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Il discorso tecnologico dell'Arte. Una chiave interpretativa per capire il rapporto fra Arte e Contemporaneità  
Alessandro Tempi
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 11 luglio 2000, n. 197 (2 settembre 1999)
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Area Estetica

I diversi modi in cui, nell'età contemporanea - vale a dire quella in cui si osservano i maggiori e più conseguenti sviluppi delle tecnologie comunicazionali e si affermano effettualmente i cosiddetti mass-media - le pratiche operative dell'arte e le enunciazioni estetiche si sono poste in relazione, deliberatamente o meno, con le innovazioni tecnologiche emergenti concorrono a delineare un complesso tema di valenza storiografica ed estetica che ripropone mutatis mutandis le ragioni di un'originaria unità ideale fra arte e tecnica. A questo scopo, è utile soffermarsi preliminarmente sul senso dell'aggettivo contemporaneo e quindi sul concetto stesso di contemporaneità, poiché useremo questi termini non nella loro accezione propriamente storiografica - con rispetto alla gradualità del processo storico fra Moderno e Contemporaneo ed alla continuità e discontinuità dei fattori caratterizzanti le due partizioni. Useremo altresì questi termini secondo un'ipotesi empirica che possiamo così enunciare: la storia diventa contemporanea nel momento in cui il concetto di contemporaneità assume senso storico. Individuiamo insomma la contemporaneità nel momento in cui si stabilisce manifestamente una condizione strutturale di sincronia e/o contestualità nei processi delle relazioni umane. Corollario di questa assunzione è che la comunicazione ne diventa il criterio analitico che trova nei media comunicazionali i fattori caratterizzanti di questa condizione.

Sulla base della stessa ipotesi procediamo ad un'altra assunzione : che un discrimine fra Moderno e Contemporaneo può essere rinvenuto anche nel momento in cui inizia il movimento di distacco delle arti figurative - ed in questo senso le loro manifestazioni vengono a supporto di questa analisi - dalla loro funzione storica di rappresentazione di saperi diversi (religiosi, mitologici, letterari, morali) e quindi da una ritualità fortemente definita sul piano sociale e simbolico 1 , per scoprirsi ed assegnarsi intenzionalità e finalità del tutto autonome da un mero rapporto di specularità col mondo. Dagli Impressionisti e più ancora da Cezanne in poi, com'è noto, l'arte figurativa va concentrarsi su se stessa, sulla propria linguisticità, in uno sforzo autoanalitico teso e ridefinire i suoi domini, il suo senso, la sua stessa essenza. Nell'età contemporanea insomma essa tenderà sempre più a definirsi come sapere autonomo e come forma specifica e consapevole di conoscenza. Non che questo fenomeno non fosse in parte già avvenuto: la nascita dell'estetica moderna, nel Settecento, si pone esattamente sotto il segno dell'autonomia delle arti, ma allora le ragioni erano d'ordine teoretico e sociologico; ora sono invece interne all'autoconsapevolezza del fare artistico, alla sua intenzionalità. In questo senso, le tendenze solitamente definite formaliste, riduzioniste od analitiche vogliono appunto designare questa emancipazione dell'arte come sapere e come linguaggio 2

Non è un caso, dunque, che il rapporto dell'arte con la tecnologia si sviluppi proprio nell'età contemporanea: l'arte raggiunge lo stadio analitico nel momento in cui si esaurisce la sua spinta rappresentativa-oggettiva, il suo naturalismo insomma, in coincidenza con l'emergere di forme tecniche o mediatiche capaci di documentare, testimoniare, narrare, rappresentare in maniera più fedele, diretta e con effetti più estesi 3

È in questo quadro, del resto, che possiamo collocare il contributo delle avanguardie storiche, fenomeno completamente nuovo nella storia dell'arte e che non casualmente coincide con l'emergere di media come la fotografia ed il cinema; con esse infatti i processi generativi dell'arte rompono gli antichi rapporti con la trascendenza e si vanno a collocare sotto il segno dell'antropologia. Questa spinta all'immanenza (che include coerentemente anche quell'introflessione analitica di cui prima si parlava) ha insomma, con le avanguardie, un duplice effetto: da un lato collega l'immaginario alle logiche espressive dei nuovi media, dall'altro configura nuovi modelli comportamentali - una nuova ragion pratica, potremmo dire - rispondente alle mutate condizione antropologiche. 4 .

