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Gabriella Goffi: il lavoro delle mie mani  
Nadia Scardeoni
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 11 luglio 2000, n. 155 (16 gennaio 1999)
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lo, via lattea, diafana,
pulviscolo incolore
chiesi forma
aspettando coperchi a depositarmi.."

Il luogo dove sono ora, non è più il luogo dove eravamo
... sottratta ad un destino ?

L’incontro con gli oggetti, con la loro materia, volume e dimensione, non è stato casuale. Conosciuti da sempre, essi fanno parte della mia memoria, mi permettono oggi di dar corpo ad un immaginario che preme.

Il ferro mi suscita fascino e timore. Mi colpiscono in particolare le forme di certi ferrivecchi, parlo di cose che non esistono più, ormai inefficienti per la loro funzione originaria. Essi tuttavia nascondono possibilità non ancora esplorate e il mio piacere è nel guardarli con occhi nuovi e trovare per loro (e per me) un esistenza nuova.
Il momento è fatto di ascolto, di passività e di ricerca nello stesso tempo, la meta è un insieme che li comprenda rispettandone la forma e la materia. Mi piace partire da oggetti reali, cercarli, sceglierli e la ruggine, la ruggine soprattutto, l'usura, i segni dei tempo sulla materia.
Metterli insieme, poi, soddisfa il mio bisogno di fare ordine, un bisogno dei tutto femminile di guardare ad una piccola realtà, perennemente in disordine, da riordinare. Non devo ricostruire un mondo, sono ricca, trasformo una realtà che già esiste. La tela mi rimanda ad immagini più elaborate, richiede un lungo lavoro di cucitura, c'è il gusto del lavoro paziente, la ripetitività dei punti, il fascino dei colori.

I personaggi nascono lentamente come se dovessi covarli.
A volte non nasce niente.
È giusto.
È giusto che non tutto arrivi a compimento. La soluzione talora appare tardi, ed è là dove non penseresti. C'è l'imprevisto, il caso e la scelta. Guardare dentro di me e fuori di me, dentro di me e fuori di me. È un gioco, una fatica che conosco. È il fare che mi interessa, che mi appartiene.

Per il resto so che ci sono donne e cavalieri, personaggi che vanno e tornano. Sono, tutto sommato, figure in agguato.
È perché hanno questi occhi che li rendono vivi?
Certamente ogni opera, che sento con lo sguardo prima che nelle mani, mi permette di osare l'incontro tra la mia realtà interiore ed esteriore. Soddisfa un pensiero che è di libertà a cui affido la pretesa di potersi dire da solo.

(Gabriella Goffi)


Il mio primo incontro con le opere di Gabriella Goffi resterà così, come l'ho vissuto, una gemma incastonata nel tessuto delle esperienze che, per il senso di meraviglia, per l'improvviso stupore che incanta la mente e per la felicità del cuore dentro la gioiosa scoperta, ci costringono ad un abbraccio immediato quasi che la separazione , il distacco, ci possano comportare una grave perdita di noi stessi.
Non si tratta di un groviglio di emozioni.
Credo che Gabriella Goffi abbia costruito per sè e per noi, un percorso straordinario dentro la più dolorosa metafora dell'esistenza: il vuoto d'amore.

Dalla mutilazione degli affetti familiari alla perdita della sua identità e capacità di identificarsi.
Una perdita di sè come un precipizio dentro la storia dell'umano e degli uomini, fino alla sorgente delle incisioni rupestri per ricominciare a sillabare una lingua superbamente essenziale, evocata e ritrovata, ci è concesso di capire, dentro una nuova relazione d'amore.

Corpi di una sacralità nuda ed ostentata, impossibili da corrompere per la loro totale estraneità al dettaglio del quotidiano e del contemporaneo, cuciti dagli archetipi dell'esistenza, si guardano e ci guardano, muti ed eloquenti, e ci narrano con il sillabario povero dei legni recuperati, dei nastri, dei chiodi, una incredibile , preziosissima storia che , ancora una volta, inarca il limite della nostra speranza.

