PREFAZIONE
di Maurizio Calvesi
Sono trascorsi non pochi anni
da quando affidai all?allora laureando Stefano Colonna una tesi sulla Galleria
dei Carracci in Palazzo Farnese, tesi che seguii con grande interesse per la
mole dei materiali consultati dallo studioso e per l?intelligenza e novità
delle sue conclusioni. Nel tempo che da allora è trascorso, Stefano Colonna ha ulteriormente
arricchito il suo panorama d?indagine, lo ha ristrutturato, e si accinge ora a
pubblicare il prezioso lavoro con viva soddisfazione mia e, penso, di quanti
hanno a cuore la sempre più approfondita conoscenza di quel fatidico periodo
della storia dell?arte che congiunge l?ultimo decennio del XVI secolo al primo
del XVII. Nell?arte di quegli anni, tra i punti discussi e non chiariti nella
loro interpretazione, il saliente ciclo di affreschi carracceschi è uno dei più
importanti.
Ad una «auspicabile pubblicazione» della magistrale ricerca di Stefano Colonna accennavo già nel
1999, in quella storia artistica dei Giubilei che si intitola Arte a Roma (Rizzoli, p. 131) e
nell?occasione citavo dalla tesi del Colonna i versi di Onorio Longhi da lui ritrovati,
dai quali si evince con chiarezza l?identificazione di Arianna con Margherita
Aldobrandini, che nel 1600 andò sposa a Ranuccio Farnese; che questo sia il
tema principale dell?affresco centrale della Galleria, è stato, di conseguenza,
pienamente riconosciuto dalla critica successiva. Silvia Ginzburg, come scrive
ora Stefano Colonna astenendosi dal menzionarsi, «considera fondamentale la
contiguità cronologica e concettuale del matrimonio di Ranuccio Farnese e
Margherita Aldobrandini con la Galleria tutta».
Già Charles Dempsey, a dire il vero, e fin dal 1968, aveva
avanzato l?ipotesi che la Galleria dovesse essere intesa come un grande
epitalamio per le nozze Farnese-Aldobrandini, ma senza incontrare un seguito
nella letteratura successiva, non avendo potuto dimostrare l?esattezza della
propria intuizione. (Secondo il Briganti si trattava di una supposizione
insostenibile, considerando che le trattative per le nozze furono intraprese
quando il programma era già definito e
gli affreschi in gran parte già realizzati. L?assenza di stemmi parve poi alla
Marzik una prova contraria).
Quanto al resto, Colonna
è in disaccordo con Dempsey, il quale ritiene che la volta e le pareti
rispondano a due distinti e contraddittori programmi, con sacre allegorie nelle
seconde, scene licenziose e maliziose nella prima, a celebrazione paganeggiante
dell?amor profano, senza traccia di quell?Amore sacro di cui parla il Bellori.
Ancora qui il Briganti giudica impressionisticamente, e dopo aver respinto
l?ipotesi giusta del Dempsey, abbraccia con entusiasmo quella che (come il
Colonna accerta, dando spessore di dimostrazione al dissenso da me più volte
manifestato) è invece errata; intorno
ad essa imbastisce le trame di un fantasioso miniromanzo, con colpi e cambi di
scena degni di punti esclamativi : «É
molto probabile che lo spirito classico di carattere pienamente cinquecentesco
che aleggia nella volta, e i soggetti lascivi
che illustravano gli amori degli dèi fossero nati dalla volontà da parte
del cardinal Odoardo [?] di affermare la propria indipendenza dal rigorismo
moralistico del pontefice. Dal
desiderio persino di fare un dispetto al bigottismo di Clemente VIII [?]. Si
conclusero poi con le nozze le faticose trattative per il matrimonio di
Margherita con Ranuccio e sebbene i
rapporti fra le due famiglie non diventassero per questo veramente amichevoli,
lo spirito di indipendenza laica del cardinale si era attutito e quando
sopravvennero in lui altri interessi e altre mire, addirittura quello spirito
si capovolse in rigorismo e certamente la decorazione erotico-satirica non
corrispose più agli umori di Odoardo e Carracci fu costretto, nella seconda
parte dei lavori, a cambiare registro».
Momento cruciale della discussione è il significato degli «Amori
[?] da cui dipende tutto il concetto ed allegoria dell?opera», secondo il
Bellori: «Volle figurarare il pittore con vari emblemi la guerra e la pace tra
?l celeste e ?l vulgare Amore instituiti da Platone». Negli spicchi della volta
compaiono infatti Eros e Anteros che dopo aver lottato per una palma, per una
fiaccola e una corona, infine fanno pace e si stringono la mano.
Dempsey rifiuta l?interpretazione di Anteros come Amor virtutis (che troviamo anche
nell?Alciati) e opta per la lettura alternativa (presente nel Cartari) dei due putti come immagine dell? «amore
reciproco», basandosi sia sulle incisioni pornografiche di Agostino Carracci,
sia sul carattere sensuale dei dipinti della Galleria e sul sospetto di sottintesi
ironici e maliziosi.
Stefano Colonna torna invece al Bellori. L?indagine da lui
svolta si propone di studiare, nella prospettiva del circolo farnesiano, i rapporti di cultura e di amicizia che
formavano «la grande scuola ideale dell?umanesimo del secondo Cinquecento
europeo». Viene chiamato in causa un materiale molto vasto, di testi
manoscritti e a stampa, quasi sempre ignorati dagli studiosi precedenti. Il
Colonna non si limita ad approfondire la figura di Fulvio Orsini segretario
particolare e bibliotecario di Ranuccio Farnese, raccoglitore di oggetti e
libri antichi, che certamente collaborò con la sua complessa erudizione (come
già si supponeva) all?impresa della Galleria Farnese; la sua figura è
testimonianza della «stessa centralità culturale della corte farnesiana nella
Roma e nell?Europa del Cinquecento». Ma esamina una serie di testi, a
cominciare dall?Hercules prodicius di
Stephen Wynkens Pigge (in relazione anche al Camerino farnesiano); il Pigge,
appartenente al circolo umanistico dei Farnese, considerava i miti pagani come
prefigurazioni di valori e avvenimenti della religione cristiana. É poi
descritta la figura del medico e letterato ungherese Janos Zsamboky, autore di
un volume di Emblemata, in contatto
con Fulvio Orsini; nel 1569 lo Zsamboky pubblica in Anversa le Dionisiache di Nonno di Panopoli, in cui
si affacciano spunti che trovano riscontro nella Galleria: tra cui l?assunto
fondamentale che l?amore perfetto è quello di Arianna per il dio Bacco, figlio
di Giove, amore di grado superiore a quello per Teseo, comune mortale.
Un capitolo è dedicato ad Achille Bocchi, altri all?Accademia
degli Innominati di Parma e all?Accademia dei Gelati di Bologna (nel cui ambito
Melchiorre Zoppi pubblicò lo Psafone,
trattato d?amore). Un altro ancora al rapporto di Agostino Carracci con i
musici, dal Merulo al Monteverdi nonché al celebre melodramma L?Arianna, scritto per le nozze di
Francesco Gonzaga con Margherita di Savoia (1608): qui all?amore per Teseo
subentra l?amore per Bacco, di grado (come
torniamo a constatare) più elevato perché indirizzato a un dio. E ancora
le pagine dedicate a Tommaso Aldobrandini; a Pomponio Torelli, neoplatonico
controriformato, che torna sull?amore divino di Bacco e Arianna (e cita il
rapimento mistico di Ganimede); a Otto van Veen, pittore di corte del Duca
Alessandro Farnese in Fiandra, i cui Divini
Amoris Emblemata consentono
(ovviamente in concorso con altri elementi e considerazioni) la corretta
interpretazione delle figure di Eros e Anteros.
Non ho citato che alcuni punti dell?esauriente disamina. L?
ampiezza del giro di orizzonte consente di entrare nel vivo della concezione neo-platonica che è sottesa
alla volta e di acquisire certezze
interpretative. Queste sono confortate del resto dal fondamentale ritrovamento
di quattro rari epitalami relativi alle nozze Farnese-Aldobrandini del 1600, di
Filippo Belcredi, Vincenzo Villani, Gasparo Murtola e Onorio Longhi: scoperta
vistosa quest?ultima, vorremmo aggiungere, anche per altre implicazioni
relative alla raffinata cultura del grande amico del Caravaggio.
L?identificazione di Arianna con Margherita Aldobrandini, la
nipote del pontefice che si univa in nozze all? ?eroico? Ranuccio, vi è
chiaramente rivelata e stabilisce un altro, fondamentale punto fermo per intendere
il messaggio della Galleria.
Stefano Colonna cerca infine conferme della chiave di lettura
anche in opere posteriori, ma chiaramente affini nel tema dell?Amor sacro e
profano, come gli affreschi di Palazzo Peretti
del Perrier e del Grimaldi (1635-40 circa: sono peraltro documentabili i
rapporti tra il cardinale Alessandro Peretti, i Farnese e Fulvio Orsini). Una
mole imponente di testi e, in gran parte
inediti, di documenti è infine trascritta in appendice, consentendo di
approfondire con una lettura più ampia le indicazioni date nel saggio e anche
di attingere notizie fra le più varie relative all?ambiente farnesiano.
Nei capitoli finali il Colonna, considerando la vistosa
importanza politica degli affreschi, e la presenza di Odoardo accanto a
Ranuccio, propone una catena di accennanti significati nella scena centrale
della volta: questa si riferisce certamente alle nozze, ma non esclude altre
coordinate allusioni.
Passaggi «concettosi e
sillogistici» portano a vedere come «questo stesso tema d?Amore possa
alimentare di una fiamma universale i riferimenti alla politica, alla storia,
al mito, alle nozze, alle persone [?].
Ranuccio nella Galleria è insieme figlio di Alessandro Farnese, condottiero
vincitore delle Fiandre, Gonfaloniere di santa Romana Chiesa e rinnovatore
delle imprese di Bacco, che riesce a portare la religione in India, e, ancora,
marito fedele di Margherita-Arianna, che, in un delicato gioco di voluta
indeterminazione, è sia immagine della Chiesa sposata da
Bacco-Alessandro-Ranuccio vincitore dei pagani- protestanti, sia la nipote del
Papa regnante Clemente VIII Aldobrandini».
Questa potenziale estensione di significati può essere oggetto
di discussione ma presenta un alto grado di probabilità.
Da condividere è infine il ruolo che il Colonna attribuisce ad
Agostino (cui assegna peraltro due incisioni nei frontespizi degli epitalami
del Belcredi e del Longhi) per l?elaborazione concettuale di un complesso che
risulta all?avanguardia nell?incontro tra arti figurative e teatralità
melodrammatica, discendente dalle premesse dell?Accademia degli Incamminati:
egli «dovette essere precursore di questa poetica espressa in un delicato
classicismo idealistico venato di una morbida e profonda sensualità emiliana. [
?] Ad un moderno spettatore sprovveduto non rimarrebbe altro che la
degustazione palatale, epidermica, della pur erotica e coinvolgente sensualità
emiliana; perderebbe però la più
complessa e interessante unità delle
arti del barocco nascente, il messaggio di contenuto e di forma che l?opera
vuole trasmettere».
