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Monet. Capolavori dal Musée Marmottan–Monet, Parigi Roma, Complesso del Vittoriano, Ala Brasini (19 Ottobre 2017 – 11 Febbraio 2018)

Giorgia Duò
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell’Arte, 10 Dicembre 2019, n. 882
http://www.bta.it/txt/a0/08/bta00882.html
Articolo presentato il 29 Ottobre 2017, accettato il 25 Settembre 2018, pubblicato il 10 Dicembre 2019
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Area Mostre

L'apertura della mostra Monet. Capolavori dal Musée Marmottan–Monet, Parigi[1], al Complesso del Vittoriano, offre la possibilità al pubblico romano di avvicinarsi, al celebre maestro dell’Impressionismo, attraverso circa 60 opere, tra le più care al pittore, alcune poco note, altre mai esposte, provenienti dalla collezione privata dell’artista, raccolta instancabilmente nell’arco dell’intera sua vita e conservata, fino alla morte, nella sua famosa Casa di Giverny; dopo la scomparsa del maestro francese, per volontà di Michel Monet, unico erede diretto, le opere sono pervenute all’Accademia di Belle Arti parigina di cui la Casa-Museo Marmottan è un’emanazione. La rassegna, curata dalla storica dell’arte e vice–direttrice del museo prestatore, Marianne Mathieu[2], è il risultato di una selezione accurata e meditata delle opere impressioniste, per lo più di mano del maestro, sui lasciti che costituiscono il Museo: nel 1940 Victorine ed Eugène Donop de Monchy individuano nella fondazione dell’Accademia l’erede della loro raccolta privata[3], similmente, nel 1966, Michel prevede il lascito a favore dell’istituzione francese[4].

La mostra mira a ricostruire, attraverso sei sezioni tematiche, l’intero cammino artistico percorso dal maestro: a partire dai primissimi lavori di Le Havre, come le, poco conosciute ai molti, caricature della fine degli anni Cinquanta dell’800[5], grazie alle quali l’artista comprende che “fare arte” può produrre un guadagno[6], attraverso i paesaggi di Londra, Parigi, Vétheuil, Pourville e della riviera ligure, fino alla sua preziosa residenza di Giverny a cui si dedica quasi ossessivamente nell’ultima parte della sua lunga vita.

Il suo girovagare alla ricerca di soggetti per lui attraenti è ben spiegato dall’amico e compagno Guy de Maupassant, con il quale stringe amicizia nel settembre del 1886, il quale testimonia della straordinaria foga pittorica del maestro: “Lo scorso anno, in questo paese, ho spesso seguito Claude Monet in cerca di “impressioni”. Non era un pittore, in verità, ma un cacciatore. Andava, seguito dai bambini che portavano le sue tele, cinque o sei tele raffiguranti lo stesso motivo, in diverse ore del giorno e con diversi effetti di luce. Egli le riprendeva e le riponeva a turno, secondo i mutamenti del cielo. E il pittore, davanti al suo soggetto, restava in attesa del sole e delle ombre, fissando con poche pennellate il raggio che appariva o la nube che passava... E sprezzante del falso e dell’opportuno, li poggiava sulla tela con velocità”[7] e ancora “L’ho visto cogliere così un barbaglio di luce su una roccia bianca e registrarlo con un fiotto di pennellate gialle che, stranamente, rendevano l’effetto improvviso e fuggevole di quel rapido e inafferrabile bagliore. Un’altra volta ha preso a piene mani uno scroscio d’acqua abbattutosi sul mare e lo ha gettato rapidamente sulla tela. Ed era proprio la pioggia che era riuscito a dipingere, nient’altro che della pioggia che velava le onde, le rocce e il cielo, appena distinguibili sotto quel diluvio”[8].

