bta.it Frontespizio Indice Rapido Cerca nel sito www.bta.it Ufficio Stampa Sali di un livello english
Il Royal Ontario Museum di Daniel Libeskind  

Lisa Simonetti
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 25 Novembre 2016, n. 822
http://www.bta.it/txt/a0/08/bta00822.html
Precedente
Successivo
Tutti
Area Architettura

Il Royal Ontario Museum, comunemente conosciuto come ROM, è il più grande museo del Canada con i suoi sei milioni di oggetti custoditi.

La sua storia ha inizio nel 1857 quando viene fondato il Museum of Natural History and Fine Arts presso la Toronto Normal School, anche se la vera e propria concretizzazione è avvenuta nel 1912 dopo la decisione del governo canadese di dare origine a un nuovo museo, il Rom, cui progetto viene affidato ai due architetti canadesi Frank Darling e John A. Pearson. La struttura rispecchia a pieno quello stile neoromanico italiano che caratterizzò la fine del diciannovesimo secolo sulla scia del revivalismo architettonico.

L’inaugurazione del museo avviene nel marzo del 1914 alla presenza del principe Arturo, duca di Coonaught e governatore generale del Canada.

Nell’arco di un secolo – soprattutto a causa della continua crescita delle sue collezioni – il museo ha subito numerosi ampliamenti. Il primo risale al 1933 e consiste nella realizzazione dell’ala est di fronte al Queen’s Park: una nuova grande entrata e un elaborato mosaico in stile neobizantino nella rotonda della cupola. Queste costruzioni, progettate dagli architetti Alfred H.Chapman e James Oxley verranno successivamente prese a modello per la realizzazione di altri edifici canadesi.

La seconda importante espansione risale al 1964 quando viene aggiunto il planetario McLaughlin nella parte meridionale dell’edificio, chiuso nel 1995 e riaperto tre anni dopo come museo temporaneo per bambini. Oggi i suoi ambienti vengono utilizzati perlopiù come uffici e magazzini.

Nel 1975 viene aggiunto un atrio multi - livello con la solo funzione di raddoppiare gli spazi del piano. Questa espansione, costata cinquantacinque milioni di dollari – e realizzata rispondendo a uno stile semplice e moderno dagli architetti Gene Kinoshita e Mathers & Haldenby – viene inaugurata nel 1984 da Elisabetta II, regina d’Inghilterra e del Canada.

È tra la fine del 2001 e l’inizio del 2002 che il museo subisce la più importante ristrutturazione definita Rinascimento del Rom. Operazione questa che ha come principale obiettivo l’innovazione, la promozione della struttura e l’opportunità di ricavare finanziamenti che vadano a sostenere le varie attività di ricerca, di conservazione, di didattica svolte dal museo stesso.

Una vera e propria rinascita, sia in termini di immagine e contenuti sia in termini di adeguamento sociale, nei confronti di una città come Toronto che negli ultimi anni è stata caratterizzata da uno sviluppo sempre più veloce e inaspettato.

Al centro dell’intero progetto c’è dunque la realizzazione di una grande ala che si aggiunge al quadro originale dell’edificio: una struttura innovativa realizzata dall’architetto polacco Daniel Libeskind, scelto tra cinquanta finalisti dell’apposito concorso internazionale, in collaborazione con lo studio Bregman + Hamann Architects.

La struttura realizzata da Libeskind per il Royal Ontario Museum, si presenta come un tipico edificio di matrice decostruttivista [1] che, assumendo le sembianze di un immenso cristallo, si erge tra Queen’s Park e Bloor Street.

Questa nuova costruzione è stata denominata Michael Lee-Chin Crystal, dal mecenate giamaicano - canadese che ha donato trenta milioni di dollari per la sua costruzione (costata in totale duecentosettanta milioni di dollari canadesi) e già dalla sua inaugurazione, avvenuta il 2 giugno 2007, ha immediatamente diviso l’opinione pubblica e gli addetti ai lavori.

Il suo design particolare, infatti, è stato giudicato da alcuni come pesante e opprimente mentre da altri considerato come il nuovo capolavoro dell’architettura moderna.

La morfologia costitutiva dell’edificio riporta alla mente altre due opere di Libeskind: quella del Jüdisches museum di Berlino e del Denver Art museum dove angoli acuti si intrecciano seguendo mutamenti improvvisi accentuati in rottura con l’ambiente circostante.

