studi di Ferrara – Dipartimento di Studi Umanistici

 

La lettura comparata di fonti concernenti casi di rivolta popolare in età moderna produce risultati per certi versi sorprendenti. Da un lato voci testimoniali affini offrono descrizioni (e interpretazioni) molto divergenti, o quantomeno una evidente divaricazione dei punti di vista. Ciò è dovuto ai diversi livelli di distanza o coinvolgimento rispetto agli eventi, e naturalmente alle diverse impostazioni ideologiche su cui poggia ogni singolo sguardo. D’altro lato, voci testimoniali cronologicamente, geograficamente e culturalmente molto lontane spesso possono condurre a ricostruzioni convergenti.

Tali convergenze sono il frutto dell’interazione reciproca tra modalità di svolgimento della rivolta e ricostruzioni narrative e memoriali. Il risultato – ma per certi versi anche la sostanza reagente – di tale interazione è l’individuazione progressiva di un vocabolario universalmente condiviso dell’opposizione al potere, basato su elementi simbolici che hanno esattamente la funzione di icone.

Attraverso l’analisi di un campione, ridotto ma significativo, si cercherà di seguire le tante vite delle immagini della rivolta; dall’azione fattuale, al racconto, alla cristallizzazione nel tempo in icone appunto. Con una raccomandazione: va assegnata la dignità di immagine sia a quelle realizzate dalle arti figurative, sia a quelle prodotte dal linguaggio verbale (per lo più scritto); con il concorso dunque di cronisti, memorialisti, storici, poeti, e non solo di pittori e scultori. Di conseguenza, a diventare icone possono essere degli oggetti, dei modi di dire, più in generale degli stereotipi stilistici.

Il compasso cronologico preso in esame andrà dal tardo medioevo fino al termine del cosiddetto Antico Regime. Qualcuna di queste icone potrà sopravvivere al cambio di prospettiva; molte altre perderanno la propria forza comunicativa. Questo perché il mutamento sostanziale del contesto ideologico e politico costringerà a scrivere un nuovo vocabolario.

 

 

Da personaggio a “icona”: gli eroi della letteratura alla prova delle arti figurative

Gabriele Quaranta
Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo
Université Paris 1 - Panthéon-Sorbonne, Histoire de l'art

 

Un’immagine di Don Chisciotte, chi non la riconoscerebbe? E così quella di Amleto. Ma chi saprebbe distinguere a prima vista un protagonista del Furioso, come Ruggiero, da Rinaldo o da Tancredi, narrati dal Tasso? La trasposizione del racconto in immagini accompagna da secoli la letteratura occidentale, contribuendo alla fortuna e alla diffusione di storie e personaggi. Se riconosciamo prontamente la figura di alcuni eroi letterari o certi episodi delle loro avventure – perfino quando sono rappresentati in forme assai semplificate – è perché essi sono entrati nell’immaginario anche grazie alle arti figurative, che hanno saputo distillare alcuni tratti caratteristici fissandoli in iconografie capaci d’imporsi alla memoria collettiva e di perdurare nel tempo: in una parola, trasformando il personaggio in “icona”, immagine sintetica che riassume un carattere, una storia, dei valori immediatamente riconoscibili. Ma non tutti i personaggi sono diventati “icone”, mentre altri pur celebri lo sono stati soltanto per un certo periodo, cadendo poi nell’oblio. Attraverso alcuni esempi tratti da grandi opere letterarie – da Ariosto a Tasso, da Manzoni a Cervantes – indagheremo le vie attraverso cui un personaggio fatto di parole diviene un’immagine, e i motivi per cui quell’immagine riesce – o non riesce – a diventare una “icona”.

 

 



SEZIONE V

Quando l’architettura costruisce, quando l’architettura distrugge. Classico, Anticlassico e Architettura liquida

Ogni costruzione, nel suo ciclo, prevede sempre una distruzione. Questo è valido anche per l’architettura. Così come per costruire il complesso dei Mercati di Traiano si sbancò un declivio, demolendone il suo assetto, così l’architettura contemporanea demolisce i canoni progettuali ed estetici, dando luogo a forme inedite, passando per la tradizione classica e le innovazioni anticlassiche rinascimentali e barocche, ripercorrendo, in questo modo, le trasmutazioni formali e funzionali dell’architettura.

 

 

L'anticlassico che diventa classico. Sostituzione, elaborazione e affermazione di nuovi codici di propaganda al tempo degli Sukkalmakh (ca. 1900-1520 a.C.)