Intorno alla relazione fra arte e tecnologia si aggregano insomma, nell'arco incompiuto della contemporaneità, molteplici esperienze artistiche, individuali e di gruppo, ciascuna delle quali articola peculiarmente il proprio discorso tecnologico dell'arte. Sono queste peculiari articolazioni che qui ci interessa porre in luce.

Partiamo da un'enunciazione forte: il fondamento dell'arte contemporanea risiede nel suo rapporto con la tecnologia. È un'affermazione che va intesa nella sua valenza euristica e come artificio interpretativo. In realtà, essa non contraddice - tanto per riferirsi ad una delle più congrue teorie del Moderno in arte - la lettura in chiave analitica proposta da Menna, perché il passaggio dal visivo al concettuale (vale a dire la transizione verso l'autoreferenzialità e lo stato di meta-arte), che è anche tensione o ambizione verso una forma di conoscenza che sia concezione e non solo visione (o, come affermava Cezanne, creazione e non rappresentazione), viene storicamente da lontano, almeno dai prodromi secenteschi del Moderno, quando si cominciano a percepire i limiti dell'esperienza sensibile ed a capire che il mondo accessibili ai sensi non è che una modesta porzione della realtà 5

. La progressiva sostituzione di un universo artificiale ad un universo naturale, rispetto al quale l'arte è, dal punto di vista rappresentativo, sempre seconda rispetto alle innovazioni della traduzione tecnica delle immagini, non può che rafforzare e portare a compimento la tensione analitica dell'arte, vale a dire la sua maturazione come meta-arte, verso una forma d'esperienza in cui la componente sensibile-visiva è sempre funzionale e ancillare rispetto alla componente mentale-conoscitiva. Del resto, il momento sincronico dell'arte moderna, il suo hic et nunc operativo ed interattivo, può essere letto proprio come analogato della comunicazione istantanea.
Il rapporto fra arte e tecnologia giunge dunque a delinearsi compiutamente in quella fase storica che chiamiamo contemporaneità, ove sono riscontrabili per la prima volta peculiari processi di cambiamento: il passaggio da un universo naturale ad un universo tecnico come termine di riferimento dell'arte figurativa; l'avvio di un processo di astrazione e di messa in crisi dei fondamenti della rappresentazione visiva (in cui il fare artistico si connota anche di valenze estetiche o teoriche); la duplice polarizzazione del fare umano fra creazione artistica e creazione tecnica; l'analogia che si instaura fra la contemporaneità come dimensione dei processi relazionali e la contestualità come essenza dei processi artistici (il passaggio, come si dice in ambito concettuale, dall'opera all'operatività).

Nell'arco del contemporaneo il rapporto fra arte e tecnologia può essere agevolmente ricostruito sulla base di due criteri: la sequenza diacronica in cui, nel corso degli ultimi due secoli, si affermano tre differenti media comunicazionali (fotografia, cinema, video) e che, come suggerisce Fagone, potrebbe venire considerata alla stregua di una vera e propria periodizzazione dell'arte contemporanea; conseguentemente, il mutamento culturale che nel corso di quest'ultimo secolo ha caratterizzato la percezione del mondo tecnico da parte degli artisti, determinandone le diverse modalità d'impatto sulle loro pratiche, come pure sul loro universo di pensiero.

