Partendo dalla viabilità attuale, l'orologio solare di Augusto,
noto nelle fonti come "horologium" e "solarium", o, in riferimento
al proprio obelisco, come "gnomon" e "obeliscum", occupava lo
spazio compreso tra le odierne Piazza del Parlamento, Piazza S.
Lorenzo in Lucina, via del Giardino Theodoli e vicolo della
Torretta.
L'obelisco, utilizzato come asse indicatore del tempo (da cui i
termini gnomon e gnomone), si trova attualmente davanti al palazzo
di Montecitorio, un po' arretrato rispetto alla posizione occupata
in antico
(1) .
Le indagini e gli scavi relativi all'orologio di Augusto
condotti periodicamente dal 1975 al 1986 sono stati curati
dall'Istituto Archeologico Germanico, in relazione ad una serie di
interventi nel Campo Marzio e, in particolare, nella chiesa di S.
Lorenzo in Lucina, per il suo avanzato stato di degrado
architettonico.
Le ricostruzioni che precedentemente erano state date del
complesso orologio-obelisco erano del tutto errate
(2), tanto che
nellla seconda metà degli anni '70 il prof. E. Buchner, presidente
dell'Istituto nella sua sede a Berlino, decise di intraprendere
scavi accurati nella zona di S. Lorenzo, partendo dai calcolo
compiuti dal suo collega prof. Rakob, direttore della sezione di
Roma dell'Istituto.
La campagna portò al rinvenimento in via del Campo Marzio, a 8
metri di profondità, del livello augusteo e di un battuto che,
subito, si pensò dovesse corrispondere al piano di giacitura delle
lastre di pietra su cui poggiavano le strisce di bronzo della
meridiana.
Ciò confermava le stime del prof. Rakob per una superficie
occupata dall'orologio di m 160 x 75, paragonabile a metà della
Piazza S. Pietro attuale, e che la meridiana non fosse lastricata
su tutta la superficie, ma solo sulle linee più importanti, dove
si trovavano lle strisce di bronzo della larghezza di 3-4 cm; la
restante parte era ricoperta da prato, come mostrano gli studi di
paleobotanica effettuati sul polline rinvenuto nello scavo.
Scoperte ancor più importanti si ebbero nel 1979, quando nelle
cantine dello stabile al ndeg. 48 di via del Campo Marzio il medesimo
prof. Buchner
(3) trovò, quasi accanto allo scavo precedente ma,
questa volta, a soli 6,30 m di profondità, sotto una falda
d'acqua, un lastricato in travertino ricoperto da uno strato di
cocciopesto, appartenente forse ad una vasca di età adrianea.
Sulle lastre vi erano impressi con lettere di bronzo i nomi in
greco dei segni zodiacali e un asse con una serie di tacche
perpendicolari, interpretato come uno dei punti di riferimento
dell'ombra dell'obelisco.
Dato il dislivello con il piano augusteo, si pensò si trattasse
di un rifacimento di fine I-inizi II sec. d. C., in cui si rialzò
in parte la superficie dell'orologio, si calcolarono le
angolazioni delle ombre, si usarono a rovescio le vecchie lastre
di travertino e vi si incastrarono, in base alle nuove misure, le
strisce di bronzo augustee.
In previsione di nuove indagini, si calcolò che il Mezzogiorno
del 23 Settembre (giorno della nascita di Augusto) si trovasse
sotto il bar posto a circa 40 m di distanza dal palazzo. Per
adesso, comunque, gli scavi sono in corso sotto la sacrestia della
chiesa di S. Lorenzo in Lucina, dove dovrebbe trovarsi l'ora Nona
di un mese invernale non ancora noto.
