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La Basilica di Santa Maria Maggiore di Siponto: un’opera da Tresoldi

Elisabetta Tizzoni
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 19 Aprile 2020,n. 893
http://www.bta.it/txt/a0/08/bta00893.html
Articolo presentato il 17 Aprile 2020, Approvato il 17 Aprile 2020 e pubblicato il 19 Aprile 2020
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Area Architettura

In certe occasioni una sola parola può suggerire dei collegamenti mentali inaspettati ma allo stesso tempo estremamente suggestivi e pertinenti. Talvolta anche il semplice cognome di un artista contemporaneo può provocare un cortocircuito mentale dal quale poter generare un suggestivo dialogo con un passato che è lontano cronologicamente ma non così distante culturalmente.

Nel 1928 debuttava sulle scene teatrali L’opera da tre soldi (Die Dreigroschenoper) di Bertolt Brecht: un violento attacco alla feroce e spregiudicata società capitalistica; una critica accesa al mondo borghese, ruffiano, cinico e umanamente spietato. Grazie al cosiddetto effetto di straniamento di cui si avvale il drammaturgo, l’attore in scena mostra il proprio personaggio tenendosi tuttavia a debita distanza da quest’ultimo, mantenendo il contegno di chi si limita a suggerire, a proporre, sollecitando lo spettatore alla critica del personaggio. Il teatro come forma d’arte è un ottimo palcoscenico per rappresentare vividamente una critica e attaccare apertamente un modus vivendi e operandi ma anche l’arte plastica ha sviluppato i propri metodi di denuncia come espressione di una volontà di cambiamento. Da quando l’arte si è fatta interprete della visione umana, svincolandosi dai limiti imposti dalla committenza, ha iniziato a cercare nuovi sentieri da percorrere. Fare arte è infatti anche mettere in discussione ciò che è venuto prima, denunciare un ristagno della situazione attuale, rintracciare o progettare da capo nuove vie percorribili. Cercare quindi un dialogo diverso tra arte e mondo abbracciando il contesto che gli si pone intorno. Quest’ultima è la direzione che è stata intrapresa da un giovanissimo artista italiano che nonostante il suo riserbo è riuscito a emergere nel panorama contemporaneo grazie alla propria freschezza e originalità. Un artista dal cognome alquanto evocativo appunto: Edoardo Tresoldi.

A quasi sessant’anni di distanza dall’uscita dell’opera teatrale brechtiana, nasce a Cambiago, nei pressi di Milano, l’artista lombardo; ad accomunarlo al drammaturgo tedesco è la stessa ritrosia compensata dalla sconfinata passione per ogni aspetto dell’arte. Il giovane Tresoldi ha iniziato a “masticare” arte molto presto: a nove anni infatti prendeva già lezioni di disegno nello studio del pittore milanese Mario Straforini. Ma è il paesaggio che gli si mostra attorno che gli insegna un diverso modo di guardare e di riflettere; nei luoghi natii scruta casupole, casottini incastonati nella natura circostante, edifici che sono ormai delle rovine, scopre con meraviglia un’altra dimensione: quella temporale. Agli occhi dell’artista queste dimensioni sospese, in bilico tra lo spazio e il tempo, «risultano come una sorta di isolette sacre, in mezzo a contrasto con l’urbanizzazione che nel frattempo si mangia tutto il resto del territorio1». È in questo contesto che inizia a incuriosirsi, ad appassionarsi al paesaggio, ai suoi linguaggi e alla sacralità che abita alcuni luoghi. Dopo aver studiato design e arti visive all’ Istituto d’Arte a Monza apprende, anche grazie alla vicinanza con il distretto del design, un metodo progettuale scientifico e rigoroso come può essere quello di un architetto. Tra i suoi riferimenti culturali primari figurano infatti molti architetti come Michelangelo, Borromini, Bernini o Palladio. Ma i riferimenti dell’artista sono estremamente eterogenei essendo fortemente legato alle teorie paesaggistiche di studiosi come Christian Norberg-Schulz e ancora, ovviamente, alle esperienze di Land Art. «Ma la vera palestra è stato il lavoro che ho iniziato nel 2009 come scenografo per il cinema a Roma. Qui ho imparato tutto2». Lavorando sul campo l’artista ha acquisito le tecniche, ha compreso come scegliere e manipolare i materiali, come raggiungere un obiettivo nei tempi prestabiliti e come lavorare in squadra al meglio. La svolta artistica tuttavia è sopraggiunta grazie alla conoscenza del pittore e street artist Gonzalo Borondo. Quest’ultimo ha spronato il giovane a perseverare nella propria ricerca personale che stava portando avanti ma in un tacito silenzio, senza mostrarne a nessuno i risultati. A quel punto Tresoldi mise a fuoco che tutto ciò che aveva appreso nel cinema poteva diventare la base per un percorso artistico indipendente, il proprio personalissimo.