Nella volta della Galleria Farnese il riferimento allo
sposalizio del 1600 non è dunque indiretto, come prima dell?indagine del
Colonna si sarebbe potuto pensare, ma preciso e mirato. Il Corteo nuziale di Bacco e Arianna non si limita a prendere spunto da quel matrimonio, ma lo ritrae
in forma allegorica, entro un alone di riferimenti che sembrano rimandare come
un?eco le gesta dei Farnese e il loro intrinseco rapporto con la Chiesa.
Pensare che i Carracci, tra una simile cornice di significati, intendessero
esaltare con il loro pennello esuberante il trionfo dell?amore lascivo, e non
piuttosto quello slancio vitale che nutre lo stesso Amore anche nella sua
ascesa verso il divino, risulterebbe paradossale.
Maurizio Calvesi
INTRODUZIONE
Riconsiderare il problema della
Galleria dei Carracci è senza dubbio
impresa ardua, sia per la quantità di interpretazioni iconologiche raramente
concordi che si devono valutare, sia per l'oggettiva scarsità di documenti causata dall' incendio dell'Archivio di
Stato di Napoli ().
Nel tentativo di abbandonare ogni
giudizio a priori e nella ferma
volontà di evitare di sovrapporre qualsiasi
schema interpretativo moderno, ho usato due tattiche opposte e
complementari: da una parte, con un'angolazione molto ampia, ho compiuto una
perlustrazione a largo raggio nell'ambito della committenza farnesiana da Papa
Paolo III, ma con retrocessioni a partire dagli inizi del XVI secolo, con
l'analisi del contributo culturale di Achille Bocchi, e avanzamenti fino agli
anni del Bellori con i dipinti di François Perrier per Palazzo Peretti-Almagià
in Roma; dall'altra invece ho puntato direttamente al cuore del problema
concentrando tutta l'attenzione agli anni in cui venne dipinta la volta della
Galleria (1597-1600) e ancora maggiormente all'anno 1600, in particolare al
matrimonio di Ranuccio Farnese e Margherita Aldobrandini. Ho comunque evitato di ricorrere a certa pratica
iconologica che crede di poter determinare senza errore il significato di
un'immagine, ricostruendo con l'aiuto
di una poderosa erudizione l'albero genealogico di ogni elemento simbolico dell'immagine stessa fino
a sprofondare nella notte dei tempi, per poi spesso cadere nel pericolo di decontestualizzarla. Non ho voluto negare la fondamentale
importanza dell'eredità semantica del simbolo, ma nei casi dubbi ho preferito
dare maggior peso al fattore contingente, e cioè alla volontà della committenza
o all'influsso culturale di umanisti in sicuro contatto con la corte
farnesiana.
Nel corso della ricerca ho
rintracciato una discreta quantità di testi manoscritti e a stampa non
consultati dagli esperti della Galleria perchè spesso di non facile
reperimento; ho pertanto preferito trascrivere le parti essenziali di tutto
questo materiale in un Repertorio delle
fonti, che comprende i documenti di vari archivi, fra i quali, in
particolare, la Biblioteca Apostolica Vaticana, l?Archivio di Stato e la
Biblioteca Palatina di Parma.
E ciò nella serena certezza che è
possibile avvicinarsi con occhi nuovi alla vexata
quaestio della Galleria solo in una ricerca e analisi di nuove fonti
dialetticamente finalizzata all'aggiornamento degli orizzonti critici e degli
obiettivi d'indagine.
CAP.1
Fortuna critica.
Bellori, Tietze,
Martin, Battisti-Calvesi, Dempsey, Anderson, Marzik, Briganti-Zapperi,
Robertson, Volpi, Ginzburg
Le principali fonti antiche per
lo studio dei Carracci sono Le Vite
de'pittori scultori e architetti moderni del Bellori edite a Roma nel 1672 ()
e la F di elsina Pittrice del Malvasia edita a Bologna
nel 1678 ();
ma la prima soltanto offre una trattazione monografica della Galleria completa
di un'interpretazione dei soggetti che non ha perso ancor oggi valore critico.
La preminenza che il Bellori
assegna ai Carracci nell'economia complessiva delle sue Vite non è affatto casuale, risponde anzi ad un preciso intento
programmatico, nella misura in cui egli intende porre Annibale come campione del rinato classicismo.
Riprendendo su un piano diverso e
con l'interpolazione dell'Idea di
Federico Zuccari il concetto vasariano di disegno, il Bellori specula sulla
fondamentale dicotomia di idea e natura, considerandola parallela
all'antagonismo di classicismo e
naturalismo (). Rifiuta il Manierismo perchè nella maniera vede un'idea piegata su se
stessa e staccata dalla natura, ma rifiuta anche il naturalismo perchè vi
riscontra un'insufficienza dell'artista, che imita sic et simpliciter la natura invece di formarsene un'immagine
mediata, un'idea composta.
Agli occhi del Bellori Annibale
Carracci rappresenta il punto di equilibrio ottimale tra la tendenza
naturalistica del Caravaggio e quella fantastica del Cavalier d'Arpino, il
primo infatti « copiava puramente li corpi
come appariscono agli occhi, senza elezzione, il secondo non riguardava punto
il naturale, seguitando la libertà dell'istinto » ().
La descrizione belloriana della
Galleria è condotta con questa impostazione critica che va comunque accolta
prescindendo da giudizi di merito sulla validità degli enunciati teorici per
soffermarsi piuttosto sull?attendibilità storica dei fatti raccontati.
In primo luogo è la descrizione
degli episodi mitologici del Camerino Farnese dipinto da Annibale per il
Cardinale Odoardo, la cui chiave di lettura è pacificamente univoca e consiste
nel tema di Ercole al bivio ()
chiamato a scegliere tra virtù e voluttà .
Segue la meno pacifica
dissertazione sulla Galleria, che ha suscitato molte perplessità nella critica
moderna per via del significato da attribuire alle azioni dei puttini presenti
nei quattro spicchi della volta e soprattutto alle loro identificazioni, tanto
più che il Bellori ne fa il cardine della proria esegesi: « Avanti descrivere le favole conviene che
proponiamo gli Amori [...] da cui dipende tutto il concetto ed allegoria
dell'opera. Volle figurare il pittore
con varii emblemi la guerra e la pace tra'l celeste e'l vulgare Amore
instituiti da Platone. Dipinse da un
lato l'Amor celeste che lotta con l'Amor vulgare e lo tira per li capelli:
questa è la filosofia e la santissima legge che toglie l'anima dal vizio,
elevandola in alto. Nel mezzo però di
chiarissima luce risplende sopra una corona di lauro immortale, dimostrando che
la vittoria contro gl'irragionevoli amori innalza gli uomini al cielo. Dall'altro significò l'Amor divino che
toglie la face all'Amore impuro per estinguerla; ma questi si difende e la
ripara dietro il fianco. Gli altri due
fanciulli che si abbracciano sono il supremo e'l terreno Amore, e gli affetti
che si uniscono alla ragione, nel che consiste la virtù e'l bene umano. Nel quarto angolo viene descritto Anterote
che toglie il ramo della palma ad Amore, nel modo che gli Elei collocarono le
statue del ginnasio; il quale Anterote credevasi che punisse l'Amore
ingiusto. Di più come fondamento degli
affetti moderati aggiunse quattro virtù, Giustizia, Temperanza, Fortezza e
Carità: figurine dipinte di sotto, e così con le favole alludono insieme al celeste
ed al profano Amore [...] » ().
Il passo è chiarissimo: il
Bellori afferma la dipendenza concettuale di tutta la Galleria dalle coppie di
Amori, ne descrive partitamente il significato, collega infine le quattro virtù
cristiane delle pareti alle favole della volta.
Seguono le
descrizioni delle scene maggiori, dalle quali ci limitiamo ad estrarre i
commenti più significativi.
« Il coro di Bacco e Arianna. Tornando Bacco vittorioso dall'Indie trovò
Arianna abbandonata da Teseo, e dalla beltà di essa acceso l'elesse sua sposa,
come a rimirarla ora nelle trionfali nozze la pittura c'invita » (). Quest'unica scena descrive con un titolo
generico tre momenti diversi dello stesso mito: il trionfo di Bacco che ritorna
vittorioso dall'India, le sue nozze con Arianna ed anche un « bello anacronismo,
poichè Arianna vien coronata di stelle; e nondimeno li poeti finsero che dopo
la morte di essa le sue chiome im memoria fossero da Bacco in cielo collocate »
().
La donna
seminuda che giacendo in terra, guarda verso il Sileno « è Venere vulgare e terrena,
standole a fianco l'Amore impuro, che raccolte le braccia, si appoggia sopra la
sua spalla [...]; il volgersi di costei verso Sileno denota la corrispondenza
tra l'ubbriachezza e la lascivia » ().
Il Bellori
aggiunge inoltre una notazione che più avanti constateremo essere importante: «
si sono veduti alcuni disegni di antichi marmi e baccanali di mano di Annibale
per istudio di questo suo leggiadro e copioso componimento; e si conserva
ne'nostri libri la prima invenzione con Bacco ubbriaco sostentato da fauni su'l
carro fra baccanti, che egli mutò, formandolo in maestà ed attribuendo più
convenevolmente l'ebrietà a Sileno » ().
Nel riquadro
con Paride e Mercurio il messaggero
degli dei non ha come attributo il caduceo, ma una tromba con la quale Annibale « volle significare che il pomo sarebbe
stato cagione di guerra, e non di pace; e che avrebbe fatto risuonare la fama
della dea più bella; ed in ciò egli seguitò l'essempio di Raffaelle nella
loggia di Agostino Chigi, dove Mercurio spiega il volo con la tromba in mano,
per annunziare le nozze di Amore e di Psiche » ().
La protagonista
femminile del riquadro con la scena marina, gli amorini e il tritone che suona
la conchiglia viene riconosciuta come Galatea, ma qui il Bellori cade nello
stesso errore di Lucio Faberio, che fa
confusione nella sua Oratione in morte di
Agostino Carracci ().
Per quanto
riguarda la scena con Venere e Anchise, il Bellori si limita a notare che
nell'iscrizione « GENUS UNDE LATINUM » si « allude alla Serenissima Casa Farnese,
antica fra le romane » ().
