bta.it Frontespizio Indice Rapido Cerca nel sito www.bta.it Ufficio Stampa Sali di un livello english
Profilo di uno scultore: Mauro Staccioli  
Alessandro Tempi
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 14 Giugno 2002, n. 302
http://www.bta.it/txt/a0/03/bta00302.html
Precedente
Successivo
Tutti
Area Artisti

Mauro Staccioli è nato a Volterra nel 1937 e si è diplomato presso il locale Istituto Statale d'Arte nel 1954. La sua attività artistica, iniziata a partire dai primi anni sessanta, è stata sempre saldamente intrecciata a quella didattica 1 ed a quella di intellettuale militante ed engagé, attento a cogliere concretamente il nesso problematico fra arte e società.

Collocatosi dapprima nel campo della pittura e dell'incisione, a partire dal 1968 Staccioli si concentra tutto sulla scultura. E' a partire da questa forte opzione che egli formula la sua personale concezione ambientale dell'opera sculturale, chiamata ad interagire con lo spazio fisico della sua destinazione, per il quale essa stessa è pensata. Le grandi installazioni in ferro e poi in cemento realizzate nel corso degli anni settanta a Milano (Galleria Toninelli), Volterra (negli spazi pubblici della città), a Grenoble (Maison de la Culture), a Parma (Piazza della Steccata) ed infine a Venezia (XXXVII e XXXVIII Biennali) rappresentano gli esiti più conseguenti di questa concezione, nei quali prende potentemente corpo il linguaggio robusto ed essenziale (contrassegnato da geometrie elementari e dall'uso di materiali non nobili quali il cemento o la pietra serena) di una ricerca tesa ad affrontare criticamente e concretamente la realtà fisica e sociale dello spazio, che in tal modo diventa una parte integrante dell'opera in quanto elemento interagente con essa. Interazione è del resto una parola-chiave della ricerca artistica di Staccioli così come si è sviluppata fino ad oggi ed esprime non soltanto una circolarità di relazioni di senso fra l'opera e l'ambiente (o, più linguisticamente, il contesto), ma anche una chiara allusione al rapporto uomo-ambiente ed alle implicazioni simbolico-concettuali che l'osservatore è chiamato a rintracciare all'interno di uno spazio contrappuntato e/o turbato dall'opera.

Gli anni ottanta sono quelli che vedono la consacrazione di Staccioli come artista di levatura internazionale. Dopo la realizzazione di una grande installazione in cemento nel parco del collezionista Giuliano Gori a Celle (Pistoia), le opere di Staccioli risvegliano una crescente attenzione anche all'estero: prima in Germania (Stadtische Galerie, Regensburg), poi in Gran Bretagna (Hayward Gallery, Londra), in Israele (Tel Hai College, Tel Hai), in Francia (ELAC, Lione) e negli Stati Uniti (Amherst, Massachusetts, University Gallery). Queste grandi installazioni inaugurano una nuova fase della ricerca artistica di Staccioli, che tende a mitigare una certa aggressività visiva dei suoi esordi e che, d'ora in poi, sarà caratterizzata da una più ardita concezione progettuale che sembra sfidare gli equilibri statici dell'opera e le armonie architettoniche o naturali del contesto: si tratta di solidi in cemento di dimensioni ragguardevoli e dalle geometrie intuitive che appaiono come miracolosamente sospesi nel vuoto o sprofondati nel terreno o semplicemente appoggiati a pareti o adagiati su scalinate in una sorta di virtuosismo progettuale che determina effetti stranianti nella percezione dello spazio e che tuttavia mantengono inalterata la loro originaria vis polemica, il loro spirito in qualche modo spazialmente sovversivo.

Fra la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta soggiorna, in maniera sempre più frequente e per motivi di lavoro, all'estero, soprattutto in California ed in Corea del Sud. Nel 1987 il Museum of Contemporary Arts di La Jolla, San Diego gli dedica la prima personale americana, seguita da un'importante commissione da parte della Djerassi Foundation per nove grandi sculture da collocare nel parco della fondazione a Woodside (e che dovrebbero essere completate entro l'aprile 1998). Sempre nel 1987 è chiamato a Seul con l'incarico di realizzare una scultura permanente per il parco olimpico; da qui inizia anche un'attiva frequentazione della Corea del Sud per conferenze nelle università, progetti di installazioni, come quella realizzata al Contemporary Art Musem di Kwachon-Seul nel 1990 e mostre personali (Nine Gallery, Seul, 1994).