Nel 2013 viene invitato a partecipare a un festival di arte urbana in Calabria e realizza la sua prima scultura: la figura di uomo seduto su un muretto che guarda il mare. L’idea che lo guida è quella di realizzare una storia semplice, sottile e decide quindi di utilizzare per realizzarla una rete metallica che è trasparente, per cercare di creare un’opera che sapesse inserirsi nel luogo in maniera timida, quasi invisibile. Con sua grande sorpresa scopre però che in realtà la trasparenza ha un potenziale molto più ampio ovvero la capacità di raccontare il luogo attraverso di sé: il paesaggio stesso infatti disegnava gli stati d’animo della figura e la luce del sole cambiando raccontava i suoi diversi stati emotivi. Così si rende conto che il paesaggio era la vera essenza di cui era fatta la sua prima opera. Dopo l’esperienza rivelatrice in Calabria decide quindi di lasciare il suo lavoro come scenografo e inizia a lavorare in studio realizzando una serie di sculture e intraprendendo un percorso che lo porterà anche all’estero per creare una serie di opere d’arte pubblica. Dopo un periodo di ricerca realizza quindi a Londa Control, presentando ufficialmente il suo pensiero poetico: il concetto di materia assente. «Utilizzo la rete e la trasparenza per rappresentare la materia assente, che è il lato immateriale delle cose3».

Da quel momento ha iniziato ad animare spazi pubblici, festival musicali, aree archeologiche con le sue invenzioni plastiche con la consapevolezza ben chiara che intervenire nello spazio pubblico è una responsabilità importante nei confronti del luogo e delle persone che lo vivono. La scena dell’arte urbana gli ha dato l’occasione di sviluppare liberamente il proprio lavoro: l’artista è infatti ben consapevole del fatto che se non avesse fatto altrimenti sarebbe rimasto imbrigliato dalle regole del mercato tradizionale dell’arte. Questa indipendenza gli ha permesso di rischiare e, come tende a precisare l’artista stesso, «senza il rischio, senza la sperimentazione, non può esserci avanzamento nella ricerca artistica4». Da quel momento in poi Tresoldi ha iniziato così ad allestire il suo palcoscenico curando nei minimi particolari il rapporto dialettico tra spettatore e opera, invitando a una doppia riflessione dal momento che le sue prime realizzazioni sono proprio figure umane “pensierose”, dei pensatori “alla Rodin” in rete metallica che abitano lo spazio urbano. Come uno scultore della trasparenza, l’artista ha sempre messo infatti al primo posto il rapporto con il contesto che risulta essenziale: «la mia opera, anziché escludere, vuole includere l’intorno. La tecnica della rete metallica, che ho acquisito nel cinema, mi consente di creare opere che siano disegni nello spazio, capaci di dialogare con il contesto, piuttosto che occuparlo, puntando a una dimensione immateriale e immaginifica. L’architettura poi mi interessa molto perché puoi viverla, abitarla, entrarci in relazione diretta anche con il corpo5».

È il Genius loci, come lo chiamavano gli antichi romani, lo spirito intrinseco del luogo, ciò che è alla base della propria ricerca per ogni sua creazione artistica.

Inizia così a realizzare delle installazioni che creano dei volumi che non escludono il paesaggio ma lo includono, valorizzandolo. Lo step successivo della sua ricerca artistica è infatti la realizzazione di una cattedrale sospesa, realizzata in occasione del festival rock-pop Secret Garden Party (L I F T - 2015). Già da prima l’artista aveva iniziato ad alternare alle figure umane quelle geometriche e aveva iniziato ad immaginare di realizzare delle architetture nel paesaggio: in Inghilterra quindi realizza la sua prima cupola ed è Tresoldi stesso a precisare che la vera materia di cui è fatta è la volta celeste. L’utilizzo del linguaggio dell’architettura classica è un utile strumento per l’artista per raccontare la sacralità dei luoghi che tanto ricercava e così facendo, procedendo con questa nuova tecnica, le dimensioni delle installazioni sono cresciute di pari passo con la sua poetica.

Dopo queste esperienze che lo hanno consacrato come scultore quindi gli serviva solo l’occasione giusta per mettersi davvero in gioco come “architetto”, cosa che gli avrebbe permesso di concretizzare tutta una serie di riflessioni fatte sul paesaggio, sul luogo, sulla sacralità di quest’ultimo. Finalmente nel 2016 l’attesa volge al termine: il MIBACT infatti gli commissiona il progetto di riqualifica del parco archeologico di Manfredonia, nello specifico dell’antica Sypontum.

L’affascinante area archeologica di Siponto racconta la storia dell’antica colonia romana del 194 a.C., centro marittimo di grande rilevanza che venne abbandonato solo in seguito a due violenti terremoti (nel 1223 e nel 1255) che causarono anche l’impaludamento del porto. Gli abitanti dell’antica Siponto si trasferirono quindi nella nascente città di Manfredonia fondata dal figlio dell’Imperatore Federico II di Svevia nella seconda metà del XIII sec., re Manfredi, che sotto il successivo dominio angioino recuperò parzialmente l’antico nome, Sypontum Novellum.