Finalmente,
nell'Allegoria delle favole, viene
formulata l'interpretazione complessiva della Galleria: « [...] l'argomento,
come abbiamo veduto, è l'amore umano regolato dal celeste; [...] l'argomento di
amore così spiegato con varie favole dimostra la potenza di esso, soggettando
li forti, li casti, li ferini petti, quali sono gli amori di Ercole, Diana,
Polifemo, in cui mostrasi il furore della gelosia contro Aci suo rivale. Gli abbracciamenti di Giove di Giunone,
dell'Aurora, di Galatea palesano la potenza sua nell'universo; le candide lane
che Diana riceve dal Dio Pane e'l pomo d'oro dato a Paride da Mercurio sono li
doni con li quali Amore signoreggia gli animi umani e le discordie cagionate
dalla bellezza; la baccanale è simbolo dell'ebrietà madre delle voglie
impure. E perchè di tutti li piaceri
irragionevoli il fine è il dolore e la pena, se altri dispreggiata la virtù a
quelli si dà in preda, finsevi però Andromeda legata allo scoglio per essere
divorata dal mostro marino; quasi l'anima allacciata dal senso divenga pasto
del vizio, qualora Perseo, cioè la ragione, e l'amor dell'onesto non la
soccorre. Bellissima è l'allegoria di
Fineo e de'compagni trasformati in sasso alla vista di Medusa intesa per
voluttà. Seguono le medaglie, Borea
che rapisce Orizia, Salmace con Ermafrodito, il Dio Pane che abbraccia Siringa,
Europa rapita dal toro, Leandro sommerso, Euridice di nuovo rapita all'inferno:
sono li vizii e li danni dell'amor profano; a cui sovrasta Apolline che
scortica Marsia, inteso per la luce della sapienza che toglie all'anima la
ferina spoglia. Tali sono le favole
ne'quadri e nelle medaglie; ma vi restano alcune altre figurine piccole divise
fra gli stucchi de'nicchi e delle fenestre, con la medesima moralità: Calisto
nel bagno scoperta gravida da Diana, è la castità corrotta, senza manto che la
ricopra; la medesima trasformata in orsa è la deformità dell'errore; Icaro il
precipizio de'temerari. Ma l'aiuto e'l
premio dell'amor divino e della virtù rappresentasi in Arione salvato dal
delfino ed in Prometeo liberato da Ercole; Prometeo stesso salva la statua
umana e si consiglia con Pallade, che gli addita il cielo per animarla;
l'armonia della sapienza vien denotata dalla lira di Mercurio donata ad Apolline. Chiude infine la moralità dell'opera Ercole
che uccide il drago custode de'pomi esperidi, e Giove che gli assiste dal
cielo, significando i pomi d'oro l'inestimabil frutto dell'eroiche fatiche, al
quale concorre il divino aiuto » ().
Tutta la lettura
belloriana dei miti classici della Galleria è dunque condotta in chiave
allegorica, sulla falsariga del neoplatonismo rinascimentale e con piena
osservanza dello spirito della Controriforma.
Alle passioni
disordinate è contrapposto un ordine soprannaturale, alla bellezza la sapienza,
al vizio la ragione: le antiche favole sono exempla
morali.
La prima
monografia scientifica moderna sulla Galleria risale al Tietze (),
il quale elide proprio la sostanza del discorso belloriano, rifacendosi ad un
approccio estetizzante di matrice purovisibilista; impressionato, come poi il
Dempsey, dalla carica vitale infusa alle immagini dalla sensualità tutta
emiliana della pittura di Annibale Carracci, trova difficoltà a riconoscervi
contenuti moralistico-allegorici e si limita a riconoscere nelle tre scene con Aurora e Cefalo, Bacco e Arianna e la pesudo-Galatea
la glorificazione dell'amore in cielo, in terra, in mare.
Il più valido
contributo del Tietze agli studi farnesiani sta nell'aver pubblicato un
documento dell'Archivio di Stato di Napoli oggi distrutto ()
e particolarmente significativo per la cronologia romana dei Carracci. Si tratta di un'epistola del Cardinale
Odoardo Farnese spedita da Roma al fratello Ranuccio il 21 febbraio 1595, con la quale egli manifesta per la prima
volta l'intenzione di far dipingere affreschi commemorativi delle gesta
militari del padre, il noto Duca Alessandro, braccio forte di Filippo II di
Spagna, vincitore delle Fiandre (). L'epistola conferma un passo del Bellori,
dove si accennava brevemente all'idea del Cardinale, ma in un contesto
temporale diverso, e cioè successivo alla fine dei lavori per la Galleria ().
Nell'epistola
si menziona anche l'ubicazione prevista per tali affreschi, che dovevano essere
dipinti in una non meglio specificata «
sala grande » ().
Nel 1965 vede
la luce la monografia del Martin, che per la ricchezza di spunti critici e la
completezza e organicità della trattazione si può senz'altro definire il
caposaldo degli studi sulla Galleria
dei Carracci ().
Grazie alla
scoperta di due lettere del Card. Odoardo Farnese nel ms. Vat. Lat. 9064
pubblicate in un articolo del 1956, il Martin può fornire indicazioni preziose
sulla fase preparatoria dei soggetti del Camerino. Nella prima il giovane cardinale scrive da Parma nell'Agosto del
1595 a Fulvio Orsini in Roma per ringraziarlo dell'impresa che l'umanista aveva
ideato per lui (), nella
seconda, stesso luogo e mese, esprime le proprie preferenze sulla decorazione
in stucco della camera ().
Risulta così
inequivocabilmente il ruolo di Fulvio Orsini nella stesura del programma
iconografico del Camerino Farnese.
La scelta della
figura di Ercole assume un significato pregnante: l'Orsini non si limita ad una
generica citazione del tema di Ercole al bivio, ma ritaglia il mito su misura
del committente, ()
presentando Odoardo, nuovo Ercole, come degno erede del padre, il duca
Alessandro. Se il padre aveva
primeggiato nelle imprese militari, il figlio doveva ripeterne le gesta
vincendo mostri e giganti ().
Nell'interpretare
l'affresco del Camerino che raffigura Ercole
che sostiene la sfera celeste, il Martin, dopo aver citato la scena di
analogo soggetto dipinta da Agostino Carracci in Palazzo Sampieri a Bologna (),
propone il raffronto con una impresa realizzata da Achille Bocchi nel 1555 e
pubblicata nei suoi Symbolicarum
Quaestionum libri quinque (),
notando che nell'incisione Ercole rappresenta la vita attiva ed Atlante che lo
accompagna quella contemplativa, mentre nel Camerino manca Atlante ed è Ercole
che raffigura la vita contemplativa ().
Il Martin
ricorda, sottolineando la sostanza neoplatonica degli affreschi, che Marsilio
Ficino paragonava la scelta di Ercole al bivio con quella di Paride, notando
che mentre il secondo è chiamato a scegliere tra vita contemplativa, attiva e
sensuale, il primo ha solo due possibilità, la vita sensuale e quella attiva
raffigurate rispettivamente da Venere e Giunone ().
Lo stesso tema
appare in un'altra forma nell'Hypnerotomachia
Poliphili di Francesco Colonna ()
quando Polifilo si trova di fronte alle tre porte sovrastate dalle
iscrizioni « GLORIA DEI, MATER AMORIS,
GLORIA MUNDI » che corrispondono alla vita attiva, contemplativa e sensuale.
Per quanto
riguarda l'ipotesi di un' eventuale partecipazione di Annibale all'ideazione
del programma iconografico del Camerino, il Martin è assolutamente contrario e
cita l'esempio di Palazzo Farnese di Caprarola, dove il progetto stilato da
Annibal Caro con la collaborazione di Fulvio Orsini, è tanto dettagliato da
risultare vincolante per l'artista ().
Il Martin è anzi convinto che Fulvio Orsini, pur non avendo vissuto tanto a
lungo da poter vedere compiuti gli affreschi delle pareti della Galleria, abbia
comunque avuto modo di sceglierne e discuterne anticipatamente i soggetti in
relazione alle pitture della volta, tesi questa che verrà rifiutata dal Dempsey
nel riconoscere la presenza di due programmi distinti per la volta e le pareti
().
Il Martin
concorda inoltre con il Bellori nell'interpretare Anteros come Amor virtutis,
sulla scorta dell'Alciati e non nella versione antica di Amore reciproco ()
ed estende il significato morale anche all'affresco centrale della volta della
Galleria: Arianna è deificata dall'amor
divinus di Bacco al quale si contrappone l'amor humanus della Venere giacente e l'amor ferinus del satiro ();
nelle nozze di Bacco e Arianna sarebbe poi adombrato il matrimonio del duca
Alessandro Farnese con la principessa Maria del Portogallo celebrato nell'anno
1565 ().
La pseudo
Galatea è la raffigurazione del mito di Glauco
e Scilla, parallelo a quello di Aurora
e Cefalo nel mostrare i danni dell'amore non corrisposto ().
In una breve
tavola rotonda del 1966 organizzata in concomitanza con l'uscita della
monografia del Martin venivano discusse e in parte rifiutate alcune conclusioni
dello studioso; il Battisti, riconoscendo negli affreschi della Galleria uno
spirito molto vicino a quello dei madrigali amorosi, diffusissimi proprio
allora, accoglieva l'ipotesi che la sala
fosse utilizzata per riunioni musicali
e la estendeva nel ritenere possibile che ospitasse un'accademia
letteraria. Ipotesi questa sostanzialmente esatta dal momento che, come vedremo
meglio in seguito, essa esisteva di fatto nell'ambito della corte farnesiana ed
intorno alla figura di Fulvio Orsini ().
Il Calvesi, in concomitanza con il Dempsey, riscontra un atteggiamento
fondamentalmente ironico, sintomatico della caduta degli ideali del
Rinascimento, una sorta di « rovesciamento satirico dello schema platonico
dell'eros » (), ma soprattutto
un collegamento tra le tematiche di Amore della Galleria e gli iuvenilia del Caravaggio.
Il Dempsey
esprime la sua posizione in due saggi apparsi in ?Art Bulletin? del 1968 e
nella voluminosa monografia del 1981 su palazzo Farnese pubblicata dall'École
Française di Roma ().
Prima di
esaminare l'ultimo saggio del Dempsey, che non si discosta dal primo ma ne
sviluppa alcune intuizioni, giova prendere visione di due contributi del
Calvesi del 1971 e del 1974 nel quale lo studioso riformula la propria
interpretazione della Galleria fornendo nuovi elementi di giudizio ().
La discussione
sugli affreschi dei Carracci è in entrambi i casi decentrata rispetto al tema
principale che consiste nella rilettura iconologica del Caravaggio. Il Calvesi
supera l'immagine tardo romantica del Merisi come pittore scapestrato e
"maledetto" per far riaffiorare i contenuti cristologici del Bacco
degli Uffizi o del cosiddetto Bacchino malato e, in parallelo
riconsidera l'opera di Agostino ed Annibale a Roma.
L'idea chiave
del Calvesi permette di considerare come un'aporia la deduzione logica che
risulta dal collegamento delle incisioni di Agostino Carracci intitolate Omnia vincit amor e Ogni cosa vince l'oro ().
Si pensa infatti che se è vero che Amore vince ogni cosa, è vero anche che lo
stesso Amore soggiace alla potenza del danaro, quindi è il danaro che vince
ogni cosa e non l'amore. In realtà il sillogismo è incompleto, perchè l'oro
vince l'Amore profano, e solo quello profano e poi questo è a sua volta vinto
dall'Amore sacro, cioè dall'Amore di Dio. La presentazione di scene di amore
profano quindi, lungi dall'ispirarne l'imitazione, provvede piuttosto a un
monito severo, perfettamente comprensibile solo nell'ambito della ricerca della
salvazione: « se [...] la morte trionfa sulle cose umane, cosa trionfa sulla
morte, sul peccato, sull'effimero e cioè sulla vanitas ? L'amore in Cristo, che garantisce la vita eterna » ().