Gabriella Goffi ci può far credere, infine, che l'amore ci basta
Per incontrarla dobbiamo sostare.
E poi intraprendere con fede un cammino.


Attraverso un sentiero del bosco,
in un comodo cantuccio,
un elastico e lindo filo di ragno,
asperso di allegria solare e di ombra,
è sospeso nei cieli; e con un tremito impercettibile
il vento lo fa vibrare, tentando invano di strapparlo;
il filo è saldo, sottile, diafano e semplice.
È tagliata la viva cavità dei cieli
da una linea sfavillante, da una corda policroma.

Noi siamo avvezzi a stimare solo ciò che è confuso.
Con falsa passione nei nodi ingarbugliati
cerchiamo sottigliezze, ritenendo impossibile
congiungere nell'anima semplicità e grandezza.
Ma sono meschine, ruvide e smorte le cose complesse;
e l'anima sottile è semplice come questo filo.

(Z. Gippius)

Gabriella, se tu potessi rivedere la tua vita e rifare un percorso ideale per rintracciare i segni, le premesse del tuo lavoro di oggi, ripensare alle tue mani come strumenti che liberano un linguaggio, che cosa troveresti ?

Se devo pensare alla mia infanzia: era molto solitaria.....stavo bene da sola.
Mi bastavo e giocavo con tutto, con i bottoni, con gli alberi.
Ora parlavo con gli alberi, ora stavo zitta.
C'è stato un periodo in cui studiavo poesie su un libro che avevamo in casa; passavo le ore ad imparare le poesie a memoria.
Imparavo le poesie ed ero felice.
Se devo pensare alla mia infanzia penso a questo piacere di restare sola.

Abitavo anche isolata. La mia era una famiglia numerosa.
Avevo fratelli e sorelle ma stavo bene da sola, a guardare gli altri: era come se io fossi sempre alla finestra.
Quando io ero piccola mia sorella maggiore era molto malata. Poi è morta..
Io avevo otto anni e lei quindici.
Lei era malata da sempre ma io non avevo mai capito niente. Ora capisco da adulta che i grandi volevano tutelarmi non raccontandomi perché lei appariva e spariva per la sua malattia al cuore.
E, un giorno, é sparita del tutto
Dopo due anni l'altra mia sorella ha deciso di farsi suora.
Loro erano molto importanti per me.
Ho incominciato la mia adolescenza e loro non c'erano più.
Loro, per me, erano tutto. Le ammiravo, le adoravo.
Ho avuto un'adolescenza difficile, molto difficile.
Poi, quando avevo diciannove anni é sparita un'altra persona: mia madre.
A vent'anni le donne della mia casa erano tutte sparite e il mio dolore, il mio disagio è stato così grande che sono sparita anch'io.
Sparite loro io non ero più nessuno. Con loro se n'era andata la mia identità.
Le mie mani ?
Le mie mani, le ho sempre usate tantissimo.
Eravamo poveri e giocavo con tutto. Scrivevo molto, tenevo diari, ricopiavo poesie.
Ero molto attaccata alle poesie perché "loro" mi davano delle immagini che altrimenti non vedevo.
Una in particolare, la ripetevo come una preghiera: La spigolatrice di Sapri: «Eran trecento, eran giovani e forti e sono morti........»
Io li vedevo.......
C'è voluto molto tempo prima che io scoprissi che, con le mie mani, potevo fare di più. Molti anni. Fino a trent'anni io ho vagato. Poi ho sposato un uomo che era un artista.
Lui era l'artista, non io.
Prima di allora le mie mani avevano lavorato e basta.
Io sono figlia di contadini, credo che l'arte proprio a casa mia non ........
Non esisteva la possibilità che io imparassi ..... anche se amavo moltissimo .......
La mia mamma mi insegnava a cucire. Io ero una donna, e allora dovevo imparare a cucire.
Se io ho un ricordo delle mie mani a quell'età: erano mani che dovevano cucire e fare cose utili.
C'era una cosa che lei mi ripeteva sempre: «Quando saremo morti e andremo in Paradiso, S. Pietro ci guarderà le mani e dirà: queste mani hanno lavorato, queste mani non hanno lavorato».
Questa cosa mi é rimasta molto dentro: le mie mani devono dimostrare che lavorano.
Non é che lei me l'abbia ripetuto continuamente, forse me l'ha detto una volta sola.


