Dalla pianura di Alcamo una strada immersa tra boschi, pini, cipressi, inizia a salire per condurre a quel concentrato di storia, arte e natura che fu un tempo il castello di monte Bonifato.
Il monte appare "altissimo" (la centrale delle sue tre vette raggiunge gli 826 metri), per il fatto che si eleva isolato dal paesaggio circostante, come una isola in un mare di verde: così lo cantò il poeta alcamese Liborio Dia:
'Nmenzu Palermu e Trapani
'Nmezu a' na gran verdura
c'è Bonifatu autissimu,
dignu di gran pittura
1
Esso fu considerato non soltanto come una meravigliosa torre di vedetta dominando l'immenso golfo di Castellammare a nord e tutti i paesi dell'entroterra a sud, ma anche come luogo facilmente difendibile specialmente per la parete a picco nel lato sud-est. In tempi imprecisati nell'area sommitale del monte si costituì un abitato la cui esistenza è documentata storicamente del periodo che va dal 1182 alla metà del secolo XIV, con flusso e riflusso di popolazione ai piedi del monte dove sorge Alcamo.
Se le notizie storiche ci riportano indietro al XII secolo, i molti reperti prevalentemente fittili affiorati nell'area a seguito del rimboschimento, latori di una certa identità con quelli ritrovati a Segesta durante gli scavi del 1953, hanno fatto supporre su Bonifato l'esistenza di un centro di cultura elima
2.
Anzi sembra certo che il villaggio di capanne i cui resti rimangono evidentissimi tra i pini e i cipressi, sia quello degli Elimi, riabituato nel Medioevo 3: da funzione di vedetta durante l'età tardo imperiale, divenne, a partire dal periodo di dominazione araba, centro di una certa consistenza, con una forte crescita tra l'età normanna e il XIII secolo, e, al contrario abbandonato nel periodo successivo 4.
Come accennato, il 1182 è la data del più antico documento relativo a Bonifato del quale riporta il toponimo: è il "Rollo" di concessione terriera della chiesa di Monreale, che attribuisce agli "omini di Bonifati" una divisa di 800 salme di terre di cui 600 seminative e le restanti a pascolo: "Divisa terrarum Duanae, quae sunt in partibus Bonifati et suntu in manibus hominum Bonifati ..." 5.
Altra data significativa è il 1243 allorchè Federico II, forse per una delle solite ribellioni dei villani arabi, costrinse gli abitanti cristiani di Bonifato a scendere ad Alcamo, deportando gli abitanti musulmani a Nocera e a Lucera 6, come riferito dal prof. C. Cataldo.
Nella prima metà del secolo XIV si assiste ad un flusso di popolazione a Bonifato: Federico III, infatti, nel 1333 concesse immunità, esenzioni, e grazie agli alcamesi che "ad abitationem terre Bonifati cum familiis, rebus et suppellectlibus eorum accederent" 7: gli alcamesi, incoraggiati dal privilegio, abbandonarono il proprio casale e si trasferirono sul monte.
Il 16 gennaio 1338 Pietro II, successo al padre Federico III, assegnò Bonifato in baronia a Raimondo Peralta, conte di Caltabellotta, confermandogli il possesso il 23 agosto 13408.
Cessata la egemonia dei Peralta, si instaurò quella dei Ventimiglia: ed infatti il 1363 vide signore di Bonifato Guarnieri Ventimiglia, che mirò a potenziare l'"azienda" di Labica, Gibellina, e Salemi, facendo di Alcamo un attivo centro commerciale: suo proposito fu consolidare un territorio dalle grandi possibilità ma trascurato prima di allora9.
Non smentendo l'attività del padre, il figlio Enrico estese la signoria in direzione di Giuliana e fece erigere il castello sul monte Bonifato a tutela del territori, sicuro rifugio in caso di necessità 10.
E fu proprio Enrico a dichiarare in uno dei concordati stipulati dal duca di MontBlanc con i baroni siciliani, l'8 febbraio 1397, di avere costruito il castello di Bonifato 11.
Non mancano al riguardo interpretazioni diverse: Mons. Regina parla di "Restauro" da parte di Enrico Ventimiglia 12, mentre Maurici attribuisce la paternità del castello a Federico III.