Nella Galleria
« Amore vince sugli dei, ma su tutto trionfa l'espressione più alta di amore,
l'Amore divino, Bacco come Cristo [...] ai piedi di Bacco, vinto e calpestato
da una candida capra, è Lucifero in vesti satiresche [...] Arianna sposa di
Bacco, cioè di Cristo, sarebbe di conseguenza una figura allegorica della
Chiesa trionfante [...] in un riquadro delle celebri porte lignee di Santa
Sabina, che sono incorniciate da intrecci vitinei e da uve, la Chiesa
trionfante è raffigurata nell'atto di essere incoronata, tra bagliori astrali;
nell'affresco di Annibale, un amorino-angelo scende dall'alto a posare sul capo
di Arianna una corona gemmata di stelle (con riferimento alla costellazione in
cui Arianna sarà tramutata, cioè, se si vuole, all'Assunzione in cielo della
Vergine con cui la Chiesa si può [...] identificare » ().
Nel saggio del
1974, il Calvesi sottolinea il rapporto tra Federico Borromeo e Fulvio Orsini
quale nesso tra la cerchia dei committenti del Caravaggio e del Carracci ()
e in particolare per l'esegesi della Galleria suggerisce un approfondimento del
ruolo di Fulgenzio nella cultura dell'Orsini quale moralizzatore dei miti
pagani; e a proposito di Arianna abbandonata esorta a tenere presente il
Monteverdi, giacchè egli riutilizzò la stessa aria del Lamento di Arianna per
un Lamento della Madonna sul Cristo morto ().
I saggi del Dempsey,
che precedono e seguono quelli del Calvesi, vanno invece in una direzione
almeno parzialmente opposta: egli accetta l'interpretazione belloriana dal
Camerino, ma non della volta della Galleria.
Se l'impresa
del Cardinal Odoardo Farnese ΘΕОΘΗΝ
ΑΧΑΝΟΜΑΙ e cioè: « mi innalzo verso Dio », è derivata dal Vangelo di
Matteo (), ed è presente sia nel Camerino, che nelle
pareti della Galleria, ciò non dimostra che anche la volta contenga veramente
un riferimento all'Amore sacro; il Dempsey anzi sostiene che quella del Bellori
è un'interpretazione post facto, una
moralizzazione tesa cioè a conciliare le favole licenziose degli dei sulla
volta con le allegorie sacre delle pareti, o addirittura un falso ideologico
completamente consapevole, e perciò postula l'esistenza di due differenti
programmi iconografici, l'uno profano per la volta, l'altro sacro per le pareti
().
La confutazione
che il Dempsey fa della tesi belloriana si spinge fino al punto nodale
dell'identificazione di Anteros. Per dimostrare che negli affreschi della
Galleria è assunta l'interpretazione antica di Anteros come amore reciproco,
viene posta a confronto un'incisione di Agostino Carracci che riproduce un
dipinto della serie generalmente nota con il titolo de Gli amori de' Carracci. Queste pitture, a detta del Dempsey «
franchement pornographiques » e ben degne delle Lascivie di Agostino, non lasciano alcun dubbio sul significato
esatto di Anteros ().
La Galleria è
inoltre pervasa da uno spirito satirico, da una sottile ironia velata di
malizia. Nella citazione del virgiliano
GENUS UNDE LATINUM della scena di Venere e Anchise, il Dempsey vede persino un
intento sarcastico, come se l'atmosfera degli affreschi favorisse il contrasto
con l'aulicità di Virgilio, come se Amore avesse umiliato sua madre nel farle
amare un mortale, come se le gesta eroiche d'Enea avessero inizio non
dall'incendio di Troia, ma per i capricci d'Amore ().
Un aspetto sul quale il Dempsey insiste particolarmente è l'approccio estetico,
la comprensione della carica vitale presente nella forma delle immagini, la quale già di per sè veicola un contenuto
e, in ultima analisi suggerisce che tutta la Galleria deve essere intesa come
un grande epitalamio per le nozze, non di Alessandro Farnese e Maria di Braganza,
come sosteneva il Martin, ma, più verosimilmente, per quelle di Ranuccio
Farnese e Margherita Aldobrandini celebrate a Roma nell'anno in cui fu
terminata la volta ().
Un tassello
importante per la ricostruzione del significato della Galleria è fornito dagli
affreschi noti, ma generalmente poco considerati dagli studiosi della Galleria,
che Agostino Carracci dipinse nel Palazzo del Giardino a Parma su commissione
di Ranuccio Farnese duca di Parma e Piacenza e fratello del card. Odoardo. Dopo il commento del Bellori ()
unico studio iconologico è quello di Jaynie Anderson del 1970 (),
dove viene accuratamente riformulata l'interpretazione dei miti affrescati fino
a rivelarne i significati epitalamici.
Viene
illustrato il mito di Peleo e Teti nelle sue fasi salienti: per primo il
passaggio degli Argonauti tra Scilla e Cariddi con la guida di Teti, poi la
difficoltà ch'ella pone a ricambiare il desiderio di lui trasformandosi in
forme mostruose e infine il matrimonio dei due con le sembianze di Marte e Venere.
Il primo e l'ultimo episodio racchiudono due impliciti riferimenti agli sposi:
a Ranuccio si allude con la rappresentazione delle Argonautiche, dal momento
che il padre di Ranuccio Farnese, il duca Alessandro, era stato insignito della
massima onorificenza del Toson d'oro; a Margherita invece con la perla che una
delle Nereidi mostra all'altra tanto evidentemente in primo piano. Per l'improvvisa morte di Agostino ()
manca una delle quattro scene previste, la Anderson ritiene che molto
probabilmente rappresentasse Teti trasportata da un tritone verso la camera
nuziale, vale a dire lo stesso soggetto dipinto da Agostino a Roma prima di
partire per Parma ().
Gli stucchi dei quattro cantoni che raffigurano gli amori di Giove con Semele,
Leda, Danae ed Europa simboleggiano i quattro elementi; nel centro della volta,
a chiusura e a commento di tutto il ciclo, vi sono tre amori uno dei quali
arrota la freccia, un altro tende l'arco e un altro ancora spegne una fiaccola
nell'acqua.
Si potrebbe
definire il 1986 come "l'anno della Galleria Farnese" per la quantità
di contributi dedicati a questo tema, con la monografia di Iris Marzik
eclusivamente rivolta all'esegesi iconologica della Galleria (),
il Convegno dell'École Française di Roma ()
e il volume di Chastel, Briganti e Zapperi (),
ma anche "l'anno della confusione" per la generale mancanza di una
prospettiva unitaria pur nella ricchezza e validità delle singole ricerche.
Il contrasto
principale grava sull'accettazione o meno dell'idea del Dempsey circa la
presenza di due distinti programmi per la volta e le pareti ()
e riscontra posizioni di assoluta adesione nel volume di
Briganti-Chastel-Zapperi e pieno distacco in quello della Marzik ().
Il contrasto naturalmente, come si è potuto già constatare, non è semplicemente
formalistico, dal momento che la divisione del programma comporta la
"laicizzazione" della volta e l'identificazione di Anteros
"classico".
Un punto comune
sta invece nel rifiutare l'altra ipotesi del Dempsey per l'interpretazione
"epitalamica" della Galleria. Il Briganti la considera
cronologicamente impossibile visto che le trattative per le nozze furono
iniziate quando il programma era già definito e gli affreschi già in gran parte
realizzati (), la Marzik
invece perchè non riscontra nessuno stemma Aldobrandini, presenza a parer suo
indispensabile ().
Per quanto
riguarda invece le novità, si distingue la realizzazione della "carta
delle giornate" ()
che mancava nella monografia del Martin e la scoperta di altre date nella
volta, il 1598 e il 1599, oltre a quella già conosciuta del 16 maggio 1600,
grazie ad un ponteggio mobile realizzato per l'occasione. Il Briganti
interpreta il 1598 come data probabile d'inizio dell'opera , contro quella
consolidata del 1597; il 1599 come prima interruzione dei lavori della volta,
che nell'inverno doveva ormai essere quasi completamente ultimata, per poter
dar mano alla realizzazione degli affreschi per la Sala grande con le imprese
militari di Alessandro Farnese; ed infine il 16 maggio 1600 come la ripresa dei
lavori della Galleria che si protrassero fino al maggio dell'anno successivo
con l'inaugurazione della volta ().
La Marzik
formula la tesi che la Galleria sia stata concepita come un vasto programma di
autocelebrazione politico-dinastica nel segno della fede cattolica e nella
centralità della figura del duca Alessandro.
Accetta una versione modificata della "sacralità" belloriana
nella misura in cui vaglia le allegorie mitologiche e farnesiane alla luce del
neoplatonismo rinascimentale di Marsilio Ficino, Leone Ebreo o Cristoforo
Landino come anche sulla base di testi quali Della ragion di Stato del Botero o il De re publica di Cicerone. Non a caso ella dispone la discussione
del materiale in un lettura a ritroso che sale dalle pareti verso la volta e
non viceversa, per cui la scena centrale con Bacco e Arianna viene analizzata
per ultima ed è seguita solo dall'analisi dei medaglioni e della collezione di
statue antiche. Inoltre la discussione
dell'assunto iniziale non procede con una propria autonomia concettuale
interpellando quando necessario i singoli miti con i relativi contesti
simbolici, ma è la topografia degli elementi affrescati ad imporre una
divisione in classi di carattere esterno rispetto al soggetto della scena
rappresentata; segue poi, all'interno di tale classificazione, una lettura
sistematica di ogni singola raffigurazione con apparati descrittivi, critici e
storici molto precisi ().
Il massimo
grado di entropia critica è raggiunto infine da un articolo di Clare Robertson
(),
dove l'assunto è che iconograficamente la Galleria appartiene completamente
alla tradizione cinquecentesca del comporre cicli di affreschi, che questa tradizione ci offre molti esempi
di discontinuità compositiva in fase progettuale e realizzativa e che è perciò
preferibile abbandonare la nozione di unità tematica della Galleria Farnese,
per considerarla piuttosto un'elaborata sequenza di poesie che mostrano affetti in relazione a forme espressive
particolarmente raffinate (). Di fronte alla molteciplità delle
interpretazioni iconologiche della Galleria e in mancanza di documenti vi è
solo la possibilità di ricostruzioni induttive. Più che un discorso di metodo sembra un manifesto dello
scetticismo storico artistico, dal momento che in ultima analisi Clare
Robertson non solo non formula alcuna nuova interpretazione della Galleria, ma
si astiene dal pronunciare un proprio giudizio organico sul significato degli
affreschi.
Caterina Volpi
individua in Antonio Querenghi e in Achille Bocchi i due letterati più vicini
alla cerchia culturale farnesiana per l?ideazione delle iconografie del
Camerino e della Galleria Farnese.
Silvia Ginzburg
nella sua indagine su Annibale Carracci a Roma propone una
posticipazione del termine post quem dell?esecuzione del Camerino dal
1595 al 1599 per motivazioni sia stilistiche, sia documentarie perchè considera
pertinente al Camerino non tanto la lettera di Odoardo Farnese del 1595, già
ritenuta dalla critica come il caposaldo della datazione (),
quanto piuttosto la lettera di Giovanni
Battista Bonconti spedita il 2 agosto 1599 da Roma dove viene descritta
la forsennata attività lavorativa di Annibale di quel periodo e si parla anche
di ?camere? ().
La Ginzburg propone di datare l?Ercole al bivio sempre al 1599. Ella
vede inoltre una significativa partecipazione di Innocenzo Tacconi al Camerino
insieme ad Agostino Carracci, riprendendo in quest?ultima idea un?intuizione di
Roberto Longhi.