Partendo da questi elementi e unendo le informazioni
tramandateci dal Medioevo sull,orologio, si ha il seguente quadro
storico:
1) negli anni 10-9 a.C. Augusto realizza il primo orologio,
sistemando il quadrante parte su travertino e parte sull'erba;
2) dopo poco inizia la progressiva ricopertura dell'area con i
detriti lasciati dalle inondazioni del Tevere e dalle acque di
scolo dei colli del Quirinale, Viminale e Pincio. Nell'arco di 30
anni
(4) l'orologio non funziona più, essendosi spostato
l'obelisco di qualche centimetro e apprestandosi il quadrante a
sparire sotto uno spesso strato di terra;
3)in un anno non precisato del principato di Domiziano (forse
subito dopo l'80 d.C., quando un terribile incendio devastò il
Campo Marzio), su un accumulo di detriti di ben 2 m di spessore si
rimonta l'orologio, con il quadrante tutto in travertino e parti
in mosaico. Anche in questo caso, però, l'opera ha vita breve,
visto che, poco dopo, di lei si perde ogni traccia e
testimonianza, resta solo l'obelisco-gnomon, che diviene il
simbolo del Campo Marzio, come si vede nella decorazione del
basamento della colonna di Antonino Pio;
4) a partire dal 1463 si susseguono le segnalazioni di
ritrovamenti fortuiti di parti della meridiana. Il Lanciani
(5)
per il 1484 cita la testimonianza di Pomponio Leto: "ubi est domus
nova facta, quae est capellanorum cuiusdam capellae s. Laurentii"
(l'autore si riferisce alla costruzione nel 1463 di una cappella
in S. Lorenzo in Lucina ad opera del cardinal Calandrino) "fuit
basis horologi notissimi" (ossia dell'obelisco). "Ubi est
eph(ebeu)m capellanorum, ibi fuit effossum horologium, quod
habebat VII gradus circum, et lineas distinctas metallo inaurato.
Et solum campi" (cioè del Campo Marzio) "erat ex lapide amplo
quadrato et habebat lineas easdem, et in angulis quattuor venti ex
opere musivo cum inscriptione ut Boreas spirat, etc.";
5) gli ultimi ritrovamenti casuali del piano dell'orologio
avvennero un po' prima del 1876. Infatti, i curatori della prima
parte del Corpus Inscr. Lat. vol. VI, e. Bormann e G. Henzen, a
proposito dell'iscrizione posta su due lati della base
dell'obelisco
(6) , scrissero: "...Senonchè i vicini, che intorno
ad esso" (cioè l'obelisco) "hanno le case, asserivano che quasi
tutti loro, nel corso degli scavi compiuti sulle rispettive
proprietà per realizzare cantine, avevano trovato vari segni
celesti di ottima fattura bronzea, posti su un pavimento intorno
allo gnomone..."
Accanto ai risultati degli scavi, l'unica fonte antica utile per
apprendere la tipologia, l'aspetto e le modalità di funzionamento
dell'orologio è Plinio il Vecchio (per il testo si rimanda alla
nota
(7).
Innanzi tutto bisogna capire se è venuto prima l'obelisco o
l'orologio: Augusto, cioè, ha portato a Roma l'obelisco al fine di
usarlo come ago (gnomon) per il suo orologio, oppure, una volta a
Roma l'obelisco, ha pensato solo in un secondo momento di
servirsene come gnomon ?
L'iscrizione della base dell'obelisco non menziona minimamente
l'orlogio (quindi ci si avvicinerebbe alla seconda ipotesi) ma le
prime righe del testo pliniano non aiutano certo a risolvere il
dubbio; infatti, le seguenti parole: "Di quello che si trova nel
Campo Marzio il divino Augusto fece un uso degno di ammirazione",
possono essere a favore tanto della prima che della seconda
ipotesi. E' anche vero, però, che l'obelisco in Egitto è
il simbolo del Sole e a tale divinità Augusto fa riferimento
nell'iscrizione della base, riportandoci all'idea della meridiana
(8).
Altrettanto dubbia è l'identità del progettista dell'orologio.
I
manoscritti dell'opera pliniana riportano due diverse versioni,
accettate dagli editori solo in base a scelte personali:
1) "...et ingenio fecundo Novi mathematici..." ("degna...
dell'ingegno fecondo del matematico Novus"). Si congettura una
lettura di Novus per Nonius, identificando il matematico con il
cavaliere romano C. Nonio, accusato al tempo di Claudio di
congiura ai danni dell'imperatore e condannato a morte
(9); oppure
con il questore Novio Nigro, implicato nella congiura di Catilina
(10);
2) "...et ingenio Fecundi Novi mathematici..." ("degna...
dell'ingegno del matematico Fecundo Novo"); questa è la versione
più seguita, anche con variazione di Fecundo in Facundo.
A proposito della costruzione del piano della meridiana Plinio
distingue diverse fasi. All'inizio, per determinare l'estensione
del quadrante si osservò l'area coperta dall'ombra dell'obelisco
nel giorno del solstizio d'inverno (21 Dicembre), momento in cui,
raggiungendo il sole il punto più basso sull'orizzonte, l'ombra
è
alla sua massima lunghezza e oscura con la sua rotazione una
porzione maggiore di terreno che nel resto dell'anno.
