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Tecnologie applicate all’apprendimento nei musei: indicazioni di metodo per un uso efficace

Irene Di Ruscio
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 19 Febbraio 2019, n. 864
http://www.bta.it/txt/a0/08/bta00864.html
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Area Musei

Negli ultimi anni assistiamo a una diffusione sempre più ampia e rapida delle nuove tecnologie nei musei ed è indubbio che esse rappresentino, per le istituzioni culturali in genere, una grande opportunità1. È persino troppo evidente quanto beneficio abbia portato alla conoscenza del patrimonio culturale la loro ampia disponibilità: dalla catalogazione digitalizzata del patrimonio artistico alle tecnologie applicate al restauro, alla possibilità di rendere pubblica (per fini di ricerca e studio, ma anche solo di diletto) la conoscenza delle raccolte pubbliche o private, alla nuova capacità comunicativa e di promozione di cui siti e luoghi culturali dispongono, fino alla possibilità di visita virtuale di musei o luoghi nei quali non si ha la possibilità di recarsi fisicamente.

Nei musei, le tecnologie sono destinate ad un uso piuttosto esteso, in quanto il loro impiego è sotteso all’intera organizzazione del lavoro2. Sul fronte del loro utilizzo nell’ambito della comunicazione esterna delle proprie collezioni e della capacità di incidere sulla diffusione della conoscenza e sull’apprendimento del pubblico, la ricerca di nuove soluzioni tecnologiche non può non porsi degli orizzonti chiaramente definiti, a pena della sua finale inefficacia.

Cosa ci proponiamo di ottenere con l’ingresso delle tecnologie al museo? Incremento dei visitatori, possibilità di fruizione a distanza, aumento della visibilità e accessibilità del museo, rinnovamento e snellimento delle pratiche organizzative, sono tutti obiettivi più che leciti e per i musei più fortunati, in via di conseguimento. Il punto è all’attenzione anche della Comunità Europea, laddove, in una raccomandazione del 20153, invita ad un uso delle tecnologie che non sia alternativo alla fruizione diretta del bene né alle tradizionali forme di promozione culturale.

L’aspetto importante, a mio parere, è che le tecnologie consentano di aggiungere significato alla fruizione del museo. Credo pertanto che la più grande delle scommesse sia essere capaci di orientare, con efficacia, l’impiego delle tecnologie all’apprendimento e di farne un uso all’interno dello stesso ambiente museale e non sostitutivo alla visita, né meramente accessorio ad essa.

Il punto centrale su cui porre la riflessione è di conseguenza se effettivamente, quanto e a quali condizioni le nuove tecnologie possano favorire l’apprendimento4 all’interno del museo.

Operiamo nei musei in anni in cui è oramai ampiamente condiviso un approccio incentrato sull’utente, inteso neanche più come un insieme di persone a cui rivolgersi, ma addirittura come un singolo individuo, al cui personale stile di apprendimento si intende corrispondere5. Si celebra il museo come un luogo finalmente non autoreferenziale, capace di generare una relazione col proprio pubblico, dalla quale venga prodotta nuova cultura, in uno scambio paritetico tra le due parti.6

Mezzo privilegiato di questo scambio sono sempre più viste proprio le nuove tecnologie, in quanto strumento diffuso, utilizzato e per lo più amato fuori dal museo, e particolarmente familiare al pubblico giovanile, il più notoriamente difficile da avvicinare per una istituzione museale7.

La direzione intrapresa induce ad esaltare sempre di più due aspetti del museo: la sua capacità attrattiva, che trova nelle tecnologie un fortissimo alleato, e la sua capacità di coinvolgere il pubblico attraverso le proprie narrative, emozionandolo e rendendolo partecipe.

Indubbiamente, ciò fa parte di una rinnovata visione del museo, necessaria ed auspicabile, a patto però che sappia non trascurare un aspetto altrettanto importante, che sembra perdere terreno nella generale considerazione. Il museo, qualsiasi museo, è detentore di un sapere molto specifico, strettamente legato alle sue collezioni e alla sua missione culturale e non può e non deve dimenticare di farsi sempre – con qualsivoglia strumento – promotore della diffusione di quella specifica conoscenza, altrimenti non acquisibile altrove. Il segno di questa trasmissione dovrà anche essere rigorosamente scientifico, senza che per questo il museo venga bollato come autoreferenziale.