Per la Galleria
la Ginzburg non vede alcuna scissione tra significati delle pareti e della
volta; riconduce a La montagna circea degli accademici Gelati di Bologna
e all?Amor Pudico del Cicognini l?ispirazione del programma
iconografico; considera fondamentale la contiguità cronologica e concettuale
del matrimonio di Ranuccio Farnese e Margherita Aldobrandini con la Galleria
tutta, la cui volta considera terminata in perfetta sincronia con le nozze
nell?anno 1600 .
CAP. 2
Fulvio Orsini collezionista d'antichità presso i Farnese
Un personaggio chiave per
l'analisi della cultura farnesiana è senza dubbio Fulvio Orsini (). Appartenente alla nota famiglia romana, ma
figlio naturale, fu aiutato giovanissimo da Gentile Delfini, Canonico di San
Giovanni in Laterano, che prese sotto la sua protezione anche la madre. Fulvio divenne a sua volta Canonico di San
Giovanni in Laterano ()
e fu avviato dal Delfini agli studi delle lettere antiche, fino a quando
Ranuccio Farnese Cardinale di Sant'Angelo lo prese con sè come segretario
particolare e bibliotecario (). L'Orsini rimase tutta la vita, senza
interruzioni, al servizio dei Farnese; alla morte di Ranuccio, nel 1565, servì
il Cardinale Alessandro, e alla morte di questo, nel 1589, il Principe Ranuccio
e il Cardinale Odoardo, figli di Alessandro Farnese duca di Parma.
Presso i Farnese Fulvio Orsini
svolge un'intensa attività filologica studiando le famiglie romane e
pubblicando numerose edizioni di glosse a testi latini, ma la sua vocazione è
innanzitutto quella del collezionista; egli ama conquistare le migliori opere
d'arte direttamente sul mercato riconoscendole dai falsi che non mancavano nel
Cinquecento inoltrato, quando la passione per l'antico era già da molti anni
uscita dal pionerismo dei primordi del Rinascimento. Con uno sguardo all'inventario della collezione d'antichità, che
possediamo grazie ad una provvidenziale trascrizione dell'amico Giovanni
Vincenzo Pinelli, si apprezza la varietà e qualità degli oggetti posseduti
dall'Orsini: tavole in marmo e bronzo con iscrizioni latine; teste e
bassorilievi in marmo con vari ritratti tra cui quelli di Esiodo, Omero,
Platone e Sofocle; medaglie e monete d'oro, argento e bronzo greche e latine.
Particolarmente interessante e
preziosa la collezione di glittica, con cammei e ogni sorta di pietra dura:
corniola, agata, diaspro, acquamarina, granata, ametista, topazio, giacinto,
prasio, crisopazio, sardonica, balascio, smeraldo, zaffiro e crisolito, dove
erano incise le rappresentazioni di gran parte dell'Olimpo e della storia
antica. Non si può non ricordare ad
esempio la « corniola ovata grande di
color non bello, con Hercole a sedere, et alcuni animali, con lettere greche,
che dicono la fatica esser cagione d'honesto riposo [...] » ()
che ritroviamo citata con tutta l'iscrizione da Annibale Carracci negli
affreschi del Camerino Farnese ().
E Fulvio Orsini è poi anche
attento scopritore di codici antichi, che acquista, raccoglie, confronta e
studia con capacità filologiche non comuni.
La sua erudizione non è semplicemente libresca, ma aperta ad ogni oggetto
antico che possa rivelare frammenti di storia non conosciuti.
Questa inclinazione, oltre che da
un?indiscutibile virtù innata, deriva dalla stessa centralità culturale della
corte farnesiana nella Roma e nell'Europa del Cinquecento, in cui confluivano
studiosi con una preparazione di altissimo livello e richieste continue di
scambi di oggetti antichi e di informazioni archeologiche o filologiche.
In un'epistola del 1589 spedita a
Ranuccio Farnese principe di Parma (),
l'Orsini ci rivela il respiro della politica culturale farnesiana, egli
infatti, nel riconfernare tutta la propria fedeltà e devozione al suo signore
dopo la morte del Cardinale Alessandro, ricorda di essere stato « alli servitii
di questo Ill.mo
et Ecc.mo
Sig.re,
et particularmente alla cura del Studio della Casa sua, sì come ho sempre
havuto in vita delli dui Card.li di fel[ice] mem[oria]. Alla qual cura io non mancarò di
fede et diligenza debita, così per rispetto delle cose che vi sono rare et
pretiose, come per causa delli studiosi, de'quali ha da essere scuola publica
questo Studio, secondo la mente del Sig.r Card.le Farnese » ().
La piena consapevolezza del ruolo
e dell'utilità pubblica della raccolta che si andava formando e soprattutto la
spontanea disponibilità alla fruizione del bene acquistato, portano a considerare la collezione farnesiana alla
stregua di un museo ante litteram
nella migliore delle accezioni, il segno tangibile di una comunione di cultura.
Le antichità del cardinale
Alessandro erano ricercatissime, basti pensare che nel 1571 Alfonso II d'Este
duca di Ferrara, nell'allestire la propria biblioteca su disegno di Pirro
Ligorio, l'arricchiva di teste antiche di filosofi e letterati fatte venire
apposta da Roma e chiedeva a Fulvio Orsini di cedergliene alcune delle sue per
completare la serie e l'umanista rifiutava ();
il duca di Baviera Alberto III il magnanimo aveva avanzato una richiesta simile
l'anno precedente sperando di ottenere qualche antichità « ad Studium [...]
exornandum » ().
Uno studio di Clifford Brown
ricostruisce le complesse trattative relative all'acquisto di un?importante
collezione di medaglie e di gemme incise di Antonio, Enea e Mario Gabrieli
sulla base di riscontri incrociati tra i dati ricavati dalla lettura del volume
sulle Statue antiche dell'Aldrovandi,
le epistole del card. Alessandro Farnese e Fulvio Orsini, e l'inventario di
quest'ultimo (). Ne risulta che l'Orsini aveva trattato la
questione intorno al 1580, superando non poche difficoltà di carattere
burocratico e riuscendo finalmente, in una data non ancora precisata, ad
acquisire un minimo di centoquarantanove medaglie, oltre alle pietre incise,
che divennero parti integranti della collezione farnesiana.
Rientrava nei compiti dell'Orsini
rintracciare sul mercato ogni oggetto e libro antico di pregio, stimarlo e dare
un consiglio sulla convenienza dell'acquisto, onde ampliare la raccolta e la
biblioteca. Così egli si trovava a
dover rispondere in qualità di bibliotecario al principe di Urbino che gli
chiedeva disegni di imbarcazioni
antiche (), e in
qualità di collezionista al mercante di gioie fiammingo che vendeva un cammeo
di Alessandro ed Olimpiade per cinquecento scudi ().
L'Orsini si era costituito
inoltre una biblioteca personale, che lasciò prima di morire alla Biblioteca
Vaticana e forma tuttora una parte importante della stessa; mentre la
biblioteca Farnesiana è confluita, dopo alcune traversie, in quella Nazionale
di Napoli ().
È bene comunque ricordare che,
presso i Farnese, l'Orsini non svolgeva solo le funzioni di bibliotecario e
conservatore delle collezioni di antichità, ma aveva anche le tipiche mansioni
di Segretario particolare al quale venivano affidate missioni delicate come
quelle pertinenti la gestione delle imprese artistiche. In un'epistola spedita da Roma il 3 marzo
1573, l'Orsini fornisce al cardinale Alessandro il progetto per la Cosmografia
di Caprarola () preparato
da un suo amico colto e versato nell'antichità romana che a tal scopo si
serviva di un Igino antichissimo manoscritto e miniato: testimonianza questa
che il cardinale non si accontentava di facili approssimazioni, ma richiedeva
uno studio adeguato per i soggetti degli affreschi di ogni singola sala del
palazzo e che il progetto doveva in
ogni caso passare sotto la sua personale supervisione; l'Orsini controllava l'andamento dei lavori
fungendo da intermediario (). Nell'ottobre dello stesso anno, infatti,
egli scrive al cardinale Alessandro in Caprarola una lettera di accompagnamento
per il pittore che, scelto dallo stesso cardinale, si andava a presentare al
palazzo per affrescarlo ().
A Roma l'Orsini dovette seguire i
lavori per la realizzazione di uno studiolo in legno con medaglie e cammei ()
e il monumento funebre del cardinale Ranuccio (),
entrambi su disegno di Giacomo della Porta; l?Orsini ebbe poi tra le mani,
disegnato dal Vignola, il progetto della facciata della Chiesa del Gesù (),
per il quale arrivò persino a scegliere la forma delle lettere dell?iscrizione
della facciata tra i diversi modelli antichi disponibili ().
Un'ulteriore testimonianza dello
stretto contatto di Fulvio Orsini con gli artisti contemporanei si trova nel
suo inventario dei dipinti, ricco di quadri e disegni di Leonardo da Vinci,
Giovanni Bellini (),
Giorgione, Tiziano, Raffaello, Michelangelo, Sebastiano Luciani, Baldassarre
Peruzzi, Giulio Romano, Giulio Clovio, Baccio Bandinelli, Daniele da Volterra,
Rosso Fiorentino, Girolamo Siciolante da Sermoneta, Salviati, Jacopino del
Conte, Marcello Venusti, Federico Zuccari, Sofonisba Anguissola, Lavinia
Fontana, ed anche el Greco, nominato come « un Grego scolare di Titano » (). La raccolta ha una natura composita perchè
ad un nucleo di dipinti sacri si affianca una lunga Galleria di ritratti di
personaggi celebri, cardinali e amici dell'Orsini ed una minoranza di scene
mitologiche. Tra queste ultime si può
ricordare, per esempio, un « Mercurio che
apparisce ad Enea » di Daniele da Volterra (),
una « Venere et Cupido » di
Michelangelo (), un «
disegno del carro di Faetonte » del
medesimo (), « un
disegno d'Enea che porta Anchise » di
Raffaello (), e un «
disegno senza cornice col ratto di
Ganimede » di Daniele da Volterra copiato da Michelangelo ().
Il Nolhac correttamente ipotizza
che l'Orsini abbia ricevuto buona parte dei dipinti in dono dagli artisti
stessi nei periodi in cui lavorarono per i Farnese (). Di uno almeno si conosce l'esatta
provenienza: l'ovato di rame, col ritratto del Sigonio, era stato dipinto da
Lavinia Fontana su richiesta dell'Orsini ().
Unica assenza di rilievo è
quella carraccesca, che non comporta però alcuna limitazione alla tesi che
l'Orsini abbia collaborato all'impresa della Galleria Farnese. Per le ragioni sopra accennate, infatti,
tale assenza potrebbe essere spiegata dalla circostanza che l'Orsini morì prima
della fine dei lavori della Galleria, nel maggio del 1600.
CAP. 3
Fulvio
Orsini nella tradizione umanistica di Roma
Pur nella mancanza di uno studio
approfondito sulla biografia, la personalità e la cultura di Fulvio Orsini,
nessuno studioso ha messo in dubbio il valore del suo contributo all'Umanesimo
romano del Cinquecento.