Il 1839 può essere considerato come termine a quo di una possibile ricostruzione delle inerenze fra arte e tecnologia. È in quell'anno (che, per una di quelle emblematiche coincidenze storiche è anche quello che vede la nascita di Cezanne), secondo una convenzione storiografica comunemente accettata, che viene ufficialmente sancita l'invenzione della fotografia come tecnica di produzione delle immagini. Pur rinviando ad un ulteriore trattazione l'esame degli effetti di questo medium sul linguaggio pittorico, bisogna nondimeno tenere conto che da quel momento l'atteggiamento della pittura è profondamente mutato sia in relazione al mondo esterno, sia in relazione al proprio statuto di disciplina espressiva. Da quel momento prendono inizio anche tutta una serie di influenze reciproche fra pittura e fotografia: tutta la tradizione pittorica e gli elementi del linguaggio figurativo costituiscono un ineliminabile fondamento normativo per il nuovo mezzo d'espressione, mentre quest'ultimo apre nuove possibilità rispetto ad aspetti particolari della tecnica pittorica (il movimento naturale, il taglio dell'immagine, il rapporto figura-sfondo, la cosiddetta profondità di campo). Ma l'aspetto più significativo di queste influenze è, com'è noto, qualcosa di esterno agli effetti puramente tecnici commisurabili sul piano della produzione dell'immagine; è la possibilità che il medium fotografico dispone di riprodurre e diffondere le opere d'arte "auratiche" o "cultuali" (la definizione è di Benjamin, ovviamente). A cagione di questa sua peculiarità, che colloca compiutamente la sua azione nel momento fruitivo del processo di comunicazione artistica, il mezzo fotografico influenzerà profondamente i modelli di crescita e di collocazione in campo sociale di ogni opera d'arte visiva.

Bisognerà attendere l'inizio del nuovo secolo, tuttavia, perché siano riconoscibili le condizioni oggettive di un mutamento culturale nella percezione del fatto tecnico da parte del mondo dell'arte. Questo mutamento, pur presentando inquietanti ombre ideologiche non meno che ambigue ingenuità stilistiche, prende il nome di Futurismo. Non che per tutto il secolo XIX il problema della tecnica fosse stato limitato ad un mero interscambio fra i linguaggi della pittura e della fotografia. Benjamin stesso ricorda infatti come l'avvento di quest'ultima vada non casualmente a coincidere con l'emergere della dottrina della "art pour l'art" : una reazione teologica, dice il pensatore tedesco, che nel respingere qualsiasi funzione sociale all'atto creativo, ne rifiuta ogni possibile determinazione da parte di elementi oggettivi. Del resto anche l'esperienza impressionista può essere canonicamente letta come precoce testimonianza di un'acquisita consapevolezza dei limiti del linguaggio figurativo nei confronti delle istanze rappresentative-oggettive alle quali il mezzo fotografico sembra in effetti fornire una sorta di "extrema ratio". Su questa stessa via si muove anche Cezanne, la cui esperienza pittorica è da più parti considerata come una vera a propria soglia dell'arte contemporanea (fondamentali a questo riguardo la lettura in chiave fenomenologica datane da M. Merleau-Ponty 6

e recentemente quella culturologica di R. Barilli 7 ), che sviluppando l'istanza impressionista di un oltrepassamento della realtà naturale, giunge a formulare per la pittura un'autenticità essenziale proprio nella sua antispecularità, come a dire che l'arte è la vera realtà, perché è rivelazione e creazione di un mondo che chiede di essere considerato oggettivamente (e quali saranno poi le conseguenze di questa "petitio" , su cui si delinea il presupposto ontologico dell'arte, sarà del resto reso manifesto nello sviluppo analitico dell'arte del XX secolo).

Già da queste considerazioni è dunque possibile capire in che modo possa configurarsi il rapporto fra arte e tecnologia; è evidente che non si tratta di semplici incidenze di un fatto tecnico quale la fotografia sulla pratica pittorica ad essa contemporanea. Il linguaggio pittorico trae infatti da questa innovazione tecnica conseguenze estreme, che vanno inscritte al quadro delle reazioni intellettuali ad un generale radicarsi delle ragioni tecnico-scientifiche nella cultura e nella società del XIX secolo e che sono parallele, non certo per caso, all'instaurarsi del sistema capitalistico occidentale. Le inerenze formali fra arte e tecnologia vanno dunque analizzate partendo dalla nuova ricollocazione del fenomeni artistici nel contesto della "zivilisation", ma allo stesso tempo individuando i presupposti estetici e culturali di una rafforzata autonomia dell'arte, che sconfina in ambiti puramente teoretici.

