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Intervista al Alessandro Bazan Roma,
Museo Laboratorio di Arte Contemporanea
Andreana Saint Amour di Chanaz
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 11 luglio 2000, n. 59 (8 marzo 1995)
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Area Interviste

IN OCCASIONE DELLA MOSTRA TENUTA PRESSO IL " MUSEO LABORATORIO DI ARTE CONTEMPORANEA " DELL' UNIVERSITA' " LA SAPIENZA " DI ROMA, CURATA DA RAFFAELE GAVARRO .

Alessandro Bazan é nato a Palermo nel 1966 . Prende il diploma di maturità artistica e, nel 1984 inizia a frequentare l' accademia delle belle arti a Palermo. Nel 1985 si trasferisce a Urbino . Conclude l' Accademia nel 1987, quasi subito sceglie di dedicarsi completamente alla pittura e inizia a muoversi autonomamente tra pubblico e galleristi, fino ad ottenere il primo spazio per esporre presso la galleria 'La Robinia a Palermò, nel 1988 . "Le opere di questo primo periodo", dice Alessandro Bazan, "erano ancora legate ad una formazione di tipo accademico, molto diverse dal mio lavoro attuale . Erano perlopiù paesaggi con elementi metafisici, una pittura molto mossa. Riconosco in Sironi e Matisse i miei maestri sentimentali di allora". Nel 1994 gli vengono affidati gli affreschi in una cella di un ex-carcere restaurato a Pretorio di Fucecchio (FI) . Bazan parla di questi affreschi come di una delle migliori opportunità per tentare di realizzare una pittura scenica e coinvolgente: "Avere a disposizione quattro pareti ed un soffitto significa poter disporre incondizionatamente di un ambiente senza che né vincoli economici (la vendibilità), né vincoli logistici (ubicazione o disponibilità di più o meno spazio) costringano l' esecuzione dell' opera . Puoi far rivivere una stanza condizionando la vita che vi si svolgerà senza che la pittura si collochi nello spazio come decorazione, ma come visione, pura e semplice visione. Il quadro è limitato e limitante: hai dei margini entro i quali ricondurre un' idea, dei confini razionali che dovrebbero contenere una visione. Mi piacerebbe costruire le immagini dentro bolle o nuvolette , per rendere quei confini più labili.

"Sempre nel 1994, espone prima presso la galleria 'In Arcò a Torino, poi presso il 'Museo Laboratorio di Arte Contemporaneà dell ' università di Roma.

"C' é un quadro che ho esposto a Torino in cui un uomo abbraccia appassionatamente una ragazza baciandola. Una porta si spalanca sulla scena. Entra in quel momento un forte bagliore che illumina i due e sulla soglia compare un uomo che si ferma e guarda. L' amante, continuando ad avvolgere la fanciulla in quell'abbraccio, si volta di scatto e, puntando una pistola verso il nuovo venuto, minaccia di sparargli. Nessuno sa chi veramente sia il marito, chi l' intruso, chi sia il traditore, chi il tradito.

Ho voluto narrare una vicenda in una sola scena scandendola in più tempi di lettura in modo da rendere quella scena dinamica nello spazio e nel tempo. Tutti devono sentire di vivere quell' istante come spettatori della vicenda e protagonisti dello spazio. E' questo il mio scopo e niente meglio dei murales mi permette di avvicinarmici, anche se, aumentando l' estensione della superficie, si acuisce la difficoltà di mantenere l' unità narrativa.

Il lavoro che ho realizzato per l'esposizione di Roma avrebbe dovuto riproporre la narrazione dinamica ed omogenea di quell' abbraccio estendendola su una superficie di 90 metri quadrati. "A Roma Bazan ha a disposizione un' unica parete convessa di 30 metri per tre di altezza e realizza, (con le stesse dimensioni) , un dipinto ad olio su carta, con l'intenzione di ritrovare la velocità di esecuzione della tecnica a fresco e la potenza espressiva dei murales . Il rotolo é stato realizzato incollando con vinavil su un cannucciato di vimini pezzi di carta irregolari, in modo da eliminare giunture visibili, ostacoli allo scorrere degli occhi. Nessun particolare richiede di sostare, ogni linea sfugge all' analisi.

