bta.it Frontespizio Indice Rapido Cerca nel sito www.bta.it Ufficio Stampa Sali di un livello english
L'anticlassico che diventa classico. Sostituzione, elaborazione e affermazione di nuovi codici di propaganda al tempo dei Sukkalmakh (ca. 1900-1520 a.C.) Atti Convegno Lo sguardo oltre il confine. Un viaggio tra le immagini

Enrico Ascalone
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 8 Novembre 2016, n. 821
http://www.bta.it/txt/a0/08/bta00821.html
Precedente
Successivo
Tutti
Area Archeologia

1. Preludio

Introduzione


Fig. 1

Fig. 1 - Tavola dinastica dei sovrani Simashki e Sukkalmakh


Quando i dinasti Sukkalmakh (Fig. 1) decisero, attraverso un piano capillare di riforme in ogni campo politico e culturale, di superare le precedenti elaborazioni intellettuali e propagandistiche della dinastia Simashki, certo non pensarono che, a distanza di qualche millennio, il loro nuovo programma sarebbe stato al centro di discussioni, non sempre fruttuose, sul significato e sul valore rivoluzionario di quanto attuato; riforme che superavano di slancio le contrazioni reazionarie di un ordine dinastico prestabilito concentrato nelle azioni di propaganda dei sovrani Simashki. Questo breve contributo vorrebbe provare a riconoscere quei paradigmi storiografici che spiegano, o almeno provano a farlo, le singole dinamiche processuali di tipo storico come l'esito di una dualità di percorsi, perlopiù distinti e scissi, in contrapposizione tra loro, distanti e contrari dove il 'centro' e la 'periferia', il 'nomade' e il 'sedentario', 'l'uomo' e 'l'ambiente', per citarne alcuni, vengono studiati come il risultato di processi antitetici, in conflitto tra loro. In quest'ottica l'idea di provare a rintracciare un 'classicismo', e in antitesi un 'anti-classicismo', in ambiti culturali (Vicino Oriente) generalmente impermeabili alle problematiche storiografiche di altri settori disciplinari, appare stimolante, non semplicemente per riconoscere modelli acquisiti di lettura delle realtà passate attraverso nuovi paradigmi storici, ma perlopiù per una dialettica trasversale che possa determinare nuovi spunti sul metodo e, quando possibile, una rigorosa applicazione dello stesso per comprendere regni e genti che solcarono l'Iran tra la fine del III e la prima metà del II millennio a.C.

Appare evidente che anche in quei contesti definiti pre-classici, come il Vicino Oriente Antico, debba essere ricercata una classicità e, se identificata, un anti-classicismo che definirebbero al meglio gli aspetti essenziali di un percorso culturale in una zona, in un determinato periodo. In particolare negli studi archeologici questa visione sistemica che definisce un qualcosa come 'classico' e il resto come 'non classico' è stato aiutato da un approccio generalmente deterministico e tipologico sulle singole classi di materiali che, definite nel loro insieme, in base alle loro caratteristiche, restituivano un quadro classificatorio della realtà storica che, lontano da qualsiasi tentativo di comprensione delle dinamiche sociali, relazionali, e classiste, si avviluppava attorno all'idea che ci fosse una produzione specifica di un territorio in un determinato periodo (= 'classica') con difformi variabili (= 'anti-classiche') condizionate da elementi perlopiù di natura esogena. Se questa visione bipolare di una produzione artistica, che tuttavia investe più ampi campi del sapere, si deve riconoscere nel metodo storiografico, più difficile sembra scorgersi nell'uomo vicino-orientale e nelle strutture di potere da lui create tra il III e il II millennio a.C. Questo contributo, in sintesi, e senza la certezza di riuscirci, vorrebbe, non semplicemente riconoscere un classicismo artistico e la sua consequenziale negazione, ma provare a ricostruire le singole produzioni dell'arte Elamita tra il 2100 e il 1550 a.C. per comprendere appieno se questo approccio di metodo fosse, implicitamente o allo stato subconscio, già operante nelle cancellerie delle dinastie elamite che si sono susseguite sul territorio; il tentativo sarebbe quello di ricostruire, quando possibile, schemi e codici mentali dei sovrani Sukkalmakh partendo dalle loro opere che, come avrò modo di mostrare, nascono anch'esse da una visione dualistica di confronto tra ciò che rappresenta il regno e ciò che ne è distante, tra un'ortodossia artistica e le sue variabili, tra, appunto, il 'classico' e 'l'anti-classico'.

 

2. Protasi

Il contesto storico


Fig. 2

Fig. 2 - Elam e Susiana


Si è deciso di prendere in considerazione un passaggio storico importante nella storia del Bronzo Iraniano che coincide con un cambio dinastico che avrà forti ripercussioni sulla produzione intellettuale o, più precisamente, artistica del regno Elamita; un periodo in cui la nuova reggenza Sukkalmakh, certamente dominante a partire dalla fine del XX secolo in Elam, ascese sulle alte terre iraniane e, successivamente, in parte della Mesopotamia assurgendo a un ruolo dominante su un ampio territorio precedentemente controllato dalle dinastie delle città alluvionali di Susa, Ur e Isin (Fig. 2). I sovrani Sukkalmakh, la cui origine rimane incerta, rappresentarono uno dei periodi di massima prosperità all’interno delle linee storiche evolutive dell’impero Elamita; l’abbondante documentazione archeologica rinvenuta, la dilatazione esponenziale dei più importanti centri elamiti, il numero progressivamente e costantemente in crescita degli insediamenti minori [1] , l’aumento di testi scritti e le significative relazioni ‘internazionali’ con regioni lontane (in primis le coste occidentali del Golfo Persico [2] , la Battriana-Margiana [3] , valle dell’Indo [4] e la Siria [5] ), sono evidenze che restituiscono un quadro storico, circoscritto tra il 1900 e il 1500 a.C., particolarmente chiaro sul ruolo svolto dai dinasti Sukkalmakh nella crescita e sviluppo del regno Elamita. Il fondatore della dinastia Ebarti, sebbene mostri forti legami con la precedente Casa Regnante Simashki [6] , darà origine a un nuovo percorso storico che si affermerà definitivamente solo un paio di secoli dopo con Sirukutuh, quando i prodomi di un nuovo modo di pensare la regalità, già presente con l’inizio della nuova dinastia, si espliciteranno definitivamente con una nuova tradizione artistica [7] .

 

3. Epitasi

Le riforme Sukkalmakh

Le linee di discontinuità rintracciabili nel passaggio tra la regalità Simashki e la sovranità Sukkalmakh investono ampi e più articolati settori che coinvolgono i singoli aspetti religiosi, artistici, iconografici, amministrativi e celebrativi del nuovo regno che, da lì a poco, avrebbe rivaleggiato con la Babilonia di Hammurabi.

Le riforme introdotte, finora studiate, quando riconosciute, come sporadiche evidenze sfilacciate e perlopiù casuali, prive di un chiaro programma di cambiamento dinastico, dovettero, tuttavia, rappresentare un organico, ragionato e pianificato tentativo di superamento delle esperienze politiche Simashki [8] ; le note innovative introdotte dai Sukkalmakh, piuttosto che analizzate come singole manifestazioni, spesso casuali e slegate tra loro, mostrano, infatti, un coeso e capillare programma di cambiamento finalizzato a perseguire nuovi sentimenti identitari in tutto l’Elam attraverso un’attività propagandistica esasperatamente centrata sul tentativo di restituire all’altopiano iranico la preminenza politica e amministrativa a scapito della componente alluvionale [9] . Le riforme sembrano essere perlopiù mirate al tentativo di limitare progressivamente il potere amministrativo e politico dell’occidentale Susa, certo più esposta alle correnti mesopotamiche, per agevolare l’ascesa della ‘montanara’ [10] Anshan, più radicata nel tessuto etnico-tribale del sostrato elamita; tuttavia questo processo di sostituzione e di stravolgimento delle gerarchie tra le due componenti, in antitesi sin dalle epoche più arcaiche [11] , dovette rappresentare un serio problema, certamente più complesso di un semplice cambiamento dinastico; per la prima volta all’interno del regno elamita, infatti, si andava ad affrontare programmaticamente la ‘questione etno-tribale’ che da sempre aveva condizionato i duali percorsi storici di sviluppo ed inviluppo del regno di Elam a partire dalla metà del III millennio a.C. Alla componente alluvionale di origine semitica, di più antica tradizione politica, religiosa e culturale, rappresentata dallo storico centro di Susa che, come tale, era venerato e oggetto delle attenzioni edilizie dei sovrani regnanti, si affiancò sempre più prepotentemente Anshan, la nuova capitale del regno, di più recente formazione e ben ancorata alle tradizioni tribali del sostrato nomade ed elamita dell’altopiano iranico [12] .