Ma i riconoscimenti non mancano neanche in Italia. Già nel 1987 il Comune di Milano gli dedica la prima importante personale alla Rotonda della Besana ; nello stesso anno realizza la grande scultura curva per il Centro d'arte Contemporanea "Luigi Pecci" di Prato. Del 1992 sono due importanti personali ancora a Milano, alla Galleria Erha ed alla Fondazione Mudima. Tra le realizzazioni più significative di questi ultimi anni vi è sicuramente l'installazione per il Symposium Internazionale di Scultura di Andorra, per il quale realizza una grande cerchio in acciaio rosso alto 12 metri e collocato sul fianco di un monte a Ordino d'Arcalis.

Nel 1996 realizza due grandi sculture per il rinnovato Contemporary Art Museum di San Diego. Nello stesso anno realizza una mostra di sculture in cemento rosso collocate presso il Parc Tournay-Solvay di Bruxelles su invito della Fondation Européenne pour la Sculpture.

Le opere di questi ultimi dieci anni rappresentano senza dubbio, per Staccioli, un'ulteriore e più complessa fase artistica, in cui le componenti più esplicitamente politiche o polemiche del suo discorso si allentano a favore di un discorso più raccolto intorno a temi esistenziali, ma sempre collegati ad una forte considerazione del problema della presenza dell'uomo nel mondo e del suo rapporto con l'ambiente. Le geometrie elementari delle opere si fanno così meno rigorose, meno acuminate e pur portando alle estreme conseguenze quel carattere di temerarietà e di sfida all'equilibrio statico sviluppato negli anni ottanta, lo addolciscono visivamente nella scelta delle soluzioni curvilinee, della rotondità, della circolarità o della sfera, che alludono al movimento come all'instabilità, alla conclusività come pure alla ricorsività. La relazione attiva con lo spazio non discende più da geometrie radicali e stranianti, ma dalla ricerca di un dinamismo, di un ritmo che sembra alludere ad una nuova e diversa armonia delle cose.

Il ruolo di primo piano che Mauro Staccioli ha assunto a partire dagli anni Ottanta nel panorama della scultura internazionale è comunque tale da accomunarlo meritatamente ai grandi e riconosciuti protagonisti contemporanei di questa disciplina, quali gli inglese Anthony Caro, Tony Smith, Philip King e l'italiano Arnaldo Pomodoro. Ciò avviene anche perché, come questi, anche Staccioli, in un'epoca di contaminazioni ed azzeramenti dei generi artistici cui comunemente si ascrive il carattere della postmodernità, rimane fedele ad una scelta di genere che inerisce, prima che alla sua personale poetica, alla sua stessa concezione dell'arte come ultima grande utopia, capace di rendere l'uomo più consapevole del suo rapporto con il mondo.

Così, per Staccioli la scultura continua a risultare, in senso tanto "classico" da essere quasi originario, dall'incontro, dal dialogo, dall'interazione fra opera e ambiente, giacché, come egli afferma, "Creare scultura significa esistere in un luogo" 2 . È evidente quindi che egli non pensa l'opera come oggetto in sé conchiuso ed autoreferenziale i cui confini possano essere dati dalla sua stessa struttura materiale. Nel suo caso, infatti, i confini dell'opera si allargano a comprendere il contesto, la "scena operativa", assumendo l'ambiente come elemento strutturale di un nuovo contenuto che l'opera accorda allo spazio e che aspetta di essere interpretato dall'uomo.

Quella di Staccioli è dunque una scultura che ripropone i temi perenni ed originari di questa disciplina: che vi è "spazio" solo se l'uomo lo "pensa" instaurando con esso un dialogo con i mezzi a sua disposizione (siano essi artistici, architettonici, tecnologici, o culturali); che questi mezzi, in questo caso la scultura, consentano all'uomo di vivere più autenticamente - e ciò significa anche più poeticamente ed insieme più criticamente - in mezzo alle cose.