Siponto era divenuta inoltre una delle più importanti diocesi della regione come testimoniano i resti della basilica paleocristiana a tre navate con abside centrale e pavimento a mosaico. Pregiati pavimenti musivi relativi alla fase di edificazione della basilica (IV sec. d.C.) e alla sua ristrutturazione, avvenuta nel secolo successivo, sono visibili all’interno della basilica medievale di Santa Maria Maggiore. La basilica medievale, edificata tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo, è uno dei cardini dell’architettura romanica pugliese: ha la forma di un cubo sormontato al centro da una piccola cupola e una cripta con ingresso dall’esterno. Fu sottoposta a numerosi interventi di rifacimento tra la fine dell’XII e gli inizi del XIII secolo e per la decorazione e la costruzione architettonica furono reimpiegati materiali, come colonne e capitelli, della più antica Siponto6.

Un grande “architetto della parola” rimase stregato dal fascino del luogo ancor prima di Tresoldi, il poeta Giuseppe Ungaretti che nel 1961 descrive in una sua raccolta, le Prose daunie7, l’area di Siponto con dovizia e ammirazione, ricamando con le parole gli stilemi architettonici dell’antica basilica ed esaltandone il primato nella storia dell’arte per i suoi dettami decisamente innovativi.

«Poi dalla solitudine si sprigiona una colonnetta, e le fanno seguito a pochi passi, su leoni, le colonne che, fra le scure sopracciglia di archi ciechi, reggono in una facciata deserta il ricco portale di Santa Maria Maggiore di Siponto. Non me ne intendo, ma non stupirei se questa cattedrale in mezzo al prato fosse davvero il primo esempio del costruire monastico e guerriero nel quale il Medioevo si provò a fondere le esperienze del suo rincorrere la visione del mondo, dall’innocente epica dei Mari del Nord alle erudite voluttà della svelta Persia. La nascita d’un’architettura significa il principio d’una chiarezza spirituale e d’una volontà vittoriosa. […]. Perché questa regione pietrosa non dovrebbe essere una madre d’architettura? […] Nella sua desolata vecchiaia, Santa Maria Sipontina impartisce difatti oggi ancora la lezione più moderna8».

In questo contesto così poetico, evocativo e ricco di storia, Tresoldi si inserisce col suo progetto mutando il paesaggio dell’intero sito archeologico e mettendo la propria arte al servizio del luogo per ricostruire la basilica ai tempi del suo antico splendore: grazie infatti a questa committenza pubblica, oltre che a lavorare sullo spazio, l’artista ha potuto lavorare anche sulla linea del tempo. Il progetto Dove l’arte ricostruisce il tempo realizzato a Siponto si compone di una innovativa installazione in rete metallica che richiama, nelle forme, l’ultima fase dell’antica basilica paleocristiana. Composta da 4.500 metri di rete elettrosaldata zincata, la basilica metallica è alta 14 metri e pesa in tutto circa sette tonnellate. La coraggiosa scelta di far dialogare archeologia e arte contemporanea rientra in una visione complessiva di paesaggio inteso nella sua complessità temporale fra testimonianze del passato e attualità del presente. La decisione di riqualificare la basilica con questo innovativo intervento moderno di restauro ha portato a nuova vita un bene culturale e storico andato perduto, oggi però reso fruibile e visibile da tutti grazie all’artista lombardo e al proprio team di giovani creativi.

La scelta della commissione è nata da un’esigenza di carattere conservativo, per la copertura delle strutture antiche in particolare dei mosaici della basilica paleocristiana, e la conseguente scelta di investire sull’industria creativa (di far lavorare dei giovani artisti su un progetto di restauro e di riqualificazione di un’area archeologica) ha permesso uno scambio tra tipologie artistiche che sembrano inconciliabili da un punto di vista temporale. Gli attrattori culturali avevano individuato l’area del Gargano e conseguentemente avevano selezionato alcuni poli, tra cui appunto quello di Manfredonia, che avevano assoluta necessità di un intervento di restauro e di riqualificazione, e quindi di valorizzazione e re-immissione all’interno di un circuito turistico. Utilizzando i fondi europei relativi all’agenda 2007-2013, questo intervento di circa 9 milioni di euro ha finito quindi per riguardare l’area di Santa Maria di Siponto e anche quella di San Leonardo, un complesso medievale limitrofo9.

Tresoldi è stato scrupoloso e metodico fin dall’inizio: «nella prima fase di realizzazione sono stati necessari alcuni test e studi, una ricerca sui materiali e sulle attrezzature. La parte più importante per me consiste nell’assemblaggio sul posto: è indispensabile una grande organizzazione in modo tale che sul cantiere ci sia la possibilità di modificare tutto quello che è possibile, rimpicciolendo alcune parti e ingrandendone altre in base a intuizioni a cui si giunge lavorando10».