Questi ‘salti’ storici si devono riconoscere principalmente nelle riforme religiose (nuova preminenza del dio Napirisha vs Inshushinak), dinastiche (la nascita di una nuova arte figurativa di propaganda Sukkalmakh vs Simashki) e amministrative (spostamento del baricentro politico verso est e preminenza della città di Anshan su Susa) che furono attuate a partire dal 1900 a.C.

I drastici cambiamenti imposti all’interno delle gerarchie del pantheon elamita videro l’ascesa della nuova coppia divina Napirisha e Kiririsha, originaria del sostrato elamita e certo di forte rottura con la tradizione secolare alluvionale susiana [13] . Attorno al 1900 a.C. Napirisha (= DINGIR GAL) è introdotto per la prima volta nel pantheon elamita, compare su un’iscrizione di sigillo [14] , in una formula di giuramento e forse come teoforo [15] . Gli stessi codici iconografici sembrano essere fortemente appiattiti su schemi figurativi che restituiscono la coppia elamita, appunto Napirisha e Kiririsha, nell’atto di officiare ricorrenze religiose ovvero ad accogliere alte cariche pubbliche riconoscendone ruolo e preminenze politiche. Il dio Inshushinak sembra, ora, essere perlopiù circoscritto alla città di Susa, di cui continua ad essere il dio cittadino, con un ruolo, sebbene ancora particolarmente importante, assai marginale rispetto alla nuova coppia divina.


Fig. 3

Fig. 3 - Le rappresentazioni del dio Napirisha con la sua paredra Kiririsha


La contrapposizione tra la tradizione rappresentata dal classicismo susiano e dalla sua massima divinità Inshushinak e la forza riformatrice da riconoscersi in Napirisha sembra essere ben documentata in un’impronta di sigillo databile al XVII secolo a.C. (Fig. 3) [16] , proveniente da Susa, dove si esplicita il dualismo, o almeno la valenza duale, della religiosità elamita [17] ; su un alto trono, sorretto da due geni minori, che si erge sulla stilizzazione delle montagne dell’Elam, siede il dio Napirisha, massima espressione religiosa della componente montanara del regno elamita, intento a donare cerchio e regolo, strumenti simbolo della corretta e illuminata amministrazione pubblica, a un dio, certo preminente, che si deve riconoscere in Inshushinak, dio della tradizionale città di Susa ed espressione della componente alluvionale dello stato elamita, stante sopra a una piattaforma sacra anch’essa da considerarsi simbolo del centro del Khuzistan. L’impronta, di cui purtroppo ignoriamo l’iscrizione perlopiù andata persa, ricorda un certo Ishmekarab-ilu funzionario vissuto sotto Temti-Agun e deve considerarsi un chiaro esempio della ricerca di nuovi equilibri all’interno della religiosità del pantheon elamita, ora stravolto dall’ascesa di Napirisha e della sua paredra Kiririsha.

Questo nuovo e programmatico bipolarismo religioso, sconosciuto con i Simashki, appare peraltro ben documentato nei più tardi testi medio-elamiti che ricordano l’erezione del cosiddetto «Tempio dell’Alleanza di Anshan» [18] , al cui interno furono portati i simulacri divini delle massime divinità del regno: Shimut («Grande dio dell’Elam»), Napirisha e Kiririsha («Grande dio e dea di Anshan») e Inshushinak («Grande dio di Susa») [19] . Tuttavia l’esigenza di costruire un tempio monumentale, peraltro significativamente ad Anshan e non a Susa, definito dell’Alleanza, in cui le massime divinità cittadine di Susa ed Anshan, assieme alla forza unificatrice di Shimut (non casualmente definito ‘dio dell’Elam’ cioè ‘del tutto’), vengono rappresentate con i propri simulacri, deve essere interpretata come un forte segno di debolezza mirato a rendere omogeneo un regno che, 5 secoli dopo le prime riforme Sukkalmakh, ancora non aveva raggiunto unità e coesione [20] . Sembra evidente che l’impianto propagandistico medio-elamita s’impegnò su quanto impostato a inizio del XIX secolo a.C. dai sovrani Sukkalmakh, provando a risolvere un problema che non era stato ancora superato. Il regno elamita dovette faticare a unificarsi per l’eterogeneità e la varietà delle componenti etniche dell’altopiano che furono certo attive nell’assorbire i nuovi piani programmatici dinastici Sukkalmakh ma, allo stesso modo, rispondevano a logiche consolidate nei millenni, dove alla componente nomade si contrapponeva quella stanziale, ai processi di occupazione e sfruttamento del territorio conosciuti in Susiana e Mesopotamia seguivano le logiche tribali conosciute nelle impervie valli e, a volte, impenetrabili alture delle terre di Anshan. Edificare un complesso monumentale religioso ad Anshan, come il ‘Tempio dell’Alleanza’, al tempo di Khutelutush-Inshushinak, deve necessariamente essere spiegato con la volontà di definitiva affermazione del centro di Anshan su quello di Susa e con il fallimento del tentativo d’integrazione avviato dai Sukkalmakh mezzo millennio prima; la necessità di costruire un complesso religioso, in cui l’alleanza tra le due massime divinità di Anshan e Susa doveva manifestarsi, deve essere letto come un tentativo di propagandare unione e coesione del regno che evidentemente ancora, dalla riforma Sukkalmakh, non erano state raggiunte.

Questo aspetto bipolare del mondo divino elamita fu certo espressione di quanto dovette accadere con la sovranità dell’Elam strutturata su un complesso sistema dinastico che prevedeva, come evinto dalla documentazione testuale, un grande re dell’Elam (= Anshan) e un sukkal di Susa, il primo regnante su tutto il paese, il secondo legato alla città di Susa e, contemporaneamente, principe ereditario alla sovranità elamita [21] . Una sovranità che cercò di risolvere, con i primi anni del XIX secolo a.C., la forte frammentazione statale del proprio regno attraverso un capillare e rivoluzionario programma dinastico figurativo che tuttavia rimase irrisolto almeno fino all’inizio del I millennio a.C. quando un nuovo stato si andava a compattare attorno alla città di Susa sotto la pressione esterna del consolidato regno neo-assiro.

Le nuove iconografie e i nuovi impianti figurativi mostrano, dunque, nuovi rapporti all’interno del pantheon elamita dove le gerarchie sembrano ora stabilizzarsi a vantaggio della componente orientale (Anshan) a scapito di quella occidentale di più arcaica tradizione (Susiana). Medesime evidenze sembrano potersi raccogliere dalle analisi insediamentali svolte nel Fars ed in Susiana dove, più recenti ricognizioni territoriali [22] , hanno permesso di tracciare un quadro evolutivo occupazionale di entrambe le regioni assai significativo sulla supposta traslazione politica e amministrativa, oltreché religiosa e culturale, voluta dai dinasti Sukkalmakh. Tra il XIX e l’ultimo quarto del XVI secolo a.C., infatti, si assiste, se si esclude l’assai più tardo processo di sedentarizzazione del Ferro II e III in Elam, al più grande aumento demografico conosciuto nella storia del Marv Dasht, tanto da raggiungere, in un contesto geografico tradizionalmente a valenza nomade, per estensione dei singoli insediamenti e numero degli stessi, una densità occupazionale pari a quella degli storici centri della Susiana da sempre stanziali all’interno dell’alluvio del Khuzistan, attraversati dai fiumi Kerkha e Karun che confluiscono, tutt’oggi, nel Golfo Persico [23] .