Un aereoplano atterra nell' alba e ti spinge più in là dove é già notte e finestre scintillano lontano nel buio di qualche città italiana. L' occhio si ferma su una di quelle luci e scorge una fanciulla affacciata: "Ciò che mi piace di questo dipinto", dice Bazan, "é la possibilità di abbracciare con lo sguardo un'immagine estesa e descritta genericamente, che allo stesso tempo ti lascia supporre l' intimità di ogni angolo e aspetto non svelato. Dietro ogni finestra puoi immaginare la vita che vi si svolge. " Le immagini continuano a succedersi scattanti e a quella che poteva sembrare una città italiana già si sostituisce uno scorcio statunitense, poi una metropoli sudamericana, una distesa africana ..... "Non sono città diverse, ma tante faccie della stessa metropoli, aspetti di una stessa realtà sfaccettata e poliedrica." "Amore e Fuoco", questo il titolo, tratto da una poesia di Borgès, del lungo rotolo-murales di Alessanro Bazan. Non "Amore e Odio", nè "Amore e Morte": con 'Amore e Fuocò Bazan non accetta una visione manichea della realtà: "Non esiste un equilibrio o uno scontro tra valori antitetici nella realtà, anche l'individuo più corrotto e perverso conserva tracce di onestà.

Come i gangsters di Jim Tompson ( giallista americano ): scivolano da inferno a inferno, sprofondano nell' orrore, ma conservano umanità. Doc, un attento ed abile killer, rapina una banca, uccide il suo socio, ma dimentica spietatezza e cinismo, suoi attributi professionali, di fronte alla moglie piangente. " Così, in una grande metropoli, anche gli aspetti più violenti della vita urbana sembrano vibrare note accattivanti in una quotidianità lacera.

In 'Amore e Fuocò, mentre un uomo stramazza al suolo e due pugili si perdono in una rissa, la ballerina danza sotto il ponte seguendo il ritmo sincopato di spari e pugni. L' intimità di ciascun gesto svela la propria ambiguità. Ma l'intento di Bazan è tutt'altro che moralistico. Si tratta di un movente esclusivamente narrativo: "nell'istante in cui l' immagine si da all'occhio, ancora niente pretende di essere definito intellettualmente". Le visioni si concatenano episodicamente, fondendosi in un unico connettivo pittorico.

Il risultato dovrebbe riuscire nel "coinvolgimento attivo dell' osservatore". "Per questo", dice Bazan, "ho scelto la tecnica dei murales, perchè ti permette di superare il limite fisico della parete, incrementando le potenzialità comunicative dell'immagine che diventa una visione quasi onirica. Ma questo lavoro è un parziale fallimento: avrei voluto rapire e coinvolgere lo spettatore semplicemente attraverso un'immagine unica, attraverso la sola mediazione dello sguardo. Invece gli occhi corrono avanti e indietro, senza un attimo di tregua e non lasciano il tempo per fermarsi e sentirsi calare in uno di questi luoghi. Ho realizzato l'unità ideale, ma non quella narrativa, che facilita il coinvolgimento scenico. L'unità ideale consiste nel ricondurre ad un' unica percezione visiva realtà sostanzialmente diverse: le distanze geografiche idealmente si stanno riducendo, in poco tempo possiamo raggiungere qualsiasi posto e senza muoverci attingere a qualsiasi realtà culturale. Attraverso gli strumenti di comunicazione di massa le distanze culturali si sono azzerate. L' arte ed il linguaggio dovrebbero adeguarsi a questa realtà allargando le proprie capacità espressive e permettendo la comprensione universale di un lessico popolare che ognuno interpreti singolarmente o non interpreti affatto. Forse per molti non sono riuscito ad esprimere altro che questa facciata divertente e colorata, ma data la mia scelta 'linguisticà é un rischio che posso correre. "

D.: E' un rischio che corre qualsiasi opera, ma non credi che potrebbe essere scongiurato se l' osservatore fosse portato a riflettere attraverso stimoli intellettuali più chiaramente deducibili da un quadro ?