L’artista ha quindi svolto una ricerca sui materiali, sulla storia e sul luogo, insieme ad esperti quali archeologi e addetti al lavoro del mondo dei beni culturali. È stato quindi possibile ricostruire gli ambienti originari, completi di colonne, capitelli e capriate che hanno restituito al luogo la basilica perduta. Il lavoro svolto dall’artista quindi appartiene all’ambito del restauro con però una compenetrazione progettuale di integrazione e innovazione in armonioso dialogo con quello che rimane dell’edificio preesistente. L’artista non ha semplicemente ricostruito una parte mancante assemblandola col resto come se dovesse ripararla: ha fatto permanere quell’assenza grazie al materiale impiegato. La rete metallica ci permette di guardare attraverso, di penetrare il materiale architettonico, ci fa percepire quell’assenza. La rete fa traspirare la storia dell’edificio e si inserisce nel tessuto archeologico sollecitando uno scambio, un dialogo tra l’antico e il moderno.

In questo parco archeologico l’artista ha quindi ridato una seconda vita alla basilica paleocristiana, ricostruendola con una tecnica spettacolare. L’arte contemporanea ha ricostruito il tempo e i segni del passato oggi rivivono grazie a questa installazione permanente che riproduce i volumi originali della chiesa di Santa Maria. Grazie alla sua struttura in rete metallica, leggera e trasparente, la nuova basilica dialoga con il sito che la ospita ed è l’artista stesso a spiegare che il paesaggio qui non è solo lo sfondo ma è anche parte integrante dell’opera, dell’architettura, di tutto il contesto11.

Frutto di un lavoro artigianale ma estremamente innovativo, uno dei motivi per cui l’installazione risulta così speciale è che ci troviamo davanti alla più grande struttura costruita interamente in rete al mondo. Quindi l’arte contemporanea è riuscita a valorizzare una memoria antica che sembrava perduta, ma non solo: è riuscita anche a rendere fruibile e decisamente più accattivante l’archeologia (a giudicare dall’incremento delle visite registrate dal marzo del 2016). In questo sito archeologico, con la sua struttura, Tresoldi ha restituito al luogo la propria antica identità ricreando le suggestioni, le emozioni di chi viveva al tempo questa basilica. Con il calare della notte poi il coraggio della sperimentazione rende ancora più affascinante il tutto, in un gioco di ombre e luci che ci catapulta in un’altra dimensione.

La vera protagonista quindi è ancora la trasparenza che invita a guardare al di là e spinge a riflessioni sempre più profonde e a ripensare l’architettura nelle sue dimensioni reali. Ammirare un paesaggio è un’esperienza che tutti facciamo, spesso riesce quando lasciamo le incombenze per accendere i sensi. Ma sentirsi parte del quadro è un atto decisamente più intenso che fa correre l’immaginazione e rianima i ricordi. Forse è proprio questo il segreto delle installazioni di Edoardo Tresoldi: riuscire a renderci parte integrante e attiva della sua opera stimolando il nostro inconscio e liberando la nostra fantasia. L’artista lombardo costruisce veri e propri ricami in metallo, leggerissimi, quasi trasparenti, grazie a una tecnica di elettrosaldatura che permette di tenere insieme enormi statue raffiguranti figure umane o, in questo caso, architetture complesse. E noi spettatori, come pesci, ci ritroviamo inevitabilmente intrappolati nella sua ipnotica rete.

«Attraverso la trasparenza ricostruisco la basilica sparita: la riporto attraverso la sua essenza, alla sua dimensione più eterea. Una chiesa sospesa nel tempo che mostra principalmente la sua assenza raccontando la sua storia e al tempo stesso esprime l’identità e la sacralità del luogo in cui è stato fatto l’intervento12».


Fig. 1 - Dettaglio dell'abside della basilica paleocristiana ricostruita da Edoardo Tresoldi, Manfredonia, Foggia (2016)
Fig. 1 - Dettaglio dell'abside della basilica paleocristiana ricostruita da Edoardo Tresoldi, Manfredonia, Foggia (2016)
Foto cortesia di Elisabetta Tizzoni

Il progetto ha acquisito una tale importanza da essere ormai inscindibile dal paesaggio stesso, riesce a scolpire lo scenario e a fondere il luogo di collocazione con la basilica in un tableau vivant, dove gli alberi circostanti la chiesa sono parte integrante di essa. Ogni elemento naturale ed artificiale presente nel contesto è difatti visibile dall’interno della basilica ed è parte delle viste e prospettive percepibili.

Nel suo complesso l’installazione ha impegnato per 5 mesi il giovane staff di Tresoldi, dell’età media di venticinque anni, che realizza le opere lavorando manualmente alla piegatura della rete, per una spesa totale di progetto di 3,5 milioni di euro di cui 900 mila per la basilica “fantasma” di filo metallico. Tresoldi realizza un’installazione in memoria dell’architettura paleocristiana ed interviene con un progetto inedito grazie alla sua architettura e alla sua poetica dell’assenza perché sotto le sue imponenti architetture esiste sempre la necessità di voler raccontare la superficie attraverso l’architettura, come manifestazione dell’uomo che si fa spazio in «una nebbia di rete in cui la forma sparisce13».