L’accento spesso posto sul museo come luogo dell’esperienza va dunque ricondotto non solo agli aspetti sensoriali ed emotivi più frequentemente richiamati, che talvolta tendono a degenerare nell’idea del museo come luogo di semplice intrattenimento, quanto piuttosto alla capacità di tradurre l’esperienza in nuovo e significativo apprendimento8.

È questa la vera sfida a cui siamo chiamati, e la risposta all’esigenza di rinnovamento non sta semplicemente nel promuovere al massimo l’uso di tecnologie, quanto invece nella capacità di saperle utilizzare come strumenti efficaci per l’apprendimento9. La spinta sulle tecnologie, in effetti, espone i musei al rischio di rincorrere una modernità vuota. Spesse volte i prodotti tecnologici sembrano limitarsi a sollecitare lo stupore di una visione, riflessi emotivi, feedback condizionati, o puro e semplice intrattenimento, senza positive ricadute in termini di apprendimento.

Per non incorrere in questo rischio di superficialità, è necessario che i contenuti educativi siano studiati con la stessa attenzione pedagogica e analogo iter progettuale delle attività educative che i musei normalmente progettano, anche senza l’uso di tecnologie. Una buona prassi, a tale scopo, è quella di promuovere team di diverse professionalità, che comprendano, accanto agli esperti della disciplina di riferimento, pedagogisti ed educatori museali e non solo tecnici informatici o makers10.

Oltre all’aspetto contenutistico, poi, ritengo che vada studiato un utilizzo delle tecnologie funzionale allo scopo. È indubbio, infatti, che delle tecnologie, anche delle più avanzate, si possa fare un uso assolutamente passivo e tradizionale, senza apportare alcun beneficio al museo sotto il profilo del rinnovamento degli approcci di apprendimento11.

Al contrario, la scelta di approcci di tipo attivo, di stampo costruttivista e socio-costruzionista12, che, oltre a porre il visitatore/utente al centro dell’attenzione del museo, lo trasformano nel protagonista attivo del proprio apprendimento, è – a mio parere - vincente e ritengo che vada il più possibile coniugata con l’impiego delle tecnologie.

Non è infatti plausibile una visione per cui l’introduzione delle tecnologie vada a soppiantare le metodologie educative non basate sul digitale, oppure rappresenti un insieme di proposte sovrapposto o avulso dal resto. Al contrario, come scrive Forbes: «To become an instrumental part of the learning ecosystem and bridge the gap between formal, nonformal and informal learning, museums should develop frameworks to shape a coherent and sustainable pedagogy for digital learning»13. Di questa pedagogia, coerente e sostenibile - prosegue Forbes – dovrà far parte un insieme di strumenti volti a misurare e valutare gli esiti dell’apprendimento con le tecnologie, per i diversi tipi di pubblico, al fine di supportare il museo nel riconoscimento del proprio ruolo nella formazione per tutti e lungo tutto l’arco della vita. In tal senso, le tecnologie digitali rappresentano un significativo arricchimento per il museo e contribuiscono al rafforzamento della sua immagine pubblica, in quanto capaci di offrire stimolanti e attrattive opportunità di apprendimento per tutti14.

L’uso delle tecnologie, in effetti, al di là delle individuali preferenze legate a fattori culturali e anagrafici, in linea teorica appare adatto a tutti, tanto da essere da più parti sollecitato come importante strumento di inclusione. È ovvio che le vecchie generazioni, a parte eccezioni, in genere preferiscono un contatto diretto con il personale del museo, piuttosto che contenuti mediati attraverso le tecnologie; diversamente dai giovani, per i quali, ovviamente, la disponibilità di tecnologie e di device rappresenta un elemento di notevole attrattiva, capace di concentrare (almeno in prima battuta) la loro attenzione. Tuttavia, l’appropriatezza di un intervento didattico/educativo con l’uso di tecnologie è commisurata alla capacità, espressa in fase progettuale, di cogliere i bisogni formativi di ciascuna tipologia di utenza e di dare ad essi risposta.

