Ancora una volta Thomas Krens aveva ragione. Il giovane direttore della Fondazione, che rappresenta con i suoi cinque musei nel mondo (New York, New York SoHo, Bilbao, Berlino e la Peggy Guggenheim Collection di Venezia) una delle più grandi potenze nel mondo dell'arte, è finalmente riuscito a sciogliere le pratiche burocratiche che dal 1988 tenevano bloccate le splendide strutture seicentesche della Punta della Dogana a Venezia. Presto quelle strutture diventeranno un nuovo museo (per le collezioni di Peggy - in particolare, pare, per le opere del periodo "italiano" cioè le opere dell'espressionismo astratto di Santomaso, Vedova, Tancredi, Bacci acquistate dal 1949, quando si trasferì a Venezia in Palazzo Venier dei Leoni) ed un nuovo spazio espositivo per grandi mostre provenienti da tutto il mondo.
L'annuncio ufficiale è del 9 dicembre: alla presenza del ministro Melandri, nelle sale del suo Ministero in via del Collegio Romano, Thomas Krens, Philip Rylands (direttore della Collection di Venezia), Chiara Barbieri e Liesbeth Bollen (staff permanente della Collection), Mara Ruiz (assessore alla cultura del Comune), Vittorio Gregotti (architetto di fama internazionale - responsabile del restauro e del progetto esecutivo) e Alessandro d'Urso (consulente legale e mente dell'operazione) hanno finalmente dato l'atteso annuncio ufficiale.
A chi capita di passare qualche tempo a Venezia e di leggere quotidianamente i giornali locali (Il Gazzettino, ad esempio) la "storia" della Punta della Dogana non appare cosa nuova. Da qualche anno, ogni tre o quattro mesi circa, apparivano sui quotidiani prime pagine annuncianti nuovi "pettegolezzi" sull'affare, indiscrezioni e allarmismi, verità e falsità. Questo segnale mette in luce l'importanza, diffusa in più ambiti (non solo quello specialistico), della questione della Punta. La versione ufficiale data l'inizio della faccenda al 1988 quando la Fondazione era alla ricerca di un luogo in Italia per poter aumentare spazi espositivi ed ambizioni culturali individuando nell'edificio occupato da alcuni uffici comunali, alle spalle della chiesa palladiana di S.Maria della Salute, il luogo ideale per poter concepire un nuovo spazio museale. Dal punto di vista architettonico la struttura dell'edificio è molto interessante: è costituito da una serie di saloni a pianta rettangolare allungata, ad un solo piano, di una lunghezza variabile ma comunque imponente e di una altezza di circa dieci metri. La Punta vera e propria, tra il Canal Grande e il Canale della Giudecca, progettata dal Benori nel 1677, e decorata dal globo d'oro che risplende di fronte al campanile di S.Marco, sembra progettato ante-litteram per ospitare i servizi di un moderno museo: accoglienza, informazioni, bookshop, una terrazza attrezzata per feste e attività collaterali di public relations (modello al quale i Guggenheim ci hanno da tempo abituato - vedi lo stesso Palazzo Venier dei Leoni, straordinario luogo di incontro nelle estati veneziane - condite da Festival del Cinema ed affini).
Ma le implicazioni non riguardano, naturalmente, solo aspetti manageriali di gestione di una struttura museale. Dal punto di vista concettuale, infatti, questo progetto, grazie agli spazi a disposizione, potrebbe seguire i nuovi "parametri" - ancora in via di definizione - per la disposizione delle opere: nel momento in cui l'arte contemporanea sempre più chiede SPAZIO, cioè possibilità espositive a grandi dimensioni che non influenzino gli artisti nella creazione (la nuova Tate Gallery di Londra sarà un esempio emblematico, l'inaugurazione è fissata per maggio 2000), avere a disposizione i saloni degli antichi magazzini sarà una straordinaria occasione di confronto. Il problema dello SPAZIO non è certo un argomento di recente dibattito. Basterebbe ricordare le esplicite richieste che Alberto Giacometti faceva per l'esposizione delle sue esili figure scultoree. Nel caso citato SPAZIO vs. QUANTITA' delle opere in mostra non è argomento sul quale è possibile glissare. Infatti, secondo la concezione dell'artista, lo spazio attorno alla scultura è il significante primo e il fruitore, per poter vivere questa condizione, deve avere il "diritto" di vedere quelle opere esposte nella maniera "corretta". Esempio storico al quale si potrebbe accompagnare l'Oldenburg in mostra a Bilbao, i quadri di Burri al Palazzo delle Esposizioni, i restauri e le ri-organizzazioni recenti delle gallerie romane.
Questione dunque ampia, questa, che nella proposta del Guggenheim vorrebbe essere risolta attraverso spazi flessibili, pareti mobili in legno, che contribuiscano proprio a creare uno spazio che cerchi di influenzare il meno possibile la fruizione dell'opera. Nelle parole dell'architetto Gregotti si trova una posizione interessante proprio da questo punto di vista. Nel suo breve intervento alla conferenza stampa ha sostenuto che fosse necessario, e così il suo Studio intenderà muoversi, "fare il meno possibile". Secondo punto su cui sono convinto valga fare una riflessione. La struttura storica della Dogana da Mar, dopo che sarà stata ripristinata al suo stato originario (al momento è divisa in due piani ed è necessario provvedere ad una serie di lavori di restauro strutturali ed interni), varrà come proposta antagonista e complementare all'ultimo prodotto della Fondazione Guggenheim: una struttura architettonica, esterna ed interna, "leggera" ed omogenea, spazi geometrici ed a pianta regolare, illuminazione a luce naturale (quando possibile...); il museo di Frank Gehry a Bilbao ne è l'antagonista: "pesante", post-modernamente monumentale, ha una struttura invadente con spazi interni che modificano fortemente la visione "tradizionale" dell'opera. Nessun giudizio di merito, soltanto due posizioni contrapposte: opera d'arte architettonica al servizio dei capolavori pittorici e scultorei, edificio "neutro" e flessibile o architettura-opera d'arte a sé, prima, oggetto-museo nel quale l'ospite è costretto ad un continuo volgere lo sguardo tra opera ed edificio? Esempi e risposte si possono trovare nelle varie interpretazioni di museo che nella storia recente si sono avvicendate tra curatori ed architetti (vedi il Louisiana Museum of Modern Art di Copenhagen, il PS1 Contemporary Art Museum di Long Island...); proposte alternative che conviveranno nella famiglia dei Guggenheim Museums.
L'Italia potrà presto onorarsi (la consegna del progetto esecutivo, affidato allo Studio Gregotti Associati International, è fissato a Maggio 2000, l'ammontare del restauro e della messa in opera dovrebbe aggirarsi intorno ai 25 miliardi - straordinariamente basso... - anche se chi ha confidenza con la città lagunare sa bene che stime di prezzo e di tempo nei restauri di edifici antichi hanno una validità relativa) del più importante museo d'Europa - questi i toni della conferenza - ed è al momento (vedi la mostra retrospettiva di Francesco Clemente e tutti gli altri segnali...) il referente europeo primo della Fondazione Americana (fallito, forse definitivamente, il tentativo francese dello scorsa estate - notizia ANSA). Malgrado il Museo Guggenheim Venezia d'Arte Contemporanea - questo il nome del progetto - sia ancora lontano dall'apertura c'è davvero qualcosa di eccezionale in questo annuncio.
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