«Man mano che raccoglievo informazioni e assimilavo queste tematiche per me assolutamente nuove, capivo che dovevo suggerire con il mio lavoro una specie di riapparizione di questo straordinario edificio nel luogo che originariamente lo ospitava. Non volevo ricostruirlo fedelmente, non avrebbe avuto senso. Volevo suggerire la sua presenza, disegnandola nell’aria, per mantenere intatte le relazioni con il paesaggio ospitante. Un intervento contemporaneo su un sito archeologico permette di immettere dei valori attuali e costruire un’operazione culturale. L’idea è stata quella di disegnare una nuova icona capace di dialogare con l’antico. In questo modo siamo riusciti a dare vita ad un progetto innovativo di conservazione dinamica14».


Fig. 2 - Basilica di Santa Maria di Siponto con accanto la ricostruzione della basilica paleocristiana ad opera di Edoardo Tresoldi, Manfredonia, Foggia (2016)
Fig. 2 - Basilica di Santa Maria di Siponto con accanto la ricostruzione della basilica paleocristiana ad opera di Edoardo Tresoldi, Manfredonia, Foggia (2016)
Foto cortesia di Elisabetta Tizzoni

Scolpendo il paesaggio, Tresoldi è riuscito a fare di un luogo un’opera d’arte viva che respira e si evolve con gli elementi del luogo generando un’esperienza in grado di metterci in connessione con l’identità ma anche con la sacralità del posto, la poetica di un luogo. Il risultato finale è un impatto altamente suggestivo e coinvolgente: le trame di fili di ferro ricamano un ideale ponte tra il tempo e la storia, facendo rivivere i ricordi. Le varie esperienze artistiche percorse nel corso dei primi anni di formazione e maturazione, scenografia, scultura, musica e cinema convergono con sincretismo pregnante nella nuova forma espressiva. In questo modo un lavoro coraggioso e insolito in un contesto archeologico determina un’enorme valorizzazione del sito e procura al giovane artista un prestigioso riconoscimento: la medaglia d’oro per l’architettura italiana, conferitagli da parte della Triennale di Milano.

«La basilica di Siponto, la mia unica opera finora concepita in relazione a una preesistenza storica, ha instaurato un dialogo inedito tra antico e contemporaneo, permettendo al pubblico di relazionarsi con il tempo e con la storia secondo una chiave di lettura empatica. C’è un nesso tra tutte le forme creative e credo fortemente nella contaminazione tra le arti e nella smaterializzazione dei loro confini. Alcune sperimentazioni che sto portando avanti in questo periodo e parte della mia ricerca artistica tendono a questo. L’impermanenza di luce e musica, la loro dimensione liquida e astratta, le rendono in qualche modo contraltari della Materia Assente e del mio racconto scultoreo dell’effimero. Compenetrandosi, sono in grado di dar vita a unicum performativi che fondono linguaggi contemporanei diversi, ma affini15».


Fig. 3 - Dettaglio dall'interno della rete metallica di Edoardo Tresoldi, Manfredonia, Foggia (2016)
Fig. 3 - Dettaglio dall'interno della rete metallica di Edoardo Tresoldi,
Manfredonia, Foggia (2016)
Foto cortesia di Elisabetta Tizzoni

Tanto monumentale quanto leggera, Tresoldi ha realizzato una basilica in fil di ferro che si erge trasparente sul perimetro della perduta cattedrale paleocristiana. I raggi del sole penetrano tra le maglie quadrate dell’opera permanente, situata a ridosso della compatta e bianca chiesa medievale e ne sottolineano dettagli, accuratezza e grandiosità. Un’installazione metafisica e geniale che ha riscritto la storia di questi luoghi attraverso qualcosa di assolutamente tecnologico, una sorta di “cattedrale cyborg”, un ologramma sfuggente che però ben si sposa con la storia antica del posto. Tale felice connubio è ben testimoniato dal boom di visitatori, senza precedenti, da quando l’installazione è stata inaugurata. Una grandissima soddisfazione per l’artista e per la committenza. Tresoldi stesso sottolinea che non era affatto scontato riuscire ad avvicinare anche un pubblico generalista al tema dell’archeologia.

«Ho sempre creduto che l’arte debba essere diretta, deve parlare un linguaggio chiaro e comprensibile a tutti. Il mio obiettivo era quello di rendere più democratico l’accesso all’archeologia, al di là degli addetti ai lavori. Per apprezzare l’installazione che abbiamo costruito non sono necessarie particolari nozioni culturali. I pugliesi hanno subito capito che non era un’operazione calata dall’alto, ma teneva conto delle persone, delle loro tradizioni e del patrimonio della regione, valorizzandolo. Il successo ha avuto importanti ricadute sia dal punto di vista dell’immagine che dal punto di vista economico, con la crescita esponenziale del turismo in una zona finora poco considerata. L’area archeologica in pochissimo tempo è diventata un luogo conosciuto da tutti, e non solo in Italia16».