R.: Non vorrei che i miei quadri venissero definiti univocamente. Io uso dei segni che evocano , attraverso la vista, sensazioni a catena. Credo che la sensazione non debba essere convertita subito in riflessione. L' immagine viene fagocitata e ingerita ed è già in qualche angolo pronta per riaffiorare, forse molto tempo dopo, ed essere convertita in pensiero. E' lo stesso effetto che fa un certo tipo di letteratura americana, mi riferisco principalmente ai libri di Jim Tompson, o al filone fumettistico italiano degli anni ' 80 .

D.: In quale misura pensi di essere stato influenzato dal romanzo giallo americano e dal fumetto ?

R.: Per me all' inizio dipingere era una fatica innaturale. Non disponevo ancora di uno stile mio, personale. Una volta capito il mezzo pittorico con più maturità, ho inserito l' elemento per me più naturale (riuscendo, così a scrollarmi di dosso gli elementi più evidentemente accademici): l' immediatezza di tratto rivolta a potenziare la chiarezza comunicativa, che si risolve nella velocità della recezione degli stessi dati visivi. Il fumetto é, secondo me, l' apoteosi della comunicabilità immediata. I romanzi di Jim Tompson sono la versione letteraria del fumetto. Hanno a che fare con una comunicazione immediata che lasci, però al lettore la possibilità di un' indagine più profonda, che svela un substrato ideologico a volte molto ingenuo: la lettura dell' opera è, dunque, svolta in due tempi. Il racconto minuzioso, la descrizione dettagliata, rivelano tutto ciò che deve essere compreso esteriormente: al di là delle parole, nessun 'doppio fondo filosofico ' . Ciò che deve essere capito è semplicemente racontato. Tompson racconta dei personaggi, i personaggi raccontano, ciascuno attraverso la propria inquadratura, la trama del romanzo. Sono storie estreme, di pugili finiti in miseria, rapimenti, omicidi, rapine, gangsters, ma da ogni situazione, da ogni individuo, emerge sempre un contrappunto positivo. Nonostante la parvenza di questi romanzi sia leggera, il presupposto è profondo. E ciò che a me interessa é proprio di trovare insieme alla velocità di espressione, una serie di elementi che aggiungano una profondità significativa all'immagine. La mia é una cultura leggera e l' espressione che preferisco è di stampo popolare .

D.: Che cosa intendi per 'popolarè ?

R.: Popolare è un linguaggio visivo schietto di accesso immediato e di fruizione incondizionata . E' un progetto difficile da realizzare, ma il mio obbiettivo sarebbe quello di trovare dei simboli comprensibili universalmente, indipendentemente dagli strumenti culturali dell' osservatore. Il fumetto è l'ultima espressione del volgare letterario. E' frutto di una cultura popolare che si esprime tramite segni e si prefigge obbiettivi alti nella qualità della materia comunicata. Le origini del lessico fumettistico sono da ricercare nel dialetto giovanile che, senza pretese auliche, arriva a toccare motivi esistenziali. Così è la mia pittura: deve appagarti completamente nell' attimo in cui percepisci l'immagine .

L' indagine intellettuale dell' opera non è indispensabile per comprenderla: può esserci poichè gli strumenti che uso non la escludono, può non esserci ma appagare ugualmente.

D.: Tu descrivi bassifondi urbani, vicoli bui, ma l'angoscia e l'orrore sembrano bandite da questa città. "Non riuscirei a trovare spunti angoscianti o negativi, perché non mi appartengono neanche culturalmente. Non amo quel tipo di riflessione, preferisco un'espressione lieve che non escluda i toni forti del linguaggio popolare.