La mostra si spiega lungo un percorso tematico, preceduta da una cronologia, molto ben leggibile, inizia con “Una famiglia – un museo”: la sezione testimonia l’intimo rapporto, di natura famigliare, che l’artista aveva con i due amati figli (Jean e Michel), avuti dalla prima moglie Camille Doncieux, morta, a soli 31 anni, nel 1979. A seguito di questo momento di crisi profonda, attraversato dal maestro per la perdita dell’amata e per il freddo attanagliante vissuto nell’inverno seguente (tra 1879 e il 1880), probabilmente particolarmente sentito anche a causa della scomparsa della consorte, le tele dell’artista[9] progressivamente si spopolano di figure umane e si concentrano sulla natura e sulla semplificazione dei soggetti[10]. I ritratti dei figli[11] sono gelosamente serbati, per tutta la vita, nella dimora di Giverny, mai esposti al pubblico, essi mostrano il soggetto su sfondo neutro, non presentano mai quinte naturali, forse per la volontà del maestro di concentrarsi sul soggetto, senza offrire distrazioni che possano distogliere l’attenzione dalla figura ritratta verso cui rivela l’amore e l’affetto profondamente provati dall’artista[12]. Questi ritratti rivelano fattezze poco definite, appena abbozzate, ma il vigore e la forza emotiva che sottendono alla rapida esecuzione, voluta dal maestro per rappresentare i propri cari, esaltano la natura intima dei bambini la cui personalità, sembra voler dichiarare il maestro, non può essere risolta sulla tela perché ancora in divenire. Sceglie, dunque, un ductus e un modus operandi che sia quanto di più idoneo a suggerire un carattere in evoluzione, ancora in via di definizione, pennellate rapide e nervose, parti lasciate volontariamente incompiute, rendono al meglio questo concetto di mutevolezza della personalità[13]. La ritrattistica, così come concepita dall’artista, diventa una dichiarazione di amore per la sua famiglia, motivo per cui, probabilmente, le tele raffiguranti soggetti umani ritratti sono dedicati per lo più ai figli[14]. 

Sulla parete opposta si dispiega l’interessante unità che testimonia il Monet caricaturista: la sua iniziale formazione artistica avviene a Le Havre, un paesino della Normandia, dove frequenta la scuola locale in cui insegna arti pittoriche l’anziano maestro Jacque François Ochard[15]. I suoi insegnamenti sono per il giovane Claude fondamentali per iniziare a dedicarsi al disegno. Realizza schizzi e caricature dei suoi compagni e docenti che poi regala ai diretti interessati. Il paese è piccolo, non accade mai nulla, per cui gli omaggi del giovane sono una piacevole novità, questa circostanza gli regala una certa notorietà nel piccolo ambiente locale. In poco tempo le sue caricature diventano ricercate e Monet ne approfitta per farsi pagare i ritratti (10 o 20 franchi a foglio)[16]. Alcune caricature, più che indagare in modo dissacrante la personalità del soggetto, ripetono “tipi” come, per esempio, la Vecchia normanna (1857) o la Giovane donna al piano verticale (1858) presenti in mostra.

Il ragazzo espone le sue caricature presso il cartolaio Gravier, in rue de Paris. Tutte le domeniche la vetrina si riempie di nuove immagini, montate in cornici dorate[17]. Davanti si affollano curiosi che si divertono, davanti al giovane, ad individuare il personaggio messo alla berlina tra applausi e risa. Si racconta che lo stesso Monet che ebbe a dire: “Scoppiavo di orgoglio”[18]. Per perfezionare il suo stile copia di buon grado i ritratti di artisti noti che può osservare e studiare sui giornali dell’epoca[19]. Replica e conserva per tutta la vita nella sua cartellina le caricature di personaggi famosi dell’epoca (caricature presenti in mostra)[20], come Adolphe d’Ennery, scrittore, drammaturgo e librettista francese; Théodore Pelloquet giornalista e critico d’arte; Jules François Félix Husson, detto Fleury scrittore meglio conosciuto con lo pseudonimo di Champfleury[21]; Augustin Eugène Scribe notissimo scrittore di teatro[22]. 

Fig. 1: Claude Monet, Londra. Il Parlamento. Riflessi sul Tamigi, 1905, olio su tela, 81,5 x 92 cm, Parigi, Musée Marmottan Monet.


Fig. 2: Claude Monet (1840-1926), Vétheuil nella nebbia, 1879, olio su tela, 60 x 71 cm, Parigi, Musée Marmottan Monet.