Il suo intervento di ricostruzione della Basilica di Siponto è stato quindi un grande successo anche di pubblico, grazie al suo particolarissimo modo di trattare arte e landscape con apparente estrema semplicità, una sorta di moderna “sprezzatura”. Le sue installazioni infatti ci appaiono come schizzi, disegni nello spazio: sembrano veri e propri progetti architettonici su carta che prendono vita, come se sollevassimo il foglio del progetto e lo mettessimo controluce per farlo combaciare perfettamente con le linee del paesaggio.

Dal 2016 la sua carriera è decollata e l’artista è riuscito a farsi conoscere non solo in tutta Italia ma anche all’estero dove le sue opere infatti hanno trovato un miracoloso equilibrio con quello che le contorna, che siano viste sconfinate, spazi angusti o festival affollati di persone. Nel 2017 infatti, a testimonianza di questo crescente interesse verso il proprio lavoro, viene incluso dalla rivista Forbes tra i 30 artisti under 30 più influenti d’Europa e così nello stesso anno piovono torrenziali commissioni da ogni dove e nascono installazioni come Baroque, Archetipo, Locus e Aura.

Ideata per l’Eeaux Claires Festival, prodotto da Aaron e Bryce Dessner (The National) e Bon Iver, Baroque è nata dalla collaborazione con Michael Brown - il direttore creativo del festival - e l’organista inglese James McVinnie. Questa scultura è una ben riuscita convergenza tra arti visive e musica, con una struttura che chiaramente rievoca la cantoria di una chiesa nella quale spiccano le lunghe canne metalliche di un organo trasparente, parte integrante della scultura, e allo stesso tempo però la struttura accoglie al suo interno un organo classico vero e proprio. Dopo l’esperienza pugliese, il lavoro di Tresoldi ha fatto un ulteriore salto in avanti. «Ogni nuovo lavoro che affronto è una nuova sfida. Cerco sempre di pormi in condizioni differenti rispetto alle precedenti, in modo da poter sperimentare nuove soluzioni dal punto di vista delle tecniche e del linguaggio, per far evolvere la mia ricerca. Per me sono essenziali le contaminazioni con altre discipline, a Siponto ho avuto modo di lavorare con archeologi e restauratori, qui con grandi musicisti. Baroque non voleva essere una semplice scenografia. Come sai, per me è essenziale la relazione tra opera, spettatori e paesaggio. Qui si è aggiunto un altro elemento: l’opera doveva essere il ponte di comunicazione tra gli spettatori e il musicista, solo con la riuscita di questo rapporto, l’esperienza è completa. Nel Winsconsin ho avuto l’occasione incredibile di lavorare a stretto contatto con McVinnie, che vanta collaborazioni con Arcade Fire e Martin Creed solo per fare un paio di esempi. […] Ho dovuto progettare un luogo che potesse ospitare in uno spazio aperto uno strumento come l’organo, tradizionalmente parte integrante di un’architettura, di un ambiente chiuso. Con Baroque abbiamo potuto portare il suono sacrale di questo strumento all’interno di un contesto naturale. Il pubblico poteva fare un’esperienza della performance musicale diversa dal solito, perché la struttura in rete metallica, grazie alla sua trasparenza, permette di guardare lo spettacolo a 360°17». L’artista si è dimostrato entusiasta non sono per l’ottima riuscita della sua installazione ma soprattutto perché quest’ultima, nata per essere effimera, temporanea e quindi pensata per essere poi smantellata una volta concluso il festival, è stata invece acquisita come opera ambientale permanente e destinata ad uno dei parchi in cui scorre il fiume Chippewa. Anche in questo caso quindi l’opera è divenuta parte integrante del paesaggio locale18.

Archetipo è stato disegnato e realizzato per un evento privato della famiglia reale di Abu Dhabi, in collaborazione con lo studio Designlab Experience di Dubai. Un’imponente scenografia di un vero e proprio giardino in cui architettura e natura danzano e si fondono in continue relazioni e contrasti fondati: uno spazio immaginario in cui la natura cresce e si evolve in astratte reti metalliche. Elementi geometrici tagliano e scompongono le armonie classiche, generando un evolversi continuo di astrazioni architettoniche e distorsioni evanescenti. Un disegno spaziale in cui l’architettura trasparente ci mostra due mondi paralleli e intersecati al tempo stesso: la natura è sintesi del paesaggio, l’uomo diventa paesaggio attraverso l’architettura. La fusione del linguaggio classico e di quello modernista ne genera un terzo che trova il suo tempo nel contemporaneo.