Tua sorella ... morta così giovane ?.........

Essendo malata lei non poteva fare altro che scrivere o disegnare e lei scriveva e disegnava. Le rafforzavano queste cose perché erano le uniche cose che lei poteva fare. Lei era molto ricca e scriveva poesie, dipingeva e scriveva anche ..cose musicali.
Io le sono stata molto vicino, non ho ricordi precisi ma mi pare che la.... assorbivo.
Per me, lei é stata uno specchio
Io, veramente, questa sorella l'adoravo. Era così bella.
Ma forse ora capisco anche che lei era così bianca perché era malata: io la vedevo così bella con quelle sue mani così bianche.
Mi sembrava una Dea...............
Probabilmente é stato accanto a lei che io ho avvertito, senza rendermene conto, tutti questi stimoli . Io mi immagino una bambina passiva che guarda e ascolta.
Una bambina che non fa rumore ma assorbe.
Ero così: una bambina che non faceva rumore ma assorbiva.
Legate alle mie mani ricordo solo le cose utili. Dovevo cucire perché ero una ragazza.
Le mie mani per lavorare.


Ricordi la prima volta in cui hai mutato la destinazione di un oggetto ?

Sì, un oggetto molto semplice. Un pezzo di un'anta della mia vecchia casa, di quando ero piccola. Questo oggetto mi piaceva molto però stavo quasi per gettarlo via.
Poi invece l'ho preso, gli ho piantato dei chiodi, una serratura, dei nastri. Ero grande, avevo quasi trent'anni . Ho sentito che era legato a me, che era una cosa troppo importante e che non potevo buttarla via.
Però non sapevo quello che facevo............... Anche ora : faccio le cose senza sapere perché le faccio. Non capisco mentre faccio, capisco dopo.......................
Capisco ora: cinque chiodi uguale cinque fratelli, vi leggo la mia storia.....Ho bisogno di sapere sempre, alla fine, perché l'ho fatto: cinque chiodi con cinque nastri che li legavano fra di loro. La serratura che divideva i chiodi, due a sinistra ( i miei genitori?)
Sopra c'era legato un bastoncino che muoveva un sole.
La prrima volta che ho cucito ho fatto due occhi enormi e dopo l'ho chiamata: "la civetta vanitosa" e l'ho riempita di nastri.
È stato un bisogno molto forte.
Io non ho mai pensato di essere un artista, era molto lontano da me, questo.
Poi ho preso consapevolezza di avere questa possibilità, anche accanto a mio marito.
In tutto questo tempo io non ho mai smesso di amare la poesia, quando mi venivano tutte queste immagini pensavo: « che cosa posso fare » ? .
È stato tramite la poesia che sono arrivata qui. Avevo tante immagini che mi venivano alla mente e allora io mi sono chiesta: che cosa so fare ? .
« Ho imparato a cucire, so solo mettere insieme quello che esiste, so solo cucire ».
Allora ho fatto quello che potevo fare.
Ho pensato di cucire e di mettere insieme quello che esiste.
Questo é un fatto abbastanza cosciente: "anche con gli oggetti cucio.., cucio e lego.
Lego con il filo di ferro".
Ho bisogno di mettere insieme.
 

Come se fossero le persone che hai perdute ?

Forse sì: sono dei corpi
All'inizio erano corpi senza braccia e poi, piano piano, ho sentito il bisogno di mettere anche le braccia..............e poi anche le mani.
Mentre all'inizio non avevo questo desiderio di mettere le braccia e le mani.
 