La sapiente integrazione di vecchi e nuovi strumenti educativi andrebbe affrontata in due direzioni: da una parte, una programmazione pluriennale ed annuale, che metta in campo un ventaglio di proposte differenziato, alcune tecnologiche ed altre non, che concorra alla comunicazione dei contenuti del museo e/o di una particolare mostra, con un taglio diversificato per le diverse utenze; dall’altra, la realizzazione di prodotti e proposte tecnologiche, in cui la tecnologia sia al servizio non solo dei contenuti, ma dei processi di apprendimento utili e ricercati e non sia sola protagonista.

Se la tecnologia, per sua natura, ha il potere di facilitare l’accesso ai contenuti del museo, rendendo più semplice comprenderli, dovrà nondimeno scoprire come accompagnare il processo di apprendimento, senza rimanere alla superficie delle cose. In proposito, ritengo non dovrebbe:

a – sostituirsi alla visione dell’opera o di un oggetto originale, se questo è accessibile;

b – stravolgere l’opera d’arte, cambiandole senso e connotati in nome di una presunta narrazione o intenzione ludica;

c – duplicare o moltiplicare l’offerta di contenuti, già proposta allo stesso target di pubblico sotto altre forme, in luogo di proporre qualcosa di nuovo;

d – assumere forme che implichino il solo ascolto/lettura, privo di possibilità di concreta e utile interazione da parte dell’utente. L’uso delle tecnologie, al contrario, deve richiedere all’utente un’azione concreta, uno sforzo, una nuova produzione, che lo induca, non solo ad assumere le nuove conoscenze proposte, ma a rielaborarle in forma personale, a sviluppare competenze, ad interagire col museo in maniera non blanda ed epidermica, bensì strutturata e decisamente attiva.

Le tecnologie rappresentano una preziosa occasione, che va colta nella direzione di aggiungere nuovi punti di vista, nuove interpretazioni, contenuti altri da quelli già frequentati senza di esse, nuove occasioni di crescita culturale15.

Progettando tecnologie per l’apprendimento al museo, due aspetti di non poco conto vanno considerati: la relazione tra gli individui e il gioco.

Tra i principali pregi dei musei è la potenzialità di creare relazioni, legami, occasioni di incontro e confronto. I musei di oggi sono per vocazione musei relazionali. Accanto alle tecnologie che favoriscono un approfondimento individuale, mi sembra opportuno sollecitare una ricerca di nuove tecnologie che favoriscano l’uso di gruppo all’interno del museo. Penso soprattutto alle scolaresche o a gruppi di giovani.

L’uso di device, già in certe fasce di età esasperato nella vita quotidiana, spesso comporta l’isolamento dell’utente in un solipsismo interpretativo, che spesso induce ad una visione monolitica, e forse anche monotona, dell’arte o del museo. Far sì che l’uso delle tecnologie si combini in modo da generare momenti di condivisione o di gioco collettivo, è molto importante per godere la dimensione relazionale del museo. Mi sono occupata di questo aspetto alcuni anni fa, tracciando le linee guida per la progettazione educativa nell’ambito del progetto europeo Openmuseums16. Credo che molto sia ancora da fare in questa direzione.

Sul fronte del gioco, nonostante i numerosi richiami alla dimensione del gioco come strategia principe dell’apprendimento, non si è ancora sviluppata una sensibilità tale da considerare questo strumento universalmente utile, al di là dell’età infantile. Jean Piaget ha indagato molto bene come il gioco rappresenti nel bambino (e io dico, non solo) una modalità di relazione con l’esterno, che comporta apprendimento e crescita intellettiva. Ora, il gioco, per tutti, a qualsiasi età, resta uno strumento fondamentale perché si generi nuovo apprendimento ed ha grandi potenzialità in ambiente museale17.

In ambito tecnologico, ciò appare recepito, dato che uno dei termini più utilizzati, oggi, quando si parla di tecnologie per l’apprendimento e di tecnologie nei musei, è gamification18.

Tuttavia, il gioco è funzionale all’apprendimento nella misura in cui non è banalizzato e privato degli aspetti che lo rendono tanto interessante sotto il profilo cognitivo. Che il gioco si trasformi in giochetto, privo di senso e di finalità educative, è cosa che purtroppo avviene spesso nelle progettazioni di attività culturali, anche nei musei. Con le tecnologie il rischio può essere potenziato, perché accompagnato dalla tentazione di farsi bastare l’effetto sorprendente di certe trovate tecnologiche.

