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La creazione ansiosa - da Picasso a Bacon Verona, Pal. Forti
fino all'11 gen. 2004
Roberta Balmas
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 17 Dicembre 2003, n. 350.
http://www.bta.it/txt/a0/03/bta00350.html
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Area Mostre

Partiamo dal termine ansia per tentare di capire cosa possa, cosa voglia dire e significare.
L'ansia, da un punto di vista clinico, rappresenta una condizione di generale attivazione delle risorse fisiche e mentali del soggetto ma talvolta viene confusa od associata al termine di angoscia. Per certi limiti, l'ansia ha un effetto ottimo perché fa sì che la nostra prestazione possa riuscire ad esprimersi nel modo migliore, è una risposta emotiva molto forte e ci fa riconoscere subito che c'è un qualcosa dentro o fuori di noi che chiama, che si fa sentire.
Perciò entrano in gioco o meglio vengono mobilitate tutte le nostre energie per fronteggiare quella specifica situazione; è un'anticipazione, uno stato di tensione, che coinvolge gli aspetti cognitivi-emotivi oltre a quelli psicofisiologici.

Ci porta a focalizzare il problema, ci attiva per trovare una soluzione alle problematiche, ma se la nostra preoccupazione o le dimensioni di questa ansia divengono alte e il limite viene superato, ecco che diviene patologica, assume un aspetto disadattivo e compromette i molteplici aspetti della vita funzionale, sociale, relazionale, lavorativa del soggetto. Ognuno di noi nel corso della propria vita ha sicuramente provato un'ansia o uno stato ansiogeno. Vediamo ora come possa essere rapprensentata.

Questa mostra, che si sta tenendo a Palazzo Forti di Verona (fino all' 11 gennaio 2004) ha tentato di aiutarci, anche se non del tutto, partendo dalla suddivisione delle sette sezioni: 1) l'emergenza della psiche, 2) la narrazione impossibile, 3) la ferita della materia, 4) l'identità frantumata, 5) la rappresentazione improbabile, 6) il brivido della visione, 7) la crisi del soggetto.
Per ogni singola sezione sono state poste delle tele o video o sculture, foto ed altro. Possiamo citare nella sezione La Ferita della materia le plastiche bruciate di Alberto Burri, le forme altamente deformate, da L'Albino al Tavolo corallo di Jean Dubuffet e la Grande testa tragica di Jean Fautrier, Azione IV di Rudolf Schwarzkogler e Operazione riuscita dell'artista Orlan che lascia ferire il suo corpo da molteplici operazioni per trasformarlo ogni volta in qualcosa d'altro; mentre nella sezione L'Emergenza della psiche, di Edvard Munch ci sono rimaste impresse la Gelosia, Due esseri umani. I solitari, Malinconia III e di Lucien Freud il suo Autoritratto e Testa di donna, così come la Levitazione di Novello Finotti.

Mi preme soffermarmi velocemente su alcuni quadri della sezione La Narrazione impossibile; tralasciando Egon Schiele il cui quadro Madre e bambino è il logo della mostra, mi ha molto colpito il Ritratto di Egon Schiele di Max Oppenheimer questo corpo teso, lo sguardo lontano e fuggitivo, una bocca serrata, le mascelle contratte danno, procurano una forte emozione-tensione. Soprattutto le sue mani-artiglio così capaci, nei suoi quadri, di descriverci un mondo fatto di dolore, sofferenza, ansia, qui vengono presentate in primo piano, sono l'oggetto principale del quadro: si accavallono, si sormontano, dita che si uniscono a due a due irregolarmente e che non possono mai stare ferme, come se la forza dell'ansia le dominasse completamente.

In questa stessa sessione troviamo di Pablo Picasso la Donna piangente. Questo quadro ci dà l'idea di come un dolore acuto e penetrante il cui pianto solca il volto in modo indelebile e le cui lacrime sono conficcate come chiodi nella guancia, possa distruggere, modificare, alterare questa donna. Una donna che avendo compresso un'atavica rabbia (piuttosto che un'ansia), fa uscire dalla sua bocca un ventaglio di parole mai dette e la scelta dei bianchi, grigi mette in risalto tutto ciò e ci fa riflettere sui mille aspetti che i sentimenti possano assumere e deformare noi stessi. Così il suo Autoritratto che si chiede e ti chiede di riflettere, di fermarti a guardare dentro attraverso gli occhi, a leggere tra tutte le linee che la vita ha disegnato sul tuo volto nel corso del tempo. E poi ovviamente c'è Bacon con le sue figure altamente sfigurate.

