IN OCCASIONE DELLA MOSTRA TENUTA PRESSO IL " MUSEO LABORATORIO DI
ARTE CONTEMPORANEA " DELL' UNIVERSITA' " LA SAPIENZA " DI ROMA,
CURATA DA RAFFAELE GAVARRO .
Alessandro Bazan é nato a Palermo nel 1966 . Prende il diploma di
maturità artistica e, nel 1984 inizia a frequentare l' accademia
delle belle arti a Palermo. Nel 1985 si trasferisce a Urbino .
Conclude l' Accademia nel 1987, quasi subito sceglie di dedicarsi
completamente alla pittura e inizia a muoversi autonomamente tra
pubblico e galleristi, fino ad ottenere il primo spazio per
esporre presso la galleria 'La Robinia a Palermò, nel 1988 .
"Le opere di questo primo periodo", dice Alessandro Bazan, "erano
ancora legate ad una formazione di tipo accademico, molto diverse
dal mio lavoro attuale . Erano perlopiù paesaggi con elementi
metafisici, una pittura molto mossa. Riconosco in Sironi e Matisse
i miei maestri sentimentali di allora".
Nel 1994 gli vengono affidati gli affreschi in una cella di un
ex-carcere restaurato a Pretorio di Fucecchio (FI) . Bazan parla
di questi affreschi come di una delle migliori opportunità per
tentare di realizzare una pittura scenica e coinvolgente: "Avere a
disposizione quattro pareti ed un soffitto significa poter
disporre incondizionatamente di un ambiente senza che né vincoli
economici (la vendibilità), né vincoli logistici (ubicazione
o
disponibilità di più o meno spazio) costringano l'
esecuzione
dell' opera . Puoi far rivivere una stanza condizionando la vita
che vi si svolgerà senza che la pittura si collochi nello spazio
come decorazione, ma come visione, pura e semplice visione. Il
quadro è limitato e limitante: hai dei margini entro i quali
ricondurre un' idea, dei confini razionali che dovrebbero
contenere una visione. Mi piacerebbe costruire le immagini dentro
bolle o nuvolette , per rendere quei confini più labili.
"Sempre nel 1994, espone prima presso la galleria 'In Arcò a
Torino, poi presso il 'Museo Laboratorio di Arte Contemporaneà
dell ' università di Roma.
"C' é un quadro che ho esposto a Torino in cui un uomo abbraccia
appassionatamente una ragazza baciandola. Una porta si spalanca
sulla scena. Entra in quel momento un forte bagliore che illumina
i due e sulla soglia compare un uomo che si ferma e guarda. L'
amante, continuando ad avvolgere la fanciulla in quell'abbraccio,
si volta di scatto e, puntando una pistola verso il nuovo venuto,
minaccia di sparargli. Nessuno sa chi veramente sia il marito, chi
l' intruso, chi sia il traditore, chi il tradito.
Ho voluto narrare una vicenda in una sola scena scandendola in più
tempi di lettura in modo da rendere quella scena dinamica nello
spazio e nel tempo. Tutti devono sentire di vivere quell' istante
come spettatori della vicenda e protagonisti dello spazio. E'
questo il mio scopo e niente meglio dei murales mi permette di
avvicinarmici, anche se, aumentando l' estensione della
superficie, si acuisce la difficoltà di mantenere l'
unità
narrativa.
Il lavoro che ho realizzato per l'esposizione di Roma avrebbe
dovuto riproporre la narrazione dinamica ed omogenea di quell'
abbraccio estendendola su una superficie di 90 metri quadrati. "A
Roma Bazan ha a disposizione un' unica parete convessa di 30 metri
per tre di altezza e realizza, (con le stesse dimensioni) , un
dipinto ad olio su carta, con l'intenzione di ritrovare la
velocità di esecuzione della tecnica a fresco e la potenza
espressiva dei murales . Il rotolo é stato realizzato incollando
con vinavil su un cannucciato di vimini pezzi di carta irregolari,
in modo da eliminare giunture visibili, ostacoli allo scorrere
degli occhi. Nessun particolare richiede di sostare, ogni linea
sfugge all' analisi.