E ancora una volta, il richiamo è ad una progettazione educativa rigorosa e partecipata, alla quale concorrano le diverse professionalità necessarie a garantire la realizzazione di prodotti caratterizzati da contenuti scientificamente corretti e supportati da metodologie e strumenti didattico-educativi validi.

Infine, una riflessione riguardo al rapporto tra tecnologia e velocità. Solitamente, tra le caratteristiche più esaltate delle tecnologie c’è, appunto, la velocità. La velocità, nell’apprendimento, è positiva o negativa?

L’apprendimento richiede tempi adeguati, adeguati alla difficoltà dell’oggetto dell’apprendimento e alle capacità e prerequisiti di chi apprende. I tempi sono peraltro condizionati dai contesti, in cui l’apprendimento si svolge e dagli strumenti che vengono utilizzati per indurlo. In generale, tra la velocità e la lentezza, la seconda favorisce maggiormente l’assimilazione dei contenuti, nonché l’acquisizione delle competenze, la quale avviene anche grazie alla ripetizione di azioni e processi19.

Le tecnologie sono in grado di accompagnarci anche in un processo, che coltivi il tempo come una risorsa importante per l’apprendimento. Non si può che auspicare che in fase progettuale si consideri il fattore tempo, nella direzione di dilatarlo e non di comprimerlo. Con le tecnologie, peraltro, ancor più che con le metodologie tradizionali, si rende necessaria una porzione di tempo per gettare uno sguardo al museo e alle opere, per collegare i contenuti veicolati attraverso gli strumenti tecnologici con la realtà circostante, per condurre una riflessione metacognitiva sul proprio apprendimento.

Per concludere, esprimo l’auspicio che il potenziamento delle tecnologie nei musei determini la spinta verso una progettazione educativa consapevole e rigorosa, sapientemente correlata con l’impiego di diverse strategie educative, utilizzata con modalità attive, scevra da superficialità, lontana da effetti speciali fini a se stessi e dal mito della velocità, capace di disseminare conoscenze e competenze, sulla storia dell'arte e i musei, della giusta profondità ed ampiezza.



NOTE

1   L’attenzione sul tema è ampiamente condivisa. Vale la pena di citare la rivista online «Artribune», che da qualche tempo dedica al digitale nei musei una rubrica fissa, nella quale Maria Elena Colombo intervista i responsabili della comunicazione digitale di importanti musei internazionali.

2    Riguardo alle tecnologie applicate all’organizzazione e accessibilità delle collezioni dei musei, merita di essere citato uno studio condotto nel 2012 presso il personale dei musei dell’Inghilterra orientale: LOMAS H. - HUTCHESON N. 2012. Nello studio si intende individuare le principali barriere alla diffusione dell’uso delle tecnologie nei musei. Pur rilevando un particolare affanno da parte dei musei di piccole dimensioni, dipendenti da amministrazioni locali, lo studio riscontra una diffusa propensione degli operatori museali al loro utilizzo e la percezione che l’uso delle tecnologie non possa portare che benefici. Nelle conclusioni, lo studio rimarca la necessità che l’uso delle tecnologie non sia dettato dalla moda, ma che le scelte adottate diano concrete ed efficaci risposte alle esigenze individuate, con una particolare e importante sottolineatura circa la necessità che le tecnologie non si assommino al resto come un’entità a parte, ma divengano parte di una visione ed un approccio capaci di integrare i vari aspetti dell’organizzazione del museo.

3    PARLAMENTO EUROPEO 8 settembre 2015, punti 45 e ss.

4  Delle potenzialità delle tecnologie come strumenti utili alla conquista di «equitable, quality education and lifelong learning for all by 2030» è certa l’UNESCO, che si è fatta promotrice di importanti riflessioni nel merito. Si veda UNESCO 2015.

5   Ci si riferisce alla teoria di Kolb e alla sua applicazione ai musei: Musei e apprendimento 2007, pp. 26-35.

6   Gli approcci sociocostruzionisti prediligono questo tipo di impostazione: ibidem, pp. 22-23.

7  Tra le tecnologie, avanza con prepotenza la realtà aumentata, considerata tra le più capaci di catturare l’attenzione dei giovanissimi e giovani e di determinarne la soddisfazione. Si veda: DI SERIO A. - IBÁÑEZ M. B. – DELGADO KLOOS C. 2013.