Questi corpi senza braccia sono le donne della tua vita, che ora non ci sono più?
Le tre donne che non potevano più abbracciarti, che non hanno più potuto coccolarti quando tu avevi bisogno di loro ?

Sono sicuramente segno della mancanza di amore che ho subito. E anche della mia impotenza.
Questa cosa del costruire mi ha fatto uscire dalla mia impotenza.
Mi ha fatto venire un desiderio di potenza tremendo.
Prima, non avevo la capacità di dire quello che provavo. Non sapevo dire.
Ora so dire.


Gabriella ci racconti la storia, la genesi delle tue opere ?

Questo oggetto, una vecchia asse da stiro per sarti trovata in un mercatino é parte di un desiderio che avevo: " due cose che dovevano unirsi in simbiosi, un desiderio di essere in simbiosi, di essere collegata". Un desiderio di collegare tutte le mie parti.
Il pendolino é come l'amore che vibra, é il collegamento, é il cuore che si muove: l'amore muove, può muovere la fissità di queste immagini e le tiene collegate.
I due corpi non sono di fronte, di solito non ci si abbraccia così, ho espresso un desiderio di lasciare andare di dare la libertà per amore, l’ho chiamato: Scultura
 
Questo – Abitarsi
non é stato un "parto" facile. E' un pezzo di ottone che io ho piegato.
Io volevo che ci fosse un corpo cavo, che accoglie.
È stato un desiderio di potenza, una voglia di rischiare, di potere, di poter dire.
Il mio desiderio di potenza non é violenza né sopraffazione é desiderio di esprimere la mia energia interiore senza censure.
"Lei" ha dentro questo bambino, é stato faticoso per me capire che cosa avesse dentro.
Io ho trovato questo legno in soffitta, era dei miei genitori quindi era una cosa che mi apparteneva, una cosa molto "forte".
Nella cavità prima volevo mettergli un peso poi ho capito che potevo "fare" una bambina.
Può essere una madre con la figlia ma io non l'ho pensato.
Può essere una donna con la sua fanciullina dentro.
Questa energia può essere la fanciullina sempreviva con tutte le sue potenzialità da esprimere perché ha ancora tutta la vita davanti.
La bambina é l'inizio, la novità, la curiosità é la capacità di rinnovarsi. La bambina é anche inquieta, vive e cresce e va sempre avanti: é un'energia che vuol essere ascoltata, che non può essere messa a tacere.
 
La sedia innamorata,
è stata un gioco sempre dentro il mio desiderio di simbiosi: sono due personaggi che si guardano, sono identici si riflettono l'uno nell'altro
 
L'anima leggera,
é sempre la bambina che gioca, la bambina felice. E' anche una bambina molto vecchia: la sua testa é antica, é una "donna", vecchia di dolore, attraversata, bucata dal dolore. Non é la leggerezza della bambina incosciente é la leggerezza della bambina che ha subito violenza, nella testa ma é ancora viva.
 
La veglia al confine,
l'ho costruito pensando alla morte. Una volta costruivo sempre guerrieri, ero molto attratta dalle immagini dei guerrieri.
...."Eran trecento, eran giovani e forti e sono morti"....? Forse...
È così. Ho voluto fargli uno scudo ma é simbolico. E' uno scudo, "femminile" fatto di rete, é fragile, non protegge. Forse questo guerriero é una guerriera o forse no.
Anche il suo sesso é un pò ambiguo. Io ho sempre bisogno di dare loro un'identità sessuale perché sono persone.
 
Esserci 1996.
Ho voluto fargli delle braccia così ampie perché.....abbracci tanto, é nata dopo una lunga interruzione, dopo un lungo periodo nel quale ho pensato: "forse non farò più niente".
E' stato un lungo silenzio e si é interrotto così con questo grande "abbraccio".
 
Verso la meta,
è' fragile con questo corpo cavo ma é anche leggero e la sua leggerezza é, forse, anche la sua forza, la sua energia quindi può andare, sa andare. E' un augurio che voglio fare, che mi voglio fare: andare verso la meta.
 
