Rimini: All'inizio del XIV secolo era ormai nota l'importanza di Venezia nel panorama del bacino dell'Adriatico. Tuttavia, la sua non era una supremazia solamente politica. Il suo cosmopolitismo, l'accoglienza e la curiosità che riservava a culture lontane e diverse, la rendeva una città vivace, che nelle diversità che ospitava riconosceva la sua ricchezza più grande e caratteristica. Le navi che solcavano il mare avevano allora raggiunto anche Bisanzio, che dopo tanti anni di relazioni più o meno pacifiche, i veneziani avevano conquistato nel 1204, insieme ad una considerevole parte del suo territorio imperiale. Il doge di allora, Enrico Dandolo, aveva addirittura proposto di eleggere quella città così splendida a nuova capitale della Serenissima.
Ma come « Graecia capta ferum victorem cepit », Bisanzio riuscì a conquistare a sua volta Venezia, importandovi alcuni tratti propri della sua cultura: così, come anche l'ultimo doge di Venezia, Lodovico Manin, avrebbe indossato il "corno", il tipico cappello dogale che riprendeva la foggia dei copricapo dei dignitari dell'impero d'Oriente, così anche la magnifica arte di Bisanzio entrò nelle botteghe degli artisti e nelle chiese della Serenissima. Ma per giungere a Venezia, l'arte bizantina doveva passare per i Balcani, risalire l'Adriatico, passare per terre da cui attingeva le espressioni artistiche locali. D'altra parte, la tradizione della pittura veneta stava per essere rivoluzionata dall'arrivo di Giotto, che nel 1306 avrebbe terminato gli affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova.
Venezia accolse tutto, l'arte di Bisanzio, l'arte dei Balcani, l'arte rinnovata di Giotto, e ne derivò una sintesi originalissima, che avrebbe riscosso un enorme successo sia nel tempo - gli influssi di questo particolare stile erano presenti ancora nel Quattrocento - sia nello spazio, dal momento che l'Adriatico divenne il bacino di diffusione e contatto di quella che si prospettava come una nuova koinè artistica.
La mostra Il Trecento Adriatico. Paolo Veneziano e la pittura fra Oriente e Occidente è stata inaugurata durante quest'ultima edizione del Meeting di Rimini, che già aveva posto l'accento sulla "contemplazione della bellezza". Una mostra che ripercorre questo straordinario momento artistico, di cui ha scelto Venezia come centro, in quanto centro degli scambi nel bacino adriatico, e il Trecento come secolo in cui questa koinè fu più coesa. Figura paradigmatica di questo periodo è stato eletto Paolo Veneziano, pittore di cui non si hanno molte notizie, ma la cui attività viene attestata dagli storici fra 1320 e 1362. Di lui si sa che fu il capostipite di una famiglia di pittori, e che firmava le sue opere con la formula « paulus de veneciis pinxit hoc opus »: la prima opera che reca questa firma è il Polittico con la morte della Vergine, eseguito per la chiesa di San Lorenzo a Vicenza. Ancora vicino alla tradizione romanica, Paolo Veneziano subì però il fascino di Bisanzio: ne riprese i visi scarni, scuri e allungati dei personaggi ritratti, la ieratica bidimensionalità tipica delle icone. Ma nello stesso tempo, gli conferì nuova vitalità, nuovo splendore, con i preziosismi di quei gioielli e tessuti preziosi che vedeva nelle botteghe e indossati dalle belle nobildonne della sua città e che fece esibire a santi, martiri, Madonne. Figure che, poco a poco, venivano disegnate con tratti più morbidi, meno geometrici, e che acquisivano nello stesso tempo più fisicità, più emotività, a dimostrazione che Paolo Veneziano aveva appreso la lezione padovana di Giotto ma anche che l'arte veneziana stava costruendo una sua nuova, peculiare identità.
La bottega di Paolo Veneziano era un pullulare e un compenetrarsi di tradizioni pittoriche, portate dagli artisti stranieri che vi giungevano, risiedevano e studiavano, per poi ripartire portando nelle loro terre altre espressioni artistiche. Nella bottega di Veneziano lavorarono soprattutto artisti dalmati, croati, serbi, greci: il pittore di Zara Nicolò de Cipriano de Blondis arrivò a Venezia come soldato, entrò nella bottega di Veneziano e vi rimase per cinque anni. Tornato poi a Zara, vi eseguì un crocifisso per la chiesa dei francescani, che testimonia ciò che aveva appreso. La presenza di artisti slavi nella città veneta secondo alcuni è attestata anche dagli stessi mosaici del duomo di Torcello, che sarebbero opera di artisti dalmati. A Caorle nel duomo di Santo Stefano, lavorarono allievi di Veneziano che riproposero nelle tavole degli Apostoli gli influssi bizantini dell'arte del maestro. Gli affreschi della chiesa di San Zan Degolà in Santa Croce richiamano quelli della chiesa serba di Sopoçani; inoltre, in alcune tavole veneziane i legami con il mondo bizantino e gli influssi serbi e macedoni, sono evidenti, come appare ad esempio nella Madonna col Bambino del Museo Marciano di Venezia.