 

«Questo edificio racconta una storia particolare che cristallizza il contenuto programmatico del ROM e la singolarità del suo sito. Il Crystal trasforma il carattere del ROM in un’atmosfera dedicata al risorgere del museo come un centro dinamico di Toronto». (D. Libeskind)

 

Una delle peculiarità appartenenti a questo nuovo edificio è sicuramente la sua conformazione anticlassica o meglio – liquida – generata da una creazione di geometrie di cristalli e dalla successiva formazione di cinque elementi di forma prismatica autoportante ed interconnesse fra loro collegate alla struttura del museo esistente.

È lo stesso Libeskind a raccontare come l’idea strutturale del prisma sia nata proprio dalla vista di un particolare cristallo esposto nella collezione del museo. Idea che lui stesso ha riportato istantaneamente su un tovagliolo di carta e che attesta ancora oggi la forma dell’ampliamento della struttura.

Il cristallo nasce con l’intento di rappresentare i complessi principi della natura e, allo stesso tempo, la stabilità della sua geometria. Questa sorta di accordo stipulato con la natura non acquisisce alcun ruolo mimetico: il progetto manifesta chiaramente i materiali e le linee guida che ne hanno condotto l’idealizzazione e la costruzione.

La stessa scelta dei materiali come il vetro, l’acciaio e l’alluminio, risponde in maniera soddisfacente alle peculiarità che i diversi elementi devono produrre all’interno della costruzione. L’acciaio costituisce la struttura delle grandi facciate e assicura robustezza e sicurezza per le ampie vetrate mentre l’alluminio per le superfici di rivestimento e non autoportanti [2] .

Una conformazione così estranea si rende elemento determinante che genera una forte sorpresa nel contatto con la struttura del museo preesistente [3] .

Tutta l’opera di Daniel Libeskind – sicuramente uno degli architetti più vitali di questi ultimi due decenni – si presenta come una linea zigzagante tra luoghi, idee e saperi. Una linea che ha lo scopo di incidere il superamento della nostra presunta razionalità di dominio sul mondo e sulle cose, mettendo radicalmente in crisi le nostre certezze [4] .

È lui stesso nella biografia del 2005 [5] a raccontare come la propria esperienza personale abbia sempre viaggiato di pari passo con la creazione delle sue opere, attraverso un’affascinante fusione tra la sua stessa vita e il mondo dell’architettura. «Il mio lavoro prende il via da alcune contraddizioni insanabili tra il metodo, l’idea e il desiderio. è come avere un milioni di pezzi di mosaico che non compongono la stessa figura, che non potranno mai essere assemblati e costituire unità, poiché non provengono da un insieme unitario … è proprio questa la differenza tra costruire veramente qualcosa, conciliando questi bizzarri elementi inconciliabili in opposizione a un procedimento meccanico come l’assemblaggio di pezzi già pronti e scollegati» [6] .

Ed è questa biografia che fornisce la chiave giusta di lettura verso tutta l’opera di Libeskind – fatta non solo di architettura, ma anche di musica [7] , storia e letteratura -  in cui si possono trovare almeno due delle sei proposte per il millennio prossimo delle Lezioni Americane di Italo Calvino. Le celebri lezioni dove il grande scrittore anticipa le teorie del terzo millennio descrivendo i due elementi in grado di far progredire l’uomo: il cristallo e il fuoco – la razionalità e l’istinto.

Quello di Libeskind può sembrare, dunque, una sorta di simbolismo che tenta di entrare nelle stesse viscere dell’architettura o meglio un’architettura che tenta di appropriarsi profondamente della costruzione dello spazio.

In un’opera del 1964 Architettura senza Architetti [8] , lo storico Bernard Rudofsky, affronta esempi di costruzione nate per sottrazione, scavate nella roccia attraverso il lento processo della natura in cui si percepisce l’unione tra natura e artificio. Un’architettura perciò senza architetti che racconta una realtà complessa concepita dal luogo, resistente, vivace ma soprattutto originale.

Natura e artificio vengono indagati da Paul Valéry nel 1921, in uno dei più importanti testi della letteratura critica, Eupalinos o l’architetto, in cui Fedro e Socrate dialogano sulla continua ricerca dell’uomo di interpretare i processi naturali e dove è lo stesso Valéry ad asserire sull’impossibilità dell’uomo di risolvere la dicotomia, assente in natura, tra pensiero e azione.