Le "estreme conseguenze" tratte dalla pittura sono già, all'avvio di questo secolo, un fatto compiuto, quando il Futurismo irrompe eversivamente con la sua mistica redentiva del progresso tecnico (in cui, per uno strano paradosso, riecheggia una concezione di forte ascendenza nietzscheana). Si è molto discusso sull'effettiva consistenza teorica di questo movimento e sulla sua tenuta nel confronto con le elaborazioni programmatiche delle altre avanguardie storiche. Qui mette conto ammettere che la mitologia dinamistico-macchinistica futurista rivela comunque i lineamenti di un autentico e convinto mutamento culturale nei riguardi del fatto tecnico, che non trova analoghi nelle estetiche immediatamente adiacenti. È del tutto originale, in tal senso, l'idea marinettiana di una correlazione esplicita fra universo tecnologico plasmante (una sorta di tecnomorfismo ante litteram) e la sfera delle creazioni dello spirito, correlazione che pone per la prima volta in stato di interface arte e tecnologia, cogliendo forse senza volere uno dei nodi cruciali di un'avanzata riflessione teoretica sull'arte. È a partire dai futuristi, insomma, che la coscienza artistica sa di avere un alter ego, un doppio col quale è ancora misteriosamente ma tenacemente chiamata a fare i conti. Con l'intuizione futurista, insomma, il rapporto arte/tecnologia ha modo di maturare dai semplicistici termini di una reciprocità di influenze strumentali verso la percezione di una dualità, ovvero di un legame genetico profondo, che d'allora in poi sarà difficilmente ricusabile, fra le due più alte espressioni dell'intelligenza umana.







È sintomatico che l'irruzione del mondo della tecnica nell'estetica futurista assuma il connotato della seduzione: solo così, del resto, è possibile scardinare il sistema delle belle arti, ritenuto ormai obsoleto, per ricomporre un'unità creativa senza regole o priorità, ma abbacinata dalle proprie stesse mitizzazioni. Ma è giusto negli anni in cui il Futurismo si avvia stancamente verso la sua seconda fase che in Europa prende corpo un orientamento diverso in ordine al rapporto arte/tecnologia, un orientamento che si configura, nonostante la contiguità temporale con i manifesti futuristi, un stadio più avanzato del mutamento culturale nella percezione del fatto tecnico, non più assunto come mito o simbolo di un'improbabile riforma estetica, ma come regola universale di ogni possibile produzione artistica. Si usa qui la parola produzione non a caso, perché fra i portati di quel mutamento vi è anche l'idea di una diversa collocazione ed incidenza dell'artista nella società, il che implica da un lato una sua partecipazione attiva alla trasformazione dei rapporti sociali, dall'altro il suo rapportarsi col fattore strutturale più determinante della società moderna: l'industria. In questo senso, esperienze d'avanguardia quali il Costruttivismo, il Purismo di Ozenfant e Jeanneret, il Bauhaus e l' architettura funzionalista esprimono, pur nelle loro evidenti differenziazioni tematico-stilistiche, l'esigenza di far discendere modelli e canoni artistici da una razionalità tecnologica intesa in senso forte e quindi regolativo. Da qui si comprende l'importanza decisiva che gli aspetti metodologico-progettuali hanno guadagnato nel quadro dell'operare artistico: essi infatti vanno a corrispondere una domanda di ottimizzazione e razionalizzazione del processo di produzione industriale, che si attesta così come essenziale orizzonte di riferimento estetico di quell'operare. Non va dimenticato infatti che la cultura del Bauhaus, del Purismo e del Costruttivismo introduce una visione essenzialmente laica, antimetafisica ed immanente del fatto artistico e che ciò avviene non solo per ragioni ideologiche estrinseche (il comune orientamento ideologico di queste avanguardie), ma anche e soprattutto come risultato di un processo di interiorizzazione del modello di razionalità di cui la tecnologia è considerata portatrice. Si capisce dunque che l'attenzione verso gli aspetti fruitivi-desti-nativi della produzione artistica, il suo funzionalismo insomma, che potrebbe far pensare ad un modo per recuperare la dimensione sociale dell'arte, è in realtà da considerare esattamente nella sua valenza tecnica, come elemento-chiave di una metodologia operativa che pone la progettazione, vale a dire l'elaborazione di sollecitazioni pratiche e funzionali provenienti dall'esterno della sfera strettamente ideativa, a fondamento stesso del proprio operare. Nella tensione verso la perfezione tecnica caratteristica di questo approccio è insomma dato leggere il forte richiamo razionalistico da cui tutta questa cultura modernista attinge.