Affianco ad una più ampia e articolata analisi territoriale svolta nei contesti regionali del Fars si deve, inoltre, riconoscere, sulla base delle più recenti analisi stratigrafiche svolte a Tall-i Malyan (= antica Anshan), una crescita esponenziale demografica del nuovo centro elamita che, proprio con i Sukkalmakh, toccherà i 130 ettari di estensione territoriale con una stima di almeno 30.000 abitanti, raggiungendo le dimensioni della occidentale Susa, maggiore centro del Khuzistan iraniano. è questo il periodo in cui Tall-i Malyan ovvero Anshan assurge a ruolo dominante all’interno della struttura politica e amministrativa del regno Sukkalmakh, sostituendo gradualmente la tradizione di Susa, a cui si continua a riconoscere, tuttavia, una preminenza culturale e religiosa. Con il periodo Kaftari di Tall-i Malyan, conosciuto anche a Tal-i Nokhodi I-II [24] , dove la ceramica raccolta fu inizialmente attribuita al più arcaico periodo Lapui [25] , un nuovo orizzonte vascolare si afferma, completamente avulso dalle sperimentazioni ceramiche del periodo precedente. La frequentissima e nuova Buff Ware del periodo Kaftari mostra avere decorazioni dipinte che alternano bande verticali di natura geometrica a tipologie assai eterogenee di volatili [26] , incisioni (linee orizzontali ondulate) [27] e rari rilievi applicati [28] ; i confronti più stretti con la Mesopotamia sono da cercare sin da Susa IVA (Protodinastico IIIb) [29] , mentre le basse ciotole a tre supporti conosciute a Tall-i Malyan sono attestate a Susa IVB (Ville Royale, liv. 4-3) [30] . In una più generale analisi, la ceramica Kaftari, espressione autoctona delle popolazioni dell’altopiano già con la seconda metà del III millennio a.C., avrà, dunque, ampia diffusione anche in Susiana, almeno fino alla fine del terzo quarto del II millennio a.C., mostrando la forza penetrativa e invasiva delle nuove sperimentazioni anshanite e, allo stesso tempo, l’ascesa di una regione che andava gradualmente a spostare l’epicentro elamita verso oriente, verso le valli del Fars. Anshan assurgerà a nuova capitale all’interno di una nuova struttura gerarchica di tipo duale dove alla capitale, sede ufficiale del sovrano Sukkalmakh, si affiancherà il centro di Susa, residenza del fratello del sovrano e principe ereditario al trono elamita. Questa struttura, conosciuta anche da evidenze testuali più recenti, avrebbe garantito, all’interno di un equilibrio centralizzato, una convivenza etno-sociale tra le tante manifestazioni tribali del regno Sukkalmakh, cercando di superare con slancio le fortissime spinte centrifughe rappresentate dai numerosi e differenti elementi etnici, culturali, sociali e storici presenti nelle variegate popolazioni conosciute all’interno del regno elamita.

Anche le nuove titolature reali usate dai dinasti Sukkalmakh sembrano confermare sia una struttura di tipo bipolare, sia una particolare attenzione verso la tradizione, nonostante le forti riforme che ponevano ora Anshan (= Tall-i Malyan) come capitale del nuovo regno. Viene da chiedersi se le loro titolature (‘Re di Anshan e Susa’), la nascita di una nuova arte dinastica nella tradizione sfragistica dei sigilli [31] , la nuova arte di propaganda rupestre sull’altopiano (Kurangun [32] , Naqsh-i Rustam [33] , Hong-i Nowruzi, Shah Savar [34] ), la crescita esponenziale di Anshan che assurge a capitale del regno, la riforma religiosa e l’ascesa dell’elamita Napirisha e della sua paredra Kiririsha, come evinta dai nuovi impianti figurativi, non debbano essere valutati come forti evidenze sulla possibile origine anshanita della dinastia Sukkalmakh, un origine da cercare nel Marv Dasht, in regioni che, più di un millennio più tardi, vedranno l’ascesa dei Persiani e la fondazioni delle loro più famose capitali: Pasargade e Persepoli [35] .

È indubbio che, sebbene con i Sukkalmakh ben 17 diverse titolature vengano usate nelle iscrizioni celebrative dei sovrani, per la prima volta un epiteto reale (che sia Sukkal, Adda Lugal, Ippir o Ruhushak) viene usato, apparentemente indistintamente, associandolo all’Elam, ovvero a Susa ovvero ad Anshan, quasi a voler distinguere sfere e contesti diversi dove si esercita il controllo dell’autorità dinastica. Senza entrare in merito al significato di ogni singola titolatura [36] , sembra possibile pensare che questa apparente tripartizione possa essere spiegata con la natura eterogenea del regno elamita, dove Susa ed Anshan rappresentavano la bicefalia politica e amministrativa del regno e con il termine Elam s’intendesse l’insieme di una struttura politica al cui interno l’elemento storico alluvionale (Susiana) conviveva con quello di più recente formazione (Anshan) che aveva dato origine alla nuova dinastia regnante.

 

4. Catastasi

La creazione del mito fondante

Le nuove direttrici politiche non dovettero, tuttavia, essere da subito comprese dalla gran parte dei gruppi tribali e stanziali che popolavano l’antico Elam; un così forte e drastico cambiamento negli impianti iconografici, che esprimevano riforme che investivano ogni campo della politica e della religione, è probabile che non fu immediatamente compreso ovvero condiviso, in particolare dal gruppo stanziale centrato in Susiana che dovette certo continuare a organizzarsi attorno alla preminente e storica figura del dio Inshushinak (dio della città di Susa) e far leva sulla lunga e millenaria tradizione culturale del centro del Khuzistan. La forte resistenza, dei centri occidentali di più lunga tradizione, ai nuovi percorsi rivoluzionari dei sovrani Sukkalmakh, in particolare l’imposizione di una nuova coppia divina e la creazione di una nuova capitale amministrativa, e la ‘scollata’ componente nomade dell’altopiano che, in quanto tale, creava seri problemi di coesione territoriale e amministrativa, dovette imporre la ricerca di elementi culturali di coesione tra le varie componenti del regno che potessero permettere unità attorno a un comune sentimento identitario. In tal senso va interpretata la ricerca di un passato mitico nella storia dell’Elam attuato dai dinasti Sukkalmakh, un richiamo forte, mirato, da una parte, a restituire una base storica comune a un regno fortemente frammentario che necessitava di compattezza e, dall’altra, a legittimare i nuovi dinasti attraverso l’affiliazione alla più arcaica dinastia di Awan, di ca. mezzo millennio più antica, prima dinastia storica che regnò su Susa e parte dell’altopiano. L’affiliazione storica a un tempo mitico come strumento di legittimazione dinastica e di coesione culturale e politica è un esercizio ripetitivo e funzionale che ha attraversato i secoli della storia con esiti perlopiù positivi. Tuttavia le difficoltà nell’attuare un programma capillare e, allo stesso tempo, così decisamente rivoluzionario dovette imporre pianificazioni storiche che passarono attraverso il richiamo a un passato storico che diventò mitico, un passato comune che legava tutte le componenti dell’altopiano a un antenato comune, unico e di discendenza diretta che fu riconosciuto nella dinastia di Awan e nei suoi sovrani che per primi operarono un embrionale tentativo di ‘elamitizzazione’ dei singoli aspetti artistici e politici senza tuttavia riuscirci appieno; è indubbio, infatti, che a fronte di nuovi impianti figurativi, attorno al 2300 a.C., nati per l’ambizione di alcuni sovrani awaniti (in primis Epirmupi), che introdussero nella glittica nuove espressioni dinastiche ‘scollate’ dalle coeve esperienze accadiche, la più arcaica dinastia elamita fu, per tutta la sua durata, sotto il controllo diretto dell’amministrazione del regno di Accad e dei suoi sovrani che prima con Sargon e poi con Naram Sin esercitarono un controllo diretto sulle appendici orientali della Mesopotamia. Gli esiti storici di quel periodo, tuttavia, non dovettero interessare la propaganda Sukkalmakh che riconobbe in Awan, il cui epicentro politico era peraltro la stessa Susa, il tempo mitico a cui ispirarsi e attraverso il quale creare un nuovo sentimento di coesione identitaria che unisse le tre principali componenti del regno (quella alluvionale, montanara e nomade). In questo modo si possono spiegare le nuove titolature della Casa Regnante (‘Sukkalmakh’) e il ricupero di singole manifestazioni figurative ormai desuete e sconosciute da mezzo millennio che permisero di raccordare le esperienze dinastiche di Awan a quelle Sukkalmakh.

