L'incontro con il restauratore Stefano Turchetti si è svolto
nello studio della sua abitazione romana sull'Aventino.
D. L'idea del recupero, della valorizzazione e della
conservazione dell'opera d'arte risale al secolo XV.
E' soltanto nel '7OO però, che la figura del restauratore ha
assunto una sua propria fisionomia e un'identità rispetto a
quelle del pittore e dell'artigiano.
Chi è il restauratore moderno ?
R. Oggi il restauratore deve essere anzitutto un tecnico, deve
conoscere a fondo l'opera d'arte su cui mette le mani.
Un tempo, specialmente il restauratore era soltanto un pittore
che, mediocre o eccellente, si occupava più o meno
occasionalmente di restauro. Si può citare, ad esempio, Carlo
Maratta che, già alla fine del Seicento, dimostrava di avere
un'idea già "moderna" di restauro e che si conferma quindi ai
nostri occhi come un avveduto restauratore oltre che un ottimo
pittore. Ma lui, probabilmente, rappresentò l'eccezione
piuttosto che la regola. Credo che il restauratore debba avere
molta umiltà personale perché ha di fronte l'opera di un'altra
persona che deve essere tramandata nel modo più corretto
possibile. Fino a qualche tempo fa si tendeva ad intervenire
su di un dipinto per renderlo godibile, ma ad alterarlo nei
caratteri magari per soddisfare il mutamento del gusto. Un
dipinto, invece, va rispettato non trasformato.
D. Da un approccio empirico all'opera d'arte si è andata formando
una concezione scientifica di restauro, cosa è cambiato negli
ultimi tempi per quel che riguarda tecniche e procedure ?
R. Un esempio banale: spesso ci si trova a pulire dei quadri con
ridipinture a olio difficilissime da eliminare che rendono la
fase della pulitura molto complessa; già questo è cambiato,
oggi si possono usare dei colori che hanno una maggiore
reversibilità, sono colori a vernice, specifici per il
restauro, privi di leganti oleosi.
D. L'uso del computer ha facilitato in qualche modo il vostro
lavoro?
R. Sicuramente si. E' sempre uno strumento in più, ma l'uso del
computer è legato al restauro di grande risonanza. Il restauratore
che lavora per il privato non ne ha generalmente bisogno.
D. Quali sono le sostanziali differenze tra restauro pubblico e
restauro privato ?
R. Quando una committenza è statale il lavoro è frutto della
collaborazione di più persone, il restauratore, il chimico, lo
storico dell'arte. Il restauro per il privato è nelle mani
della sensibilità del restauratore. Sarebbe bene che quello
che abbiamo definito un tecnico conosca anche la storia
dell'arte.
D. I restauri più famosi, diciamo "da prima pagina": Il Giudizio Universale, La Cappella Brancacci, Il Cenacolo: tutti
realizzati grazie al moderno mecenatismo degli enti privati
che sponsorizzano solo l'opera più famosa per farsi
pubblicità. E le opere di minore importanza, chiamiamole così,
come sopravvivono a questa politica ?
R. Esistono sommi capolavori che vanno conservati a tutti i
costi, ma non per questo è giusto che una gran parte del
nostro patrimonio artistico venga lasciato al degrado e
all'abbandono solo perché giudicato di secondaria importanza.
Credo che questo sia un atteggiamento pericoloso e che quindi
la politica del moderno mecenatismo sia una politica che possa
nuocere, o meglio, diciamo che, sarebbe auspicabile una
politica di restauro basata sul concetto di conservazione di
ogni bene che abbia un qualche significato artistico o
semplicemente storico. Ma il problema, in realtà, è anche
quello dei fondi, che sono scarsi, mentre i costi dei restauri
sono così elevati per cui spesso neanche sostenibili dagli
stessi privati.
D. Cosa consiglia a chi vuole intraprendere questa professione ?
Ci sono reali possibilità di inserimento nel mondo del lavoro ?