Varie, quindi, le ipotesi e a tal proposito non posso tacere l'opinione di M. Amari che parla di "natura musulmana" del castello 13 e così pure del Fazello che afferma: «E benché il castello, che fu edificato nella cima del monte da' Saraceni, stesse assai lungamente impiedi al tempo de' Cristiani, non di meno sotto l'impero di Martino re di Sicilia (...) egli fu rovinato, e si vedono ancora le sue rovine e il nome dura » 14.
Per ritornare ai Ventimiglia, le loro iniziative, se pure lodevoli, si ritorsero a loro stesso danno e furono proprio gli alcamesi che nel 1398 poiché Enrico si era reso « rebelle alla Regali Maiestati», a chiedere al re Martino « Ki lu castellu di Bonifato (...) digia veniri et essiri in putiri » degli alcamesi, « a li quali sia licitu farilu guardari oy farilu in tuttu dirrupari ».
Il re rispose decretando nel parlamento di Siracusa la distruzione di quel castello: "Castrum Bonifati diruatur" 15.
Il diroccamento fu solo parziale, come dimostra la torre e i resti tuttora esistenti.
La posizione del castello all'apice del monte non era niente di eccezionale per un Sicilia i cui rilievi montagnosi e collinari offrivano ai feudatari del medioevo delle difese naturali per impiantarvi le loro fortezze.
Era il periodo in cui l'isola era divisa in immense signorie patrimoniali, paragonabili a stati territoriali che vivevano di cerealicoltura e commercio, dominando le rotte dei cereali e dei formaggi verso la città di consumo o il porto di esportazione 16.
Il castello presentava impianto a corte, con icnografia a trapezio rettangolo, dalle basi rispettivamente a nord di m. 70 e sud di m. 28: il lato retto che univa le basi misurava m. 45, mentre il diagonale m. 60 circa.
Il lato inclinato e la base minore si affacciavano a S-SE, sul ciglio precipite della montagna,mentre il lato retto e l'altra base rispettivamente ad O e a N, adagiandosi sul declivio naturale che un tempo accoglieva l'abitato.
Ciò spiega lo spessore diverso delle mura: ridotto (m. 1,30) a S e ad E perché a piombo sulla roccia, di m. 1,40 a N e ad O al fine di compensare la vulnerabilità del sito, di più facile accesso da questi lati.
Le dimensioni della costruzione piuttosto ridotte rispetto a quelle di altri impianti militareschi, la fanno apparire come un castelletto costruito non per azioni belliche di massa, bensì come rifugio fortificato per avvistamenti e segnali o difesa da bande brigantesche 17.
Il perimetro, infatti, era rafforzato dalla presenza di quattro torri angolari: una all'angolo S-O; una all'angolo N- O la più alta; una a N-E sulla roccia, dove inizia la stretta rampa d'accesso alla corte; una mediana sul lato N.
Il mastio e i resti esistenti parlano di pianta rettangolare o quadrata delle torri, articolate in modo che le volte potevano essere adoperate come copertura o come solai da ripiano 18.
Nessun elemento rimasto consente di identificare l'ingresso al castello: l'unica interruzione delle mura compatibile con un passaggio è dal lato meridionale e qui probabilmente doveva trovarsi la porta, al di là di un fossato, superabile con un ponte mobile presumibilmente trasformato nell'attuale cisterna sotto l'area della chiesa: in questi pressi, secondo la testimonianza del Filangeri che si rifà ad una notizia del XVI secolo, furono trovati i resti di un'antica icona della Madonna, rimasta interrata dai franamenti delle mura: logica l'icona presso un'ingresso 19 e proprio in quel sito, nel XVI secolo, quando le strutture erano fatiscenti, fu costruita una chiesa, la chiesa della Madonna dell'Alto, ad opera di tre frati: Antonino La Melodia, Vito Faraci, Giuseppe La Chelba, come risulta dall'atto stilato dal notaio P. A. Balduccio il 9 Ottobre 1958. 20
Non si sa se il castello abbia ripetuto l'impianto di un precedente "φрoυрιoν" (fortezza), considerata l'analogia dei resti con le mura di Erice, in particolare della torre centrale sul lato settentrionale con la torre cava tra porta Spada e porta Carmine o meglio, rispecchiasse gli schemi del castellaccio (castello di monte Caputo) di Monreale, costruito per sorvegliare il territorio dell'arcidiocesi i cui religiosi esercitarono per molto tempo il controllo su Bonifato 21.