In questo periodo awanita, da circoscriversi approssimativamente tra la metà del XXIII e la metà del XXI secolo a.C., infatti, compaiono i prodomi di una ricerca stilistica e iconografica completamente scollata dalle coeve esperienze mesopotamiche, tanto da permettere l'identificazione di un localismo artistico delle botteghe di Susa nonostante il dominio della regione del neo impero Accadico; quello che può essere rintracciata, infatti, è una spinta artistica indipendente dai codici figurativi usati nella stessa Susa, codici d'arte che mostrano vincoli e legami con i percorsi culturali voluti dai sovrani accadici. Un gruppo consistente di sigilli, che precedono le riforme Sukkalmakh di ca. 4/5 secoli, deve riconoscersi, infatti, in una produzione susiana, frutto di botteghe locali, che mostrano aspetti provinciali accentuati frutto di condizionamenti dovuti al sostrato elamita presente nella stessa città di Susa [37] . Da un punto di vista stilistico questo gruppo di sigilli restituisce figure meno volumetriche, più piatte, dove la superficie viene appena solcata tralasciando quel plasticismo che caratterizza la produzione contemporanea accadica; anche le soluzioni iconografiche, sconosciute alla glittica di Accad, restituiscono originali invenzioni come la rappresentazione di profilo dei personaggi rappresentati, resi con tratto sommario, con corti capelli, dalla resa complessiva poco sinuosa, più squadrata che esplicita una certa difficoltà nella resa delle proporzioni e delle distanze. In alcuni casi si esaspera lo schematismo per giungere a una generica e assai sbrigativa resa stilistica che, sebbene adotti un’equa ripartizione dello spazio metopale secondo i dettami della sfragistica accadica, mostra sommarie raffigurazioni, spesso di difficile identificazione. Anche le tematiche di alcuni sigilli sembrano, con alcuni sovrani di Awan, essere originate dal serbatoio culturale elamita piuttosto che dal vasto patrimonio mitologico della tradizione mesopotamica. In questi gruppo di sigilli, quindi, si scorge un tratto figurativo distintivo della più tarda tradizione glittica elamita che mostra continuità d’uso dal periodo Accadico fino alla metà del II millennio a.C.; più in generale è dunque possibile attribuire alle botteghe accadiche, probabilmente della sola Susiana, la nascita di uno stile, di temi e di singole icone che verranno ripresi qualche secolo più tardi nella sfragistica paleoelamita della dinastia Sukkalmakh.

L'eredità iconografica più significativa delle innovazioni awanite, riprese non senza un disegno politico dai codici programmatici di espressione dinastica Sukkalmakh, fu il cosiddetto 'dio-serpente' [38] profondamente radicato nel vasto e complesso pensiero religioso elamita tanto da essere, come scritto, ripreso qualche secolo più tardi per sviluppare e legittimare la nuova coppia divina, Napirisha e Kiririsha, a capo del pantheon elamita [39] . Impronte e sigilli susiani databili al secondo quarto del II millennio [40] , i rilievi rupestri di Kurangun [41] e Naqsh-i Rustam [42] , la stele di Untash-Napirisha (XII secolo a.C.) [43] e un nuovo sigillo ora conservato nel museo di Haft Tepe [44] ci permettono, infatti, di conoscere il grande dio elamita, seduto su di un trono formato dalle spirali di un serpente, reso secondo canoni descrittivi certo analoghi a quanto conosciuto sui più arcaici sigilli susiani prodotti dalle cancelleria di Awan (Figg. 3-5).


Fig. 4

Fig. 4 - Trasmissioni iconografiche da Awan ai Sukkalmakh



Fig. 5

Fig. 5 - Trasmissioni iconografiche da Awan ai Sukkalmakh


Il processo di emancipazione artistica e culturale dell'enclave susiana, avulso dai codici figurativi delle coeve botteghe accadiche, rimarrà tuttavia inespresso, la personalità artistica dell'arte figurativa susiana rimarrà incompiuta, ancora troppo schiacciata sugli impianti di propaganda della dinastia sargonide, lasciando alle dinastie successive il peso di definire appieno un nuovo tratto distintivo ‘elamita’ che produrrà un nuovo sistema di codici più omogeneo, meno dispersivo e con elementi figurativi comuni; questo tentativo, sebbene incompleto, come evinto dall'ampio corpus di sigilli provenienti da Susa, dovette tuttavia rappresentare un primo sforzo di 'autonomizzazione' artistica, probabilmente da mettere in relazione con nuovi fermenti dinastici e politici che la Susiana e l'entroterra elamita dovettero affrontare verso la fine del regno accadico. La creazione di elementi figurativi e iconografici, meno quelli di tipo stilistico, difformi, lontani dall'arte imperiale accadica, distanti dalla produzione ufficiale delle botteghe mesopotamiche, potrebbe, infatti, essere il sintomo di un percorso politico prestabilito in cui il governatorato della Susiana, sotto il controllo amministrativo della sovranità accadica, celebrasse sé stesso, la propria reggenza, alla ricerca di una maggiore visibilità politica che ne certificasse e ne riconoscesse ruolo e valore. Questa storicizzazione di una parte dei sigilli awaniti prodotta tra il XXIII e il XXII secolo a.C. sembra, peraltro, se non certa, assai probabile, per la numerosa presenza di esemplari recanti i nomi dei governatori di Awan che, sebbene mostrino titoli dimessi, espressione del controllo accadico sulla regione, sembrano, tuttavia, particolarmente attenti alla loro celebrazione (si vedano in particolare le iscrizioni sui sigilli di Epirmupi) [45] .

Se questo processo d'identificazione tra le distanze figurative (iconografiche, tematiche e stilistiche) della glittica di Susa dalla produzione dell'impero (Accad), supportata dalle iscrizioni celebrative dei dinasti Awan sugli stessi sigilli susiani, e le spinte politiche indipendentiste dei governatori susiani fosse confermata, e non rimanesse una semplice congettura, avremmo allora significative evidenze sulle motivazioni che spinsero i dinasti Sukkalmakh [46] a celebrare Awan come un tempo mitico, un periodo a cui ispirarsi e tramite il quale compattare il nuovo regno che si andava a formare, una coesione da cercare internamente all'Elam contro un nemico comune da riconoscersi nei regni di Mesopotamia rappresentati, nel 'tempo mitico' di Awan, da Accad e, nel 'tempo storico' dei Sukkalmakh, da Larsa e Babilonia.