L'unica biografia moderna dopo
quella fin troppo sintetica del Castiglione
che risale al 1657 (),
è di Pierre de Nolhac, scritta a completamento del suo fondamentale studio
sulla Biblioteca dell'Orsini. Dalle numerose
e ben documentate informazioni del de Nolhac è possibile tentare di ricostruire
quella complessa rete di frequentazioni dotte dei Farnese che si alimentava nei
cenacoli umanistici dei Palazzi Farnese di Roma e Caprarola, ma soprattutto di
cogliere a grandi linee il legame che unisce l'Orsini ai grandi esponenti
dell'Umanesimo romano delle due precedenti generazioni, da Pomponio Leto ad
Angelo Colocci.
La più significativa testimonianza di questa continuità culturale
è in una lettera che Fulvio Orsini scrive nel 1572 all'amico Giovanni Vincenzo
Pinelli per riferirgli l'esito di una ricerca di opere di autori greci alla
Biblioteca Vaticana . Aveva ritrovato
un libro « [...] di 500 anni in perg[amena] Questo libro fu del Colotio et io
me ne ricordo, che essendo giovinetto andava da quel galantuomo, et ben spesso
li trovava con questo libro in mano, perchè egli ne faceva all'hora tradurre
l'Atheneo De Machinis bellicis che è nel medesimo libro, da Messer Guglielmo,
che oggi è il cardinale Sirleto » ().
L'Orsini senza dubbio quindi frequentava e stimava il Colocci e dopo la morte, avvenuta nel 1549, ne ereditava il
magistero così come il Colocci aveva a sua volta accolto il retaggio di
Pomponio Leto. Quella parte della
biblioteca del Colocci che si potè salvare dalla distruzione durante il sacco
di Roma del 1527, passò a Fulvio Orsini
e quindi alla Biblioteca Vaticana ().
Da Giovanni Gioviano Pontano,
attraverso il Bembo, riceveva il celeberrimo "Virgilio" che è ancor
oggi uno dei più preziosi manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana.
Tra gli uomini di cultura
italiani e contemporanei in contatto con l'Orsini si possono notare personalità
come Antonio Possevino (),
l'indomito gesuita scrittore, diplomatico e missionario impegnato nella lotta
contro i protestanti, nonchè autore della Bibliotheca
selecta; Gabriele Faerno di Cremona (),
studioso di letteratura latina alla
Biblioteca Vaticana e chiosatore delle Filippiche di Cicerone e delle Commedie
di Terenzio; Latino Latini di Viterbo (),
autore di glosse a Tertulliano, dal 1565 familiare del card. Ranuccio Farnese e
dal 1573 preposto all'esegesi del diritto canonico contenuto nel Decretum di Graziano, compito
delicatissimo e di grande responsabilità che lo impegnò tredici anni; ed anche
il medico Girolamo Mercuriale forlivese (),
beneficiato dal card. Ranuccio Farnese.
Tra gli amici più cari in Italia
vanno ricordati lo storico modenese Carlo Sigonio (),
conosciuto a Bologna nel 1565, esperto di filologia greca e latina; Pier
Vettori fiorentino (),
autore di numerose edizioni di autori latini e greci quali Sallustio, Terenzio,
Cicerone, Euripide, Aristotele e Platone; lo storico veronese Onofrio Panvinio
(),
revisore della Biblioteca Vaticana al servizio dei cardinale Cervini, futuro
Papa Marcello II, e del card. Alessandro Farnese, editore dei Commentari ai
Fasti.
Va inoltre sottolineato il
rapporto culturale con Annibal Caro che era stato segretario dei Farnese per
due generazioni, avendo servito il duca Ranuccio Farnese (),
poi suo figlio il duca Ottavio e infine il colto card. Alessandro Farnese, la
cui larghezza di vedute abbiamo già vista nelle epistole scambiate con Fulvio
Orsini.
Le principali informazioni sulle
amicizie e le frequentazioni umanistiche dell'Orsini sono contenute nei suoi
epistolari manoscritti, oggi legati in tre volumi miscellanei che contengono
anche epistole di Aldo Manuzio Sr., Colocci, Pontano, Bombasio, Carteromaco e
di grandi umanisti del XV° secolo e
sono conservati nel fondo Vaticano Latino della Biblioteca Apostolica Vaticana
con le segnature 4103, 4104, 4105.
Sarebbe di somma utilità ed interesse la pubblicazione integrale e con
apparati critici completi di questi tre volumi compositi che per la loro stessa
natura già mostrano il segno evidente di una continuità di cultura nella Roma
del Rinascimento ().
Da una rilettura di tali
epistolari sulla base di informazioni raccolte dal De Nolhac, emerge inoltre
con chiarezza la dimensione "europea" dell'umanesimo di Fulvio
Orsini. Si era infatti creata una triangolazione
Roma-Madrid-Anversa via Orsini-Granvelle-Plantin finalizzata alla realizzazione
di una notevole impresa editoriale.
Il famoso tipografo di Anversa
Christopher Plantin ()
era infatti suddito di Filippo II re di Spagna e dei Paesi Bassi per il quale
aveva stampato un?importante Bibbia poliglotta in latino, greco, caldeo ed
ebraico, mentre il Granvelle, diplomatico al servizio del re, forte della
propria influenza politica, fungeva da intermediario tra il Plantin e l'Orsini
favorendo la pubblicazione dei volumi di quest'ultimo.
Antoine Perrenot cardinale di
Granvelle (), goduta
la piena fiducia di Carlo V che lo aveva incaricato di parlare a proprio nome
all'apertura del Concilio di Trento, era divenuto ministro di Filippo II di
Spagna e membro del Consiglio di Stato dei Paesi Bassi dimostrando di essere
strenuo fautore dell'ortodossia cattolica nella lotta contro il
protestantesimo. Gli eventi politici
del 1563 avevano poi costretto il Granvelle a ritirarsi a Besançon nel 1564 per
una pausa di studi umanistici insieme a Giusto Lipsio suo segretario, e a
trasferirsi a Roma l'anno successivo (). In questa occasione dovette conoscere
Fulvio Orsini, facilitato dai stretti legami che univano allora i Farnese alla
Spagna.
Capovolgendo l'alleanza
filofrancese perseguita da suo padre Ottavio, Alessandro Farnese aveva infatti
stabilito la propria residenza a Madrid e sposato Maria di Braganza principessa del Portogallo nel
1565, proprio l'anno in cui il Granvelle si recava a Roma. Inoltre la madre di Alessandro Farnese era
Margherita d'Austria figlia di Carlo V.
Il Granvelle era quindi legato a
doppio filo con Fulvio Orsini per il comune interesse per i libri e le
antichità romane e per la gestione della politica spagnola in Italia con i
Farnese e anche per avere una certa familiarità con gli artisti, come
dimostrano le lettere che gli spedirono
Tiziano e il Primaticcio ().
L'epistola spedita dal Granvelle
all'Orsini in Roma il 20 agosto del 1566 ben testimonia la natura delle
relazioni intercorse tra i due umanisti: « Molto mag.co Sig.re come fratello
M. Tadeo pintor ()
mi porta una di V.S. la quale diede alli miei, et subito che venne alle mie
mani feci cercar il p.to pintor desiderosiss.mo di conoscerlo, vederlo, et parlar
con lui; et rispose alli mei che andava a certi negocij suoi, et che poi mi
vedrebbe, et così espettando questa sua venuta ho indugiato di rispondere a
quelle sue lettere, et certificarli che aveva ricevuto le sue fatiche sopra la
Georgica; ma essendomi venuta la seconda sua di 16 di questo, ancora che al
portatore dissi haver ricevuto la prefata sua opera, non ho voluto diferir piu
di scrivergli, et certificarli, che non solo l'ho ricevuta; ma che passano 15
giorni che la mandai in Fiandra ();
ma io credo che espetteranno innanci che
risolversi alla stampa il restante che è l'Eneade la quale intendo che
se copia con diligenza, et venuto che sarà farò il dovere per haver risoluta
risposta dal stampatore, et restine V.S. con animo quieto perchè io ne ho la
cura che conviene. La ringratio
infinitam.te
dell'avviso che mi da della vendita che si fa della pittura del giuditio, che
era nella guardarobba della buona m.a del bon car.l di S.to
Angelo (), io mi
ricordo d'haverla veduta bene quando con la bona guida di V. S. fui condotto a
veder la libraria, et la guardarobba; ma per esser tavola, et grande mi deterre
di attendere alla compra per la incommodità del porto, et invero non voria
ancora che uscisse tal cosa della casa come l'ho detto a padre Honofrio (). Al Piggio ()
mandai quella inscritt.ne che V.S. mi diede ricavata da quel fragmento di marmore
sopra di che mi risponde quanto V.S. vedrà dall'alligato cap.lo ricavato
dalla sua l.ra
[...] » ()
Il primo frutto dell'amicizia
dell'Orsini con il Granvelle è l'edizione plantiniana di Virgilio stampata nel
1567.
CAP. 4
Stephen Wynkens Pigge e l'Hercules prodicius
Tra i volumi stampati dal Plantin
ad Anversa uno in particolare richiama l'attenzione di chi è interessato agli
affreschi della Galleria Farnese: l'Hercules
prodicius di Stephen Wynkens Pigge (). Viene spontanea l'associazione di idee con
il dipinto centrale del Camerino Farnese, che tratta appunto il tema di Ercole
al bivio così come venne illustrato da Prodico di Ceo. Il Martin notò l'esistenza del testo, ma
non intraprese indagini approfondite a riguardo (). Una ricerca sulla biografia del Pigge
rivela la sua appartenenza al circolo umanistico farnesiano e fornisce utili
indicazioni sulle vie che portarono Annibale e Agostino Carracci alla conoscenza
di alcune particolari iconografie "antiquarie".
Il nome di famiglia del Nostro è
in realtà Wynkens, il cognome Pigge gli deriva dallo zio materno, il famoso
teologo Albert (). Albert Pigge aveva combattuto il
protestantesimo, confutando le dottrine calviniste con il De libero hominis arbitrio et gratia divina (),
ed era stato al servizio di Adriano VI, Clemente VII e Paolo III Farnese.
Stephen Wynkens Pigge, nativo di
Kampen, città olandese, studiò all'Università di Lovanio approfondendo la conoscenza
della letteratura latina; a ventisette anni, nel 1547, era in Italia al seguito
del card. Marcello Cervini, allora prefetto della Biblioteca Vaticana (). Durante il soggiorno romano disegnò con
attenzione i monumenti antichi, trascrivendo tutte le iscrizioni di cui veniva
a conoscenza, senza dimenticare le medaglie, le monete e ogni altro oggetto di
valore storico. Dopo sette anni di
lavoro venne alla luce una silloge epigrafica manoscritta, dal titolo Inscriptionum Antiquarum Farrago, collecta atque
illustrata per Stephanum Pighium: opus inchoatum absolutumque anno 1554 iussu
auspiciisque Marcelli Cervini. Il
Cervini divenne Papa Marcello II nel 1555, ma la morte lo chiamò a sè dopo soli
ventidue giorni di pontificato.
Privo di protettore, il Pigge
passò nello stesso anno al servizio del Granvelle, allora vescovo d'Arras, in
qualità di Segretario per le lettere latine e bibliotecario, con gli stessi
incarichi dunque che Fulvio Orsini aveva presso il card. Ranuccio Farnese. Il Granvelle apprezzava la silloge
epigrafico-antiquaria del Pigge, ne sollecitava l'aggiornamento e introduceva
l'umanista alla tipografia plantiniana.
