bta.it Frontespizio Indice Rapido Cerca nel sito www.bta.it Ufficio Stampa Sali di un livello english
Il fascino del legno: la Deposizione del Duomo di Tivoli  
Loredana Angiolino
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 10 Ottobre 2003, n. 343
http://www.bta.it/txt/a0/03/bta00343.html
Precedente
Successivo
Tutti
Area Didattica

La mancanza di un interesse specifico per la conoscenza delle testimonianze della scultura lignea si avverte già nel pensiero teorico del '500, dove veniva declassata e addirittura trascurata rispetto alla scultura in marmo, ritenuta superiore e unica degna di attenzione.
Tale atteggiamento ha continuato ad influenzare negativamente, nei secoli successivi, lo studio e soprattutto la conservazione dei manufatti lignei di epoca medioevale e rinascimentale.
È solo alla fine del XIX secolo e all'aprirsi del XX che nell'ambito di una ripresa d'osservazione per la scultura si palesano le prime argomentazioni di natura teorica e tecnica volte a riformulare lo sviluppo della scultura lignea. Ancora oggi persistono fondamenti incerti per renderne agevole un esame complessivo e chiarimenti conclusivi nonostante che, a dispetto delle perdite e delle dispersioni, ne siano rimaste testimonianze cospicue, soprattutto in aree geograficamente appartate.

A distanza di quasi mezzo secolo i principali punti di riferimento critici per lo studio della scultura lignea, e più in particolare sulle Deposizioni lignee dell'Italia centrale, sono ancora offerti dalle pagine del volume La Scultura Lignea Italiana di Enzo Carli del 1955 1. Per un più adeguato apprezzamento dello sviluppo di tali manufatti appaiono significativi i tentativi più recenti - Sacre Passioni. Scultura lignea a Pisa dal XII al XV secolo 2 - impostati su una valutazione comparata tra i gruppi individuati e quanto si conosce della scultura lapidea e che hanno consentito di inquadrare le opere esaminate in un contesto più ampio e articolato.

A chiarire le ragioni del percorso di tali manifestazioni artistiche, in qualche modo secondarie entro il panorama della più documentata scultura in marmo, propongo possa contribuire la permanenza a Roma, nel Museo di Palazzo Venezia, del gruppo della Deposizione proveniente dalla Cattedrale di San Lorenzo di Tivoli 3, subordinato agli interventi di restauro della chiesa. Tale raggruppamento offre infatti l'opportunità di riconsiderare il problema dei suoi esordi, degno di interesse per la ricostruzione della fitta trama di rapporti culturali intercorsi tra le varie città dell'Italia centrale nei secoli XII e XIII. L'opera lignea - originariamente nella chiesa di San Pietro Maggiore, ora "La Carità" fu trasferita in Cattedrale nel secolo XVII, nella prima cappella a destra del presbiterio- è scolpita in legno di pioppo, rivestito di pergamena e tela dipinta di cui si conservano solo alcune tracce.

È un gruppo composto da cinque figure: Cristo sulla croce, con i piedi inchiodati, leva le braccia simmetricamente verso Giuseppe d'Arimatea, in origine sulla scala e pronto ad accoglierlo, e Nicodemo che sta procedendo a togliere i chiodi. Ai due lati estremi Maria e l'Evangelista sembrano, col protendere la braccia verso il Redentore, accompagnarne la discesa dalla croce. Sull'estremità verticale di quest'ultima un angelo in volo chiude a coronamento l'aggruppamento. La salda compatezza di impianto delle figure - non sempre rispettata nelle varie sistemazioni del gruppo - è venata dall'accorato e afflitto atteggiamento delle figure dei dolenti, resi con accentuata delicatezza nel modellato e sapienti trapassi calibrati che ne smussano le angolature; la forme "affusolate" 4 sono corroborate da sottili e leggere scannellature nelle pieghe dei vestiti e del perizoma di Cristo.