 

5. Catastrofe

Conclusioni

Il quadro che si dovette determinare, con la negazione dei codici figurativi della dinastia Simashki e l'assunzione di un nuovo sistema propagandistico dei re Sukkalmakh, cambiò radicalmente i rapporti di forza tra le due dinastie elamite. L'arrivo dei nuovi dinasti, attorno al 1920 a.C., ebbe certo aspetti di grande rottura con il passato, gli aspetti rivoluzionari del capillare programma figurativo Sukkalmakh rappresentarono un periodo di grande fertilità intellettuale, il cui spirito rivoluzionario risiedeva nello stravolgimento di assetti religiosi, artistici, politici, etnici ormai sedimentati da secoli nella storia del Bronzo Iraniano. In particolare lo stravolgimento linguistico, sociale e religioso della base elamita rappresentò una rivoluzione 'copernicana' all'interno del classicismo culturale Simashki; le nuove idee, per quanto rivoluzionarie, non attecchirono nell'immediato, si dovette aspettare l'ascesa al trono di Sirukutuh (inizio XIX secolo a.C.), un secolo più tardi la fondazione della nuova dinastia, per riconoscere l'affermazione di un nuovo modello ora sistematizzato e facile da decodificare. Ma proprio quando la 'rivoluzione' Sukkalmakh, sorta sul conformismo celebrativo e propagandistico dei Simashki, si attuò, la spinta propulsiva della rivoluzione culturale si spense, l'anti-classicismo Sukkalmakh finì di esistere, il piano di stravolgimento di ogni codice si trasformò da rivoluzionario a reazionario. Il superamento del classicismo elamita Simashki confluì, un secolo più tardi, in un piano reazionario di vocazione tradizionalista dove 'l'anti-classicismo' Sukkalmakh divenne 'classicismo', dove il cambiamento si trasformò in una diffusa cristallizzazione di ogni codice artistico, religioso e politico, la dinamicità divenne staticità, l'innovazione fu sostituita dalla tradizione. Dallo stravolgimento dei canali celebrativi e culturali della storia elamita, e successivamente all'affermazione di un nuovo sistema figurativo, si giunse, infatti, nei quattro secoli successivi, alla monopolizzazione degli apparati figurativi, allo loro standardizzazione attraverso la creazione di una classicità artistica che qualche anno prima rappresentò la rottura col passato; la rivoluzione subì una contro-rivoluzione, l'anti-classicismo ripiegò in una nuova forma di classicismo, definendo, nello stesso tempo, l'esclusione di nuove forme e serbatoi artistici e culturali, ora espressione 'contro' di un nuovo impianto ideologico e reazionario.

Quello che emerge dopo l'ascesa di Sirukutuh è un'ossessiva attenzione delle cancellerie reali elamite nel determinare un classicismo artistico che dovette intendersi come mero strumento di propaganda finalizzato alla celebrazione dei nuovi dinasti e alla creazione di un nuovo sistema di codici figurativi che dovette essere necessariamente standardizzato, reso omogeneo su tutto il territorio, di chiara fruizione e di forte allontanamento dalle precedenti sperimentazioni visive dei sovrani Simashki. Quello che accadde fu la creazione di un nuovo codice figurativo che dovette esaltare il ruolo della nuova sovranità e con essa celebrare coesione politica, religiosa ed etnica/tribale, superando di slancio le difficoltà d'integrazione tra la proprie capitali, la vecchia e alluvionale Susa, perlopiù di formazione culturale mesopotamica, e la nuova Anshan, la cui genesi va cercata sugli altopiani iranici depositari della tradizione elamita. L'ambizioso piano propagandistico e la supposta imposizione di canali iconografici, stilistici e figurativi in tutto il regno, che si riconobbero nei modelli delle officine reali Sukkalmakh, produssero un'arte ufficiale a cui anche le produzioni minori si sarebbero successivamente adeguate. Un nuovo modello, fortemente coeso, ripetitivo e ridondante, caratterizzò, quindi, quasi mezzo millennio di storia elamita producendo una classicità culturale che dovette rappresentare uno straordinario veicolo, un manifesto del nuovo potere e del nuovo ordine stabilito; come sempre accade, tuttavia, a un classicismo reazionario, dovette seguire una risposta forte e netta di un'arte lontana dai canoni espressivi dei dinasti Sukkalmakh e, con essa, i germi di un espressivismo di rottura con la dinastia ebartide che da rivoluzionaria si trasformò in reazionaria.

Procedendo dal particolare al generale, quanto finora scritto sembra riconoscere un dualismo tra modelli diversi dove la contrapposizione tra sistemi produce un cosiddetto 'classicismo', perlopiù associato alla tradizione, e la sua negazione, cioè 'l'anti-classicismo', che per le nostre categorie mentali, a dir il vero abbastanza rigide, richiama un'azione di rottura, di scardinamento dei dogmi culturali già esistenti, e rivoluzionaria, per quanto il termine appaia piuttosto desueto, forse obsoleto per molti, non per tutti. Insomma questa visione dualistica di netta contrapposizione tra modelli confluisce in un paradigma di conoscenza troppo spesso semplicistico in cui l'equazione classico = tradizione versus anti-classico = cambiamento/rivoluzione appare, a mio avviso, banale e limitante per successive analisi mirate alla comprensione di ciò che non si conosce; è mia convinzione che, al contrario, le due parti, sebbene contrapposte, siano metà di un unico Sistema, rappresentano un unico modello di controllo delle realtà, senza una parte non può esistere l'altra. Se questo sembra facilmente comprensibile per la metà 'anti-qualcosa', per ovvie ragioni, più difficile è riuscire a spiegare come un sistema complesso, sia esso politico, artistico, espressivo, architettonico, necessiti di qualcosa 'contro' per potersi esprimere al meglio; entrambe rappresentano due facce dello stesso paradigma, attraverso cui esercitare la propria forza e operare il controllo sulla moltitudine, solo in alcuni casi l'una confluisce nell'altra, come sembra essere documentato in Elam tra III e II millennio a.C., dove lo spirito rivoluzionario venne sostituito da quello reazionario, alla 'rivoluzione' seguì la 'contro-rivoluzione'.

Ad ogni modo il riconoscimento di un unico sistema che produce un modello e la negazione dello stesso dovette essere usato in Elam con gli ebartidi che idearono un sistema figurativo e propagandistico fortemente standardizzato e schematico centrato sulla trasmissione di codici politici e del pensiero vincolati alla nuova dinastia che si andava a formare, in particolare questa opera radicale, ma, allo stesso modo, capillare e veemente nelle sue più celebrative manifestazioni, dovette assumere una forte spinta propositiva e invasiva nella società elamita per contrastare e modificare quanto pre-esistente; fu un percorso alimentato non semplicemente da quanto era stato programmaticamente ideato, ma dall'esigenza di contrastare, delegittimare, superare le precedenti esperienze politiche maturate con i dinasti Simashki. Nella negazione si affermarono con maggiore forza i nuovi codici di propaganda, certo ispirati da un nuovo sistema di comunicazione visuale, ma, tra il XIX e XVIII secolo a.C., indotti dal superamento della tradizione precedente, traendo forza e vitalità dall'essere 'contro', sviluppando con più forza un nuovo modello perché antitetico a quello di più arcaica formulazione. Sembra evidente che questa trasposizione tra manifestazione artistica e potere, che permette elucubrazioni di più ampio respiro, sia possibile per le società complesse del Vicino Oriente Antico; in un sistema sociale che ha nell'arte una manifestazione di esclusiva celebrazione dinastica, ancora lontana dalla 'individualizzazione' dell'oggetto da parte di un artista, le due sfere vengono a sovrapporsi, ad autodeterminarsi fino a permettere, non sempre, di definire appieno scelte politiche attraverso l'arte visuale e vice versa.

Riconoscere un nemico, quindi, non è un semplice esercizio retorico ma uno stimolo necessario che trova la propria soddisfazione sia in un ambiente reazionario, sia in quello rivoluzionario, i due modelli per affermarsi devono conoscersi e poi contrastarsi per approfittare dei reciproci vantaggi che si generano dalla negazione dell'altro. I dinasti della III dinastia di Ur, per affermare il proprio modello socio-economico, dovettero 'creare' la minaccia nomade costituita dagli Amorrei che 'spingevano' in Alta Mesopotamia, allo stesso modo la propaganda egiziana presentò gli asiatici Hyksos, e la storiografia cinese la pressione degli Hsyung-nu contro il regno di Chin-Shin Huang-ti.