Nel 1566 il Pigge curò l'edizione
dei Dicta factaque memorabilia di
Valerio Massimo, collazionando più manoscritti con cura tale da meritare
l'elogio di Giusto Lipsio ()
e nel 1568 pubblicava col Plantin un volume intitolato Themis dea, seu de lege divina. Il significato di un'erma marmorea acquistata dal card.
Rodolfo Pio da Carpi veniva illustrato in Roma nella vigna del cardinale stesso con un dotto dialogo tra
Antoine Morillon, l'ambasciatore imperiale Don Diego Hurtaldo de Mendoza ed
Antonio Agustin. Alla Themis Dea era aggiunta la Mythologia vel anni partes, dissertazione su un
bassorilievo ritrovato prima del 1559 nelle vicinanze di Arras dedicata al
card. Granvelle, che a quella data era vescovo della città ().
Il generale precipitare degli
eventi nei Paesi Bassi seguito alla rivolta anticattolica dei cosiddetti Gueux del 1566 con la sanguinosa
repressione del duca d'Alba, ma soprattutto, come si già è visto, il ritiro
forzato del Granvelle prima a Besançon e poi a Roma, costrinsero il Pigge a
cercare un nuovo protettore.
Grazie all'intermediazione di
Andrea Masi, noto orientalista, il Pigge trovò protezione presso il duca
Guglielmo di Cleves con il compito primario di curare l'educazione del giovane
figlio Federico - Carlo.
Il principe Carlo e il Pigge
furono così mandati nell'ottobre del 1571 a Vienna, presso l'imperatore
Massimiliano II d'Asburgo, come prima tappa di un viaggio più lungo. Alla corte viennese il Pigge incontrò, tra
gli altri umanisti, anche Giusto Lipsio che non era riuscito a trovare una
sistemazione a Roma con il card. Granvelle ()
e Janos Zsamboky, umanista ungherese bibliotecario dell'imperatore.
Dopo un lungo soggiorno viennese
il Pigge accompagnò il principe Carlo di Cleves in un viaggio d'istruzione in
Italia ma, disgraziatamente, il giovanetto si ammalò e morì durante l'ultima
tappa del viaggio, il 9 febbraio 1575 (). L'Hercules
prodicius, edizione plantiniana del 1587, è esattamente il resoconto di
tale viaggio ().
Per la sua particolarissima
natura, l'Hercules Prodicius si adatta perfettamente all'occasione degli
affreschi del Camerino Farnese. Vi è
una profonda affinità tra il ruolo del Pigge e quello dell'Orsini: entrambi
umanisti preposti all'educazione di un giovane principe (),
svolgono il loro compito usando l'archeologia al servizio della pedagogia, in
un vitale intreccio che vede coniugarsi la conoscenza, lo studio e la
comprensione storica delle antichità romane.
Non trattano una astratta citazione della figura di Ercole che, grazie
alla propria forza, è simbolo di fortitudo
cristiana in tutto il Rinascimento, ma assumono la chiara consapevolezza della
necessità di un approfondimento storico e filologico effettuato sui testi, e in
un continuo riscontro con la realtà dei reperti esistenti, con le rovine del
mondo antico. Chiave di lettura dell'Hercules Prodicius e del Camerino
Farnese è la scelta morale primaria che l'umanista compie all'inizio del
proprio cammino e quindi la scelta fondamentale nell'educazione di un giovane
principe.
È evidente soprattutto l'intima
affinità esistente tra l'impresa che Fulvio Orsini ideò per il cardinale
Odoardo Farnese, « mi innalzo verso Dio », e la tradizione riferita dal Pigge
di un Ercole rapito al cielo nell'immortalità, un Ercole che ben lungi dallo
scendere agli Inferi, si vede « ad caelum post labores atque aerumnas e carcere
corporis evehere », un tema neoplatonico quindi, per via della spiccata
attenzione posta sulla limitatezza della corporeità (),
ma anche e soprattutto un tema cristiano, nella misura in cui la premiazione di
Ercole corrisponde alla ricompensa che aspetta l'uomo giusto dopo la morte.
Così infatti soggiunge il Pigge:
« Non secus mihi visum est, inclytae Princeps, in hoc volumine catagraphen
quandam optimi Principis adolescentis cum suis virtutum signis adumbrare tanquam in tabula picta. Quae licet expolita sit leviter,
repraesentabit tamen egregium Herculem Christianum non flammis e pyra sublatum
sed ardore Virtutis divinae graviter militantem, ac demum post pulchra rerum
experimenta, soluto corpore piissimae matris Ecclesiae Romanae ab amplexibus
subvectum ad aethera. Nemini etenim
pio, ni fallor, displicebit. Socratis
Platonici sapiens illa sententia cum Prodico nostro pulchrae consentientis,
apertas homini vitam ingresso duas actionum esse vias, virtutis scilicet et
vitij. Duplices item esse excursus
animorum e corpore, vel ad praemium, vel ad poenam. Itaque voluptatis discipulos animos vitiorum contagione
seductos, atque devium a concilio deorum iter, & ab aeterna foelicitate
seclusum ingressos delabi semper ad poenam, ac difficulter admodum remeare
gradum, superasque evadere ad auras posse, ut & poëtarum princeps Maro
cecinit.
Alios vero, qui Virtutem ducem
sequuti in corporibus humanis deorum vitam imitati sunt: confecto in terris
gloriose curriculo, facile ad illas aethereas sedes, a quibus profecti erant,
reverti, praemiumque nancisci.
Huic aureae sententiae
astipulatur inter alios etiam M. Tullius, sit licet mysteriorum nostrae
religionis ignarus. Huic etenim, uti
in Rabiriana testatur, bonorum virorum
mentes divinae, atquae aeternae videntur, & ex hominum vita ad
deorum religionem, sanctimoniamque recta demigrare » ().
L'idea che anche nella lettura
che Cicerone fa del tema dell'Ercole al bivio si possa riscontrare una
simbologia cristiana, è perfettamente in linea con la cultura di Odoardo
Farnese, il cui motto, come si è visto, tolto dal Vangelo di Matteo, è inserito
in un contesto antiquario che dà per acquisita la nozione che non vi è una
contraddizione assoluta tra la religione pagana e quella cristiana se si
considerano i miti della prima come prefigurazioni della verità della seconda.
La vicinanza tra l'Hercules prodicius e il Camerino Farnese
non è solo concettuale, ma presta occasione a considerazioni
iconografiche. Quando infatti il Pigge
descrive la tappa ravennate del viaggio in Italia, si sofferma su un confronto
tra una statua di Ercole "astrologo" trovata nella città ed un'altra
che aveva avuto occasione di vedere a Roma.
L' Ercole "astrologo"
era rappresentato con la clava abbandonata a terra, in atto di appoggiarsi sul
ginocchio sinistro e sostenere sul capo, come Atlante, un orologio solare. L'Ercole romano era invece
"stellifero", cioè portava sul capo una grande sfera celeste, con le
raffigurazioni dello zodiaco: « Nec dissimilem vidisse me memini Herculis
statuam Romae in vinea Stephani Bubalij repertam; qui non horographicum
sciotericon, sive vas horoscopum cervice, sed caeli spheram ingentem zodiaci,
atque fixarum stellarum imaginibus pulcherrimae sculptis exornatam gestabat » ().
In un affresco del Camerino
Farnese è presente la versione di Ercole "stellifero", molto
probabilmente ricavata dalla stessa statua descritta dal Pigge, che si
conservava proprio in Roma; inoltre gli attributi di almeno uno dei due
astrologi raffigurati ai lati dell'Ercole stellifero nella scena del Camerino
poterono essere ricavati dal frontespizio di un'edizione di Tolomeo curata da
Gerhard Kremer, geografo ben noto come Mercator, il quale si trovava ad essere
cosmografo dello stesso protettore del Pigge, il duca Guglielmo di Cleves,
padre del principe Carlo protagonista dell'Hercules
Prodicius.
Soli otto anni separano la
pubblicazione dell'Hercules prodicius
dall'inizio dei lavori per il Camerino Farnese, ma per via degli stretti
contatti, sia personali sia indiretti,
tra il Pigge e l'Orsini, non si deve pensare che l'umanista romano venne a
conoscenza del volume solo nell'anno di pubblicazione, tanto più che il
principe di Cleves era morto in Italia.
La lettura dell'Hercules
Prodicius ci suggerisce l'idea che i riferimenti neoplatonici o
archeologici del Camerino Farnese non siano divulgazioni elaborate di seconda
mano da Annibale Carracci, ma materiali di prima mano, spesso inediti e noti
solo agli umanisti più informati. Il
Martin aveva ben capito che l'autore del programma del Camerino poteva essere
solo Fulvio Orsini, conosceva anche l'esistenza dell'Hercules Prodicius, ma non aveva approfondito lo studio dei legami
di cultura e d'amicizia che formavano quella grande scuola ideale
dell'umanesimo del secondo Cinquecento europeo. In questo modo veniva a mancare alla critica la conoscenza
dell'origine di quel substrato culturale che sarà poi presente nella volta e
nelle pareti della Galleria.
CAP. 5
Janos Zsamboky e le Dionisiache di Nonno di
Panopoli
Altri dati non meno interessanti
emergono dallo studio della biografia del medico e letterato ungherese Janos Zsamboky, umanista che abbiamo già
intravisto con il Pigge a Vienna in qualità di Bibliotecario dell'Imperatore
Massimiliano II ().
Anch'egli era in contatto con
Fulvio Orsini, cui lo legava il comune interesse per lo studio filologico dei
testi degli scrittori latini e greci che aveva raccolto in una biblioteca ricca
di almeno duemilaseicento libri a stampa e di più di seicento codici
manoscritti.
Lo Zsamboky aveva acquisito una
solida preparazione nelle Università tedesche. A Wittenberg aveva ascoltato le letture di greco del Melantone;
ad Ingolstadt aveva seguito le lezioni dell'insigne Peter Bienewitz, noto come
Apianus, astronomo, matematico e filologo,
editore del primo nucleo del Corpus inscriptionum latinarum et graecarum,
nonchè di una carta geografica dell'Ungheria ();
a Strasburgo aveva studiato letteratura latina presso Giovanni Sturm.
Con uno dei figli dell'Apianus
visitò Parigi nel 1551 conoscendo Jean Dorat, futuro precettore dei figli di
Enrico II di Francia e poeta regio, ed approfondendo lo studio della lingua
greca grazie anche all'influsso che su di lui ebbe il magistero di Adrien de
Turnèbe, il vate della letteratura greca in Francia che aveva pubblicato la
prima edizione francese dell'Iliade e l'edizione completa di Eschilo, Sofocle,
Aristotele e altri sommi scrittori.
Sulla spinta di questo fortissimo impulso culturale parigino, lo
Zsamboky iniziò a collezionare manoscritti, soprattutto greci, e a tradurli.
Tornato a Vienna nel 1553, lo
Zsamboky divenne precettore di Giorgio Bona e Nicola Istvánffy, due giovani
parenti dell'Arcivescovo di Esztergom Nicola Oláh (). Il primo già da un anno studiava a Padova,
mentre il secondo si apprestava a raggiungerlo insieme al maestro.