Un aereoplano atterra nell' alba e ti spinge più in là dove
é già
notte e finestre scintillano lontano nel buio di qualche città
italiana. L' occhio si ferma su una di quelle luci e scorge una
fanciulla affacciata: "Ciò che mi piace di questo dipinto", dice
Bazan, "é la possibilità di abbracciare con lo sguardo
un'immagine
estesa e descritta genericamente, che allo stesso tempo ti lascia
supporre l' intimità di ogni angolo e aspetto non svelato. Dietro
ogni finestra puoi immaginare la vita che vi si svolge. " Le
immagini continuano a succedersi scattanti e a quella che poteva
sembrare una città italiana già si sostituisce uno
scorcio
statunitense, poi una metropoli sudamericana, una distesa
africana ..... "Non sono città diverse, ma tante faccie della
stessa metropoli, aspetti di una stessa realtà sfaccettata e
poliedrica." "Amore e Fuoco", questo il titolo, tratto da una
poesia di Borgès, del lungo rotolo-murales di Alessanro Bazan.
Non "Amore e Odio", nè "Amore e Morte": con 'Amore e Fuocò
Bazan
non accetta una visione manichea della realtà: "Non esiste un
equilibrio o uno scontro tra valori antitetici nella realtà, anche
l'individuo più corrotto e perverso conserva tracce di onestà.
Come i gangsters di Jim Tompson ( giallista americano ): scivolano
da inferno a inferno, sprofondano nell' orrore, ma conservano
umanità. Doc, un attento ed abile killer, rapina una banca, uccide
il suo socio, ma dimentica spietatezza e cinismo, suoi attributi
professionali, di fronte alla moglie piangente. " Così, in una
grande metropoli, anche gli aspetti più violenti della vita
urbana sembrano vibrare note accattivanti in una quotidianità
lacera.
In 'Amore e Fuocò, mentre un uomo stramazza al suolo e due pugili
si perdono in una rissa, la ballerina danza sotto il ponte
seguendo il ritmo sincopato di spari e pugni. L' intimità di
ciascun gesto svela la propria ambiguità. Ma l'intento di Bazan
è
tutt'altro che moralistico. Si tratta di un movente esclusivamente
narrativo: "nell'istante in cui l' immagine si da all'occhio,
ancora niente pretende di essere definito intellettualmente". Le
visioni si concatenano episodicamente, fondendosi in un unico
connettivo pittorico.
Il risultato dovrebbe riuscire nel "coinvolgimento attivo dell'
osservatore". "Per questo", dice Bazan, "ho scelto la tecnica dei
murales, perchè ti permette di superare il limite fisico della
parete, incrementando le potenzialità comunicative dell'immagine
che diventa una visione quasi onirica. Ma questo lavoro è un
parziale fallimento: avrei voluto rapire e coinvolgere lo
spettatore semplicemente attraverso un'immagine unica, attraverso
la sola mediazione dello sguardo. Invece gli occhi corrono avanti
e indietro, senza un attimo di tregua e non lasciano il tempo per
fermarsi e sentirsi calare in uno di questi luoghi. Ho realizzato
l'unità ideale, ma non quella narrativa, che facilita il
coinvolgimento scenico. L'unità ideale consiste nel ricondurre ad
un' unica percezione visiva realtà sostanzialmente diverse: le
distanze geografiche idealmente si stanno riducendo, in poco tempo
possiamo raggiungere qualsiasi posto e senza muoverci attingere a
qualsiasi realtà culturale. Attraverso gli strumenti di
comunicazione di massa le distanze culturali si sono azzerate. L'
arte ed il linguaggio dovrebbero adeguarsi a questa realtà
allargando le proprie capacità espressive e permettendo la
comprensione universale di un lessico popolare che ognuno
interpreti singolarmente o non interpreti affatto. Forse per molti
non sono riuscito ad esprimere altro che questa facciata
divertente e colorata, ma data la mia scelta 'linguisticà é
un
rischio che posso correre. "
D.: E' un rischio che corre qualsiasi opera, ma non credi che
potrebbe essere scongiurato se l' osservatore fosse portato a
riflettere attraverso stimoli intellettuali più chiaramente
deducibili da un quadro ?