L'indicazione dei giorni di ogni mese fu data da un reticolo di
linee orizzontali-curve (percorso seguito dall'ombra nell'arco di
una giornata) e verticali-rette (lunghezza dell'ombra in relazione
alla minore o maggiore altezza del sole sull'orizzonte). Delle
orizzontali solo una linea era retta, quella il cui tracciato
conduceva direttamente all'Ara Pacis il 23 Settembre (giorno
dell'equinozio di Autunno e, come si è già detto, della nascita
di Augusto). Delle verticali, invece, quella centrale, perpendicolare
all'obelisco ecorrispondente alle h 12 di ogni giorno, non solo
era più corta delle altre, ma anche era munita, in totale, di 182
barrette orizzontali, poste a distanze uguali e regolari,
corrispondenti, ciascuna, a due giorni.
Accanto a queste erano incastrati nella pietra i nomi in greco
delle costellazioni zodiacali e alcune indicazioni astronomiche,
come "ETHESIAI PAUONTAI" (Etesìai pàuontai), cioè "cessano
i venti
Etesii", oppure "QEROUS ARCH" (Thérous arché), cioè
"inizio
dell'Estate".
Di queste note colpisce come si riferiscano a fenomeni celesti e
meteorologici riscontrabili solo nella parte orientale del
Mediterraneo, e automaticamente viene da pensare alla presenza di
un modello alle spalle dell'orologio, da ricercare in Egitto,
sulla costa siro-palestinese, in Asia Minore o in Grecia.
Infine, raffigurazioni a mosaico dei venti, come ci viene
testimoniato nel Medioevo, dovevano trovarsi ai margini del
quadrante.
In generale, partendo proprio da queste indicazioni, si è
concordi nel ritenere che:
1) la posizione della meridiana nel Campo Marzio, a circa metà
strada tra il Mausoleo di Augusto, l'Ara Pacis e il Pantheon di
Agrippa non è casuale, ma obbedisce a precise regole
propagandistiche;
2) il corredo nel quadrante di iscrizioni in greco e non in
latino, come sarebbe più logico a Roma, unitamente ad indicazioni
astronomiche tanto particolari quanto inutili per l'Italia, può
essere la prova che si tratti della copia esatta da un originale
alessandrino, riprodotta sulla scia di quel gusto egittizzante che
già aveva ispirato Augusto per gli altri obelischi e per il suo
Mausoleo, e che rientrava nel piano di assomigliare sempre più ad
Alessandro Magno.
L'obelisco, divenuto poi gnomon dell'orologio, risaliva al
faraone Psammetico II (VI sec. a.C) e si trovava ad Heliopolis
(11), in Egitto. Augusto lo fece portare a Roma nel 10 a.C, forse
contemporaneamente o anteriormente agli altri tre obelischi, presi
sempre in Egitto e posti uno sulla spina del Circo Massimo e due
innanzi al proprio sepolcro
(12).
Era un monolite di granito rosso, alto quasi 22 m e ricoperto di
geroglifici su tutti e quattro i lati. Per quanto la sua funzione
di gnomon venisse presto meno, l'obelisco rimase ancora in piedi
per molti secoli
(13). Cadde in una data ignota (forse a causa del
sisma dell'Aprile dell'849
(14) o nel 1048, durante l'assedio di
Roma da parte di Roberto il Guiscardo, dopo che la sua base, ben
raggiungibile tramite l'accumulo di macerie che aveva ricoperto il
piedistallo, era stata arrotondata dall'azione del ferro e del
fuoco) e si ruppe in cinque pezzi. Per la gran quantità di detriti
depositatisi al di sopra, se ne perse presto ogni traccia. Solo la
memoria di questa pietra bizzarra e della relativa ombra rimasero
nella piazza antistante S. Lorenzo, dando vita ad una leggenda.
Si racconta, infatti, che ivi si ergesse una statua con il
braccio e l'indice destro tesi, e sul dito la scritta "Percute
hic", ossia "Batti qui". Dopo che molti avevano eseguito l'ordine
della statua senza che nulla accadesse, vi provò il grande
negromante Gerbert d'Aurillac (meglio noto come papa Silvestro II
- 999-1003), ma in un modo del tutto particolare: attese il
Mezzogiorno e segnò il punto dove cadeva l'ombra dell'indice, poi,
la notte stessa, assistito da un servitore, aprì con un sortilegio
la terra e si trovò in una reggia d'oro, piena di ricchezze e di
statue di re, di dgnitari e di altri personaggi celebri, anch'esse
d'oro e poste a guardia dell'immenso tesoro. I due avendo tentato
di sottrarre i gioielli e gli altri beni facilmente trasportabili,
si videro circondati dalle statue, improvvisamente animate, e
furono costretti alla fuga, non potendo portare con sé nulla. Il
tesoro da loro visto era quello dell'imperatore Ottaviano Augusto,
che naturalmente non fu più rinvenuto
(15).