La sezione seguente testimonia della voglia, sentita come necessità, di Monet di scovare ovunque luoghi e soggetti degni di essere rappresentati[23]. Scorrazzando per la campagna francese ricerca momenti di vita “luminosi” che catturino la sua attenzione.  Nel 1871, il pittore si stabilisce ad Argenteuil e nel 1878 a Vétheuil. Con la perdita della moglie (1879) Claude passa uno dei periodi più difficili della sua esistenza, la disperazione e la solitudine vissuti si riflettono sul suo lavoro, e realizza opere potenti, vigorose. Disinteressato alla resa della presenza umana, le sue tele non mostrano più nulla di descrittivo–aneddotico, ma si qualificano per la resa, quasi ossessiva, di sensazioni e percezioni: la morsa del freddo che ha caratterizzato l’inverno tra il Settantanove e l’Ottanta è per lui un tormento che cerca di rendere nel dipinto del 1879 Vétheuil nella nebbia (Fig. 2). Se confrontato con Treno nella neve (1875, Fig. 3), notiamo come l’interesse del pittore si sia spostato dal racconto di una situazione atmosferica in forma aneddotica della locomotiva a favore di una semplificazione totalizzante del soggetto di Vétheuil, avvolta nel freddo. Nella rappresentazione del luogo ogni descrizione episodica è bandita e si percepisce solo il gelo provato dal maestro in quel momento di crisi. Claude non racconta più, ma comunica la soffocante sensazione della morsa del freddo. Tra l’Ottanta e l’Ottantacinque torna di frequente in Normandia, terra in cui è cresciuto, nei luoghi in cui ha imparato a dipingere en plein air accanto al maestro Boudin. Il mare, le spiagge e le falesie di Pourville, Étretat e Varengeville concedono al maestro temi e soggetti convenienti alle sue preoccupazioni estetiche. In Barca a vela. Effetto della sera (1885, Fig. 4) o Étretat, falesia d’Amont. Effetto del mattino (1885), il paesaggio non è più solo una raffigurazione descrittiva di terra e mare, ma diventa la rappresentazione, attraverso una materia spessa e una pennellata allungata, di “forze in azione, colte nel pieno della lotta”[24]. In questa fase Monet è, dunque, particolarmente affascinato da quei giochi mutevoli dell’atmosfera tra luce e ombra, da quelle visioni effimere e discontinue della luminosità sulla superficie dell’acqua che l’artista tenta di catturare e riprodurre nelle sue opere. Sempre alla ricerca di nuove esperienze, nel corso delle sue esplorazioni, Monet continua a modificare il suo sguardo producendo opere sempre inedite. Nel suo girovagare Monet arriva in Italia, visita la riviera ligure, qui il maestro è abbagliato dalla “brillantezza”, dalla “magica luce” e dai colori della regione: “tutto è variopinto e dorato, è meraviglioso e ogni giorno la campagna è più bella, sono incantato” (Lettera di Monet da Bordighiera a Durand–Ruel, dell’11 Marzo 1884)[25]. Tutta questo entusiasmo origina una tela opera dalla palette inedita (Il Castello di Dolceacqua, 1884, Fig. 5).

Fig. 3: Claude Monet (1840–1926), Il treno nella neve. La locomotiva, 1875, olio su tela, 59 x 78 cm, Parigi, Musée Marmottan Monet.


Fig. 4: Claude Monet (1840–1926), Barca a vela. Effetto sera, 1885, olio su tela, 54 x 65 cm, Parigi, Musée Marmottan Monet.


Fig. 5: Claude Monet (1840–1926), Il castello di Dolceacqua, 1884, olio su tela, 92 x 73 cm, Parigi, Musée Marmottan Monet.


Il suo vagabondare estetico, sempre alla ricerca di un soggetto degno, di un paesaggio da dipingere, di atmosfere di aria e di luce impalpabili tra Francia del Sud, Normandia, Paesi Bassi, Olanda, Italia e Inghilterra, a partire dagli anni Novanta cessa, la necessità implacabile ed ansiosa di ricerca si placa e comincia a dipingere la rinnovata tenuta di Giverny, che grazie all’aiuto economico di Durand–Ruel è riuscito ad acquistare[26].