Tresoldi ritorna in Italia con Locus realizzando sul mare una suggestiva performance visivo-sonora all’interno di un progetto sperimentale di arte, musica e poesia, DERIVE, a Sapri. La scultura questa volta fonde diversi linguaggi contemporanei e nasce per accogliere la composizione inedita di un musicista italiano che ha collaborato in prima persona al progetto, IOSONOUNCANE19.

Aura è invece un intervento site-specific negli spazi del prestigioso Le Bon Marché Rive Gauche a Parigi. L’opera è l’occasione per l’artista di mostrare la sua poetica della rovina attraverso una riflessione sul passaggio del tempo e la trasformazione della materia, dalle forme classiche ai contenuti contemporanei. L’evocativo nome infatti si rifà al concetto di ‘Aura’ usato da Walter Benjamin per spiegare ciò di cui sono intrise le antiche rovine, ovvero «l’apparizione irripetibile di una lontananza20». Tale riflessione avviene questa volta attraverso l’edificazione di due cupole realizzate con materiali diversi: una in rete metallica e l’altra in lamiera ondulata, materiale utilizzato per la prima volta in questa occasione. Le due eleganti installazioni, dalla forma quasi identica ma di diversi materiali e fisicità, incarnano due ambiti diversi della storia dell’architettura: sono frammenti del passato e parte integrante dell’immaginario occidentale, in bilico tra forma e antiforma21.

Nel 2018 l’artista torna a realizzare una struttura per un contest musicale, il Coachella Valley Music and Arts Festival, uno degli eventi musicali più importanti e attesi al mondo. Nasce così Etherea, l’installazione site-specific che richiama vagamente nelle forme la spirituale Basilica di Siponto ma in cui l’artista compie un decisivo passo in avanti. Ispirata alle architetture barocche e neoclassiche, l’installazione utilizza l’architettura come luogo e strumento della contemplazione, uno spazio specifico dove il cielo e le nuvole fungono da copertura della volta metallica. Il gioco ottico di prospettive e rapporti dimensionali generato dal passaggio attraverso le tre sculture e le tre scale di misura riduce o amplifica la distanza tra uomo e cielo grazie alla trasparenza della rete metallica. Filamenti, linee e segmenti si intersecano amplificando i volumi architettonici fino a farli esplodere nell’etere: astrazione e materialità dialogano in un seducente contrappunto e lo straordinario virtuosismo degli scheletri metallici gravita sugli spettatori: presenze teatrali, illuminate da luci sapienti, offuscano la rigida incisività dei contorni, vibrando di nuova vita.

«I festival sono uno spazio pubblico molto emozionante: le persone ne aspettano l’apertura per mesi per poi viverlo intensamente, consapevoli di vivere un tempo unico e denso che non ha passato né futuro. Forse un tempo libero dal tempo, sicuramente un tempo pubblico. Ho cercato di creare un luogo per quegli occhi e ritagliare uno spazio in quel tempo per alzare la testa e guardare il cielo, godendo di un momento semplice e intimo pur restando tra la folla. La musica lo fa22».

Sempre nel 2019 per il parco artistico Arte Sella, in Trentino, l’artista realizza l’opera site specific Simbiosi. Nel parco trentino Tresoldi prosegue la sua ricerca sulla percezione esperienziale dello spazio e sul rapporto con gli elementi del paesaggio realizzando una compenetrazione scultorea tra architettura e natura. Una “simbiosi” appunto che si attua nel momento in cui l’artista per realizzarla ibrida la rete metallica, materia assente, con la materialità delle pietre locali. L’installazione alta 5 metri è interamente aperta verso il cielo e sembra sfidare la forza di gravità, una rovina sospesa tra natura, architettura e dimensione temporale. Tuttavia, diversamente dalla rovina diciamo “convenzionale” segnata da un processo di deterioramento per lo scorrere del tempo, qui questa viene ricostruita con regole fisiche che appaiono insolite visto che è l’artista con il suo disegno che interviene nella sua conformazione. Simbiosi è un organismo che vive e respira, e che si fa portavoce del profondo legame con il parco che ha subito l’azione trasformativa della natura, proprio come la subiscono le rovine: è interessante notare che la stessa collina dove sorge l’installazione è nata da un processo naturale a seguito di una tempesta. In questo tessuto l’installazione di Tresoldi continuerà ad essere modellata dalla natura che con il suo incedere darà vita a un’ulteriore architettura che si fonderà col parco23.