8   A tal proposito, è opportuno richiamare un passo del capitolo IX “Esperienza, natura e arte” di DEWEY J. 1973, p. 255, che vale la pena di rileggere per la sua innegabile modernità: << L’esperienza per i greci era un accumulo progressivo di saggezza pratica, una riserva di indicazioni utili nella condotta della vita. La sensazione e la percezione erano la sua occasione e la rifornivano del materiale acconcio, ma non la costituivano di per sé. Essi davano vita all’esperienza quando avveniva una successiva ritenzione dei materiali e quando, nella gran massa di casi sentiti e percepiti, emergeva in rilievo un fattore comune, che diventava poi utilizzabile per il giudizio e per l’impiego pratico. Intesa in questo modo l’esperienza ha i suoi equivalenti nel talento e nell’abilità del buon carpentiere, del buon navigatore, del buon capo militare; l’esperienza è l’equivalente dell’arte. Le teorie moderne del tutto opportunamente hanno esteso l’applicazione del termine fino a coprire molte realtà che difficilmente i greci avrebbero fatto rientrare nel termine ‘esperienza’, il mero sentire male e dolore, o un gioco di colori di fronte agli occhi. Ma anche coloro che si attengono a questa più ampia accezione del termine ammetterebbero, suppongo, che tali ‘esperienze’ hanno un significato solo quando hanno come risultato una chiara visione o il godimento di una percezione e che solo in questo senso esse qualificano l’esperienza nel suo senso onorifico>>. A questa chiara visione e al godimento di una percezione, che si traduca in nuovo apprendimento, bisognerà tendere.

9   Sull’efficacia delle tecnologie per l’apprendimento si sono misurati ricercatori a partire dalla fine degli anni Novanta del XX secolo. Si veda, per testo e bibliografia: Technology to Support Learning 2000 (1999). Vi si afferma l’efficacia delle tecnologie a patto che siano correttamente utilizzate e implichino l’interazione e non la passiva fruizione; vi si suggeriscono anche alcune modalità operative. Il testo, fin da allora, conclude intravedendo numerosi vantaggi dell’applicazione delle tecnologie computer based per l’apprendimento e auspicando che le ricerche sull’apprendimento si sviluppino in costante connessione con lo sviluppo dei software. Questo suggerimento è ancora attuale e da sottolineare particolarmente in relazione all’ambito dei musei. Utile è anche una ricerca condotta nel 1999 nel West Virginia e basata su 700 indagini empiriche circa l’impatto e l’efficacia delle tecnologie nell’apprendimento scolastico: SCHACTER J. 1999. Recentemente S. SAXENA 2013, sottolinea come l’abbinamento tra educazione e tecnologia rappresenti una grandiosa combinazione, se lo si utilizzi insieme a giuste motivazione e capacità di visione. Riflette anche come oggi la questione non sia più se la tecnologia sia utile all’apprendimento, ma in che modo possiamo migliorarne il nostro uso, al fine di sviluppare maggiori apprendimenti. Per quanto concerne lo stato dell’arte riguardo l’adozione delle tecnologie nei musei è opportuno citare il periodico report di NMC (New Media Consortium, https://www.nmc.org): NMC 2015.

10  Oggi l’industria tecnologica, i makers, gli sviluppatori di nuove tecnologie guardano con grandissima attenzione il mondo dei musei come luogo in cui applicare le più svariate tecnologie. Sui social rimbalzano quotidianamente notizie di sperimentazioni di nuove applicazioni, destinate in particolare al mobile, o di concorsi mirati al rinnovamento dei musei attraverso le nuove tecnologie. Molta visibilità ha avuto, nel primo semestre 2018, la call internazionale Playable Museum Award, lanciata dal Museo Marino Marini di Firenze sotto il coordinamento del game designer Fabio Viola e con l’obiettivo dichiarato di «individuare contributi innovativi per la progettazione di iniziative pionieristiche per immaginare il museo del futuro, un hub di innovazione tecnologica, sociale e culturale che favorisca la partecipazione e il coinvolgimento attivo e spontaneo dei visitatori». Per l’occasione sono stati chiamati a raccolta: «artisti, designers, architetti, makers, sviluppatori, creatori di videogiochi, musicisti, scrittori, grafici, manager culturali, storyteller, urbanisti, fisici, matematici, biologi, chimici … ma soprattutto immaginatori e sognatori». Nonostante l’originalità della formula del bando, non sono menzionati pedagogisti, psicologi dell’età evolutiva e dello sviluppo, né esperti di educazione museale. Finora non mi è capitato di leggere di team che includessero tali professionalità.