«Socrate: […] gli oggetti creati dall’uomo sono dovuti agli atti di un pensiero. I principi sono separati dalla costruzione come imposti dalla materia da un tiranno straniero che a essa mediante atti li comunichi. La natura, nella propria opera, non distingue i particolari dal complesso; ma sbuca simultaneamente da ogni dove, a se stessa, vincolandosi, senza esperimenti, senza ritorni, senza modelli, senza mire particolari, senza riserve; non divide mai un progetto dall’esecuzione; non procede mai direttamente e senza riguardo agli ostacoli, ma con questi componendosi, li mescola al proprio moto, li gira o li utilizza, quasi che a una stessa sostanza appartengano la strada presa, la cosa che per quella strada si mette il tempo impiegato a percorrerla. Se un uomo agita un braccio si concepisce un rapporto puramente possibile. Ma, dal punto di vista della natura quel gesto del braccio e il gesto stesso non si possono separare …» [9] . Un brano che offre la possibilità di captare le differenze primarie tra i percorsi creativi della natura e quelli della mente umana.

Nel progetto del Royal Ontario Museum, Daniel Libeskind lavora per trovare questo accordo con la natura: ne interpreta i processi, la visione e il senso totale che si percepisce ancora a Toronto. Cerca di rispondere, inoltre, al quesito della separazione netta tra processo e azione di Valéry con un’apertura ai temi dello spazio elastico, modellato da una forza vitale, magmatica, come lava solidificatasi dopo un forte raffreddamento.

A volte risulta difficile capire il messaggio o lo stesso valore di un’architettura, anche per chi di solito è abituato all’interpretazione di segni e spazi. Alcuni di questi, infatti, possono stupire, fermo restando che non sempre la sensazione che si prova dinanzi a tali costruzioni possa essere positiva. E forse è proprio questo il caso di Daniel Libeskind.  Secondo alcuni studiosi ed esperti del settore questa opera di Libeskind sembra quasi voler aprire una nuova frontiera architettonica: un «rifugio» di grandi cristalli, in apparenza piovuti dal cielo come un meteorite o spinti all’esterno dalle viscere della terra da una forza immane.

Un classico edificio degli anni Venti di pianta rettangolare cui si incastra perfettamente e senza mai toccare questa nuova costruzione con il solo risultato di un’esplosione di prismi in alluminio e vetro, dove la storia di conflitti, tensioni, diversità e sovrapposizioni culturali – che il museo documenta – trova la sua esternazione e il suo simbolo nello stesso oggetto architettonico. Libeskind, qui a Toronto, traduce la materia architettonica in sostanza dall’aspetto vivo ed espressivo. Una materia che esprime un cambiamento ma al tempo stesso in grado di invecchiare come fosse un corpo vivo, soggetto al trascorrere del tempo.

Processo, evoluzione, invecchiamento, contrasto.  Sono questi i principi cui Libeskind si unisce per esprimere al meglio il suo personale percorso, per raccontare questo processo dinamico a tratti anche drammatico.

Nel suo progetto l’architetto polacco traduce e interpreta questa visione globale, questa energia vitale che si respira anche nella città stessa di Toronto, andandosi però a scontrare con il vecchio museo storico della città: una sorta di architettura mutante dove movimento e trasformazione della natura si stringono in una nuova alleanza.

Con tutti i suoi progetti, il Royal, il museo ebraico di Berlino o il museo di Denver – solo per citarne alcuni – Libeskind pone come principale obiettivo quello di comunicare allo spettatore il senso dello spazio e della materia come aveva sentenziato Louis Khan anni prima [10] .

La materia, infatti, deve essere autentica, onesta e in grado di raccontare attraverso la sua natura le sensazioni e i rimandi all’altro, a ciò che non si avverte automaticamente.

I due edifici si sfiorano quanto basta a creare uno campo interno di relazione, una spazio chiuso che dà modo ai visitatori di leggere e comprendere i due ambienti, in relazione tra loro solo tramite passerelle: la struttura di un cristallo e il funzionamento interno di una macchina barocca in cui diagonali a diversi livelli tagliano lo spazio.

Disequilibri questi realizzati appositamente da Daniel Libeskind con lo scopo di rievocare i conflitti tra cultura e natura, tra naturale e artificiale. Il risultato finale è una costruzione in cui il peso di questo preambolo ideativo si trasforma in austerità materica che, in apparenza, neanche l’utilizzo del vetro e dell’alluminio riesce ad alleggerire.