Si può comunque affermare che gli elementi costruttivi che oggi rimangono della fortezza, plausibilmente sono ascrivibili alla tradizione militaresca sveva, evidente nelle fortezze federiciane.
La costruzione, nel complesso, rivela l'eclettismo caratteristico dell'architettura siciliana del XIV secolo 22.
Delle torri rimane la principale, ossia quella di N-O, comunemente nota come saracena, appellativo frequente dato alle torri, da intendersi non nel senso che furono costruite dagli antichi dominatori islamici della Sicilia, bensì da coloro che proprio dai Saraceni ed in genere dai razziatori musulmani avevano ragione per difendersi 23.
Aveva la funzione di mastio e tal fine, coerentemente all'architettura militare di origine orientale di cui la nostra cultura avrà fatto tesoro durante le Crociate, anziché essere ubicata nel punto più inaccessibile e meglio difeso, con esperienza assai evoluta, fu posizionata in modo da guardare due lati della cinta di mura (N-O) e la strada che porta al castello sorvegliando direttamente l'ingresso, eventuale punto vulnerabile della difesa.
A pianta rettangolare poggia direttamente sulla roccia e si sviluppa in altezza per circa m. 19 dal suolo dalla parte del pendio O, con leggere rastremazioni e riseghe esterne.
In origine doveva essere composta di tre piani fuori terra, compresa la copertura terminale con volta a botte, più il piano terreno. L'accesso era dal alto est, all'altezza del primo piano, molto probabilmente attraverso una scala esterna, forse in legno, che si partiva dalla corte, come fanno supporre certi fori disposti diagonalmente sul parametro del muro E, che ho notato mentre visitavo il castello.
Oggi la scala non esiste più e il visitatore dalla corte, attraverso una breccia nel muro munita di cancelletto, accede al piano terra.
Ai suoi occhi si presenta un unico spazio interno: colpiscono la presenza in alto dell'arcone trasversale in parte crollato, i resti della volta di copertura attestati su detto arcone, le tracce della scala ricavata nello spessore dei muri, ricoperte oggi da cemento per restauro conservativo e la traccia, a sud, di quello che poteva essere un camino.
Un muro trasversale, divide il piano terra in due locali: uno di m. 8,50 per m. 5 circa, illuminato da due feritoie esterne, fungeva forse da secreta o deposito cui si accedeva dall'alto, cioè dal primo piano; l'altro privo di aperture, adibito probabilmente a cisterna, come fanno supporre la botola nell'angolo sinistro della volta di copertura e i resti di tubi di terracotta: essa, raccogliendo l'acqua piovana attraverso una grondaia che partiva dal vertice della volta, approvvigionava la fortezza di acqua potabile.
Lo spazio restante, molto probabilmente, era così ambientato: al primo piano due stanze, separate da un muro divisorio, di cui una con camino, l'altra (in corrispondenza della cisterna) rimaneggiata in età barocca con un'apertura a finestrone, di cui rimangono tre mensoloni: fa fede l'attestazione documentaria del "Libro 1º dei Conti della Congregazione dell'Alto (1644-66)" sulle "riparazioni" della Chiesa e del Castello: "Onze 2 a m.ro Matteo d'Artali, perriatore (intagliapietre), per aver fatto e lavorato 3 gattuni (mensole) e dui balati (lastre di pietra) per lo finistrone della torre" (18 Novembre 1659) 24.
La stessa ambientazione si ripeteva al secondo piano.
Il terzo presentava la copertura con volta di pietra, che fungeva anche da solaio incombustibile dando la possibilità di fare sopra di essa fuochi e fumi per le segnalazioni.
Il mastio rispondeva, infatti, all'idea della sorveglianza e della volontà di difesa: l'accesso dal primo piano condizionava la penetrabilità mentre i buchi nei muri ad altezza quasi del calpestio della copertura erano probabilmente utilizzati come ancoraggi, creando eventuali ballatoi di emergenza 25.
Ci troviamo di fronte ad una costruzione che doveva essere staticamente precisa, anche se poco indulgente a motivi espressivi e formali; a tal fine vennero usati accorgimenti di consumata esperienza: riseghe atte alla disposizione delle centinature per la costruzione delle volte, fori per i rinforzi alle centinature stesse, volte acute, l'arcone trasversale in grado di ridurre le spinte, stante la sollecitazione massima nelle strutture all'altezza della copertura.