La fonte per la caratterizzazione dello schema iconografico è costituita dalla narrazione dei quattro vangeli, dove l'episodio è brevemente descritto : Giuseppe d'Arimatea, un ricco e rispettato membro del Sinedrio e, segretamente, discepolo di Gesù ottenne da Ponzio Pilato il permesso di staccare dalla Croce il corpo di Gesù; preso il lenzuolo di lino andò sul luogo della crocefissione insieme a Nicodemo. Giunti sul Golgota, calarono dalla Croce il corpo di Gesù e dopo averlo cosparso di unguenti, lo fasciarono con le bende e lo deposero in un sepolcro nuovo. Gli Apocrifi non aggiungono nulla a quanto riferito dai Vangeli Canonici, la stessa presenza di Maria e dell'Evangelista nella scena della deposizione, viene supposta come possibile dal momento che le due figure avevano assistito alla Crocefissione del Redentore 5. Lo schema invero particolare, adottato nelle deposizioni lignee italiane, non trova nella tradizione iconografica del soggetto i suoi immediati presupposti, essendo il risultato di un complesso e lento sovrapporsi di elementi di diversa origine e tradizione, la cui conseguenza è la sorprendente uniformità dei gruppi, di pura invenzione italiana. All'originario prototipo siriano del IX secolo infatti, che si attiene fedelmente al racconto evangelico presentando solo le tre figure di Gesù, di Giuseppe d'Arimatea e di Nicodemo, si affianca il gesto speculare e commosso di Maria e Giovanni che raccolgono la mano del figlio, secondo una sollecitazione culturale orientale, derivata dalle miniature, tramite il Tetraevangelo Melitene. L'elaborazione dell'empito emotivo suscitato dalla vicinanza dei volti di Giuseppe d' Arimatea e di Gesù e i gesti cadenzati di Nicodemo sono inoltre esplicitamente offerti dalle Meditazioni di San Bonaventura 6, dalle quali era possibile estrapolare persuasive e suggestive immagine ricche di fervore religioso.

Il chiarimento dei termini critici, suggerisce già l'immagine di un'opera con accenti e aperture complessi : De Francovich (1943) 7 lo cita come «capolavoro della scultura medievale» fissandone la definitiva datazione ai primi decenni del '200, in base all'assonanza stilistica con la Madonna lignea di Prete Martino conservata a Berlino, proveniente da San Sepolcro, datata 1199. Inoltre lo studioso vi rileva un «influsso irradiante dalla scultura lombarda e in speciali modo di B. Antelami ... trasmesso all'autore del gruppo per il tramite di Arezzo dove operava nei primi decenni del XIII secolo una maestranza di lapicidi dipendente dai modi antelamici».

Anche E. Carli (1955) 8 ne riconosce la raffinatezza e le influenze del plasticismo lombardo insieme all'ornato decoro della tradizione bizantina, e la probabile esecuzione da parte di un maestro umbro. L'assestamento definitivo e più giustamente calibrato, a mio avviso, è offerto dal contributo di M. Burresi (1990 e 2001) 9 che ricostruisce l'esistenza di un gruppo omogeneo di opere, con caratteri affini - nello schema iconografico, nella concezione costruttiva e nello stile - tale da giustificare la presenza di una maestranza specializzata, operante in Italia centrale nella prima metà del secolo XIII, che raccoglie le deposizioni di Tivoli, del Duomo di Pisa, di Volterra, di Vicopisano, di Barga, di Roncione, di Pescia, di San Miniato e Roccatamburo. Le suddette strette affinità tra le opere, portano a ritenere come probabile l'esecuzione da parte di stessi artefici e l'appartenenza alla medesima area culturale e stilistica, che attraverso esami e confronti viene individuata in ambito pisano-lucchese, caratterizzato da un ricco humus culturale e dove, soprattutto tra la fine del XII e inizi XIII secolo, vennero a contatto tra loro le culture mediterranee europee e maestranze greche e lombarde. Le membra appena accennate nella loro forma allungata, della deposizione tiburtina, sono memori infatti dell'eleganza di impronta francese - come in diverse zone di Europa anche a Pisa era filtrata la cultura di tipo borgognone, che è dato ritrovare, in modo determinante, nella figura del Cristo in deposizione del duomo - mentre il modellato uniforme e compatto deriva dalla tradizione lombarda che concede comunque inflessioni alla narratività e descrittività di marca greca, tendenza articolata e pregnante nella realtà Pisana, compresente con quella lombarda nella decorazione interna e del portale del Battistero della cittadina toscana. Questo ampio raggruppamento di complessi viene a costituire quindi, un importante e raffinato episodio artistico tipico dell'Italia centrale, della prima metà del XIII secolo.

I gruppi di Deposizione risalgono per lo più al Duecento e sono presenti in un'area dell'Italia centrale che comprende Lazio, Umbria e Toscana. Gli altri gruppi completi di tutti i personaggi, esistenti in Italia sono quelli di Pescia, Vicopisano, Volterra e San Miniato permeati tutti da un intento simbolico e da un patetico realismo i cui fini ricevono legittimazione dall' esposizione durante le sacre rappresentazioni e le cerimonie della settimana santa e il trasporto a spalla lungo i percorsi delle processioni. Gli uomini del Medioevo erano infatti ben consci dell'importanza e del potere delle immagini, le icone esposte nelle chiese, «percepite come visualizzazioni epifaniche del sacro e come strumento didattico dotato di singolare efficacia» 10 potevano essere strumento idoneo per istruire i fedeli, come funzionali sostitute della parola scritta e per condurre nel quotidiano le verità nascoste. Questi gruppi - sotto l'influenza della letteratura mistica e degli inni liturgici - hanno il compito di riempire le immagini di contenuti, sono mezzi di insegnamento forniti di una forza interiore e persuasiva, adatta ad accrescere e fissare la sensibilità dei devoti.