Tentativo di volo
Molto alta, ha le braccia molto piccole, non ha ancora le mani. E' un tentativo di alzarsi, di uscire dalla terra............ Non siamo ancora pronti.


Qual è la tua ultima scultura ?

L'ultima scultura che ho fatto é Il guerriero legato a questo mio pensiero della morte.
Il guerriero non ha un'identità precisa. Forse registra attraverso i delicatissimi sensori di Gabriella Goffi il momento che stiamo vivendo, il passaggio dei ruoli, la transizione storico filosofica dalle identità volutamente definite dalle costruzioni ideologiche che ci hanno allontanato dalla vita, ad una materia vivente ed incandescente che reclama , senza appello, di riprendere la propria forma.
È la vita che invoca la liberazione del suo progetto originario. Attraverso la sofferenza, il sacrificio , i contrasti, le contraddizioni che soli, ne trattengono il movimento, ne potenziano la grandezza e lo splendore.
La sua opera vanifica le categorie rigide di chi ha voluto irridere il primato dei sentimenti con fantasmagoriche costruzioni concettuali.
Tutte le sue sculture registrano questo dinamismo interiore: partono da un luogo della memoria, della vita per approdare ad un'altro, solo apparentemente, opposto.
È una ricerca intessuta di fibre di anima e corpo, espressa con una autenticità che elude qualsiasi sosta cerebrale nell'autodefinizione o nell' autocompiacimento.
Gabriella Goffi vive la sua scultura nel suo farsi e la sua scultura ci restituisce intatti i segreti della sua pudica esistenza.
Le morti, da abbandono, che hanno accompagnato la sua infanzia, sublimate dentro l'energia di un grande abbraccio, infrangono le pietre dei sepolcri che la vita le ha imposto, le ordinano di alzarsi.
E Lei si appresta al volo, verso una meta che già si delinea oltre il confine e la cifra della banalità, oltre la grande follia della superbia contemporanea.

Nadia Scardeoni

Post scriptum Alla mostra del Decumano '97, organizzata dal Circolo della Rosa di Verona, nel novembre successivo, Gabriella Goffi ha portato la sua ultima creatura:
INFANZIA DI LUCE ... che si lascia deliberatamente senza commento.

Gabriella Goffi vive e lavora a Gavardo (Italia). Nelle sue sculture si avvale dell'utilizzo di materiali poveri e di recupero: legni, metalli, stoffe che taglia, ritaglia, cuce, adatta con maestria a notevoli figurazioni scultoree" ( Vivi Milano 9/2/89)

Attraverso la forza evocativa del materiale e la ricerca dell'essenzíalità delle forme, dà vita a personaggi emblematici che esprimono il dramma e l'ironia: una sfida tra le suggestioni della materia e quelle della mente.

Questo il compito, si direbbe, dettato dalla fiaba della scultrice bresciana in cui si rivela la sua affinità per il materiale come tale, per la libertà delle cose" ( L'Adige 21/9/91).

« Qui l'arte è ancora capacità originaria di espressione, produttiva manifestazione di vita, vicina alle creazioni delle culture primitive. Un'arte dalle cose di ogni giorno per ogni giorno della via » . ( Dietrind Kinzelmann )

L'artista si è occupata di attività espressiva infantile. Ha realizzato bozzetti e costumi per allestimenti teatrali. Riproduzioni delle sue opere appaiono in copertine di pubblicazíoni edite dall'Uníversità delle Donne S. de Beauvoir di Brescia.

Mostre personali: Milano - Studio Panigati 1989, Gargnano - Sala della Cernita 1989, Riva - Galleria la Firma 1991. Collettive: Artedonna 90 - Galleria AAB Brescia 1990, Riva Galleria la Firma 1992, Museo delle Scienze di Brescia 1992.





 

fig. 1
Il guerriero

fig. 2
Infanzia di luce

fig. 3
L'anima leggera

 

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