In una società in cui l'arte è esclusivamente dinastica, quindi espressione di un potere che definisce regole, costumi, tradizioni e culti, come nel Vicino Oriente Antico, anche un singolo rilievo rupestre assume un significato che trascende il suo valore artistico, diventa espressione complessa di un determinato modello politico; il riconoscimento, quindi, di una 'rivoluzione' artistica attuata dai dinasti Sukkalmakh è sintomo di un cambiamento politico di più ampia portata che si dovette realizzare in antitesi con quanto di 'classico' rappresentava la dinastia Simashki, nutrendosi di quel sentimento 'anti-classico' radicato nell'arte Simashki, mettendo in discussione e superando quei paradigmi culturali prodotti con il periodo precedente. Il loro percorso fu dunque basato sul riconoscimento 'dell'altro', poco importa se orientato verso il suo superamento, aiutando a comprendere come i due sistemi fossero parte integrante di un tutto; le due parti si nutrirono vicendevolmente l'una dell'altra, si auto-legittimarono e, nella loro visione dualistica, si affermarono.

In conclusione, sorge il legittimo convincimento sulla possibilità che una visione 'liquida' dell'arte vicino-orientale, da considerare una produzione dinastica e quindi portatrice di ideologie e modelli politici, debba essere cercata, non tanto nelle 'rotture' storiche ovvero nelle elaborazioni non ufficiali di un arte propagandistica, quanto piuttosto nel comprendere che le due parti convergerono verso un loro reciproco utilizzo, dove gli equilibri tra le parti rappresentarono la base essenziale della loro sopravvivenza. Questa visione reciprocativa, peraltro ampiamente contestualizzabile anche in ambiti moderni e post-moderni, che supera un'impostazione dualistica della storia, dovette agevolare i Sukkalmakh nell'elaborare un rivoluzionario e capillare programma di propaganda dinastica; allo stesso modo, le successive spinte conservative della fine del XVI secolo a.C., quando la stessa dinastia ebartide mostrava forti e inequivocabili segni di decadimento politico e scadimento artistico, furono fortemente aiutate da un nemico ora rappresentato dall'ascesa della dinastia igihalkide, trasformando l'anti-classico in classico, il 'nuovo' confluì nella 'tradizione', la spinta rivoluzionaria della vecchia dinastia si raccolse in un contenitore reazionario di forma e idee.

Permane quindi la convinzione che i due sistemi, 'classico' e 'anticlassico', siano un'unica categoria del pensiero politico e artistico, la cui liquidità, intesa come la summa di valori contrari ad un dato o a un sistema convenzionalmente prestabilito, debba cercarsi nel non riconoscimento di un'antitesi, perché essa stessa generata da convenzioni umane e, infine, parte integrante di un unico sistema.

Rimane il concreto dubbio che a questo tipo di 'liquidità' non siamo ancora pronti, in una società dove codici e paradigmi sono espressione ormai di astrattismi verbali, analisi superficiali, slogan urlati, dove il bianco deve essere bianco e il nero non diverso dal nero, dove c'è sempre un buono e un cattivo, un bello e un brutto, uno che vince e uno che perde, la complessità perde il suo valore, non definisce, non chiarisce, ci confonde. Pensare con le sfumature, i vuoti, le assenze, le mancate comprensioni, i dubbi e le irragionevolezze, dovrebbe rappresentare quella 'liquidità' indice di cambiamento contro l'autoritarismo, contro le azioni reazionarie delle società complesse che hanno solcato la storia dell'uomo, società che si nutrono e si sono nutrite di una visione dualistica dell'esistenza umana contrapponendo valori (bello e brutto, buono e cattivo), modelli sociali (nomade e sedentario, ricco e povero), religiosi (cristianità e islamismo) e culturali, incapaci d'ibridarsi, di compenetrarsi per poi capirsi [47] .






NOTE



[1] SUMNER 1972; 1990; MIROSCHEDJI 2003, fig. 3.2.

[2] ASCALONE - PEYRONEL 1999; DURING CASPERS 1992; 1994a; 1994b; 1994c; POTTS 1993; 2003; 2008.

[3] ASCALONE 2014; in stampa.

[4] FRANKE-VOIGT 1991; 1995; DURING CASPERS 1997; KANIUTH 2010; POSSEHL 1996; 2002a; 2002b; RATNAGAR 2004.

[5] ASCALONE 2003.

[6] VALLAT 1990; POTTS 1999, pp. 160-166.

[7] ASCALONE 2010b; 2011, pp. 190-196.

[8] ASCALONE 2010a.

[9] AMIET 1979b.

[10] AMIET 1986.

[11] AMIET 1979a.

[12] Sembra che il regno elamita si comporti come un ‘Segmentary State’ (contra lo ‘Unitary State’), dove l’eventuale accentramento sembra essere espressamente e più semplicemente di natura rituale (titoli, costruzioni templari, iscrizioni celebrative, etc.) piuttosto che connesso alla mera azione politica. Sul cosiddetto ‘fragmentary state’ si vedano BALANDIER 1972: pp. 142, 155 e POTTS 1999, p. 156.

[13] STOLPER 1984; POTTS 2010.

[14] DELAPORTE 1920, p. 296, fig. 503.

[15] DOSSIN 1927, n. 173: 43.

[16] AMIET 1973, n. 48; 1996, fig. 2.

[17] Un lotto di sigilli provenienti da Susa sembra riprodurre il dio elamita mentre consegna gli strumenti della corretta e equa amministrazione pubblica al sovrano (ASCALONE 2010b, figg. 1-7).

[18] POTTS 2010, appendix 2, n. 107.

[19] STOLPER 1984, p. 6, n. 6.

[20] Numerose iscrizioni (almeno 116 tipologie diverse) rinvenuti su mattoni permettono di riconoscere altri edifici sacri costruiti dalle reggenze elamite durante il periodo Paleoelamita a (2050-1520 a.C.). Per un'efficace sintesi vedi POTTS 2010 con relativa bibliografia.

[21] VALLAT 1990: p. 120.

[22] SUMNER 1972; 1990.

[23] MIROSCHEDJI 2003, pp. 27-32 e fig. 3.2.

[24] GOFF 1964.

[25] SUMNER 1972, p. 44; 1980, tav. I.

[26] SUMNER 1972, pl. XXIII-XXV; 1974, p. 167, figg. 6-7, pl. IVc-d.

[27] SUMNER 1972, pl. XXXI: A, D; 1974, p. 167, fig. 8.

[28] SUMNER 1972, pl. XXVII: G, P, Q-R, pl. XXVIII-XXIX; 1974, p. 167, fig. 9c-f.

[29] CARTER 1980, fig. 28; NICKERSON 1983, fig. 58: a-i.

[30] Si confronti SUMNER 1972, fig. XXIX: O-P; 1974, fig. 8d con CARTER 1984, fig. 10: 4.

[31] ASCALONE 2011, pp. 181-190.

[32] Per primo VANDEN BERGHE 1986.

[33] SEIDL 1986, pp. 14-19.

[34] CALMEYER 1988, p. 281; VANDEN BERGHE 1963, pls: XXV-XXVII.

[35] MIROSCHEDJI 1980, pp. 132-140; 2003, p. 26; STOLPER 1982, p. 54.

[36] Si rimanda, da ultimo, a POTTS 1999, pp. 161-166. Si veda anche VALLAT 1990, p. 120; CAMERON 1936, p. 71; GRILLOT - GLASSNER 1991, p. 85.

[37] Recentemente P. Amiet (2005) ha riconosciuto questa difformità produttiva all'interno del corpus accadico proveniente da Susa attribuendo alcune impronte alla produzione accadica, altre a quella accadica provinciale, elamita e alla cosiddetta 'transelamita' (AMIET 1986).

[38] Per primo P. de Miroschedji riconobbe, nel dio seduto su di un ofide, Napirisha, capo del pantheon elamita e dio in parziale antitesi con Inshushinak divinità tutelare della città di Susa: l'ipotesi è che nelle titolature reali dei sovrani di Elam (‘re di Awan e Anshan’), si possa riconoscere una doppia valenza per le stesse divinità del plateau iraniano che hanno in Inshushinak il dio delle terre di Awan (Susa) e in Napirisha il dio delle alte terre di Anshan (MIROSCHEDJI 1980, pp. 137 e 143).