Il patto razionalistico-regolistico che l'arte stringe con la tecnologia fin dal primo dopoguerra non deve tuttavia far perdere di vista che c'è un medium che più degli altri irrompe vitalmente nel campo delle arti visive, influenzandone pervasivamente la ricerca e la sperimentazione. Questo medium è ovviamente il cinema, che nell'esperienza delle avanguardie storiche assume il carattere di una "pura esperienza visiva" 8

in cui si tenta la decostruzione della continuità omogenea della realtà. Opere filmiche come "Ballet Mecanique" (1924) di Fernand Leger o "Emak Bakia" (1927) e "Etoile du Mar" (1928) di Man Ray invertono il senso illusivo che questo medium va accrescendo con la nascente industria cinematografica, cercando di mettere in luce la continua alienazione dell'uomo nell'ambiente dominato dalle logiche macchinistiche. Altre esperienze dell'avanguardia accetteranno invece di confrontarsi dialetticamente con l'ambiguità propria del mezzo cinematografico, portandone all'estremo taluni elementi strutturali quali la scenografia (con l'Espressionismo) od il montaggio (col Surrealismo), ma rivelando nel contempo in ciò una forte ed inscindibile discendenza da altre forme espressive (teatro, pittura, letteratura) verso le quali queste opere filmiche sono senza dubbio tributarie. Ma ponendo da parte la questione relativa alla definizione della specificità linguistica del mezzo cinematografico (che sarà adeguatamente affrontata da studiosi come Rudolph Arnheim e Galvano Della Volpe), uno dei contributi più significativi al formarsi di un approccio estetico al cinema (vale a dire concernente le condizioni di percezione del nuovo mezzo tecnico) è, com'è noto, quello di W.Benjamin. Il suo ragionamento è così persuasivo che merita di essere citato nella sua interezza:

"Mentre il cinema, mediante i primi piani di certi elementi dell'inventario, mediante l'accentuazione di certi particolari nascosti di sfondi per noi abituali, mediante l'analisi di ambienti banali, grazie alla guida geniale dell'obiettivo, aumenta da un lato la comprensione degli elementi costrittivi che governano la nostra esistenza, riesce dall'altro a garantirci un margine di libertà enorme ed imprevisto. Le nostre bettole e le vie delle nostre metropoli, i nostri uffici e le nostre camere ammobiliate, le nostre stazioni e le nostre fabbriche sembravano chiuderci irrimediabilmente. Poi è venuto il cinema e con la dinamite dei decimi di secondo ha fatto saltare questo mondo simile ad un carcere; così noi siamo ormai in grado di intraprendere tranquillamente avventurosi viaggi in mezzo alle sue sparse rovine." 9