Una sorta di destabilizzazione psichica ma al tempo stesso strutturale che riporta al problema della forma in architettura anticipata dal maestro Peter Eisenman negli anni Sessanta. L’architetto statunitense pone in discussione la teoria della filosofa svizzera Jeanne Hersch secondo cui «non esiste l’in sé della forma ma quest’ultima viene sempre definita dalla polarità tra ciò che è attivo – ovvero la forma – e ciò che è passivo – ovvero l’orizzonte contro il quale si staglia la forma e rispetto al quale il soggetto dietro la forma vuole intervenire» [11] . Lo fa, quindi, considerando la forma non più quello strumento cognitivo e discriminatorio tra ciò che è attivo e ciò che passivo ma dissolvendo ogni gerarchia di significato tra i vari elementi formali e liberandoli da ogni volontà di significazione [12] .

Una destabilizzazione che in Libeskind si carica di valori emozionali dove l’ambiente è in grado di comunicare il suo valore simbolico, con richiami storici e imprevedibili che generano nello spettatore dubbi e interrogativi rendendolo – allo stesso tempo – partecipe di una situazione in apparenza irrazionale e no sense. «Parlare di architettura […] vuol dire parlare del paradigma dell’irrazionale. Dal mio punto di vista, le opere più alte dello spirito contemporaneo vengono dall’irrazionale, mentre ciò che prevale il mondo, che domina e spesso uccide, lo fa sempre in nome della ragione» [13] .

Questo è esattamente lo spirito con cui Libeskind e gran parte di quella architettura che consideriamo liquida, affrontano lo sviluppo delle loro ricerche strutturali che conducono a una ricapitolazione e a una riscrittura delle passate esperienze architettoniche, attraverso l’esasperazione di motivi noti che vengono associati liberamente [14] .

Il risultato quindi di tutta questa ricerca è un’architettura che si abbandona in toto alla spettacolarità, tralasciando a volte, i caratteri di una più specifica funzionalità a favore di un chiaro riferimento della rivelazione architettonica nel campo dell’esecuzione artistica. Una sorta di simbolismo architettonico che penetra eccentricamente nella costruzione dello spazio.

Sicuramente nel caso del ROM, l’originalità della costruzione è andata di pari passo con quanto pensato dal direttore del museo William Thorsell il quale ha manifestato la volontà di rendere l’ampliamento una sorta di moderna wunderkammer che contenesse gli oggetti più disparati: dipinti, minerali, tessuti, manufatti di popoli indigeni. Un ambiente e un allestimento caratterizzati dalla moltitudine e diversificazione degli oggetti esposti rielaborando temi sicuramente suggestivi.

Ambiente e allestimento rispondono perfettamente all’unicità dello spazio interno: gli angoli retti sono quasi assenti, le pareti inclinate e la luce che entra seguendo insoliti tragitti si staglia nel cuore centrale e vuoto dell’edificio, la Spirit House, attraversato da percorrenze diagonali.

La Spirit House Chair è considerata come la parte fondamentale, il cuore del museo. è una sedia in acciaio inossidabile ideata per essere orientata seguendo cinque differenti posizioni, all’interno del grande spazio cavo della sala a tutt’altezza del museo. L’atmosfera surreale data dall’effetto di riflesso e scomposizione della luce incidente, ne fanno uno spazio di contemplazione e unico nel suo genere.

Ne viene fuori una costruzione in cui il peso di questa parabola ideativa si è trasformata in gravità materica che, aggiunta alla monocromaticità e all’intersecazione di superfici ed elementi possono creare disequilibrio e la perdita del senso dell’orientamento.

Libeskind raggiunge questo obiettivo attraverso il procedimento della “contaminazione”: un intervento svolto appunto su architetture tradizionali che si apprestano allo stravolgimento attraverso l’inserimento di forme e materiali estranei alla costruzione originale [15] .

Le linee di Libeskind non sono spazi caotici ma espressione di speranza verso nuovi ordini coerenti di differenziazione tra le cose, di qualcosa che va oltre il limite della percezione. Lo spazio per Libeskind non è solo «percezione fisica, è qualcosa di sociale e culturale, è lo spazio dell’immaginazione, lo spazio del non conosciuto, lo spazio dell’invisibile, insomma lo spazio è qualcosa di più di quello che percepiamo attorno a noi e questo è certamente il mio fondamentale modo di vedere tale concetto, in particolare quando avvicinandomi ad ambienti o progetti che devono creare emozioni» [16] .

