Ventiquattro pastelli, ventiquattro versi poetici, ventiquattro ore, così Giulia Napoleone svela l'arcano del giorno che si compie, evoca il miraggio della luce, crea un rapporto di sinergia tra la parola e l'alfabeto delle immagini: l'occasione è un raro testo settecentesco in cui sono raccolte le parti della Gerusalemme liberata in cui Tasso ha descritto le variazioni luminose del volgersi quotidiano; da «L'alba lieta rideva» (1) a «et anco il Ciel d'alcuna stella adorno» (24) le ore mutano e cambia lo spettacolo fenomenico cromatico, al celeste, ai toni rosati si sostituiscono i grigi, i blu profondi, freddi, simili ad una notte siderale.
Incontro l'artista nella Galleria Il Bulino, dove attualmente è esposto l'intero ciclo Al mutar dell'ora, parliamo dei pastelli, delle immagini della natura e della memoria, del tempo come forma ciclica ed eterno ritornare: ogni disegno può essere inserito in un contesto più vasto, la raccolta, come organismo unico, è il punto di partenza e l'approdo per una lettura dell'opera, del metodo, dell'intento lirico e poetico dell'artista. La mostra si può leggere come un libro, è uno dei tanti volumetti che Giulia Napoleone realizza per sé, curandone ogni dettaglio, la decisione di far conoscere quest'aspetto più intimo del suo lavoro rivela una coraggiosa coerenza. È una sorta di diario, una scrittura crittografata di cui non si deve cercare il segreto, ma percepire la poesia, l'esperienza, il soffrire e la serena coscienza.
L'epigrafe è in versi, densa di dolore: «Since then, at an uncertain hour, / Dopo di allora, ad ora incerta / Quella pena ritorna.» (Primo Levi). Dopo di un allora, che prima o poi porta alla cognizione di dolore, dopo quel prima che l'artista non rivela, ma a cui ognuno può sostituire il proprio vissuto, c'è la sicurezza che ritornerà la pena: è impossibile determinare il quando, ma quell'ora incerta è un appuntamento, un suono che presagisce, un qualcosa di profondamente radicato, che, pur non determinato, ci muove.
Il processo creativo è proprio in questa incerta premonizione: incertezza assidua, come Giulia Napoleone ama chiamarla, immagine già formata che sicuramente, ma senza sapere quando, prenderà forma.
Il disegno appare lentamente, dalla sovrapposizione di ripetute velature, dall'addensarsi o dal rarefarsi dei tratti, dei punti, con una tecnica lenta, con una metodicità che non è sterile virtuosismo, ma consapevolezza; la punta del pastello diventa simile al punzone (una delle tecniche calcografiche affrontate dall'artista) nel tracciare le forme, nello sfumare i toni; ogni lavoro nasce da questo amore lento, da questo avvicinarsi progressivo: «mi seguivano ovunque nei miei spostamenti» dice l'artista, raccontando la dimensione di intimità e quotidianità dell'atto creativo. Ha lavorato a più fogli contemporaneamente, lasciando emergere quell'immagine che già conosce dalla trama grossa della carta, tessendo una trama più lieve, simile a polvere, scegliendo il passaggio tenue, progressivo, dalla luminosità alle ombre, aggiungendo, incrementando il colore con un sapere attento, dosando l'effetto, conservando contemporaneamente la freschezza dell'immagine e rivelando la cura, la durata di essa.
Il problema formale è fondamentale nella produzione di Giulia Napoleone, determinare la forma, collocarla all'interno del foglio è forse il momento più complesso del suo iter compositivo; in alcuni pastelli la superficie colorata corrisponde all'intero foglio, «è una sorta di horror vacui barbarico» spiega l'artista, ma sarebbe un errore tentare una distinzione tra forme chiuse ed aperte: dove il colore si sfrangia nel foglio bianco l'occhio non deve leggere un'interruzione, un elemento lasciato aperto, ma l'intersezione, l'incastro con la forma bianca determinata dallo sfondo. Un gioco di osservazione positivo negativo, ma soprattutto una riflessione ed uno studio sul rapporto spaziale e la reciprocità tra colore e pura luminosità.
Il pastello l'ombra homai fatta più tacita e bruna è molto interessante per la soluzione cromatica e formale: l'incastro tra la penisola dell'ombra grigia scura ed il foglio inizialmente sembrava doversi risolvere con una sfumatura più chiara, a mitigare il contrasto (si può vedere la velatura lievissima nella parte sinistra) poi l'artista si è interrotta, ha preferito lasciare il passaggio evidente, plastico, non più forma + fondo, ma forma + forma.
Giulia Napoleone ama i toni freddi, i grigi e la vasta gamma dei blu e degli azzurri, sono i colori che le appartengono; la sottile linea rossa che divide il campo blu dal campo verde nel mezzo dì (8) è simile ad una ferita, è un momento doloroso, un'ora di sofferenza, che conserva nella limpida stesura una sensazione di certezza, di eterno ritornare, di inevitabile, incerto venire. Così nel pastello precedente, celesti campi (7), la linea bianca acquista la valenza di presagio, di premonizione di ciò che si sta preparando: il mezzogiorno, la luce dolorosa del sole allo zenit in cui «l'aria par di faville intorno avvampi» (9). Il moto circolare, le faville violacee sono, forse, il momento culminante della rivelazione giornaliera, l'esplosione controllata che si ripeterà, come il punto coerente di un moto periodico.
Il buio della sera ha la forma di una ragnatela: fili sottili, simili a venature vegetali, un reticolato dalla tessitura delicata; l'ultima luce del crepuscolo si è spenta, è un momento di incertezza, di malinconico stupore in cui la geometria segreta delle linee traccia movimenti nascosti: al grigio si sfuma il blu in un passaggio di tensione trattenuta, di dilatazione.
Giulia Napoleone non ha interesse per la rappresentazione della figura umana, preferisce gli elementi naturali, ama l'acqua per la sua mutevolezza e contemporaneamente il suo essere sempre fedele a sé stessa: può assumere qualsiasi forma, eppure rimanere inalterata, sempre identica, ma mai uguale; l'artista è attratta dal movimento della superficie, l'incresparsi, il gioco stupefacente dei riflessi, l'incidenza dei raggi luminosi e la trasparenza azzurra. Non lavora mai en plein air ma osserva con curiosità da sempre, guarda come se fosse la prima volta, memorizza le forme, associa le emozioni in un percorso interiore che sfocia nel pensiero creativo, nell'immagine che dal quel momento esiste e, certamente, ad ora incerta prenderà forma sul foglio, inevitabilmente.
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