11  Si veda NISBET N. 2015, dove si spiega la differenza tra usare la tecnologia per replicare metodologie didattiche passive e trovare un genuino e attivo metodo di apprendimento.

12  Tali scelte sono il risultato di un processo di progressiva applicazione nei musei delle teorie pedagogiche elaborate da Jean Piaget, sviluppate in seguito da Jerome Bruner e Benjamin Bloom e dall’intersecarsi con altri stimoli quali la concezione dell’esperienza di John Dewey e delle teorie filosofiche relative alla costruzione del pensiero e del linguaggio di Lev Semenovich Vygotsky. Tutte queste teorie ebbero un ampio impiego negli anni Settanta, in particolare nei musei della scienza e da quella esperienza abbiamo ereditato non poco, anche se non ancora la sfruttiamo appieno ed ovunque. In proposito Musei e apprendimento 2007, pp. 18-26.

13   FORBES N. – FRESA A. 2016, p. 7. [“Per diventare una parte funzionale dell’ecosistema di apprendimento e colmare il divario tra apprendimento formale, non formale ed informale, i musei dovrebbero sviluppare framework funzionali a dare forma ad una pedagogia coerente e sostenibile per l’apprendimento digitale.”].

14  Ibidem.

15  Un esempio di buone prassi in tal senso è il MUSME, Museo di storia della medicina e della salute di Padova, il quale è dotato di un allestimento interamente tecnologico, realizzato sotto la regia dei dipartimenti universitari disciplinari e con la collaborazione di numerose società informatiche. Si veda il sito: http://www.musme.it/chi-siamo/. I percorsi proposti, sia per la visita individuale che per la visita guidata destinata alle scuole, sono tutti attivi e assolutamente utili ai fini di conoscere come funziona, ad esempio, il nostro corpo, nei suoi diversi aspetti, cosa succede quando ci ammaliamo, etc. con specifici esperimenti tecnologici, che non solo avvicinano al tema, ma ne danno puntuale trattazione. Chi lo visiti ne resta non solo affascinato, ma ne trae nuove conoscenze, sollecitato alla continua scoperta dalla curiosità instillata dalle diverse attività proposte all'interno di ogni percorso.

16  Il progetto «Openmuseums. Musei sloveni e italiani in rete: valorizzazione ed innovazione tecnologica nei musei delle città d’arte dell’Alto Adriatico» ha avuto come Lead Partner la Provincia di Ferrara. Rimando al paragrafo Le nuove tecnologie efficaci nella didattica di gruppo, in DI RUSCIO I. 2013, pp. 88-97.

17  Progettare per educare nei musei. Indirizzi e raccomandazioni circa metodologie e strumenti, in DI RUSCIO I. 2013, pp. 29-33 e Progettare con … il gioco, la narrazione, le nuove tecnologie, ibidem, pp. 79-84.

18  Interessante al riguardo: WOOD J. - LIU H. - BRIGGS T. 2016.

19  CIACCHERI M. C. 2016. L’autrice sottolinea il timore col quale pensiamo, a proposito della fruizione museale, alle parole: lentezza – silenzio – fatica. Parole tutte collegate all’apprendimento. La Ciaccheri osserva come in genere ci asteniamo dal proporli e persino considerarli, preoccupati di allontanare il pubblico dal museo. Eppure, prendersi il tempo per visitare un museo con calma, darsi il tempo di assorbire le conoscenze, concedersi ritmi pausati per comprendere e apprendere, è importantissimo. Alcuni musei hanno iniziato a sostenere una pratica della lentezza ed è nato lo Slow Art Day. L’articolo cita anche alcuni esempi di musei che si sono fatti promotori di un consumo culturale ‘lento’. Tra questi, cita Mindcraft, una storia digitale realizzata, con ritmi lenti, dalla Wellcome Collection di Londra.


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