Si svolge, dunque, la sezione della mostra dedicata alle Ninfee: “Il mio giardino è un’opera lenta, perseguita con amore. E non nascondo che ne vado fiero”[27]. Il fienile adiacente la casa diventa il primo atelier dell’artista che continua a plasmare il giardino come un tableau vivant[28] facendone il suo soggetto prediletto, quello che dipingerà fino alla morte. Quando non si dedica alla pittura si dedica al giardinaggio. Le piante, dunque, diventano i temi prediletti della sua pittura. Nel 1893, Monet ottiene, tra mille difficoltà, il permesso di scavare uno specchio d’acqua in fondo alla proprietà per potervi coltivare le piante acquatiche. Progetta di dipingere lo stagno delle ninfee e, tra il 1899 e il 1902, Monet gli dedica due serie di tele. Lo sfondo dei dipinti è occupato da una vegetazione abbondante che forma uno schermo sul quale si stagliano le chiazze colorate dei nenufari[29]. Ai nuovi piani pittorici segue la costruzione, nel 1897, di un secondo atelier. Dal 1903, ossessionato dal soggetto, Monet si dedica ad una nuova serie, il fiore è divenuto soggetto autonomo, da questo tormento originano i pannelli monumentali, donati nel 1922, all’Orangerie per festeggiare la fine della I Guerra Mondiale. Gli ultimi due decenni della vita dell’artista mettono alla prova il maestro, prostrato dalla morte dei suoi cari (Suzanne, Alice e Jean), da un’incipiente doppia cateratta, inizialmente non operabile, e dalla dichiarazione di guerra, stilisticamente reagisce con una certa libertà espressiva che ha fatto parlare di aperture alla modernità. Appartato nel suo giardino, dedica una serie di tele al salice piangente (Fig. 8), da lui piantato personalmente qualche decennio prima, e che ora diventa il simbolo dell’angoscia e della tristezza che lo accompagnano. Tra il 1918 e il 1922 lo stagno è ancora oggetto di una serie, in cui il cielo, le nuvole, i fiori e il bacino acquatico stesso scompaiono, si percepiscono solo elementi solitari come i rami, su una superficie di pioggia di colori stridenti[30]. Anche le due serie dedicate al ponte giapponese (Fig. 9), e al viale delle rose costituiscono opere molto personali, di forte impatto, in cui il soggetto si disgrega e la materia, un’esplosione di colori, si palesa nella pennellata vigorosa e nell’ampiezza del gesto. Unico elemento distintivo in entrambe le serie è lo snello arco al centro della composizione, ricoperto da una fitta vegetazione che satura lo spazio. A contare per Monet sono la luce, l’aria e tutto ciò che si frappone tra il soggetto e il suo occhio[31]. Il maestro con questo nuovo modus operandi apre la strada alla modernità. L’ultima fase della carriera del pittore, infatti, particolarmente ricca dal punto di vista espressivo, si colloca tra figurazione ed astrazione, e, sebbene non sia ancora il caso di parlare di astrazione, certamente non sbaglieremo ad indicarla come “arte non figurativa”. Dal 1914, incoraggiato da Georges Clemenceau, suo grande amico, e da Blanche, la figliastra che gli è accanto negli ultimi anni, Monet affronta l’immenso progetto delle Grandi Decorazioni[32]. Per poter lavorare, senza difficoltà, su questo nuovo ciclo di dipinti, nel 1915, Monet fa costruire, a nord–est della proprietà, un terzo atelier. Il maestro lavora simultaneamente su più tele, ed interviene con ritocchi, anche a distanza di anni, fino alla morte, queste circostanze rendono complicato stabilire una cronologia attendibile ed efficace. A ciò si aggiunga che Monet appronta un numero considerevole di opere per le Grandi Decorazioni e solo una parte è scelta per essere esposta all’Orangerie. Molte tele delle collezioni del Museo Marmottan sono, infatti, state dipinte come parte di quella colossale impresa. È il caso dei Glicini (1919–20), che l’autore rinuncia a inserire nel ciclo e di diversi pannelli che dovevano servire a raccordare tele più grandi[33].