Ma erano anche le opere veneziane ad essere richieste in tutto il bacino Adriatico: il patrizio Nicola Lucaric aveva commissionato a Paolo Veneziano un superaltare per la cappella di famiglia nella chiesa dei domenicani di Dubrovnik. La pala è oggi dispersa, ma è certo che venne eseguita, e pagata profumatamente, come si legge nel testamento di Lucaric del 1352. A Pirano d'Istria la cattedrale di San Giorgio conserva un meraviglioso polittico di Paolo Veneziano con la Madonna, la Crocifissione e nove santi. Committenti dalmati richiesero ad artisti di Venezia polittici, paliotti, croci dipinte, che oggi ritroviamo nei musei della penisola istriana, di Spalato, Zara, Belgrado.
Venezia alla metà del Trecento aveva ormai assimilato l'arte bizantina, rielaborata consapevolmente, e si avviava ad accogliere la novità del gotico, un'evoluzione che è ben testimoniata dalle vicende della Pala d'oro di San Marco. Eseguita da maestri orefici bizantini, aveva subito delle modifiche nel X e XIII secolo. Il doge Andrea Dandolo, fra il 1343 e il 1345 la fece rivisitare da orefici veneziani che però, nel frattempo, avevano appreso le tecniche degli artigiani di Bisanzio, soprattutto per la lavorazione dei cristalli. E nel 1345 fu proprio Paolo Veneziano ad eseguire quella Pala Feriale che doveva ricoprire la Pala d'oro nei giorni non liturgici: con la Pala Feriale, il pittore dimostrò che ormai l'arte a Venezia era attratta dalla preziosità e dalla morbidezza del gotico. I suoi figli Giovanni e Luca, che lavorarono con lui alla Pala Feriale, avrebbero proseguito la loro attività dipingendo anch'essi con uno stile sempre più goticheggiante.
Man mano che si dimentica dell'arte bizantina, Venezia perde il suo ruolo predominante di scambio e convergenza dell'arte nell'Adriatico, ruolo che passa alle città dell'area emiliana e marchigiana. Le scuole di Rimini e Faenza riprendono quelli che sono gli ultimi accenti di bizantinismo; ad Ancona giunge il pittore Giorgio da Sebenico, altri pittori dalmati lavorano a Fermo e Pesaro, mentre ad Urbino il duca Federico da Montefeltro chiama l'architetto di Zara Luciano Laurana perché porti avanti la costruzione del suo palazzo. Ma ormai siamo entrati nel Quattrocento, e il Rinascimento è alle porte.
Intorno alla figura di Paolo Veneziano, la mostra di Rimini ricostruisce la complessità di questa manifestazione artistica che unì le terre affacciate sull'Adriatico, mare che non venne considerato una barriera, bensì un mezzo di comunicazione. Un mare che non allontanava, ma avvicinava culture che confrontavano le proprie caratteristiche, acquisendone altre, in un melting pot dai tratti modernissimi. Le circa settanta opere che costituiscono la mostra, in gran parte tavole dipinte, ma anche miniature, affreschi, mosaici e pezzi di oreficeria, vengono dalle due sponde dell'Adriatico, e si assomigliano sorprendentemente nella luminosità dell'oro, la vivacità dei colori, l'evolversi e poi il ripetersi di caratteri peculiari. La stessa direttrice del Comitato scientifico della mostra, Francesca Flores d'Arcais, ha spiegato che fine della mostra è « seguire la possibilità di un confronto, toccare con mano la circolazione di opere e di idee ».
La mostra propone anche due opere inedite di Paolo Veneziano, giunte in Italia dall'Istria nel 1941 e che da allora giacevano chiuse in casse nel deposito di Palazzo Venezia: un Polittico con Vergine e Santi e una Crocifissione. In mostra, e difficilmente visibili altrove, sono anche quattro tavole veneziane conservate al Museo nazionale di Belgrado. Grazie alle Soprintendenze delle città dell'Adriatico, quelle ai Beni Artistici e Storici di Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì, Cesena, Rimini, delle Marche, di Venezia e del Veneto e quelle ai monumenti di Parenzo - Pola e Spalato, è possibile oggi ricostruire quel periodo ed apprezzare attraverso l'arte quell' "amicizia fra i popoli" del passato che proprio il Meeting di Rimini ha auspicato per il futuro.
Castel Sismondo, sale della Rocca Malatestiana.
Fino al 29 dicembre.
Orario: tutti i giorni 9.30 - 19.00. Chiuso i lunedì non festivi.
Per informazioni: 0541-783100.
Sito Internet:
http://www.meetingrimini.org/
|