R.: Non vorrei che i miei quadri venissero definiti univocamente.
Io uso dei segni che evocano , attraverso la vista, sensazioni a
catena. Credo che la sensazione non debba essere convertita subito
in riflessione. L' immagine viene fagocitata e ingerita ed è
già
in qualche angolo pronta per riaffiorare, forse molto tempo dopo,
ed essere convertita in pensiero. E' lo stesso effetto che fa un
certo tipo di letteratura americana, mi riferisco principalmente
ai libri di Jim Tompson, o al filone fumettistico italiano degli
anni ' 80 .
D.: In quale misura pensi di essere stato influenzato dal romanzo
giallo americano e dal fumetto ?
R.: Per me all' inizio dipingere era una fatica innaturale. Non
disponevo ancora di uno stile mio, personale. Una volta capito il
mezzo pittorico con più maturità, ho inserito l' elemento per
me
più naturale (riuscendo, così a scrollarmi di dosso gli
elementi
più evidentemente accademici): l' immediatezza di tratto rivolta a
potenziare la chiarezza comunicativa, che si risolve nella
velocità della recezione degli stessi dati visivi. Il fumetto
é,
secondo me, l' apoteosi della comunicabilità immediata. I romanzi
di Jim Tompson sono la versione letteraria del fumetto. Hanno a
che fare con una comunicazione immediata che lasci, però al
lettore la possibilità di un' indagine più profonda, che svela
un
substrato ideologico a volte molto ingenuo: la lettura dell' opera
è, dunque, svolta in due tempi. Il racconto minuzioso, la
descrizione dettagliata, rivelano tutto ciò che deve essere
compreso esteriormente: al di là delle parole, nessun 'doppio
fondo filosofico ' . Ciò che deve essere capito è
semplicemente
racontato. Tompson racconta dei personaggi, i personaggi
raccontano, ciascuno attraverso la propria inquadratura, la trama
del romanzo. Sono storie estreme, di pugili finiti in miseria,
rapimenti, omicidi, rapine, gangsters, ma da ogni situazione, da
ogni individuo, emerge sempre un contrappunto positivo.
Nonostante la parvenza di questi romanzi sia leggera, il
presupposto è profondo. E ciò che a me interessa é
proprio di
trovare insieme alla velocità di espressione, una serie di
elementi che aggiungano una profondità significativa all'immagine.
La mia é una cultura leggera e l' espressione che preferisco è
di
stampo popolare .
D.: Che cosa intendi per 'popolarè ?
R.: Popolare è un linguaggio visivo schietto di accesso immediato
e di fruizione incondizionata . E' un progetto difficile da
realizzare, ma il mio obbiettivo sarebbe quello di trovare dei
simboli comprensibili universalmente, indipendentemente dagli
strumenti culturali dell' osservatore. Il fumetto è l'ultima
espressione del volgare letterario. E' frutto di una cultura
popolare che si esprime tramite segni e si prefigge obbiettivi
alti nella qualità della materia comunicata. Le origini del
lessico fumettistico sono da ricercare nel dialetto giovanile che,
senza pretese auliche, arriva a toccare motivi esistenziali. Così
è la mia pittura: deve appagarti completamente nell' attimo in cui
percepisci l'immagine .
L' indagine intellettuale dell' opera non è indispensabile per
comprenderla: può esserci poichè gli strumenti che uso non
la
escludono, può non esserci ma appagare ugualmente.
D.: Tu descrivi bassifondi urbani, vicoli bui, ma l'angoscia e
l'orrore sembrano bandite da questa città. "Non riuscirei a
trovare spunti angoscianti o negativi, perché non mi appartengono
neanche culturalmente. Non amo quel tipo di riflessione,
preferisco un'espressione lieve che non escluda i toni forti del
linguaggio popolare.
D.: Riferisci l' elemento popolare alla tua scelta stilistica, ma
quanto sei stato influenzato, nella scelta del lessico volgare dal
destinatario della tua opera ? Vuoi rivolgerti ad un pubblico di
massa ?