Tuttavia i gruppi lignei di deposizione vengono abbandonati dopo il tredicesimo secolo, perchè la loro iconografia non è più così funzionale e narrativa come le nuove forme di rappresentazione della passione di Cristo, sia dipinte che plastiche, influenzate dalla spiritualità degli ordini mendicanti e dalla devozione delle nuove confraternite di disciplini che si diffondono a partire dal 1260 e la cui peculiare novità è l'esasperata esibizione sia pubblica che privata e un forte intento di drammatizzazione e di realismo. «Il gruppo, che in un primo tempo era solo un paradigma della passione in quanto tale, non riuscì a seguire il processo che premeva verso una elaborazione sempre più dettagliata della Passione. Era così inevitabile che esso apparisse troppo legato alla situazione, troppo limitato ad un'unica stazione della Passione per poter rappresentare anche le altre, o addirittura la Passione intera» 11.

Le nuove immagini artistiche che si definirono resero così obsoleto tale schema, nonostante che nel XIII secolo, il passaggio dell'utilizzazione di tale rappresentazione dalla competenza del clero a quella delle confraternite, ne avesse accentuato il carattere di teatralità e poeticità, incline a superarne il ruolo integrante, ma limitato, nelle lamentazioni extraliturgiche sulle meditazioni della Passione, cantate nelle Chiese 12.

Il gruppo di Tivoli ricopriva un ruolo determinante in tutta la sequenza dei rituali religiosi, era tenuto infatti chiuso nell'altare del SS. Crocifisso, portato in processione fino all'inizio del XIII secolo e «mostrato pubblicamente solo durante le festività solenni e nei venerdì di marzo, quando era fatto segno da parte dei membri di una confraternita di versi esprimenti la passione di Cristo e il Miserere» 13, la testimonianza quindi ribadisce il ruolo centrale delle confraternite nella gestione delle popolari rappresentazioni della passione e dei canti che le accompagnavano.




NOTE

1 Carli E., La Scultura Lignea Italiana, Milano, 1955, pp. 30-45.

2 Sacre Passioni. Scultura lignea a Pisa dal XII al XV secolo, Milano, 2001, pp. 25-35.

3 La menzione più antica dell'opera risale al 1568, con un accenno indiretto nella relazione della visita pastorale del Vescovo Giovanni Andrea Croce, dove è ricordata nella cappella del Crocifisso nella Chiesa di San Pietro Maggiore. Era un oggetto di culto molto importante, si diceva fosse in legno di cedro del Libano e fosse stato portato in città da cammelli senza guida. Momentaneamente è in una sala del Museo a Palazzo Venezia, è visibile anche se non illuminata.

4 Argan G. C., Storia dell'Arte Italiana, I, Firenze, 1968, p. 335.

5 Reau L., Iconographie de l'art cretien, Paris, 1957.

6 Fanfani A., Ricostruzione iconografica della Deposizione di Tivoli. Scritti di storia dell'arte in onore di Roberto Salvini, Firenze, 1984, pp. 105-109. Meditatione Devotissimae S. Bonaventurae «o foelix discipule seu tu Joseph, seu Nichodemus extiteris, qui dignes es abituus ut sacratissimum contingeres corpus, ed inter tua brachia sustineres».

7 De Francovich G., Scultura medievale in legno, Roma, 1943, pp. 8-12.

8 Carli E., op. cit., pp. 30-31.

9 Burresi M., Sacre Passioni, op. cit., pp. 25 - 30. Burresi M., La Deposizione del Duomo di Volterra, Volterra, 1990.

10 Battaglia Ricci L., Gli scritti e le immagini sacre, in Sacre Passioni, op. cit., p.19.

11 Belting H., L'arte e il suo pubblico. Funzione e forme delle antiche immagini della Passione, Bologna, 1986, p. 184.

12 Corbin S., La deposition liturgique du Christ au Vendredi Saint, Parigi-Lisbona, 1960, pp. 114 - 120.

13 Crocchiante G.C., L'Istoria delle chiese della città di Tivoli, 1726, p. 42.






Deposizione del Duomo di Tivoli
fig. 1
Deposizione del Duomo di Tivoli

 

Risali





BTA copyright MECENATI Mail to www@bta.it