Fig. 6: Claude Monet (1840-1926), Ninfee e agapanti, 1914-1917, olio su tela, 140 x 120 cm, Parigi, Musée Marmottan Monet.


Fig. 7: Claude Monet (1840–1926), Iris, 1924-1925, olio su tela, 105 x 73 cm, Parigi, Musée Marmottan Monet.


Fig. 8: Claude Monet (1840-1926), Salice piangente, 1918-1919, olio su tela, 100 x 120 cm, Parigi, Musée Marmottan Monet.


Fig. 9: Claude Monet (1840-1926), Il ponte giapponese, 1918-1919, olio su tela, 74x92 cm, Parigi, Musée Marmottan Monet.






Il catalogo

Monet. Capolavori dal Musée Marmottan Monet, Parigi a cura di Marianne Mathieu

A cura di Marianne Mathieu, il volume con pregevole copertina rigida, pubblicato da Arthemisia book, mostra un’accurata cura editoriale. Più che come catalogo, il testo manca, infatti, delle tradizionali schede di catalogo delle opere, si configura come un’aggiornata ed attenta monografia che avvicina il lettore ignaro alla notevole figura del maestro francese, ed allo stesso tempo consente all’esperto di approfondire aspetti e temi meno noti riguardanti Claude Monet.

L’opera, si apre con i tradizionali e poco roboanti ringraziamenti preliminari; si limitano, infatti, a due soli interventi: quello del direttore del Musée Marmottan–Monet, Patrick de Carolis, e quello della Presidente del Gruppo Arthemisia, Iole Siena, che ha voluto ed organizzato la mostra.

I saggi, veri e propri scritti di aggiornamento scientifico sul maestro, sono lavori di studiosi ed esperti del pittore francese: M. Mathieu, la curatrice (Genesi delle collezioni Monet del Musée Marmottan-Monet. Da Impressione, levar del sole alle Ninfee; Monet a Giverny); Philippe Piguet, storico e critico d’arte contemporaneista (Claude Monet in privato); Aurélie Gavoille, conservatore museale a Parigi (Monet caricaturista. Da Oscar a Claude Monet; L’intimità familiare di Monet; Il giardino di Giverny. Ninfee e fiori dello stagno); Claire Gooden, curatrice junior al Marmottan (Monet cacciatore di soggetti; Opere ultime).

Con il suo primo intervento la Mathieu ci restituisce la storia della nascita del museo, avendo cura di focalizzare il suo discorso sul paradosso del quadro simbolo del movimento impressionista, Impressione, levar del sole (1872), l’opera, forse più significativa del pittore, che però rimane ai margini della storia anche dopo la rivalutazione del gruppo–non–gruppo.

Anche il suo secondo lavoro è di carattere generale e punta a ricostruire il periodo in cui Monet si trasferisce a Giverny nella tenuta La Pressoir; inizialmente in affitto, l’artista riesce, in seguito, ad acquistare la proprietà che diventa il suo rifugio fino alla morte. La Mathieu ci racconta di come i due coniugi, Claude e Alice, trasformano completamente il fondo a loro piacimento e creano i due giardini: clos normand e lo stagno delle ninfee. Così operando si realizzano le condizioni ottimali per consentire al maestro l’interruzione di quell’incessante e tormentato girovagare alla ricerca di soggetti esprimibili sulla tela. Il maestro che lavora alacremente al suo giardino, quando non dipinge, non sente più il bisogno di cercare altrove i temi e i soggetti per le sue sperimentazioni che non termineranno mai, se non alla morte di questi.

Con il suo scritto Piguet vuole parlarci del maestro come persona, non come artista, del suo impegno costante e dedizione verso la famiglia.

Il quarto saggio, della Gavoille, coincide, curiosamente con la sezione della mostra relativa alle caricature, da questo momento in poi il volume si fa catalogo, ovviamente non in senso stretto, la storica introduce e spiega il momento del Monet caricaturista attraverso le immagini delle opere in mostra e ci accompagna nella comprensione del passaggio da “O. Monet” a “C. Monet”.