Considerato maestro nel realizzare edifici che rispondono alle richieste del proprio tempo, Daniel Libeskind, interpreta le stesse attraverso una personalissima spiritualità, cercando di narrare la storia in un modo entusiasta e partecipe allo stesso tempo.

Idee, progetti, emozioni e metafore che si trasformano semplicemente in gesto d’architettura.

 

BREVE CRONOLOGIA DELLE TRASFORMAZIONE DEL ROM NEL CORSO DEL SECOLO

1857 – Fondazione del Museo di Storia naturale e Arte presso la Toronto Normal School.

1912/1914 – Creazione del Royal Ontario Museum su progetto degli architetti Frank Darling e John A. Pearson.

1933 – Realizzazione dell’ala est fronte Queen’s Park e della cupola in stile neobizantino.

1964 – Aggiunta del planetario planetario McLaughlin.

1975 – Aggiunta di un atrio multi livello su progetto degli architetti Gene Kinoshita e Mathers & Haldenby.

2001/2002 – Viene scelto il progetto di Daniel Libeskind, realizzato con la collaborazione del B+H Architects, per la costruzione di una nuova ala del museo.

2 giugno 2007 –Inaugurazione della nuova ala che verrà denominata Michael Lee-Chin Crystal dal mecenate che ne ha finanziato i lavori.









NOTE

[1] L’architettura decostruttivista trae origine dal pensiero del filosofo francese Jacques Derrida mentre la nascita del fenomeno è avvenuta con una mostra organizzata a New York nel 1988 da Philip Johnson, in cui - per la prima volta -  appare il nome di questa nuova tendenza architettonica, che fu definita Deconstructivist Architecture. Alla mostra di New York furono esposti progetti di Frank O. Gehry, Daniel Libeskind, Rem Koolhaas, Peter Eisenman, Zaha Hadid, Bernard Tschumi e del gruppo Coop Himmelb(l)au. In questa mostra tutte le parti dell’oggetto vengono completamente smembrate per poi essere ricomposte secondo nuove regole, alternative rispetto a quelle tradizionali: si decostruisce per poi ricostruire.

[2] M. CESCON, R.O.M. The Royal Ontario Museum, in Acciaio Arte Architettura, n. 32, 2009.

[3] S. RANELLUCCI, La crescita dei musei nell’espansione del loro ruolo, Gangemi Editore, 2013.

[4] A. MAROTTA, Daniel Libeskind, Roma, Edilstampa, 2007.

[5] D. LIBESKIND, Breaking Ground, un’avventura tra architettura e vita, Sperling&Kupfer editori, 2005.

[6] D. LIBESKIND, Tra metodo idea e desiderio, in Domus, n. 731, 1991.

[7] Daniel Libeskind nasce nel 1946 in Polonia, studia musica – diventando un virtuoso della fisarmonica – per poi   passare alla Cooper Union di John Hejduk e Petere Eisenman e specializzandosi in seguito anche in storia e filosofia.

[8] B. RUDOFSKY, Archicteture without architects (catalogo), New York, 1964, (trad. it., Architettura senza architetti, Napoli, 1977).

[9] P. VALéRY, Eupalinos o l’architetto, a cura di Barbara Scapolo, Mimesis, 2011, p. 90.

[10] A. TRENTIN, Louis I Khan, Motta architettura, 2008, p.23.  Gli edifici di Louis Isadore Kahn(1901-1974) sono originati da una geometria di solidi elementari, fondati su una composizione modulare, idealmente riconducibili al reticolo quadrangolare di Jean Nicolas Louis Durand (1760-1834), il quale come Louis Kahn, attingeva agli elementi della storia, rendendoli neutri, convertendoli in elementi indifferenti in grado di acquisire un significato solo nel momento in cui veniva assegnato loro un luogo e un ruolo.

[11] J. HERSCH, Essere e forma, trad. it. di S. Tarantino e R. Guccinelli, Bruno Mondadori Editore, Milano, 2006, p. 73.

[12] P.V. AURELI, La strategia del Rifiuto. Formalismo, autonomia, testo, passività nell’opera di Peter Eisenmann, 1963-2005 in Peter Eisenmann tutte le opere, a cura di Pier Vittorio Aureli, Marco Biraghi, Franco Purini, Firenze, 2010, pp. 11-21.

[13] D. LIBESKIND 1991.

[14] M. CHELLI, Manuale per leggere l’architettura, vol. II, dal Barocco al Decostruttivismo, Roma, 2001, pp. 222-245.