La passione morale ed il rigore creativo con cui Mauro Staccioli da sempre svolge il proprio compito di artista fanno sì che le intense problematiche estetiche, culturali e sociali del suo lavoro si dispieghino con la forza e l'evidenza probante di un vero messaggio per l'uomo.



Una poetica dello spazio

L'idea che la scultura debba essere qualcosa di vitale, di energetico, che irrompe nella nostra vita ha sempre caratterizzato l'operare artistico di Mauro Staccioli, che evidentemente considera la dimensione collettiva - sia quella urbana che quella degli spazi aperti al pubblico o semplicemente aperti - come il luogo deputato di questo suo operare, che trova appunto il suo fine nella comunità. Inserita nella trama dei rapporti di questa comunità, l'opera di Staccioli si pone come elemento disgiuntore che tuttavia chiede, sollecita, suggerisce una diversa percezione del luogo fisico, dello spazio sociale, dell'ambiente culturale. Il movente non è il provocare o lo stupire, ma semmai l'intervenire, il mutare; è in altre parole una passione morale che apparenta Staccioli con i grandi utopisti che con l'arte vogliono cambiare il mondo. Ed egli lo fa partendo dalla dimensione più comune: quella dello spazio, che significa di volta in volta storia, natura, rapporti sociali, crocevia di vite e di vie, scambio. Vale a dire qualcosa che preesiste all'arte, ma con la quale l'artista deve sempre fare i conti, perché il percorso di senso che egli innesca è sempre indirizzato agli altri, a quelli che lo spazio lo popolano. Ed il suo fine è la condivisione.

Parlare allora di poetica dello spazio in Staccioli non significa attingere a suggestioni poetiche di spazi determinati, piuttosto cogliere la dimensione spaziale-fisica dell'elemento poetico, ovvero il suo essere collocato nella realtà del mondo. L'opera abbraccia con la sua materialità lo spazio, lo possiede e in ciò chiama noi a ripossederlo al di là delle sue apparenti ovvietà: «La scultura non trova più la sua funzione in opere di abbellimento o in quanto forma controllata ed autoreferenziale; essa si presenta invece come l'opportunità di una riflessione critica ed il suo scopo è di istituire rapporti rivitalizzati fra noi e il mondo.» (Mauro Staccioli) 3 .



Il problema dell'integrazione opera-ambiente

Le grandi installazioni di Staccioli sono state spesso ricondotte al clima del Minimalismo, ma, come fa notare Lara Vinca Masini , esse «in realtà si distaccano totalmente dall'ideologia minimalista ; non ne condividono infatti il concetto di totale riduttività di informazione col massimo, invece, di impatto visivo e uno degli scopi della Minimal, quello cioè di sconvolgere lo spazio nel quale si immettono per una loro totale estraneità4 . Più di recente il critico statunitense Hugh M. Davies è ritornato sull'argomento, ammettendo che mentre in termini puramente formali le sculture di Staccioli possono richiamare le strutture primarie del Minimalismo, in realtà se ne distaccano decisamente almeno per tre motivi: per il carattere personale e fisico dell'esperienza che presiede alla creazione sculturale (in contrapposizione all'atteggiamento impersonale e freddo degli artisti minimal); per l'uso di una geometria intuitiva piuttosto che razionale, pur se ugualmente elementare; infine e soprattutto per il tipo di rapporto che esse intessono inevitabilmente e ineluttabilmente con l'ambiente che le circonda, che non è certo di opposizione o di aggressione (come appunto nel credo minimal). Le opere di Staccioli sembrano possedere al contrario una piena consapevolezza del concetto classico di scultura, vale a dire la necessità di porsi in un rapporto diretto di interlocuzione con lo spazio nel quale si collocano, operando in esso come una sorta di strumento di lettura, molto spesso critica od al negativo, delle sue componenti ambientali. La necessità di questa interlocuzione (o interazione) implica che la relazione luogo-opera non sia mai casuale e che, pur nella ricorsività dei suoi elementi linguistici, ogni opera costituisca un fatto a sé, diversa dalle altre perché appunti differenti sono i contesti, le modalità e le intenzioni di lettura dell'artista.