Il Monet ritrattista della sezione che fronteggia le caricature è affrontato nel secondo lavoro della Gavoille, che ci conduce alla scoperta di un aspetto insolito e poco noto del maestro che si è dedicato al genere nell’esclusiva intimità familiare.

Segue la pregevole riflessione sul Monet cacciatore di soggetti della Gooden, uno scritto fondamentale per comprendere quell’ansia e quel tormento che animano il maestro incessantemente proteso nella sperimentazione degli effetti mutevoli della luce e dei suoi riflessi su specchi d’acqua. Anche in questo caso lo studio è supportato dalle immagini delle opere esposte in mostra.

Il testo dedicato, ancora della Gavoille, al giardino di Giverny ci parla della fase esplorativa del maestro teso a ricercare gli effetti impalpabili e mutevoli dell’aria e della luce nel contesto personale dei due giardini creati appositamente a Giverny. In questo scritto l’autrice presenta le opere più tarde del maestro, quelle meno conosciute e non ascrivibili al pittore con immediateza. Nell’immaginario collettivo, infatti, Monet è il pittore di certe atmosfere, interessato alla luce ed ai suoi effetti, con questo articolo l’autrice supera questa “etichetta” entro cui è infelicemente costretto e ci guida verso la conoscenza di aspetti meno noti del maestro, ma altrettanto genuini ed innovativi, se non decisamente rivoluzionari. Si tratta del periodo tardo quello legato maggiormente all’espressione di stati d’animo e sentimenti, che ha fatto parlare di aperture verso l’espressionismo e l’astrattismo. Anche in questo caso le parole sono accompagnate e spiegate dalle opere esposte.

Infine, la Gooden si addentra nella difficile questione delle ultime opere, ci racconta di come ed in quale misura lo stato d’animo dell’artista abbia influenzato la sua produzione artistica e del suo opporsi alla guerra con l’idea di realizzare un felice e gigantesco ciclo pittorico dedicato alle ninfee. Tali pannelli sono donati dall’artista allo Stato alla fine della guerra, ma la tendenza evanescente, quasi astratta, delle rappresentazioni non incontra consensi unanimi. Tra le voci c’è anche chi pensa di coprire le pitture per utilizzare lo spazio dell’Orangerie per esposizioni temporanee. Questa circostanza, di per sé spiacevole, è stata la fortuna del Marmotton che visto il poco apprezzamento dell’opera del padre induce Michel, unico erede diretto, a lasciare le tele rimaste nell’atelier dal padre non alla Nazione, bensì all’istituzione che ha dimostrato maggior benevolenza nei riguardi dei lavori di Monet.

Il volume, piacevole a leggersi, e corredato da bellissime immagini a piena pagina a colori ed in bianco e nero. Lo screening delle opere non avviene in forma convenzionale (scheda di catalogo), ma secondo la logica dello scritto, le opere, infatti, sono coinvolte e dibattute nelle letture scientifiche svolte.

Le 150 pagine di saggistica e “catalogo” non esauriscono il lavoro che mostra nelle ultime pagine un’aggiornata ed articolata cronologia, seguita dall’immancabile, necessaria e fondamentale per gli studiosi, bibliografia aggiornata.

 

Dove: Complesso del Vittoriano, Roma

Quando: 19 Ottobre 2017 – 11 Febbraio 2018








NOTE

[1] Monet. Capolavori dal Musée Marmottan–Monet, Parigi, Roma, Complesso del Vittoriano, Ala Brasini, dal 19 Ottobre 2017 al 11 Febbraio 2018.

[2] Responsabile della sezione dedicata a Monet del Museo Marmottan.