Verrebbe da notare che le "sparse rovine" cui Benjamin metaforicamente allude sono state in effetti un dato reale e tragico della Storia, maturato di lì a poco con l'avvento dei regimi totalitari europei e culminato nel secondo conflitto mondiale. È forse a partire da questi eventi che l'indefettibile immagine simbolico-regolistica della tecnologia, su cui molti artisti e movimenti avevano fatto confidente affidamento per i primi tre o quattro decenni del secolo, comincia ad offuscarsi. E la riflessione etico-filosofica che ne scaturirà, corroborata dalle acute analisi dei francofortesi, contribuiranno a delineare del mondo tecnologico un'immagine meno aureolata, anzi in taluni casi fortemente negativa, giacché si scopre che quel modello di riferimento creativo che per molti artisti era stata la razionalità tecnica è in realtà strutturalmente corresponsabile di ogni sistema totalitario di questo secolo e quindi alla base dei suoi meccanismi di oppressione. 10

In arte, il diffondersi di un atteggiamento di critica e di opposizione al modello di razionalità tecnologica porterà, a partire dal secondo dopoguerra, alla crisi dell'impianto concettuale del Moderno e per questa via ad una sostanziale messa in sospensione del rapporto con la tecnologia. La lunga stagione dell'Informale è in questo senso paradigmatica di un clima culturale di profonda sfiducia nei valori conoscitivi e razionali che, sul piano linguistico, si traduce generalmente in un rifiuto della forma e del rapporto fondante fra rappresentazione e realtà. Se si pensa che proprio questo rapporto era stato alla base dell'utopia moderna del dominio umano sulla natura attraverso le tecniche della riproducibilità (che ovviamente non sono solo quella della riproduzione visiva, come poteva pensare Benjamin, ma soprattutto quelle fondate sull'analogia con i processi conoscitivi ed organici della natura), si capisce quanto radicale sia stato il mutamento di orizzonte culturale entro il quale l'esperienza artistica dell'ultimo dopoguerra si è andata collocando rispetto al problema tecnologico. Che tuttavia non cessa di attirare l'attenzione di taluni artisti come Lucio Fontana, Alexander Calder, Jean Tinguely o Nam Jun Paik, ai quali si devono le prime congrue indicazioni di un modo nuovo di ripensare il rapporto arte/tecnologia ben al di là di quel fondamentalismo rappresentativo su cui ha poggiato, in ultima analisi, ogni opera d'arte visiva del passato. E questo modo nuovo costituisce un ulteriore stadio di quel mutamento culturale che siamo andati delineando finora: ferme restando le implicazioni teoriche relative alle forme di intenzionalità ed autoreferenzialità che la tecnologia rivela ad una serrata critica filosofica, il fattore tecnologico viene ora assunto non come un canone di riferimento esterno, ma più esattamente come medium, vale a dire come strumento al quale si affida il potenziamento delle capacità espressive della comunicazione artistica e la possibilità stessa della sua modellazione.

La maturazione di questo modo nuovo nei rapporto fra arte e tecnologia - sviluppatosi, come vedremo, nel contesto di talune neoavanguardie del secondi dopoguerra - ha naturalmente ricevuto straordinario impulso da un fenomeno di portata storica quale l'espansione massiva dei processi di comunicazione elettronica attraverso il video ed il computer, la cui infiltrazione capillare e pervasiva non solo nell'ambito dei processi produttivi, ma nel complesso delle dinamiche relazionali, decisionali e conoscitive è ormai ampiamente sondata e documentata.

Su un piano specifico, le implicazioni di questa nuova fase tecnologica sul campo dell'arte sono estese: i nuovi strumenti videoinformatici stanno dimostrando di possedere potenzialità linguistiche peculiari tali da sviluppare nuove sintesi figurali attraverso le quali è possibile pervenire ad altrettanto nuove definizioni dell'universo teorico e pratico della produzione delle immagini. A ciò si aggiunge il fatto che la multimedialità (ovvero la possibilità operativa di utilizzare più strumenti espressivi in uno stesso contesto produttivo) conferisce nuove possibilità di relazione fra immagine e suono, sfere ritenute tradizionalmente separate ed autonome della comunicazione artistica, ma dal cui riallineamento all'interno di una metodologia creativa può dipendere una più diffusa ed al tempo stesso più critica esperienza artistica. Inoltre, non va sottovalutato il fatto che l'adozione di strumenti e modelli tecnologici ha radicalmente trasformato il concetto ed il fine stesso dell'operare artistico: se oggi non si parla più di opera, ma di operazione (od operatività) è perché il concreto oggetto artistico è stato sostituito non già - o non solo - dalla sua immateriale dimensione mentale (come nell'Arte Concettuale), ma da qualcosa di altrettanto tangibile, perché sensorialmente esperibile, che possiamo definire come "ereignis", che vale "contemporaneamente per evento e per esperienza" 11

