A Roma, presso la Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini, è aperta la mostra intitolata "Caravaggio e i suoi". Questa mostra è composta da 60 opere circa, provenienti tutte da collezioni della Galleria stessa, in alcuni casi però non visibili al grande pubblico perché lasciate in consegna ad uffici statali o conservate nei depositi della Galleria. Obiettivo della mostra è quello di mostrare il percorso compiuto dalla pittura naturalistica caravaggesca da suo nascere nei primi anni del Seicento, vivo Caravaggio, sino al suo sostanziale declino intorno agli anni '40.
Bisogna dire che il titolo della mostra ha generato un po’ di confusione soprattutto per il grande pubblico, che si aspettava di trovarsi di fronte a dipinti del Caravaggio, oltre che quelli dei suoi seguaci, che spesso sono dei nomi del tutto sconosciuti. La mostra espone invece solo tre dipinti del Caravaggio, di cui uno in particolare degno di nota, Giuditta ed Oloferne. Da questi limitati esempi, gli spettatori dovrebbero riuscire a comprendere quale sia stata e come si sia realizzata la pittura dei seguaci di Caravaggio. Se però la comprensione del percorso tematico della mostra è difficile per uno spettatore che si aggiri da solo per le sale, si deve ammettere che il catalogo è stato redatto in maniera chiara e comprensibile, e svolge validamente il suo compito.
Caravaggio è stato uno dei pochi, grandi artisti in grado di improntare l'arte, sia del suo periodo che quella successiva, con il suo personale linguaggio. Nonostante sia stato imitato e copiato da intere schiere di pittori, di Caravaggio però non è stato compreso il profondo senso religioso della sua pittura, ma ne sono stati imitati solo gli esiti formali. Questa incomprensione è stata probabilmente creata, inconsapevolmente, da Caravaggio stesso che, carattere schivo e difficile, ma non così terribile quanto una certa letteratura continua a tramandare, non ha mai avuto allievi diretti. Così, quando agli inizi del Seicento i suoi quadri cominciarono ad essere particolarmente ricercati, gli altri artisti iniziarono a guardare alla sua pittura ed ad imitarla. In particolare studiarono il naturalismo, l'uso della luce, i fondi scuri e il taglio in primo piano delle figure.
I seguaci di Caravaggio si possono suddividere in tre grandi gruppi, coincidenti con tre distinte generazioni. La prima generazione è costituita da pittori di formazione tardomanierista, che cercarono di aggiornare il loro linguaggio sovrapponendo ai moduli compositivi tardocinquecenteschi alcuni elementi caravaggeschi, come il particolare uso della luce o una maggiore attenzione al dato reale. Pittori quali Orazio Borgianni, Santa Famiglia con Sant'Elisabetta, San Giovannino e un angelo, Giovanni Baglione, Lavanda dei piedi (1628), Carlo Saraceni, Madonna col Bambino e Sant'Anna, conobbero direttamente Caravaggio, ma pur intuendo la portata della sua pittura, non riuscirono a comprenderla appieno.
La seconda generazione di pittori caravaggeschi è composta invece da artisti che non lo conobbero personalmente ma che si formarono sulle sue opere. Questi furono capeggiati da Bartolomeo Manfredi, (1582-1620) l'autore della cosidetta "Manfrediana Methodus". Questo metodo si basava sullo studio attento delle opere di Caravaggio, dalle quali venivano estrapolate alcune figure tipiche che venivano poi riproposte in composizioni nuove ma in puro spirito caravaggesco. Questi quadri erano quasi sempre opere di carattere profano, scene di genere come Bacco e il bevitore o il Giocatore di carte, realizzati da un non identificato seguace di Manfredi.
Tra i caravaggeschi della Manfrediana Methodus, si distinguono due scuole, quella toscana e quella napoletana. I primi si differenziano per la fedeltà alle caratteristiche proprie dell'arte toscana, quali il disegno e la struttura compositiva. Appartengono a questo gruppo pittori come Orazio Riminaldi Sacrificio di Isacco, o Pietro Paolini, Madonna col Bambino e Santi. I secondi invece sono caratterizzati da una adesione convinta al naturalismo, a volte molto crudo. Appartengono a questa corrente il Battistello, Sant'Onofrio, Massimo Stanzione, Pietà (1623c.), e Luca Giordano Cratete (1660c.).
Un'altra corrente particolare di pittori caravaggeschi è quella costituita da pittori francesi e fiamminghi arrivati a Roma nel secondo decennio del Seicento attirati dalla possibilità di avere commissioni papali, oltre che dalla possibilità di studiare i grandi pittori italiani. Tra questi indubbiamente un ruolo di caposcuola va riconosciuto a Simon Vouet e Gerard van Honthorst. Entrambi i pittori elaborarono uno stile personale, nel quale coniugarono spunti desunti dal Caravaggio, ai caratteri propri della loro pittura. Così Vouet coniugò il naturalismo con il classicismo romano, e i francesi, come Valentin de Boulogne, cercarono di seguirne l'esempio, con dipinti quali Giudizio di Salomone e l'Allegoria d'Italia. Di Vouet è presentata in questa occasione la Buona Ventura, solo recentemente attribuitagli con assoluta certezza. Infatti nel corso di un restauro avvenuto nel 1997, è stata scoperta sul retro della tela un'iscrizione firmata e datata 1917. Questa ci permette di considerare il dipinto come la prima opera certa del periodo romano di Vouet.
Honthorst invece si concentrò sul problema della luce, e introdusse nei quadri più fonti di luce, costituite spesso da candele o torce. Questo motivo ebbe subito un grande successo e venne ripreso da altri pittori in opere come la Vanità di Michele Sweert, Artista nel suo studio, o Sansone e Dalila di Mathias Storm.
L'influenza e la moda della pittura caravaggesca si esaurì sostanzialmente intorno al terzo decennio del Seicento, in favore della pittura classicista. Oltre questa data soltanto i fiamminghi continuarono ad aderire al naturalismo di marca caravaggesca.
|