[3] I due coniugi–collezionisti sono gli eredi di Georges de Bellio, nobiluomo rumeno naturalizzato a Parigi dagli inizi degli anni Cinquanta dell’800, e uno dei primi collezionisti degli Impressionisti (la sua raccolta contava oltre 300 opere tra dipinti e disegni di Manet, Renoir, Pissarro, Sisley, Morisot e Monet). Tra le sue proprietà, la tela simbolo della nascita del movimento francese: Impressione, Levar del Sol (1872).  Quando, nel 1932, l’erudito collezionista Paul Marmottan, dona all’Accademia di Belle Arti il suo palazzo, nel XVI arrodissemnt, affinché diventi un museo, Victorine ed Eugène sono tra i primi a visitare la casa–museo, aperta dal 1934, e fin da subito pensano di poter esporvi la propria collezione. Nel 1938 l’Accademia è nominata legataria universale dei coniugi, purché venga allestita, presso il Musée Marmottan, una sala intitolata alla collezione Bellio–Donop de Monchy. Lo scoppio della guerra accelera i fatti e, alla vigilia dell’entrata in guerra della Francia (01/09/1939), i Donop de Monchy consegnano alla casa–museo due casse contenente 11 preziose tele impressioniste (cfr. Marianne MATHIEU, a cura di, Monet. Capolavori del Musée Marmottan–Monet, Parigi, Roma, Arthemisia Books, 2017, pp. 20–21).

[4] Dopo la vicenda, poco felice, delle Grandi Decorazioni, ultimi lavori di Monet, donati dallo stesso maestro, nel 1922, allo Stato francese, per festeggiare la fine della Grande Guerra, e, destinati alle sale dell’Orangerie, esposti solo nel 1927, dopo la morte del pittore, forse per via della spiccata modernità delle gigantesche tele, Michel Monet, secondo genito di Claude, e unico erede diretto del l’artista (il fratello maggiore Jean è morto nel 1914), non prende in considerazione l’idea di lasciare le opere allo Stato, che stava addirittura pensando di coprire i pannelli per esporre opere contemporanee nell’Orangerie, e decide di destinare l’eredità al Musée Marmottan. Per ospitare questo eccezionale lascito l’Accademia decide di ampliare il museo (cfr. MATHIEU 2017, pp. 23–25).

[5] In cui si firma “O. Monet” utilizzando il primo nome Oscar (cfr. MATHIEU 2017, p. 55).

[6] Un profitto non trascurabile: secondo i calcoli di Marianne Alphant, Monet, nel 1858, avrebbe venduto un centinaio di disegni per un guadagno di circa 2 mila franchi (circa 7.700 euro attuali) (cfr.  Marianne ALPHANT, Claude Monet une vie dans le paysage, Parigi, HAZAN, 2010, p. 65).

[7] (cfr. MATHIEU 2017, p. 81)

[8] Vanessa GAVIOLI, Monet, Milano, Rizzoli, 2003 (I Classici dell’Arte, vol. IV), p. 46.

[9] Cfr. II sezione: “Monet cacciatore di soggetti”.

[10] MATHIEU 2017, pp. 81–82 e 88.

[11] I suoi figli e i figliastri, i figli della seconda moglie Alice Hoschedé, con la quale a Giverny crea la sua nuova famiglia allargata.

[12] MATHIEU 2017, p. 73.

[13] Ibidem, p. 73.

[14] Soprattutto i due figli di prime nozze, Jean e Michel, vengono ritratti con un fare tenero dalla nascita alla pubertà.

[15] Allievo di J. L. David (1748–1825), artista neoclassico francese per eccellenza.

[16] François THIEBAULT–SISSON, Claude Monet, “Mon histoire”, in “Les Temps”, 26 Novembre 1900, p. 3.

[17] MATHIEU 2017, p. 58.

[18] Ibidem, p. 58.

[19] La caricatura è un’arte di gran moda nella Francia di metà Ottocento. Artisti come Honoré Daumier e Gaspad–Felix Tournahon (detto Nadar) riempiono piacevolmente le pagine dei giornali parigini (“Le Gaulois” o “Le journal amusant” o su “Panthèon”).