Gli unici elementi formali sono gli appoggi per gli architravi sopra le finestre dove piccole mensole, a volte, hanno valore di peduccio.
Si tratta comunque di forme espresse con rudezza, dovute forse al materiale di difficile lavorazione: infatti la pietra usata era quella proveniente dalla roccia, molto dure e impiega a conci molto piccoli. Come cementante veniva usata la malta locale, detta torba. Solo per gli stipiti, architravi venne utilizzato un calcare meno compatto, proveniente da Castellammare.
Il castello di monte Bonifato non è l'unico in Sicilia: la storia complessa, tormentata dell'isola ne ha fatto una terra di castelli.
Posta al centro del Mediterraneo, è sempre stata luogo di varie dominazioni: la difesa dai musulmani impose ai bizantini l'erezione di mura e fortilizi mentre la conquista normanna rese necessario il controllo con la costruzione di residenze fortificate; in tal senso operarono Ruggero II, primo re di Sicilia dal 1130 al 1154, Guglielmo I il Malo, secondo monarca dal 1154 al 1166 e Guglielmo II il Buono dal 1166 al 1189. Allo stesso modo le "turbationes" seguite alla morte di Guglielmo II, costrinsero Tancredi, re dal 1190 al 1194 e il successore Guglielmo III a dar vita ad insediamenti fortificati.
Col passaggio della Sicilia agli svevi, in seguito al matrimonio dell'ultima erede degli Altavilla, Costanza, con Enrico VI figlio di Federico Barbarossa, si rompono gli equilibri fra i cristiani e gli islamici, per cui i musulmani non più rassicurati dall'autorità regia, si arroccano sulle montagne in stato di ribellione: per questo si assiste al tempo di Federico II alla fioritura di un'architettura fortificata.
Anche la Sicilia aragonese per difendersi dagli angioini di Napoli, della Francia e dal papato di Bonifacio VIII, si circondò di nuove mura e si punteggiò di castelli: al tempo di Federico III e ancor di più di Federico IV e di sua figlia Maria, la grande feudalità comitale costruì castelli e fortilizi per la difesa dei feudi, il controllo delle strade, dei porticcioli d'imbarco dei cereali 26.
Quindi non è difficile trovare degli elementi di paragone tra castelli siciliani.
Ed infatti il nostro castello di monte Bonifato si erge su un piano non dissimile da quello di Cefalà, anche se quest'ultimo più esteso.
Nei due casi si tratta di un trapezio rettangolo più o meno regolare, dominato da una torre a tre livelli e suddivisa verticalmente in due 27.
Sono entrambi esempi di una sicilianità sommersa del passato, recuperata e valorizzata grazie all'impegno di benemeriti studiosi che ne hanno permesso la divulgazione e la conoscenza.
Ringraziamenti:
Ai Professori F. Maurici e A.M. Schmidt ed in particolare modo a Giovanni Ettari ed Enza Stabile per gli incoraggiamenti ricevuti.
NOTE
1
«Tra Palermo e Trapani, in mezzo ad una lussureggiante vegetazione si eleva il monte Bonifato degno di essere ritratto», L. Dia, 'Ntornu a lu santuariu di munti Bonifatu, Alcamo, 1932.
2
C. Filangeri, Bonifato: Castello dei Ventimiglia di Alcamo, in "Atti della Società Trapanese per la Storia Patria", a cura di G. Di Stefano e S. Costanza, Trapani 1971, p. 9.