[15] M. CHELLI 2001. «In genere questo procedimento, che viene indicato con il genere di perfezione disturbata ha lo scopo di vivacizzare un episodio architettonico sottratto all’attenzione dal suo essere anonimo; i nuovi elementi inseriti in maniera vistosa turbano l’equilibrio della vecchia costruzione riattivando l’interesse di chi si trova di fronte qualcosa di nuovo e insolito».

[16] Intervista a Daniel Libeskind, a cura di Veronica Dal Buono, rilasciata in occasione della conferenza Counterpoint presso la Facoltà di Architettura di Ferrara, nell’ambito delle attività promosse dall'Ufficio di Relazioni esterne e Comunicazione. http://www.materialdesign.it/







BIBLIOGRAFIA

 

AURELI 2007

Pier Vittorio Aureli, La strategia del Rifiuto. Formalismo, autonomia, testo, passività nell’opera di Peter Eisenmann, 1963-2005 in Peter Eisenmann tutte le opere, a cura di Pier Vittorio Aureli, Marco Biraghi, Franco Purini, Firenze, 2010

 

CESCON 2009

Marina Cescon, R.O.M. The Royal Ontario Museum, in Acciaio Arte Architettura, n.32, 2009

 

CHELLI 2001

Maurizio Chelli, Manuale per leggere l’architettura, vol. II, dal Barocco al Decostruttivismo, Roma, 2001

 

HERSCH 2006

Jeanne Hersch, Essere e forma, trad. it. di S. Tarantino e R. Guccinelli, Bruno Mondadori Editore, Milano, 2006

 

LIBESKIND 1991

Daniel Libeskind, Tra metodo idea e desiderio, in Domus, n.731, 1991

 

LIBESKIND 2005

Daniel Libeskind, Breaking Ground, un’avventura tra architettura e vita, Sperling&Kupfer editori, 2005

 

MAROTTA 2007

Antonello Marotta, Daniel Libeskind, Roma, Edilstampa, 2007

 

RANELLUCCI 2013

Sandro Ranellucci, La crescita dei musei nell’espansione del loro ruolo, Gangemi Editore, 2013

 

RUDOFSKY 1964

Bernard Rudofsky, Archicteture without architects (catalogo), New York, 1964, (trad. it., Architettura senza architetti, Napoli, 1977)

 

TERRAGNI 2012

Attilio Terragni, Daniel Libeskind, 24Ore Cultura, 2012

 

TRENTIN 2008

Annalisa Trentin, Louis I Khan, Motta architettura, 2008

 

VALÉRY 2011

Paul Valéry Eupalinos o l’architetto, a cura di Barbara Scapolo, Mimesis, 2011

 

ZEVI 2005

Bruno Zevi, Storia e contro storia dell’architettura in Italia, Roma, 2005








SITOGRAFIA


LIBESKIND

Daniel Libeskind, 
http://www.materialdesign.it/it/post-it/intervista-a-daniel-libeskind-a-cura-di-veronica-dal-buono_13_139.htm

 

LIBESKIND, MICHAEL LEE CHIN CRYSTAL

Daniel Lisbekind e il Michael Lee Chin Crystal,
http://www.arcspace.com/features/daniel-libeskind/michael-lee-chin-crystal/

 

ROM a

Royal Ontario Museum, http://www.rom.on.ca/en#/gallery/recent

 

ROM b

Royal Ontario Museum,
http://www.epab.bme.hu/oktatas/2009-2010-2/v-CA-B-Ms/FreeForm/Examples/OntarioMuseum.pdf





Vedi anche nel BTA:









PDF

Fig. 1
Mosaico in stile neobizantino della cupola

Fig. 2
Schizzo originale di Daniel Libeskind per il progetto della nuova ala

Fig. 3
Planimetria del Rom

Fig. 4
Daniel Libeskind e B+H Architects, Il Michael Lee-Chin Crystal

Fig. 5
Allestimento interno

Fig. 6
Royal Ontario Museum, esterno

Fig. 7
Costruzione della nuova ala del Rom su progetto di Daniel Libeskind

Fig. 8
Royal Ontario Museum, veduta aerea

Fig. 9
Classico e Anticlassico nelle due facciate del Royal Ontario Museum

Fig. 10
Spirit House

Fig. 11
Royal Ontario Museum, esterno

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

Risali



BTA copyright MECENATI Mail to www@bta.it