[39] Anche la resa stilistica complessiva appartiene al patrimonio figurativo elamita: la tiara del dio priva di corna, spesso piatta trova confronto nei più tardi esemplari paleoelamiti.

[40] MIROSCHEDJI 1981, nn. 1, 5 e tav. 1: 2.

[41] VANDEN BERGHE 1986, fig. 2.

[42] SEIDL 1986, abb. 2b.

[43] MIROSCHEDJI 1981, n. 1; SEIDL 1986, p. 9, n. 3; VANDEN BERGHE 1986, n. 18. Si veda anche l’iscrizione della stele di Untash-Napirisha in JÉQUIER 1900, p. 124.

[44] TROKAY 1981, fig. 5.

[45] Sebbene con Epirmupi la città di Susa sia sotto la reggenza del re di Accad, il principe susiano di Awan, vassallo al regno mesopotamico in Susiana, inizierà a produrre sigilli indipendenti con iscrizioni che lo ricordano ‘governatore di Elam’.

[46] Lo stesso titolo 'Sukkalmakh' è un'arcaica titolatura usata al tempo dei sovrani di Awan che compare nei testi di Ur III e appare spesso associata alla città di Lagash, centro mesopotamico più orientale e fortemente legato all'attigua Susiana (si vedano HALLO 1957, p. 118; VALLAT 1990, p. 121; POTTS 1999, pp. 161-162).

[47] In tal senso si è voluto dividere questo contributo usando termini che hanno origine nel teatro greco classico nel disperato tentativo di creare, nel rispetto della loro contestualizzazione storica, una sincresi tra la forma (la drammaturgia greca) e il contenuto (vicino oriente pre-classico), per provare a far confluire, in modo sommario, una tradizione in altre tradizioni, una struttura espositiva in una storiografia lontana.






BIBLIOGRAFIA

AMIET 1972

P. Amiet, La glyptique susienne, des origines à l’époque des perses achéménides. Cachets, sceaux-cylindres et empreintes antiques découvertes à Suse, de 1913 à 1967 (= MDAI 43), Paris, 1972.

 

AMIET 1973

P. Amiet, Glyptique élamite. A propos de documents nouveaux, in Arts Asiatiques, 26, 1973, pp. 3-45.

 

AMIET 1979a

P. Amiet, Archaeological Discontinuity and Ethnic Duality in Elam, in Antiquity, 53, 1979, pp. 195-204.

 

AMIET 1972b

P. Amiet, Alternance et dualité. Essai d’interprétation de l’histoire élamite, in Akkadica, 15, 1972, pp. 2-22.

 

AMIET 1986

P. Amiet, L’âge des échanges inter-iraniens: 3500-1700 avant J.-C., Paris, 1986.

 

AMIET 1996

P. Amiet, Observations sur les sceaux de Haft Tépé, in Revue d’Assyriologie et d’Archéologie Orientale, 90, 1996, pp. 135-143.

 

AMIET 2005

P. Amiet, Les sceaux de l’administration princière de Suse à l’époque d’Agadé, in Revue d’Assyriologie et d’Archéologie Orientale, 101, 2005, pp. 51-58.

 

ASCALONE 2003

E. Ascalone, Modalità, cause e dinamiche dei rapporti tra Siria e Turan durante la seconda metà del III millennio a.C.: evidenze archeologiche, epigrafiche e storiche di un “indirect long-distance trade”, in Contributi e Materiali di Archeologia Orientale, 9, 2003, pp. 139-182.

 

ASCALONE 2007

E. Ascalone, Archaeological Links between Syria and Iran. Stratigraphical Correlation and Regional Connections, in From Relative Chronology to Absolute Chronology: The Second Millennium BC in Syria-Palestine, Roma 29 novembre - 1 dicembre 2001, a cura di P. Matthiae et alii, Roma, 2007, pp. 2-29.

 

ASCALONE 2010a

E. Ascalone, Sigilli Paleoelamiti dei primi secoli del II millennio a.C. I codici figurativi della glittica Paleoelamita e le nuove formule di espressione dinastica dei sovrani Simashki, in Proceedings of the VIth International Congress on the Archaeology of the Ancient Near East, Rome 5-10 May 2008, Rome, a cura di P. Matthiae et alii (eds.), 2010, pp. 629-639.

 

ASCALONE 2010b

E. Ascalone, I dinasti Sukkalmakh tra passato storico e mito fondante. Codici di propaganda dinastica e legittimazione divina in Elam tra Attahushu e Tan-Uli (ca. 1900-1550 a.C.), in Mythos, 17, 2010, pp. 143-158.

 

ASCALONE 2011

E. Ascalone, Glittica Elamita dalla metà del III alla metà del II millennio a.C. Sigilli a stampo, sigilli a cilindro e impronte rinvenute in Iran e provenienti da collezioni private e museali, L’Erma di Bretschneider, Roma, 2011.

 

ASCALONE 2014

E. Ascalone, Intercultural Relations between Southern Iran and Oxus Civilization. The Strange Case of Bifacial Seal NMI 1660, in Iranian Journal of Archaeological Studies, 4, 2014, pp. 1-10.

 

ASCALONE in stampa

E. Ascalone, Queen Mother, Goddess, Grand Mother, Queen, Princess and Faithful. A Composite Picture on the Cultural Transmissions Among Central Asia, Elam and Eastern Iran Between the End of Third, Beginning of the Second Millennium BC, in Proceedings of the 2nd Susa and Elam conference: History, Language, Religion and Culture, Louvain-la-Neuve 6-8 July 2015, Louvain-la-Neuve, a cura di J. Tavernet, A. Tourovets, K. De Graef, in stampa.

 

ASCALONE-PEYRONEL 1999

E. Ascalone, L. Peyronel, Typological and Quantitative Approach to the Ancient Weight Systems. Susa, Persian Gulf and Indus Valley from the End of the III to the Beginning of the II Millennium BC, in Altorientalische Forschungen, 26, 1999, pp. 352-376.

 

BALANDIER 1972

G. Balandier, Political Anthropology, Harmondsworth, 1972.

 

CALMEYER 1988

P. Calmeyer, Zur Genese altiranischer Motive X. Die elamisch-persische Tracht, in Archäologische Mitteilungen aus Iran, 21, 1988, pp. 27-51.

 

CAMERON 1936

G.G. Cameron, History of Early Iran, Chicago - London, 1936.

 

CARTER 1980

E. Carter, Excavations in Ville Royale I at Susa: the Third Millennium B.C., in DAFI, 11, 1980, pp. 11-134.

 

CARTER 1984

E. Carter, Excavations in the EDD Sector at Tal-e Malyan, 1976, in Proceedings of the VIth Annual Symposium on Archaeological Research in Iran, a cura di F. Bagherzadeh, Tehran, 1984, pp. 12-21.

 

CARTER 1996

E. Carter, Excavations at Anshan (Tal-e Malyan): The Middle Period, Malyan Excavation Reports, Vo. II, Philadelphia, 1996.

 

DELAPORTE 1920

L. Delaporte, Musée du Louvre, Catalogue des cylindres orientaux. Catalogue des cylindres, cachets et pierres gravées de style oriental I. Fouilles et missions, Paris, 1920.

 

DOSSIN 1927

G. Dossin, Autres textes sumèriens et accadiens (textes scolaires, économiques, juridiques, épistolaires, religieux) (= MDP 18), Paris, 1927.

 

DURING CASPERS 1992

E.C.L. During Caspers, Intercultural/Mercantile Contacts between the Arabian Gulf and South Asia at the close of the Third Millennium BC, in Proceedings of the Seminar for Arabian Studies, 22, 1992, pp. 3-29.

 

DURING CASPERS 1994a

E.C.L. During Caspers, Further Evidence for ‘Central Asian’ Materials from the Arabian Gulf, in Journal of the Economic and Social History of the Orient, 37, 1994, pp. 33-53.