Un posto di riguardo in ogni caso sarà sempre riservato dall’artista alla basilica di Siponto perché, rimodulando un vecchio detto, “la prima grande commissione non si scorda mai”. Un’architettura virtuale e al tempo stesso reale che segna fortemente il paesaggio e che, nata con l’intento di offrire una protezione ai resti dell’antica basilica in particolare al mosaico pavimentale, si è trasformata in tutt’altro. Un’équipe di archeologi, architetti, ingegneri e tecnici ha deciso – su sollecitazione del progettista e direttore dei lavori Francesco Longobardi e con una certa dose di coraggio – di far realizzare a Tresoldi una struttura che evocasse la presenza della basilica ormai scomparsa e si ponesse in dialogo con la chiesa medievale ancora esistente. Una scelta originale che potrebbe servire da precedente per futuri progetti di restauro non solo di siti archeologici a patto che vengano rese disponibili per interventi simili risorse finanziarie consistenti e che si operi senza danneggiare le strutture preesistenti. «Siponto essendo un lavoro inedito ha generato nuove prospettive nei campi dell’arte pubblica, nel restauro, nello sviluppo del territorio, nella valorizzazione del paesaggio e del patrimonio. Ed è riuscito a farlo perché ha cercato di raccontare il patrimonio, il paesaggio attraverso un’esperienza emotiva, attraverso la sacralità di un luogo e attraverso la poesia, principalmente24».

Allo stupore che in un primo momento suscita nel visitatore l’articolato volume della struttura, si sostituisce dopo la repentina piacevole sensazione di essere trasportati indietro nel tempo. La lettura di un sito archeologico risulta spesso complessa e molte volte addirittura noiosa soprattutto per i non addetti ai lavori. L’opera realizzata da Tresoldi nel sito archeologico di Siponto ne rende più agevole e certamente affascinante la fruizione, capace com’è di porsi in relazione con il contesto e di sollecitare l’immaginazione dei visitatori. E se il metallo della struttura molto probabilmente finirà per deteriorarsi con il trascorrere del tempo diventando una rovina, se gli uccelli costruiranno i loro nidi sui capitelli, se la vegetazione della macchia si insinuerà all’interno delle maglie della rete, l’opera non perderà comunque la sua funzione: continuerà a parlare del passato agli uomini di oggi, a ribadire la continuità ideale tra storia e attualità25.









NOTE

1 TRESOLDI 2017.

2 GIORGI 2017.

3 TRESOLDI 2017.

4 GIORGI 2017.

5 POZZI 2019.

6 MiBACT 2020.

7 Sesta sezione del volume Il deserto e dopo, Milano, Mondadori, 1961.

8 ARMIENTO 2016.

9 LA ROCCA 2016.

10 IL POST 2016.

11 TRESOLDI 2017.

12 Ibidem.

13 PALLADINO 2019.

14 GIORGI 2017.

15 CUCCHI 2019.

16 GIORGI 2017.

17 TRESOLDI 2020.

18 Ibidem.

19 Ibidem.

20 Ibidem.

21 Ibidem.

22 CONTE 2018.

23 TRESOLDI 2020.

24 TRESOLDI 2017.

25 DE VENERE 2016.













BIBLIOGRAFIA

ARMIENTO 2016
Antonio Armiento,
L’architetto della parola. Ungaretti e Siponto, in “Stato quotidiano”, 14 dicembre 2016.

CONTE 2018
Roberto Conte,
Etherea. Il video dell’installazione di Edoardo Tresoldi a Coachella, in “Artribune”, 13 maggio 2018.

CUCCHI 2019
irginia Cucchi,
Onstage: Intervista con Edoardo Tresoldi, in “Floornature”, 10 giugno 2019.

DE VENERE 2016
Lia De Venere,
C’è una basilica paleocristiana in Puglia… in rete metallica, in “Artribune”, 18 marzo 2016.

GIORGI 2017
Emilia Giorgi,
Edoardo Tresoldi, l’uomo che ha stregato il mondo (e Forbes) con le sue cattedrali metalliche, in “Arte e Cultura - La Repubblica”, 15 maggio 2017.

IL POST 2016
Il Post,
La basilica di rete metallica di Siponto, in Puglia, in “Il Post”, 21 aprile 2016.

LA ROCCA 2016
Luigialign="justify" La Rocca, 2016, “Santa Maria di Siponto 1/3 Intervista al committente”, intervista su YouTube fatta da Paola Pierotti, 24 febbraio 2016.
Disponibile su:
https://www.youtube.com/watch?v=lQ0Qfvd_OBg&t=9s.

MiBACT 2020
MiBACT, Parco Archeologico di Siponto, Luoghi della Cultura, visitato in data 10 aprile 2020.

PALLADINO 2019
Antonella Palladino,
La poetica dello spazio. Parola a Edoardo Tresoldi, in “Artribune”, 22 settembre 2019.

POZZI 2019
Patrizia Pozzi,
Lo scultore delle trasparenze: Edoardo Tresoldi, in “Paesaggi, Blog, asa & Design - La Repubblica”, 7 marzo 2019.

TRESOLDI 2017
Edoardo Tresoldi, 2017, “Materia Assente - Edoardo Tresoldi - TEDxBologna”, 31 ottobre 2017.
Disponibile su:
https://www.youtube.com/watch?v=iOLW_0T9LkY&t=347s.

TRESOLDI 2020
Edoardo Tresoldi,
Works, visitato l’8 aprile 2020.

https://www.edoardotresoldi.com/works/



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