Enrico Ascalone,
Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Scienze dell’Antichità
Post-doc Researcher, University of Copenhagen, The Saxo Institute

 

Un nuovo programma dinastico attuato dai sovrani Sukkalmakh, in ogni singolo campo figurativo prodotto dalla committenza reale, si realizzò attorno al 1900/1800 a.C., quando la dinastia Simashki di verosimile origine occidentale, fu sostituita da nuovi reggenti tradizionalmente associati alle regioni orientali dell'altopiano iranico. Il quadro che sembra definirsi, sin dalla fondazione della nuova dinastia ebartite, mostra un radicale cambiamento nei codici iconografici di propaganda che devono ora soddisfare le esigenze di una committenza che sembra preoccuparsi di creare un più capillare programma di celebrazione dinastica attraverso l’ideazione di nuovi modelli di espressione figurativa che possano gettare le basi di un nuovo grande regno; i nuovi titoli (‘Sukkalmakh’) e titolature (‘re di Susa e Anshan’), l’introduzione all’interno del pantheon elamita di un nuovo ordine gerarchico con la nuova coppia divina Napirisha e Kiririsha, l’ideazione di nuovi impianti figurativi e la ridondanza degli stessi su sigilli, rilievi rupestri, stele e statuaria sembrano esprimere la nuova attenzione dei sovrani elamiti nel creare nuovi codici di propaganda di forte rottura con la dinastia Simashki e, allo stesso tempo, di facile identificazione con la nuova dinastia ebartite; codici che dovettero rappresentare il primo grande vero sforzo del regno elamita nella creazione di un’arte ufficiale proiettata verso il riconoscimento di un unico sentimento identitario che potesse riconoscersi nell’Elam e nei suoi sovrani. Questa riforma di ogni canale celebrativo della sovranità, finalizzato a creare un’unica identità culturale e, probabilmente, amministrativa del regno, dovette essere in gran parte stimolata da molteplici fattori da riconoscere in una nuova presa di coscienza sulla forza del regno che si andava a creare, ora probabilmente esteso fin sul medio corso dell’Eufrate, nel tentativo di prendere le distanze dalla reggenza dinastica precedente, forse troppo appiattita sui regni di Mesopotamia, nel recupero dell’elemento nomade dell’altopiano, spesso ‘scollato’ dalla reggenza elamita perché fortemente vincolato alla propria identità tribale, e, soprattutto, nel chiaro intento di spostare il baricentro politico e amministrativo del nuovo regno verso Anshan, verso il Fars.

Il nuovo programma figurativo impose, quindi, nuovi modelli iconografici e un certo impegno per permetterne la decodifica, ma, allo stesso tempo, richiese una certa attenzione verso il problema della legittimazione dinastica dei nuovi sovrani artefici di un così ambizioso progetto. Lo stravolgimento dei precedenti equilibri religiosi, culturali e sociali passò infatti attraverso un più radicato e complesso sistema di legittimazione dinastica che si attuò nel riconoscimento di un cosiddetto 'tempo mitico' a cui ispirarsi e attraverso cui affermarsi. L'arcaica dinastia di Awan fu celebrata e con essa si celebrò l'affiliazione dei nuovi dinasti Sukkalmakh; nuovi miti fondanti furono creati, vecchie titolature furono riutilizzate, codici figurativi di propaganda trasformarono l'anti-classico in classico, il 'nuovo' confluì nella 'tradizione', la spinta rivoluzionaria della nuova dinastia si raccolse in un contenitore reazionario di forma e idee.

 

 

Architettura liquida per una museologia dialettica

Stefano Colonna
Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo

 

Declinare una prospettiva liquida per comprendere l'architettura e la museologia internazionale contemporanea può essere utile anche come strumento esegetico di tutta la contemporaneità. Sociologia, filosofia, estetica, letteratura, musica, fisica, informatica, matematica e molte altre discipline e forme del sapere convergono da più di vent'anni a questa parte verso un nuovo modello complesso della realtà che implica una serie di relazioni spaziali e concettuali che apparentemente sono del tutto inedite. In realtà il paradigma liquido è sempre esistito nel pensiero umano come contrapposizione al modello classico di cui rappresenta lo spesso oscuro alter ego dialettico. Vorrei dunque mostrare per esempio come la dialettica di manierismo/classicismo del Cinquecento preluda alla concezione liquida di molti dei Musei costruiti in tutto il mondo a partire dagli anni '90 del Novecento rimarcando le caratteristiche sia estetiche e visibili di questa parentela sia quelle filosofiche a partire dall'analisi del pensiero negativo nella filosofia e religione dei presocratici in poi.

Anche il Futurismo e il Cubismo con la loro parentela con la Fisica relativistica di Einstein hanno contribuito a fissare alcuni elementi costitutivi dell'estetica anticlassica oggi usata dagli architetti liquidi.

L'importanza di adottare questo modello interpretativo liquido anche per una lettura dei tempi attuali sta nel fatto che esso richiede necessariamente una visione dialettica del pensiero che crea e rinnova scale di valori e criteri di giudizio allontanando il pericolo di una società massificata e vittima di un brodo primordiale uniforme. L'intervento dovrebbe servire a lanciare provocazioni utili per aprire un eventuale dibattito sull'argomento.

 

 

L’architettura costruisce e distrugge: alcuni esempi

Francesco Giovanetti
Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale



















Le presentazioni delle sezioni sono state redatte dai curatori del convegno; gli abstract delle relazioni sono stati compilati ciascuno dal suo relatore.
Pagina HTML a cura di Michela Ramadori. Grafica a cura di Lara Scanu.







BTA 
	copyright MECENATI Mail to www@bta.it