Nel corso della sua attività, Staccioli ha operato per lungo tempo specificamente negli spazi urbani e questo è giustamente apparso il segno delle implicazioni morali e politiche che egli con passione annetteva al proprio lavoro di artista. Se si eccettua l'intervento presso il Parco di Villa Celle per la Collezioni Gori, che risale al 1982, è solo sul finire degli anni ottanta che Staccioli ha l'opportunità di aprire un dialogo lungo ed intenso con la natura, allorché è chiamato dalla Djerassi Foundation di Woodside, in California, a realizzare un complesso progetto che prevede l'installazione di nove opere all'aperto. La sua sensibilità di site sculptor, come l'ha definita Hugh M. Davies, ha qui da confrontarsi con l'assenza di riferimenti architettonici e/o culturali che invece di solito caratterizzano gli spazi urbani e che costituiscono unitariamente l'elemento antropico verso cui egli è portato a concentrare la sua attenzione di artista. Staccioli tuttavia non tarda ad individuare una soluzione: «rapportare le sue forme agli alberi, appoggiarle ad essi, ritrovando così una dimensione umana pur nel grembo dell'intrico naturale. Queste forme artificiali, insinuandosi tra i rami e incuneandosi nei tronchi, emblematizzano l'eterna dialettica dell'uomo nei confronti della natura: la volontà di soggiogarla, di sottometterla alle proprie esigenze, ma anche la possibilità della natura di sopraffare le realizzazioni umane, di stritolarle nel suo abbraccio mortale.» (Fabio Cavallucci) 5 .



La questione del site-specific

Nel vocabolario critico-interpretativo contemporaneo 6, il termine Site-Specific Art va riferito a quel tipo di interventi dell'artista in uno specifico luogo tesi a creare un lavoro che si integri con le particolari condizioni ambientali di quest'ultimo e che ne esplori le relazioni con la conformazione topografica, di qualsiasi genere essa sia (urbana, non urbana, marina, desertica ecc.). Nel senso più ampio, il termine si applica generalmente ad ogni intervento artistico sul paesaggio: sia manipolazioni permanenti (i cosiddetti earthworks), sia interventi a carattere più effimero o temporaneo. Ma il termine si applica anche ad installazioni ambientali o sculture create appositamente per spazi determinati, siano essi gallerie o luoghi pubblici. Ciò che caratterizza la Site-Specific Art non è dunque l'approccio utilizzato dall'artista (che può essere di qualsiasi genere), ma l'intenzione di integrarsi con il luogo e di ristrutturare, così facendo, l'esperienza percettiva e concettuale dell'osservatore.

È evidente tuttavia che nel caso di Staccioli la questione del site-specific non investe la dimensione processuale od ecologico-ambientale dell'operare artistico (come nel caso di artisti quali Robert Smithson, Richard Serra o Michael Heizer), ma piuttosto la ricerca di un coinvolgimento in senso "classico" della scultura con lo spazio che la renda capace di commentare e dare rilievo ad un preciso luogo attraverso la sua capacità di entrare in relazione con gli uomini e le cose e quindi, di fatto, di aprire nuovi orizzonti di senso che, heideggerianamente, consentano agli uomini di abitare autenticamente in mezzo alle cose.




NOTE

1 Staccioli è stato insegnante di discipline artistiche dapprima a Cagliari, poi a Lodi, quindi a Milano presso il Liceo Artistico di Brera, di cui è stato, a partire dalla metà d egli anni settanta, direttore ; infine a Lovere, ove dal 1981 è stato preside del Liceo Artistico Statale.

2 In STACCIOLI, a cura di Lea Vergine e Hugh M. Davies, Milano, Charta, 1997.

3 Cit., pag. 30.

4 Lara Vinca Masini, Mauro Staccioli, in Dizionario del fare arte contemporaneo, Firenze, Sansoni, 1992.

5 Cit., pag. 58.

6 Vedi, ad esempio, l'autorevole Guggenheim Museum A to Z, a cura di Nancy Spector, Guggenheim Museum Publications, New York, 1996.





 
fig. 1
Ordino d'Arcalis, Principato d'Andorra
acciaio rosso/redsteel, 1200 x 60 x 120 cm, anno 1991

 
fig. 2
Corso Italia, San Giovanni Valdarno, 1996

 
fig. 3
Corso Italia, San Giovanni Valdarno, 1996

 

Risali





BTA copyright MECENATI Mail to www@bta.it