L'obelisco venne ritrovato per caso nel 1502; i suoi avanzi
erano riuniti in una cantina del Largo dell'Impresa (strada non
più esistente) e furono scoperti da un barbiere che ivi aveva il
suo negozio.
Dopo gli infruttuosi tentativi di Sisto V di rimontare
l'obelisco e di rialzarlo, Benedetto XIV nel 1748 fece
raccoglierne i frammenti, che rischiavano di andare perduti, e li
mise in salvo nel cortile di un palazzo in via della Vignaccia
(strada anch'essa scomparsa). Solo tra il 1789 e il 1792 Pio VI
riuscì a restaturarlo, ricorrendo anche a pezzi presi dalla base
di Antonino Pio, e a innalzarlo in Piazza Montecitorio, sullo
stesso piedistallo antico dove tuttora si trova
(16).
Nonostante la grandiosità, l'importanza e l'eccezionalità di
un
monumento come l'orologio di Augusto, le fonti sembrano, in
generale, non avere mai sentito parlare di esso.
Se proprio un accenno deve essere fatto, questo va, seppure in
breve, all'obelisco. Lo stesso Plinio tratta dell'orologio in
funzione dell'obelisco, in quanto quadrante di uno gnomon (non a
caso la descrizione è collocata all'interno del capitolo dedicato
agli obelischi di Roma).
Naturalmente questo è un argomento "ex silentio", poiché
dal
naufragio della letteratura classica nel Medioevo a noi sono
giunte per la maggior parte opere e frammenti di autori che di
topografia e tecnologia si interessano poco o nulla; ma è anche
una constatazione. Infatti, escludendo Plinio (23-79 d.C.), non si
capisce come mai Strabone (I sec. d.C.), Ammiano Marcellino (330-
400 d.C.) e i Cataloghi Regionarii (IV sec. d.C.) tacciano del
tutto dell'orologio; in più è strano che tra il I e il IV
sec.
d.C. già vi sia il vuoto completo di notizie
(17).
Pur non conoscendo le vicende dell'orologio dalla fine del I
sec. d.C. in poi, sono proprio gli scavi compiuti dai tedeschi a
suggerirci la risposta.
Come si è visto, tra la fase dell'orologio di Augusto e quella
del successivo rifacimento domizianeo vi è un dislivello di 2 m,
creatosi nell'arco di quasi un secolo a causa delle piene del
Tevere e delle acque di scolo dei colli circostanti. E' possibile,
allora, che il progressivo interramento di questa parte del Campo
Marzio sia proseguito inesorabile amche dopo il ripristino del
quadrante della meridiana e che già nella metà del II sec.
d.C
l'orologio si trovasse ad una profondità tale da non essere
più
visibile: dell'intero complesso solo l'obelisco sarebbe rimasto a
provarne l'esistenza e il passato splendore.
NOTE
(1) Per maggiore comodità del lettore si è ritenuto utile
seguire la tradizione storico-topografica, trattando separatamente la
storia dell'orologio da quella dell'obelisco e iniziando col
parlare degli scavi più recenti, per poi andare alle testimonianze
passate.
(2) Il Rodriguez Almeida (E. RODRIGUEZ ALMEIDA, Il Campo Marzio
settentrionale: solarium e pomerium, Rend. Pont: Acc Arch. LI-LII,
1978-1980, pp. 195-212), sulla base del ritrovamento dei cippi
delimitanti il Pomerio all'interno dell'area ipoteticamente
occupata dal quadrante, riteneva addirittura che l'orologio
funzionasse solo nella metà orientale, dal mezzogiorno al tramonto
(cfr. S. BOSTICCO, Frammento inedito dell'obelisco campense,
Aegyptus, XXXVII-1957, p. 63 sg.
(3) E. BUCHNER, Solarium Augusti und Ara Pacis, Mitt. deut.
archaol. Inst., Rom. Abteil. LXXXIII-1976, pp. 319-365; E.
BUCHNER, Horologium, Solarium Augusti. Vorbericht uber die
Augsgrabungen 1979/80, Mitt. deut. archaol. Inst., Rom. Abteil.
LXXXVII-1980, pp. 355-373; E. BUCHNER, L'orologio solare di
Augusto, Rend. Pont. Acc. Arch., LIII-LIV 1981-1982, p. 330 sgg.;
E. BUCHNER, Die sonnenhur des Augustus, Mainz am Rhein 1984
(4) Plin., Nat .Hist. XXXVI, 73
(5) R. LANCIANI, Storia degli scavi di Roma, Roma 1902, vol. I, p.