 

DURING CASPERS 1994b

E.C.L. During Caspers, Non-Indus Glyptics in a Harappan Context, in Iranica Antiqua, 29, 1994, pp. 83-106.

 

DURING CASPERS 1994c

E.C.L. During Caspers, Widening Horizons. Contacts between Central Asia (the Murghabo-Bactrian Culture) and the Indus Valley Civilizations towards the Close of the Third and the Early Centuries of the Second Millennium B.C., in Annali dell’Istituto Orientale di Napoli, 54/2, 1994, pp. 171-198.

 

DURING CASPERS 1992

E.C.L. During Caspers, Bactrian Elements in the Harappan Glyptic Repertoire, in South Asian Archaeology 1995, a cura di R. Allchin, B. Allchin, Cambridge, 1992, pp. 253-263.

 

FRANKE-VOIGT 1991

U. Franke-Voigt, Die Glyptik aus Mohenjo-Daro, Mainz, 1991.

 

FRANKE-VOIGT 1995

U. Franke-Voigt, Vom Oxus zum Indus, in Ubeiträge zur Kulturgeschichte Vorderasiens. Festschrift für Rainer Michael Boehmer, a cura di Finkbeiner, R. Dittman, H. Hauptmann, Mainz, 1995, pp. 145-165.

 

GRILLOT-GLASNER 1991

F. Grillot, J.J. Glasner, Problèmes de succession et cumuls de puvoirs: une querelle de famile chez les premiers Sukkalmah?, in Iranica Antiqua, 26, 1991, pp. 85-99.

 

HALLO 1957

W.W. Hallo, Early Mesopotamian Royal Titles: a Philologic and Historical Analysis (= AOS 43), New Haven, 1957.

 

JEQUIER 1900

G. Jéquier, Travaux de l’hiver 1898-99 (= MDP 1), Paris, 1900, pp. 111-138.

 

KANIUTH 2010

K. Kaniuth, Long Distance Imports in the Bronze Age of Southern Central Asia: Recent Finds and their Implications for Chronology and Trade, in Archäologische Mitteilungen aus Iran und Turan, 42, 2010, pp. 3-22.

 

MIROSCHEDJI, DE 1980

P. de Miroschedji, Le dieu élamite Napirisha, in Revue d’Assyriologie et d’Archéologie Orientale, 74, 1980, pp. 129-143.

 

MIROSCHEDJI, DE 1981

P. de Miroschedji, Le dieu élamite au serpent et eaux jaillissantes, in Iranica Antiqua 16, 1981, pp. 1-25.

 

MIROSCHEDJI, DE 2003

P. de Miroschedji, Susa and the Highlands: Major Trends in the History of Elamite Civilization, in Yeki bud, yeki nabud. Essays on the Archaeology of Iran in Honor of William M. Sumner, a cura di N.F. Miller, K. Abdi, University of California, 2003, pp. 17-38.

 

NICKERSON 1983

J.L. Nickerson, The Kaftari Period at Malyan: Intra-Site Variability, Ph.D. dissertation, Department of Anthropology, Ohio State University, 1983.

 

POSSEHL 1996

G.L. Possehl, Meluhha, in The Indian Ocean in Antiquity, a cura di J. Reade, London - New York, 1996, pp. 133-208.

 

POSSEHL 2002a

G.L. Possehl, The Indus Civilization. A Contemporary Perspective, Walnut Creek, 2002.

 

POSSEHL 2002b

G.L. Possehl, Indus-Mesopotamian Trade: the Record in the Indus, in Iranica Antiqua, 37, 2002, pp. 325-342.

 

POTTS 1993

D.T. Potts, A New Bactrian Find from Southeastern Arabia, in Antiquity, 67, 1993, pp. 591-596.

 

POTTS 1999

D.T. Potts, The Archaeology of Elam. Formation and Transformation of an Ancient Iranian State, Cambridge University Press, 1999.

 

POTTS 2003

D.T. Potts, Tepe Yahya, Tell Abraq and the Chronology of the Bampur Sequence, in Iranica Antiqua, 38, 2003, pp. 1-24.

 

POTTS 2008

D.T. Potts, An Umm an-Nar-Type Compartmented Soft-stone Vessel from Gonur Depe, Turkmenistan, in Arabian Archaeology and Epigraphy 18, 2008, pp. 167-180.

 

POTTS 2010

D.T. Potts, Elamite Temple-Building, in From the Foundations to the Crenellations. Essays on the Temple Building in the Ancient Near East and Hebrew Bible, a cura di M.J. Boda, J. Novotny, Ugarit-Verlag, Münster, 2010, pp. 49-70.

 

RATNAGAR 2004

S. Ratnagar, Trading Encounters. From the Euphrates to the Indus in the Bronze Age, Delhi, 2004.

 

SEIDL 1986

U. Seidl, Die elamischen Felsreliefs von Kurangun und Nqsh-e Rustam (= Iranische Denkmäler 12/II/H), Berlin, 1986.

 

STOLPER 1982

M.W. Stolper, On the Dynasty of Shimashki and the Early Sukkalmakhs, in Zeitschrift für Assyriologie und vorderasiatische Archäologie, 72, 1982, pp. 42-67.

 

STOLPER 1984

M.W. Stolper 1984, Text from Tall-i Malyan, I. Elamite Administrative Texts (1972-1974), Philadelphia, 1984.

 

SUMNER 1972

W.M. Sumner, Cultural Development in the Kur River Basin, Iran: An Archaeological Analysis of Settlement Patterns, Ph.D., Pennsylvania, 1972.

 

SUMNER 1974

W.M. Sumner, Excavations at Tall-i Malyan 1971-1972, in Iran 12, 1974, pp. 155-180.

 

SUMNER 1977

W.M. Sumner, Early Settlements in Fars Province, Iran, in Mountains and Lowlands: Essays in the Archaeology of Greater Mesopotamia (= Bibliotheca Mesopotamica 7), a cura di L.D. Levine, T.C. Young, 1977, pp. 291-305.

 

SUMNER 1989

W.M. Sumner, Anshan in the Kaftari Phase: Patterns of Settlement and Land Use, in Archaeologia Iranica et Orientalis, Miscellanea in Honorem Louis Vanden Berghe, a cura di De Meyer, E. Haerinck, Gent, 1989, pp. 135-162.

 

SUMNER 1990

W.M. Sumner, An Archaeological Estimate of Population Trends Since 6.000 B.C. in the Kur River Basin, Fars Province, Iran, in South Asian Archaeology 1987, Istituto Italiano per l’Estremo e Medio Oriente, a cura di M. Taddei (ed.), Roma, 1990, pp. 1-16.

 

TROKAY 1991

M. Trokay, Les origines du dieu élamite au serpent, in Mesopotamian History and Environment, Mésopotamie et Elam, Actes de la XXXVIème Rencontre Assyriologique Internationale, Gand, 10-14 juillet 1989, a cura di L. De Meyer, H. Gasche, Ghent, 1991, pp. 153-162.

 

VALLAT 1990

F. Vallat, Réflexions sur l’époque des sukkalmah, in Contribution à l’histoire de l’Iran: Mélanges offerts à Jean Perrot, a cura di F. Vallat, Paris, 1990, pp. 119-127.

 

VANDEN BERGHE 1963

L. Vanden Berghe, Le relief parthe de Hung-i Nauruzi, in Iranica Antiqua, 3, 1963, pp. 155-168.

 

VANDEN BERGHE 1986

L. Vanden Berghe, Données nouvelles concernant le relief rupestre élamite de Kûrangûn, in Fragmenta historiae aelamicae: mélanges offerts à M.-J. Steve, a cura di L. De Meyer, H. Gasche, F. Vallat, Paris, 1986, pp. 157-173.





Vedi anche nel BTA:









PDF

Figure cortesia di Enrico Ascalone

Contributo valutato da un referee anonimo nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

Risali



BTA copyright MECENATI Mail to www@bta.it