R. Sì, tutti devono poter guardare e capire immediatamente. Non
esiste nessuna discriminante culturale che condizioni la
comprensione del quadro che viene affidata completamente alla
sensibilità dell' osservatore.
D.: Riconosci, in questo tuo atteggiamento, il tentativo di
evadere dal linguaggio criptico della tradizione artistica
concettuale ?
Sì, ma so che il mio desiderio di scardinare l'espressione
ermetica attraverso un linguaggio popolare resta nella sfera dell'
utopìa. Già negli anni '80 si era sentita questa esigenza. Io
sto
solo cercando di tornare ad un'espressione semplice e schietta.
D.: Sembreresti collocare l'arte figurativa in una posizione non
privilegiata. A volte si sente parlare dell'arte figurativa come
dell' "eresia" della pittura, cosa ne pensi ?" Credo che il
contrasto tra arte figurativa e concettuale si stato risolto: già
Matisse ritiene che distinguere le varie forme di arte che nascono
da presupposti comuni legati alla sensazione visiva, sia
insensato. Io sono certo che la pittura figurativa sia riemersa
mostrando nuovi sviluppi e possibilità linguistiche ed espressive,
rivolgendosi ad un pubblico di massa. Ma sopravvive anche l'arte
concettuale che, pur esprimendosi attraverso un linguaggio
ermetico è fortemente stimolante. Credo profondamente nella
capacità comunicativa dell'arte concettuale: artisti come Tony
Cregg e Jenny Holzer riconoscono come scopo primario del proprio
lavoro la comunicazione, ed i loro lavori funzionano, trasmettono
molto.
D.: Che ruolo credi che debba avere la cultura in questo scambio
comunicativo ?
R.: Credo che l' arte possa diventare 'Culturà, solo dopo essere
diventata storia.
D.: E non credi che la cultura debba essere l' obbiettivo e non un
valore aggiunto a posteriori all'arte ?
R.: Non è necessario che sia l'obbiettivo perchè l'artista
fa
cultura nel momento stesso in cui dipinge perchè è lo
specchio
della contemporaneità. Cultura non è soltanto
riflessione
intellettuale. Legarsi ad un vincolo intellettuale significa
imbrigliare l'arte.
D.: Ma l'impegno culturale non è necessariamente un vincolo, se
visto come strumento di sensibilizzazione del pubblico.
R.: Niente può nascere se non hai niente da dire . Io ho scelto un
linguaggio semplice ed un contenuto popolare per comunicare
piacere . Se riesco a trasmetterlo significa che ho compiuto il
primo passo verso la sensibilizzazione.
D.: Schiettezza e immediatezza negli stimoli lanciati da
un'espressione popolare; velocità narrativa nella struttura
episodica del quadro: la tecnica come è condizionata da questi
presupposti ?
R.: Il quadro è stato realizzato in corsivo, senza nessun disegno
preparatorio. L' immagine è il risultato di tutto ciò che
ho
ingerito negli anni e che è riemerso per essere fissato solo ora.
Spesso ritrovo nella mia pittura omaggi all' arte italiana: sono
immagini che riemergono.
D.: Le tratti come 'citazionì ?
R.: No, anche queste sono esperienze che io ho vissuto,
interiorizzato e rifomulato . Citare significa non personalizzare.
Interiorizzare signifia rielaborare autonomamente per emettere
un'idea originale e immediata. Per cui se dipingo in corsivo,
elimino la fase progettuale dell' opera e ciò che le mie mani
creano è assolutamente originale . "
Alessandro Bazan è nato a Palermo nel 1966 , dove vive e lavora .
Altre esposizioni.
Personali:
1994 " Velma " , Sergio Tossi Arte Contemporanea , Prato
Collettive:
1990 Premio Marche, Ancona
1993 "Per amore o per forza", ex convento di San Domenico, Spoleto
. "MACAM", Maglione Torinese
Questa intervista è stata realizzata per il " Bollettino
Telematico dell' Arte " , coordinato da Stefano Colonna
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