, insomma non una cosa ma un processo il cui significato si dà nell'atto stesso del suo farsi. Il senso di molte videoinstallazioni, ad esempio, o del telematic networking, va infatti ricercato nell'applicare la qualità artistica non ad un oggetto, ma ad un evento che, come il "gesamtkunstwerk" wagneriano, chiama a raccolta sensi ed intelligenza per esperire nuove, inedite misure di tempo e di spazio e quindi nuove definizione dell'esistente.

In questo breve e schematico itinerario storico lungo l'arco incompiuto della contemporaneità (termine storiografico che qui abbiamo assunto come ambito storico di un mutamento qualitativo delle conoscenze e di un riassetto generale del quadro culturale in cui si realizzano i processi di innovazione), si possono allora trarre almeno tre conclusioni utili ad una possibile teoria del rapporto arte/tecnologia. La prima è che fra la fine del secolo XIX e l'inizio del XX la tecnica comincia ad essere considerata come un allargamento dell'orizzonte artistico, come una nuova, avanzata possibilità di riscatto dai rapporti limitanti fra mezzi ed esiti dell'operare artistico. Questa visione pertiene ad un modo tipicamente moderno di concepire i rapporti fra arte e tecnologia, secondo il quale quest'ultima è assunta come canone di riferimento tramite cui riconfigurare l'universo teorico e sociale della creazione artistica. La seconda è che con i recenti sviluppi delle tecnologie informazionali ed immaginali, il rapporto arte/tecnologia viene ad assumere una fisionomia critica: le nuove sintesi artistiche rese possibili dall'impiego creativo dei media innescano inevitabilmente un discorso metatecnologico che ci pone in condizione di riflettere criticamente sull'ovvietà e/o naturalità dei prolungamenti (ma potremmo parlare anche, mcluhanianamente di estensioni) normativi ed omologanti del modello tecnologico. La terza, infine, e qui il discorso non può fare a meno di debordare su un piano essenzialmente teoretico, è che il problema dell'inerenza della tecnica sul campo dell'arte si presta oggi anche come propedeutica ad una lettura in chiave analitica delle condizioni stesse della rappresentazione. L'universo immaginale cui le odierne tecnologie danno accesso ed al quale in maniera sempre più diffusa fa riferimento certa pratica artistica attuale costituisce un ulteriore area di applicazione del tema-chiave della riproducibilità; solo che qui non si tratta più della riproducibilità di opere visive, ma della riproducibilità tout court. Da possibilità inerente la percezione ed il momento fruitivo dell'oggetto artistico, la riproducibilità tecnologica si trasforma in condizione e strumento dell'operare e proprio in questa funzione essa può fornire, anche sul versante artistico, un insostituibile contributo metodologico ed operativo ad un'analisi avanzata di concetti quali appunto rappresentazione (che non a caso pertiene tanto all'arte quanto alla filosofia) ed immagine (su cui si gioca l'antinomia dibattuta fra significato e senso).