D.: Riferisci l' elemento popolare alla tua scelta stilistica, ma quanto sei stato influenzato, nella scelta del lessico volgare dal destinatario della tua opera ? Vuoi rivolgerti ad un pubblico di massa ?

R. Sì, tutti devono poter guardare e capire immediatamente. Non esiste nessuna discriminante culturale che condizioni la comprensione del quadro che viene affidata completamente alla sensibilità dell' osservatore.

D.: Riconosci, in questo tuo atteggiamento, il tentativo di evadere dal linguaggio criptico della tradizione artistica concettuale ?

Sì, ma so che il mio desiderio di scardinare l'espressione ermetica attraverso un linguaggio popolare resta nella sfera dell' utopìa. Già negli anni '80 si era sentita questa esigenza. Io sto solo cercando di tornare ad un'espressione semplice e schietta.

D.: Sembreresti collocare l'arte figurativa in una posizione non privilegiata. A volte si sente parlare dell'arte figurativa come dell' "eresia" della pittura, cosa ne pensi ?" Credo che il contrasto tra arte figurativa e concettuale si stato risolto: già Matisse ritiene che distinguere le varie forme di arte che nascono da presupposti comuni legati alla sensazione visiva, sia insensato. Io sono certo che la pittura figurativa sia riemersa mostrando nuovi sviluppi e possibilità linguistiche ed espressive, rivolgendosi ad un pubblico di massa. Ma sopravvive anche l'arte concettuale che, pur esprimendosi attraverso un linguaggio ermetico è fortemente stimolante. Credo profondamente nella capacità comunicativa dell'arte concettuale: artisti come Tony Cregg e Jenny Holzer riconoscono come scopo primario del proprio lavoro la comunicazione, ed i loro lavori funzionano, trasmettono molto.

D.: Che ruolo credi che debba avere la cultura in questo scambio comunicativo ?

R.: Credo che l' arte possa diventare 'Culturà, solo dopo essere diventata storia.

D.: E non credi che la cultura debba essere l' obbiettivo e non un valore aggiunto a posteriori all'arte ?

R.: Non è necessario che sia l'obbiettivo perchè l'artista fa cultura nel momento stesso in cui dipinge perchè è lo specchio della contemporaneità. Cultura non è soltanto riflessione intellettuale. Legarsi ad un vincolo intellettuale significa imbrigliare l'arte.

D.: Ma l'impegno culturale non è necessariamente un vincolo, se visto come strumento di sensibilizzazione del pubblico.

R.: Niente può nascere se non hai niente da dire . Io ho scelto un linguaggio semplice ed un contenuto popolare per comunicare piacere . Se riesco a trasmetterlo significa che ho compiuto il primo passo verso la sensibilizzazione.

D.: Schiettezza e immediatezza negli stimoli lanciati da un'espressione popolare; velocità narrativa nella struttura episodica del quadro: la tecnica come è condizionata da questi presupposti ?

R.: Il quadro è stato realizzato in corsivo, senza nessun disegno preparatorio. L' immagine è il risultato di tutto ciò che ho ingerito negli anni e che è riemerso per essere fissato solo ora. Spesso ritrovo nella mia pittura omaggi all' arte italiana: sono immagini che riemergono.

D.: Le tratti come 'citazionì ?

R.: No, anche queste sono esperienze che io ho vissuto, interiorizzato e rifomulato . Citare significa non personalizzare. Interiorizzare signifia rielaborare autonomamente per emettere un'idea originale e immediata. Per cui se dipingo in corsivo, elimino la fase progettuale dell' opera e ciò che le mie mani creano è assolutamente originale . "

Alessandro Bazan è nato a Palermo nel 1966 , dove vive e lavora .

Altre esposizioni. Personali: 1994 " Velma " , Sergio Tossi Arte Contemporanea , Prato

Collettive: 1990 Premio Marche, Ancona 1993 "Per amore o per forza", ex convento di San Domenico, Spoleto . "MACAM", Maglione Torinese

Questa intervista è stata realizzata per il " Bollettino Telematico dell' Arte " , coordinato da Stefano Colonna



	
 

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