[20] È interessante notare come tutte le sue caricature siano firmate “O. Monet” (Oscar, il suo primo nome). Solo più tardi muta la sua firma in “C. Monet”, questo mutamento è sintomatico rispetto alla presa di posizione del giovane nei confronti della pittura. L’artista comincia a dedicarsi al paesaggio, iniziato dal pittore normanno Eugène Boudin, incontrato nella bottega del cartolaio Gravier, che dopo aver ammirato le sue caricature, si congratula con il giovane e spronandolo a non fermarsi al disegno. Inizia allora a dipingere con l’anziano maestro lungo la costa della Normandia e, dirà poi l’artista, quelle sedute dal vero hanno rappresentato per lui una vera folgorazione, grazie alla quale ha abbracciato definitivamente la sua vera vocazione. Da questo momento si firma “C. Monet” (cfr. MATHIEU 2017, p. 58).

[21] Scrive, tra l’altro, numerosi saggi proprio sulla storia della caricatura.

[22] Soventemente rappresentato per i suoi brillanti vaudevilles che costituiscono la colonna portante del Théâtre du Gymnase–Dramatique del quale, nel 1820, Scribe è cofondatore.

[23] Nel 1870, Monet è a Londra per sfuggire alla leva militare obbligatoria a seguito della guerra franco–prussiana. L’esperienza è fondamentale per lo sviluppo dell’Impressionismo: le atmosfere nebbiose e piene di inquinamento lo attraggono, qui vede per la prima volta i quadri di Turner la cui ricerca sui mutevoli effetti di luce lo conquista, quel suo tardo modo di rendere la luce lo cattura, inoltre, incontra Paul Durand Rouel, un uomo fondamentale per la sopravvivenza dello squattrinato gruppo degli impressionisti ( sarà lui, infatti, ad rivestire il ruolo fondamentale di mercante d’arte–protettore di quel gruppetto di sparuti innovatori, in cui nessuno crede, se non lui). Dopo il Settanta visita Londra altre tre volte come testimoniano i dipinti in mostra: Ponte di Charing Cross (1899–1901); Il Parlamento, riflessi sul Tamigi (1905, fig. 1).

[24] MATHIEU 2017, p. 82.

[25] Ibidem, p. 83, n. 6.

[26] Il 19 novembre del 1890 Monet, grazie all’aiuto economico dell’amico e mercante di quadri, Durand–Ruel, che gli anticipa ventimila franchi, diventa proprietario della “casa dall’intonaco rosa” (cfr. MATHIEU 2017, p. 105).

[27] MATHIEU 2017, p. 105.

[28] L’artista, appassionato di giardinaggio, trasforma il clos normand della tenuta, La Pressoir, piantandovi alberi da frutto e fiori selvatici, come il nasturzio, il papavero, il nontiscordardimé, e altre specie rare, come le rose, i ciliegi giapponesi, gli agapanti (Fig. 6) e gli iris (Fig. 7), (cfr. MATHIEU 2017, p. 105).

[29] MATHIEU 2017, p. 106.

[30] Ibidem, p. 132.

[31] Ibidem, p. 132.

[32] Per celebrare la fine della Prima guerra mondiale, il pittore di Giverny offre allo Stato francese una serie di venti pannelli sul tema dei paesaggi acquatici concepiti per essere collocati, secondo l’idea dell’autore, in due sale ovali dell’Orangerie delle Tuileries (cfr. MATHIEU 2017, p. 40).

[33] MATHIEU 2017, p.107.




BIBLIOGRAFIA

 

Alphant 2010

Marianne Alphant, Claude Monet une vie dans le paysage, Parigi, HAZAN, 2010.

 

Gavioli 2003

Vanessa GavioliMonet, Milano, Rizzoli, 2003 (I Classici dell’Arte, vol. IV).

 

Lemaire 1990

Gérard–Georges LemaireMonet, Firenze, Giunti, 1990 (Art e dossier, n. 48, luglio–agosto 1990).

 

Mathieu 2017

Marianne Mathieu, a cura di, Monet. Capolavori del Musée Marmottan–Monet, Parigi, Roma, Arthemisia Books, 2017.

 

Thiebault–Sisson 1990

François Thiebault-Sisson, Claude Monet, “Mon histoire”, in “Les Temps”, 26 Novembre 1900.

 



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