La vasta e profonda risonanza sollevata dai ritrovamenti di lacerti di affreschi duecenteschi nella Cappella seicentesca di San Pasquale Baylon, ultima della navata laterale destra di Santa Maria in Aracoeli, riflette principalmente la volontà di puntualizzare la cronologia e lo sviluppo di parte dell'arte duecentesca a Roma e di individuare le competenze specifiche di singoli artisti.
Dell'attività pittorica duecentesca a Roma sopravvivono importanti testimonianze: gli affreschi dell'Oratorio con le Storie di San Silvestro ai SS. Quattro Coronati (1246), gli affreschi della Chiesa dei SS. Giovanni e Paolo al Celio - attualmente in restauro - e il mirabile ciclo del Sancta Sanctorum riscoperto nei primi anni '90, risalente al 1280, opera capitale per l'individuazione di un cantiere "romano" completamente autonomo rispetto alla lezione tosco-cimabuesca.
Ma la ricezione articolata e totale dei fermenti artistici maturati a Roma nel corso del Duecento, rimane difficilmente verificabile per altrettante gravose perdite - tra cui il complesso del Patriarchium, gli affreschi paleocristiani di San Paolo fuori le Mura su cui intervenì il Cavallini, le Storie dei Santi Pietro e Paolo nell'atrio del vecchio San Pietro - che hanno cancellato l'immenso cantiere di architettura, scultura e pittura che fu Roma nel Duecento.
Da ciò l'estrema importanza del ritrovamento del ciclo dell'Aracoeli - i cui modi stilistici - come si può notare dalle foto pubblicate su alcuni quotidiani - è dato ritrovare in altre opere che sembrerebbero riflettere un possibile contatto con le novità maturate nell'ambiente di Pietro Cavallini, fornendo così nuovi argomenti alla discussione sul rinnovamento della pittura italiana negli ultimi decenni del Duecento.
Nonostante la scarsezza degli apporti documentari , il chiarimento del percorso di questa figura di spicco nel panorama romano è accertato dalle opere. Con queste Cavallini contribuisce a quel processo di ripensamento sul ruolo della scuola pittorica tardo duecentesca romana nella formazione del linguaggio figurativo italiano del Trecento. Nel suo campionario artistico si sperimentano nuovi metodi di collocazione nello spazio delle figure umane e si fonda la resa tridimensionale di quest'ultima in termini di salda volumetria e sentita monumentalità che guardano direttamente al passato classico della pittura romana.
La presenza del Cavallini all'Aracoeli è cosa certa, ci sono altri resti di affreschi molto cavalliniani nella chiesa, quello sulla tomba di Matteo d'Acquasparta e - proprio nella Cappella Baylon - il lacerto di un breve tratto di colonna tortile con capitello corinzio, inserito da Alessandro Tomei
2
nella sua monografia su Cavallini, in cui lo studioso individua consonanze simili con la colonna decorata sulla parete destra a fianco del Giudizio Universale in Santa Cecilia in Trastevere.
A poca distanza da questo tassello già conosciuto quindi, sono saltati fuori - in questo recente intervento - altri significativi frammenti : cinque personaggi affrescati e ancora in ottimo stato di conservazione, architetture dipinte impostate con incisiva conoscenza della tecnica prospettica e un grande affresco raffigurante una Madonna col Bambino Benedicente e Santi.
È proprio questo ultimo affresco che consente di notare il procedere di un artista sulla via di uno spiccato rinnovamento stilistico : la figura della Madonna appare ancora arcaizzante, legata alla tradizione bizantina, completamente accantonata invece, nella realizzazione del Bambino, il cui volto di straordinaria verosimiglianza naturalistica permette di rinvenire stringenti consonanze con le figure effigiate in Santa Cecilia, prima fra tutte quella del Cristo Giudice. Ritorna infatti la minuzia sottile e vibrante della definizione disegnativa e pittorica e quel tocco lieve del pennello che definisce sottilmente i tratti del volto, il naso e la bocca.
L'esponente significativo di quel clima trionfale che vige nella capitale papale del tardo duecento, che ha già firmato importanti capolavori - il ciclo mosaico con le Storie della Vergine in Santa Maria in Trastevere (1291) , il Giudizio Universale dipinto nella controfacciata di Santa Cecilia in Trastevere (1293) - troverebbe così un' altra inequivocabile e consapevole adesione al suo universo espressivo.
L'ipotesi di identificazione appare plausibile, non certa, bisognerà attendere la fine dei restauri e la speranza di poter recuperare un intero ciclo pittorico.
Cavallini nell'offrire così un ulteriore eccezionale saggio della propria abilità, si sarà servito ancora di una equipe, secondo la prassi medievale, ormai canonica, di allogare i lavori ad un capomaestro, da dividere tra i vari sottoposti, secondo lo schema interpretativo appropriatamente ricostruito da Tomei, per la regia che aveva presieduto la precedente impresa di Santa Cecilia in Trastevere.
NOTE
1
Il restauro è curato dalla Sovrintendenza ai Beni Artistici e Storici di Roma e dalla Scuola di Specializzazione di Storia dell'Arte dell'Università "La Sapienza" di Roma. La scoperta è opera di Tommaso Strinati.
2
Alessandro Tomei, Pietro Cavallini, Roma, 2000.
|