Per questa via è possibile comprendere cosa precisamente si debba intendere per discorso tecnologico dell'arte e perché esso, pur procedendo da origini antiche, culmini proprio nell'arco dell'età contemporanea (o della contemporaneità). Per capire meglio, bisogna tuttavia anticipare uno degli assunti basilari di questo discorso: è fin dalle sue origini che l'arte intrattiene con la tecnica un rapporto particolare, di intensa ambiguità, espresso dall'etimologia stessa del termine tecnica (dal greco téchne, che designava esattamente ciò che oggi chiameremmo tecniche e che nella cultura latina e medievale avrebbe preso il nome di artes). Per molto tempo, insomma, ciò che per noi oggi è arte è stato chiamato tecnica (dal cui ambito sono peraltro nate le "belle arti" moderne). Parimenti, di ciò che per noi oggi afferirebbe ad un ambito di ricerca scientifico-tecnologica, molto ricadrebbe nel campo delle artes di un tempo (astronomia, geometria, matematica). Tutto ciò è ovviamente spiegabile per ragioni ad un tempo storico-culturali e linguistiche, ma rimane il fatto che una parte di ambiguità permane ancor oggi. È ancora da verificare, dunque, se a partire da questo residuo di ambiguità sia possibile formulare una teoria che tenti di spiegare l'attuale dualità e/o antitesi fra arte e tecnologia. Chiamiamo allora discorso tecnologico dell'arte questo tentativo di conoscere qualcosa di più di quel rapporto, che è a mio avviso riscontrabile ripercorrendo sia la storia delle idee estetiche, sia il manifestarsi di talune esperienze artistiche nell'arco della contemporaneità, che pertanto va a costituire l'orizzonte privilegiato di questo discorso. È in quest'arco, del resto, che l'arte raggiunge una matura consapevolezza della tecnica, giacché solo allora la tecnica si dimostra per la prima volta capace di rappresentare un modello di riferimento alternativo alla natura, un modello che sfida l'arte ad uscire dallo "hortus conclusus" delle "belle arti" per agire senza mediazioni nel mondo delle cose e degli uomini. Per annullare, in altre parole, la separazione con la vita.

L'arte come conoscenza in presa diretta, immediata, contemporanea, della vita e quindi compresente alla vita stessa è un'idea che del resto attraversa tutto il corso delle avanguardie storiche fino alle neoavanguardie recenti. Quest'idea, lo si sarà capito, deve molto, a mio avviso, al concetto di contemporaneità, che prima ancora d'essere un artificio storiografico fondato su criteri ripartitivi o problematici, vuole invece esprimere il modo storico della comunicazione che gradualmente si afferma nel mondo con l'inarrestabile espandersi delle tecnologie comunicazionali. Con questo concetto si esprime insomma la realtà viva ed operante dei processi comunicazionali nella formazione della società e dell'immagine del mondo, il quale non senza paradosso diventa sempre più contenuto di tali processi. Ogni arte è dunque autenticamente contemporanea quando è in stato di contemporaneità conoscitiva col mondo, quando insomma da questo rapporto si sviluppa una risposta critica nei confronti della contenutezza del mondo (giacché, verrebbe da dire, la contemporaneità è proprio questa sconcertante macrocondizione che ci contiene tutti). 12




NOTE

1 Umberto Eco, Arte e bellezza nell'estetica medievale, Milano, Bompiani, 1987.

2 Filiberto Menna, La linea analitica dell'arte moderna, Torino, Einaudi, 1974.

3 Vittorio Fagone, L'immagine video, Milano, Feltrinelli, 1990.

4 V.Fagone, cit. ; vedi anche Gene Youngblood, Expanded Cinema, New York, Dutton, 1970.

5 Alberto Boatto, Natura bella ma morta, in "L'Indice", Luglio 1993, n.7

6 Maurice Merleau-Ponty, Il dubbio di Cezanne, in "Senso e non senso", Milano, Il Saggiatore, 1962.

7 Renato Barilli, L'Arte Contemporanea, Milano, Feltrinelli, 1984.

8 Daniela Palazzoli, Arte e società: la proposta estetica negli strumenti funzionali, in "L'Arte Moderna", Milano, Fabbri, vol.XV, 1967.

9 Walter Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 1967.

10 Zygmunt Bauman, Modernità e olocausto, Bologna, Il Mulino, 1992.

11 René Berger, Il Nuovo Golem. Televisione fra simulacro e simulazione, Milano, Cortina, 1992.

12 Su questo tema, mi permetto di rinviare al mio scritto Arte e incantamento tecnologico, in "NEXT", n. 37, 1996.



 
 

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