3
C. Filangeri, Bonifato, cit. 7., 1961, P. 10
4
A. Filippi, Antichi insediamenti nel territorio di Alcamo, Alcamo 1996, p. 76.
5
M. Del Giudice, Descrizione del R. Tempio e Monastero di S. Maria La Nuova, Palermo 1702, appendice 14.
6
C. Cataldo, Accanto alle aquile, Alcamo 1991, p. 28.
7
P. M. Rocca, Delle muraglie e porte della città di Alcamo, in "Arch. Stor. Sic." Vol. XI, pp. 450 e ss.
8
C. Cataldo, Accanto ..., cit., 1991, p.28.
9
C. Filangeri, Bonifato ..., cit., 1971, pp. 9-12.
10
C. Filangeri, Bonifato ..., cit., 1971, p. 12.
11
C. Filangeri, Bonifato ..., cit., 1971, p. 6.
12
V. Regina, Profilo storico di Alcamo e sue opere d'arte dalle origini al secolo XIV, Trapani 1972, p. 33.
13
M. Amari, Storia dei Musulmani in Sicilia, vol. III, Catania 1939, p. 845.
14
T. Fazello, Storia di Sicilia, vol. I, Palermo 1817, p. 424.
15
« Che il castello di Bonifato debba essere in potere degli alcamesi ai quali sia lecito conservarlo o
diroccarlo », C. Cataldo, Accanto ..., cit., 1991, p. 29.
16
E. Lesnes- F. Maurici, Extrait des "Mèlanges de l'Ecole Française de Rome", Moyen Age, Tome
105 - 1993-1 : Historie du territoire et de l'habitat.
17
C. Filangeri, Bonifato ..., cit., 1961, p.7.
18
C. Filangeri, Bonifato ... cit., 1961, p. 21.
19
C. Filangeri, Bonifato ..., cit., 1961, p. 24.
20
Not. P. A. Balduccio, Bastardello del 1568-69, in "Archivio dei Notai defunti alcamesi" presso la Biblioteca comunale di Alcamo.
21
C. Filangeri, Bonifato ..., cit., 1961, p. 17.
22
C. Filangeri, Bonifato ..., cit., 1961, p. 17.
23
F. Maurici, Le torri costiere della Sicilia, Palermo 1985, p. 3.
24
C. Cataldo, Accanto ..., cit., 1991, pp. 34-35.
25
C. Filangeri, Bonifato ..., cit., 1961, p. 25.
26
G. Vaccaro, Presentazione in Castelli medievali di Sicilia, Palermo 2001, pp. 20, 21, 22, 23
27
E. Lesnes - F. Maurici, Extrait ..., cit., 1993
BIBLIOGRAFIA
M. Amari, Storia dei musulmani in Sicilia, Catania, 1936;
Not. P. A. Balduccio, Bastardello del 1568-69 in Archivio dei notai defunti alcamesi presso la Biblioteca comunale di Alcamo;
C. Cataldo, Accanto alle aquile, Alcamo, 1991;
F. D'Angelo, Insediamenti medievali nel territorio circostante di Castellammare del Golfo, in archeologia Medievale, IV, 1977;
M. Del Giudice, Descrizione del R. Tempio e Monastero di S. Maria La Nuova, Palermo, 1702, appendice 14;
Liborio Dia, 'Ntornu a lu santuariu di munti bonifatu, Alcamo, 1932;
T. Fazello, Storia di Sicilia, Palermo, 1817;
C. Filangeri, Bonifato: Castello dei Ventimiglia di Alcamo in "Atti della Società Trapanese per la Storia Patria" a cura di G. Di Stefano e S. Costanza, Trapani, 1971;
A. Filippi, Antichi insediamenti nel territorio di Alcamo, Alcamo, 1996;
M. Amari, Biblioteca arabo - sicula, Roma, 1882;
Elisabeth Lesnes - F. Maurici, Extrait des Mèlanges de l'Ecole Française de Rome-Moyen Age, Tome, 105- 1993-1: Histoire du territoire et de l'habitat;
F. Maurici, Le fortezze della Sicilia Musulmana in Regione Siciliana, bollettino B.C.A.-Palermo, n. 1-2, 1988-89;
F. Maurici, La Sicilia di Federico II Città: Castelli e Casali, Palermo, 1995 ;
F. Maurici, Le Torri costiere della Sicilia, Palermo, 1985;
F. M. Mirabella, Memorie biografiche alcamesi, Alcamo, 1924;
S. Mazzarella - R. Zanca, Il libro delle Torri, Palermo, 1985;
Rocco Pirri, Sicilia Sacra, Vol. II, Palermo, 1733, ristampa anastatica, Palermo, 1987;
V. Regina, Profilo storico di Alcamo e sue opere d'arte dalle origini al secolo XIV, Trapani, 1972;
P. M. Rocca, Delle muraglie e delle porte della città di Alcamo, in Archivio Storico Siciliano nuova serie anno XIX 1894, Palermo, 1894;
Vaccaro, Presentazione, in Castelli medievali di Sicilia, Palermo, 2001.
|