Quando nel 1959 venne inaugurata la nuova sede del museo torinese, già era pressante il desiderio di ampliare la collezione con ciò che di nuovo e stimolante proveniva dal panorama italiano. Ma, com'è noto, le risorse sono limitate e il periodo storico non era dei più floridi. L'operazione compiuta dalla Fondazione CRT, dopo quella dedicata alla Transavanguardia per il Castello di Rivoli, è consistita nell'acquisizione di circa quaranta pitture depositate in permanenza alla GAM: una iniziativa che è salutata con particolare soddisfazione da quanti auspicano un'integrazione del patrimonio della Galleria.
La presente mostra è in grado di fornire oggi un panorama direi esaustivo di quel lungo decennio iniziato al tramonto degli anni Quaranta e terminato all'alba dei Sessanta, connettendo i lavori già posseduti con le tele appena giunte. Dal punto di vista dell'allestimento, sono naturalmente segnalate le nuove acquisizioni, presenti al primo piano della galleria accanto alle opere già possedute dei medesimi autori; al pianterreno, invece, sono presenti alcune altre tele di artisti il cui patrimonio la GAM non ha integrato.
In quest'ultima sezione, spiccano la linearità sbavata dell'Aquilone (1955) di Gino Gorza e la matericità di Sergio Saroni, che sfrutta in Figura e squarto (Presenze) (Studio per figura) (Figura rossa) (1957) la lucentezza dello smalto, creando una composizione "glassata" che sfiora la figuratività. In Figura (1958), anche Piero Ruggeri ricorre allo smalto, ma l'esito è differente grazie al contrappunto dell'olio: i grumi carminio resi dolci dalla copertura movimentano la bicromia della piccola tela, conferendogli una dinamicità quasi improvvisa. Arturo Carmassi è presente con Composizione (1958) e utilizza la furia cromatica al centro del supporto per far risaltare l'inesorabile avanzata delle ombre provenienti dalla parte sinistra della tela. L'Avventura morfologica (1958) di Arturo Becchis pare invece prendere avvio da un raggismo sul quale s'impiantano sparsi blocchi materici dall'aspetto spugnoso, come a destabilizzare le ordinate linee di forza. Chiudendo la sintetica cronaca di questa prima fase della mostra, vanno ricordate due piccole tele di Carol Rama, premio alla carriera nell'edizione 2003 della Biennale lagunare: La linea di sete (1954) regala colori accesi, in particolare un giallo assai solare per l'opera della torinese, e figure oblunghe la cui longilineità è come frammentata da rettangoli neri; la Composizione del 1959 restituisce invece una Rama più riconoscibile - per quanto la sua opera sia un esempio di dinamicità senza pari -, sfoderando la porverbiale matericità eruttiva e passionale, che sembra sul punto di esorbitare dal supporto per catapultare all'esterno le colonne di colore.
Salendo al primo piano della GAM si accede al cuore della mostra. I nomi illustri sono immediatamente presenti con alcune fantastiche opere di Alberto Burri. Ma in questa sede ci vorremmo concentrare su alcune nuove acquisizioni di particolare rilievo.
Risalta il Labirinto n. 12 (1958) della trapanese Carla Accardi, con la sua perizia dal sapore calligrafico bianco su nero; la provocatorietà espressa da Gastone Novelli in Merde sur ma merde (1957), ove un approccio cupo e materico rivela la rabbia che scaturisce da un ambiente industriale; la Carta segreta (1959) di Achille Perilli, con la sua sabbia e la sua colla, in un certo modo richiama l'opera di Novelli, ma qui la cifratura sprofonda nel colore anziché pulsare verso l'esterno. Il trompe l'oeil di Piero Dorazio, esemplificato da Tantalo T (1958-59), trasmette l'impressione di un tessuto vaporoso e traghetta lo spettatore verso un'illusione ove è assente ogni ludicità: Le voci del silenzio (1958) di Emilio Scanavino sono emergenze nero su nero che ricordano gli inquietanti "cavalieri petroliferi" di Luigi Stoisa, anche se in questo caso un particolare accento straniante è dato dalla nervosa informalità della tela. L'Immagine in pericolo. Moulin rouge (1960) di Mattia Moreni è una grande tela di circa quattro metri quadrati: la furia delle pennellate cancella e oscura una irriconoscibile figura sottostante e ricorda non solo il ritratto di balzachiana memoria, ma soprattutto alcune opere degli anni quaranta di Francis Bacon. Un effetto curioso ci è offerto dall'allestimento frontale di Immagine del tempo 3V (1959) di Emilio Vedova e di A proposito di Venezia (1958) di Tancredi (Parmeggiani): pare di assistere a un divertito diverbio fra l'aggressività materica dei bianchi e dei neri di Vedova e la sorniona quadrettatura multicolore di Tancredi. Infine, non può non impressionare la monumentale tela di Pinot Gallizio intitolata I sortilegi 1 (1960-61): il ricordo balza a un'epopea fantasy palustre di rara suggestività, dove tuttavia emergono forme geometriche infantili che sconclusionano la composizione; certo che una sala più ampia sarebbe preferibile, così come un luogo ove sedersi per osservare che sia centrato.
Per concludere, un accenno al catalogo: sono riprodotte in grande formato tutte le opere esposte - dunque non solo le nuove acquisizioni, come spesso accade in queste occasioni - e i saggi di Francesco Poli, Fabrizio D'Amico, Claudio Spadoni e Maria Grazia Messina offrono un puntuale quadro della pittura italiana e non solo degli anni Cinquanta, permettendo di approfondire la conoscenza del periodo e di apprezzare una stagione tanto florida.
La Mostra
Pittura degli anni Cinquanta in Italia
(Acquisizioni Fondazione CRT - progetto Arte Moderna e Contemporanea per le collezioni della GAM)
Dal 29 maggio al 31 agosto 2003
Torino, GAM
http://www.gamtorino.it
Catalogo GAM, euro 25
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