83; cfr. Codice topografico della Città di Roma, a cura di R.
VALENTINI e G. ZUCCHETTI, Roma-Ist. Stor. Ital. 1953, vol. IV, p.
427, ll. 9-13
(6) CIL VI, 702: (lato della base rivolto a S) "imp. Caesar divi
fil. / Augustus / pontIFEX MAXIMUS / imp. XII COS XI TRIB POT XIV
/ aEGYPTO IN POTESTATEM / pOPULI ROMANI REDACTA / SOLI DONUM
DEDIT.
(7) Plin., Nat. Hist. XXXVI, 72-73: "All'obelisco che è nel Campo
Marzio il divino Augusto attribuì la mirabile funzione di segnare
le ombre proiettate dal sole, determinando così la lunghezza dei
giorni e delle notti: fece collocare una lastra di pietra che
rispetto all'altezza dell'obelisco era proporzionata in modo che,
nell'ora sesta del giorno del solstizio d'inverno l'ombra di esso
fosse lunga quanto la lastra, e decrescesse lentamente giorno dopo
giorno per poi ricrescere di nuovo, seguendo i righelli di bronzo
inseriti nella pietra: un congegno che vale la pena di conoscere,
e che si deve all'acume del matematico Facondo Novio. Questi
aggiunse sul pinnacolo una palla dorata, la cui estremità
proiettava un'ombra raccolta in sé, perchè altrimenti la
punta
dell'obelisco avrebbe determinato un'ombra irregolare (a dargli
l'idea fu, dicono, la testa umana. Questa registrazione del tempo
da circa trent'anni non è più conforme al vero, forse
perchè il
corso del sole non è rimasto invariato, ma è mutato per
qualche
motivo astronomico, oppre perchè tutta la terra nel suo complesso
si è spostata in rapporto al suo centro (un fatto che - sento dire
- si avverte anche in altri luoghi), oppure semplicemente perchè
lo gnomone si è smosso in seguito a scosse telluriche, ovvero le
alluvioni del Tevere hanno provocato un abbassamento
dell'obelisco, anche se si dice che se ne siano gettate sottoterra
fondamenta profonde tanto quanto è alto il carico che vi si
appoggia".
(8) F. COARELLI, Roma sepolta, Roma 1984, p. 80; Collezione C.
Orlando Castellano, L'Urbe, XXVII-1964, ndeg. 5, pp. 13-15
(9) Tac., Annales XI, 22
(10) Svet., Caes. 17
(11) Centro ad una cinquantina di miglia a N di Menfi, sulla riva
destra del Nilo. Strab. XVII, C805; Amm. Marc. XVII, 4, 12
(12) Nel 1587 papa Sisto V, tramite l'architetto D. Fontana, porta
il primo in Piazza del Popolo e il secondo in Piazza
dell'Esquilino. Il terzo viene trasferito nel 1793 per ordine di
papa Pio VI in Piazza del Quirinale.
(13) Negli Itinerarii dei secc. VIII e IX risulta ancora in piedi
e alla vicina chiesa di S. Lorenzo in Lucina viene dato
l'appellativo "Ad Titan", con chiaro riferimento all'obelisco.
(14) R. LANCIANI, Segni di terremoti negli edifizi di Roma antica,
Bull. Comm. Arch. Com. 1918, pp. 3-28
(15) Questa versione della leggenda si trova in S. DELLI, Le
strade di Roma, Roma-Newton Compton 1988, p. 230 sg. Il Tomassetti
(G. TOMASSETTI, La Campagna Romana nel Medioevo, Archiv. Soc. Rom.
St. Patria 23-1900, p. 153), suggestionato dal racconto e convinto
che comunque abbia una base reale, tende a ricondurre alla stesso
motivo la notizia di una località "ad digitum Solis" (IX sec.),
situata tra le città di Ostia e di Porto. Infatti, a proposito del
curioso toponimo afferma: "deve significare una statua relativa al
sole, con un dito in alto, statua che doveva decorare l'orologio
solare del porto. Ed aggiungo che anche nell'orologio monumentale
del Campo Marzio in Roma si ricorda una statua ma col dito
abbassato... Forse due statue decoravano due antiche meridiane,
l'una col dito in alto, da Levante, l'altra col dito in basso, da
Ponente".
(16) Cfr. C. FEA, Miscellanea filologica, critica e antiquaria,
Roma 1790, tomo I, p. 74, 123, 166
(17) Cfr. A topographical dictionary of ancient Rome, a cura di
AAVV, vol. II, p. 366 sg.
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