Nella sezione La Rappresentazione improbabile mi ha molto colpito Septet di Edward e Nancy Kienholz. Sono infatti sette i manichini riproducenti corpi femminei più o meno macchiati, imbrattati, sono di varia taglia, solo in due spuntano due braccia: una metallica e sottile e l'altra di gesso bianco completa di mano. La foggia antica ci riporta di primo impatto ad un atelier di moda fine Ottocento e tutto ce lo fa pensare oltre alla foto delle ragazzine e alla specie di mobile-paravento. Ritroviamo la stessa foto, in piccolo formato, sul leggio posto di fronte alle sagome. Ma se invece ci attardiamo un po' a pensare la composizione ci appare come il fondale di uno spettacolo teatrale. Ma cosa si sta rappresentando ? Forse il teatro della nostra vita e noi siamo i manichini di un teatro già confezionato ? e allora perché quella foto ? apparteneva ad un altro mondo ? un mondo, quello dell'infanzia che forse, per alcuni, era il solo luogo della spensieratezza ?.

Segnaliamo anche di Margherita Manzelli S,200 e il video di Bill Viola Lo spazio fra i denti. Nel Brivido della visione oltre a Max Klinger e Giorgio de Chirico, c'è un Cagnaccio di San Pietro dal titolo La tempesta particolarmente interessante. Una donna vestita di nero con i capelli al vento, seduta su una roccia scruta fissamente un luogo lontano, forse un mare aperto. Il suo corpo è inclinato in avanti, le sue lunghe mani sono semi-poggiate quasi aggrappate ad uno scoglio, le braccia sono in tensione, i piedi nudi, tesi, quasi prensili hanno le vene in evidenza. Quello che ci colpisce è il volto scarno, l'occhio fisso, la bocca socchiusa; sta forse aspettando qualcuno, sta cercando di intravedere il ritorno di una barca o l'ansia di un non ritorno o il trasformarsi in qualcosa di incontenibile ?. E ci piace associare Cagnaccio con l'Uomo che vede da lontano di Antonio Violetta, anche qui un uomo sta seduto e guarda, la sua fronte è corrugata, il volto, dalla barba un po' lunga, è solcato da alcune rughe, ha le gambe divaricate: su una è poggiata una mano completamente aperta ma tesa al massimo, tanto che tutte le nervature sono visibili ed anche la rispettiva spalla è leggermente avanzata ed in tensione; l'altra invece ha il pollice che chiude le altre dita ed è come se fosse un uomo a metà: due posture, due sentimenti, due visioni della vita.
Sempre di Antonio Violetta, La follia, questo anziano e grasso uomo nudo ci è apparso così dolce e malinconico, perso nel suo mondo irragiungibile tanto da farci provare tenerezza e per nulla ansietà.
Nell'ultima sezione La crisi del soggetto, citiamo Lorenzo Viani con Il folle, di tutt'altro aspetto e genere, oltre alle opere di Giacometti e Richier.

Quindi, per concludere, il filo conduttore di tutta la mostra è lui: "l'uomo" che nella sua "condizione umana" si pone davanti a tutta una serie di problematiche dell'esistere. La consapevolezza che la morte che è iniziata nello stesso identico momento della sua nascita lo porta alla considerazione, al riscontro della sua impotenza rispetto a tutti gli accadimenti del suo esistere. Tutto ciò porta l'essere umano a ribadire che l'esistenza non ha senso in sé e l'individuo in quanto tale, unico e libero, è fondamentalmente solo; il chiedersi, il porsi domande, impegnarsi, appassionarsi, in una parola guardare il proprio destino e quello degli altri potrebbero portarlo a drammatiche conseguenze.

Giorgio Cortenova infatti afferma che «Ogni scelta, ogni decisione operativa, etica, morale, professionale, implica il rischio della buona riuscita. La strada intrapresa può rivelarsi indovinata o fallimentare, utile o irrilevante» E più avanti, sempre nel catalogo edito da Marsilio, Cortenova continua: «L'ansia, l'angoscia, la responsabilità, non consistono nella scelta che si è fatta, ma, ancor prima, nel fatto stesso di dovere, comunque scegliere. L'ansia, l'angoscia, la micidiale responsabilità avvolgono l'uomo e la sua creatività, Dio e la creazione. La creazione è ansiosa e sospesa sull'orlo della vertigine.»
Il bisogno di rappresentare l'ansia riesce, in qualche modo, a colmarla, ad accettarla, a contenerla, a crearle uno spazio condivisibile con la nostra esistenza, con il nostro essere.
Ma se essa ci pervade e si impossessa di noi come potremmo ritrovarci ? Il soggetto entrerà in crisi, una crisi profonda, sarà cosciente che la sua identità verrà a poco a poco frantumata. Sarà in grado di riprendere la narrazione di se stesso ? Occorrerà una nuova identità, un nuovo modo di vedere e vedersi. Ma rimarrà segnata in noi per sempre ?

L'artista ha un vantaggio rispetto al non-artista, lui è in grado di esternarla, di proporla, di manipolarla e ridurla in frammenti. Ci mostra l'ansia nei suoi molteplici aspetti e a noi spetta il compito di osservare, condividere, sentire e ritrovare nella sua rappresentazione narrativa-pittorica, la nostra.






 
 

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