R. Il lavoro c'è, anche se adesso è un momento difficile.
Esistono delle scuole private alcune delle quali riconosciute
a livello regionale che danno un'idea di base, ma il restauro
è qualcosa di complesso: esiste il restauro del dipinto,
dell'affresco, della carta, delle stampe: credo che il
restauro andrebbe indirizzato verso la specializzazione,
magari si creano così, maggiori possibilità di occupazione. In
alternativa alle scuole un giovane dovrebbe frequentare lo
studio di un restauratore che sia riconosciuto e che lavori
con criterio. L'Istituto Centrale per il Restauro è un
discorso a parte, è selettivo, riservato ad una minoranza
strettissima.
D. Nell'ottica dell'integrazione al mercato europeo, quale
professionalità e quale livello qualitativo offre il
restauratore italiano rispetto ai colleghi delle altre
nazioni ?
R. Bisogna dire che la tradizione del restauro in Italia è
secolare e ben fondata. I restauratori italiani sono dei buoni
tecnici ed esecutori, sicuramente il livello qualitativo è
molto alto.
D. In che modo si è avvicinato a questa professione ? Parliamo un
pò della sua esperienza personale accanto al maestro Cellini.
R. Fin da piccolo amavo girare per le gallerie d'arte, c'era già
l'interesse per i dipinti. Ho conosciuto casualmente il
professor Cellini, una persona di grande esperienza, che ci
tiene, soprattutto, a trasmettere il suo sapere. Non
esistevano i famosi segreti di "bottega" ed ho potuto
osservare certi procedimenti e sperimentarli. Il professor
Cellini ha cominciato a restaurare in giovanissima età e
quindi parecchi anni fa, ma è riuscito ad aggiornarsi, a stare
al passo con le innovazioni e con i cambiamenti. Infatti è
importantissimo per un restauratore tenersi aggiornato,
conoscere sempre a fondo i materiali che utilizza.
D. Qual è l'opera più famosa che le è passata tra le
mani ?
R. Sicuramente quelle arrivate nello studio di Cellini, come ad
esempio la tavola della Pietà di Giovanni Bellini del museo di
Stoccarda oppure alcune opere del Caravaggio. Bisogna
aggiungere che il quadro da restaurare è come un malato che va
curato. Se è bene eseguito e se si tratta dell'opera di un
maestro è, in genere, tecnicamente perfetto, e, in un certo
senso, più facile da restaurare. L'opera minore presenta in
genere più problemi, ma l'attenzione del restauratore deve
essere sempre la stessa.
D. Un restauratore professionista affermato quanto si sente un
tecnico e quanto un artista ?
R. Il lato artistico, anche se si possiede, deve essere il più
possibile tralasciato. Il restauratore deve essere come una
specie di medico che, senza essere eccessivamente freddo,
cerchi di entrare nel carattere dell'opera che ha di fronte, e
nello spirito con il quale è stata concepita ed eseguita.
D. E' intellettualmente onesto secondo lei che il critico e lo
storico dell'arte diano un giudizio su un'opera molto
ridipinta e che presumibilmente ha perso il suo significato
originario ?
R. Si può capire un'opera solo quando si escludono gli elementi
estranei quali le ridipinture e i restauri successivi che
incidono sulla lettura che viene in qualche modo falsata.
D. Alcune tesi storiografiche si basano paradossalmente, su
restauri sbagliati, eseguiti nel Settecento o nell'Ottocento.
Molti sostengono che la storia dell'arte sia tutta da
riscrivere. Lei cosa ne pensa ?
R. Credo che il restauratore deve essere almeno un po' storico
dell'arte, come lo storico dell'arte deve essere un po'
restauratore nel senso che, dovrebbe almeno riuscire a
"vedere" un restauro, a saperlo leggere, dovrebbe insomma
avere un occhio allenato a fare questo pur senza naturalmente
dover agire sull'opera. E' accaduto che lo storico dell'arte
abbia fatto delle attribuzioni basando le proprie tesi sulle
parti restaurate o ridipinte di un quadro, parti che, magari,
ne avevano mutato anche il significato.
D. Si serve il restauratore di fonti scritte per comprendere
meglio l'opera che ha davanti ?
R. Tutti gli elementi sono utili, soprattutto se si lavora su
opere d'arte di una certa importanza, che hanno quasi sempre
una documentazione alle spalle, una loro storia. In genere
però quaste fonti scritte, questi documenti, non esistono.
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