A Padova lo Zsamboky seguì le
lezioni di Francesco Robortello, maestro anche di Francesco Patrizi, tenne contatti con Paolo Manuzio, il cui
figliolo studiava nella stessa Università, e si dedicò alla ricerca di codici
manoscritti fino a quando la morte improvvisa ed inaspettata di Giorgio Bona lo
spinse a tornare a Parigi ().
Rientrato nuovamente in Italia
nel 1562, lo Zsamboky visitò Genova,
Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Roma e Napoli.
A Roma non si lasciò sfuggire
l'occasione di acquistare manoscritti antichi, tra cui un esemplare della Batracomiomachia e un Commentario sulle
Omelie di Gregorio Nazianzieno comprato da Fulvio Orsini.
Non si hanno molte notizie intorno al suo soggiorno
romano, ma si può con sicurezza affermare che lo Zsamboky frequentava Fulvio
Orsini e i più noti umanisti archeologi suoi amici. Erano anni di intensa attività culturale: fervevano i lavori del
palazzo Farnese di Caprarola e si iniziavano le riunioni dell'Accademia delle "Notti
Vaticane" sotto la guida di Carlo Borromeo ().
Evidentemente a Roma lo Zsamboky
era entrato a pieno titolo nella cerchia dell'Orsini. Non appena lasciata l'Italia si era infatti recato nelle Fiandre
ed era riuscito a stampare il suo volume di Emblemata
ad Anversa presso il Plantin ().
Lo Zsamboky si ricordò
dell'Orsini con stima e gratitudine dedicandogli un emblema che rappresenta i
due umanisti in uno studiolo intenti ad esaminare antichi volumi.
Tornato definitivamente a Vienna,
lo Zsamboky rimase in contatto epistolare con l'Orsini, Paolo Manuzio, il
cardinale Sirleto, Pier Vettori e Girolamo Mercuriale ()
e potè incontrare personalmente Onofrio Panvinio che si era presentato alla
corte dell'imperatore con una raccomandazione del cardinale Farnese ().
Dopo cinque anni di soggiorno viennese,
nel 1569, lo Zsamboky fa pubblicare dal Plantin in Anversa l'editio princeps delle Dionisiache di Nonno di Panopoli ()
esemplata su un manoscritto che aveva acquistato in Italia. Il testo viene stampato interamente in
greco con le glosse del Falkenburg, mentre l'edizione con il testo latino a
fronte esce solo nel 1605 ().
È evidente l'interesse del volume
per gli studi sulla Galleria Farnese se si considera che la pittura centrale
della volta rappresenta il trionfo di Bacco e Arianna.
Il poema, databile al quinto
secolo, comprende 48 canti uniti da una complessa architettura generale, ma
congestionati dalle interminabili digressioni che distolgono l'attenzione dalla
trama centrale. La vasta cultura ellenistica
dell'autore tende a spaziare su tutta la mitologia offrendo un panorama
complesso dell'Olimpo. I rapidissimi
commenti contenuti nelle glosse ai lati del testo latino delle Dionisiache si
collocano bene nel contesto dei miti della Galleria Farnese in cui viene
significata la tematica di amore vincitore.
Anche i più forti soccombono alla
potenza d'Amore, nè si salva il re dell'Olimpo di fronte a Semele: «
Languidissimo vero telo / Parvus Amor combussit iaculatorem fulminis / Neque
(congeries pluviae), & non flammanti latori / Fulmen profuit / Victu est
vero & ipsa imbellis Veneris pauco igne tanta Flamma » e così commenta la
glossa a fianco: « Amor summum Iovem domat » (),
e ancora: « Coelestis & parvus amor cum irsutos pilos habente scuto / Cum
aegide cestus pugnavit, ab amorem generante v. pharetra / Fulmineae graviter
sonans subiugatus et sonitus Echus », con la glossa: « Exiguus amor etiam
validissimos domat » (). È lo stesso tema della Galleria Farnese,
simbolicamente espresso nella scena in cui Amore atterra Pan, che riappare
nell'analoga incisione di Agostino Carracci con il suo virgiliano commento : «
Omnia vincit Amor ».
Un episodio delle Dionisiache è
molto simile a quello di Polifemo e Galatea della Galleria Farnese, dove è
rappresentato il non corrisposto amore di un essere orrido per una splendida
ninfa: « [...] aethera tangebat Morrheus / Spe vana sublatus. In corde enim /
Puellam arbitratur habere telum aequale amorum, / Vanus vir, quod puellam
temperantem quaereret oblectare, / Nigris membris & non recordaretur formae.
/ Et ipsi arridens dolo ioculari puella », il commento è quanto mai esplicito:
« Morrheus a Cupidine vulneratus. Calchomedem amat. Amor fortes mollit. Calchomedia amorem simulat. Deformis
formosam amans ». « Miserum est amorem
non esse reciprocum ».
È il tema della reciprocità
d'amore, espresso nella Galleria Farnese dalla lotta di Eros ed Anteros.
L'amore fiacca i forti nel mito
di Ercole ed Onfale, nelle Dionisiache « Morrheus amore effoeminatus », oppure:
« Amor effoeminat etiam fortissimos. Tmolus Caucasus ».
Un passo centrale delle
Dionysiache è l'episodio in cui viene raccontata la fase finale del mito di
Arianna. Ella si dispera per essere
stata abbandonata sull'isola di Nasso dall'amato Teseo: « Perdidi & patrem,
& sponsum, heu mihi ob amores / Non video Minoem & non Thesea cerno, /
Gnossum meum reliqui, tuas v. non video Athenas, / Patre privata sum &
patria: Ah valde misera / Munus sponsale mei amoris aqua pulchra, ad quem
fugiam ? / Qui Deus rapiet me, & in Marathonem feret, / Veneri & Theseo
iudicio circumventam Ariadnen ? / Quis me acceptam fere perfluctus. Utinam
& ipsa / Vestrae filum aliud videam, ducem viae / Tale habere volo &
ego filum, ut effugiam / Aegei maris fluctum, / & in Marathonem transeam /
Ut amplectar te iuramentum fallentem coniugem / Accipe me tuorum thalamorum
cubicularium si voles » (). Nel relativo commento viene sottolineata
la singolarità della natura d'amore, nella lotta tra affetti e ragione,
intelletto e sentimento ().
Ma, splendente di luce divina ode
i suoi pianti Bacco, la consola e le offre il proprio amore: « [...] Talia illa conquerente delectabatur
Bacchus audiens, / Cecropiam vero cognovit & nomen Tesei cognovit / Et
classem ex Creta dolosam, prope puellam vero / Divinam imaginem habens
resplendebat, virginem vero / Meliorem in amorem alium flagellavit incitatore
cesto » ()
Bacco, rivolgendosi ad Arianna, si paragona a Teseo disprezzandolo ():
« Non Iovis omnibus imperanti persimilis fuit Minos / Tuus genitor, non Cnossus
similis est coelo / Nec frustra classis haec meum ingressa est Naxum / Sed amor
te servavit melioribus nuptiis / Felix, quod relinquens deteriorem aulam /
Lectum desiderabilis intuebere Bacchi / Quod magis voluisti decus superius;
utrumque n. / Coelum domum habes, socer v. tibi est est Saturnius / Non tibi
Cassiopeia poterit aequiparari. / Filiae suae ob ornatum coelestem. Aetherios
enim / Laqueos Andromedae etiam in stellis praebiut Persaeus / Sed tibi
stellatum faciam coronam, ut audias / Coniux fulgens coronam amantis Bacchi ()
».
Nelle Dionisiache, dunque, amore
perfetto è quello di Bacco per Arianna, di grado superiore a quello di Teseo,
il quale è un comune mortale, figlio sì di un re, ma non del re
dell'Olimpo. L'amore di Ercole ed Onfale
o di Polifemo per Galatea è di natura diversa da quello di Bacco ed Arianna.
Su questa fondamentale
distinzione ritorneremo diffusamente in seguito, intanto va messo in rilievo
l'altro probabile contributo dello Zsamboky all'iconografia carraccesca della
Galleria Farnese.
Nel primo di una serie di quattro
dipinti noti come gli "Amori de'Carracci" del Kunsthistorisches
Museum di Vienna, di attribuzione incerta tra Agostino Carracci o Paolo
Fiammingo, ma più probabilmente del secondo, e datazione tra il 1589 e il 1595,
compare un singolare elemento iconografico, la cui origine è stata chiarita dal
Kurz (). Si tratta di un putto alato che regge in
mano un pupazzo di stoffa montato su un bastoncino e fa le viste di mostrarlo
ad una coppia di amanti in primo piano.
Questo apparente divertissement
è in realtà una dotta citazione archeologica tolta dalla raccolta epigrafica
dell'Apianus. Nelle Inscriptiones sacrosanctae vetustatis compare infatti una xilografia illustrante
un sigillo antico in pietra dura che decorava una croce d'oro del monastero di
Hradisch nei pressi di Olmütz (). Sulla sinistra dell'incisione è raffigurata
una fanciullina alata con una ghirlanda sul capo in atto di suonare l'arpa,
sulla destra il puttino con il pupazzo.
Le iscrizioni identificano i personaggi come Venus e Cupido, mentre il
pupazzo è chiamato iocus. Il sigillo era stato scoperto nel 1504 da
Conrad Celtis, celebre umanista tedesco che aveva frequentato l'Accademia di
Pomponio Leto in Roma nel 1486 (). Le prime due pitture, inoltre, furono
incise da Agostino Carracci, le altre dal Sadeler ().
Fulvio Orsini aveva sicuramente
conosciuto Filippo Apianus figlio di Peter, l'autore delle Inscriptiones, dietro presentazione del comune amico Zsamboky che
gli scriveva, in un'epistola del 7 aprile 1564, « da operam videat bibliothecam
vestram, videat antiquitates e [...] si qui libri aut manu factae
demonstrationes mathematicae sunt, ostendas » ().
Non è possibile avanzare altre
ipotesi, soprattutto in mancanza di qualsiasi documentazione intorno alla
committenza e la provenienza dei dipinti viennesi, è certo comunque che l'inventio iconografica non può essere
attribuita al solo pittore, ma presuppone la collaborazione di un umanista
almeno per ciò che riguarda il reperimento del testo.
CAP. 6
Achille Bocchi.
« Omnia cui cedunt, divino cedat amori »
Nella Felsina Pittrice il Malvasia afferma che Agostino Carracci iniziò
la propria attività incisoria realizzando un bucranio ()
per la ristampa dei Symbolicarum
quaestionum ... libri quinque, emblemi del letterato e filosofo bolognese
Achille Bocchi ().
Gli studiosi della Galleria dei
Carracci hanno generalmente trascurato tale volume di emblemi a vantaggio dei
più noti testi dell'Alciati e del Cartari, citati soprattutto per la
spiegazione del significato di Anteros.
Il Martin accenna sì all'emblema con Ercole e Atlante del libro del
Bocchi, ma evidenziando soprattutto la distanza che lo separa dagli affreschi
del Camerino ();
la Marzik cita alcuni luoghi delle Symbolicae
Quaestiones come una delle possibili fonti neoplatoniche rinascimentali
della Galleria senza però soffermarsi sulla personalità dell'autore ().
Come giustamente nota il Calvesi
nel suo volume su Le Realtà del
Caravaggio, la presenza della tematica di amore virtuoso e divino nelle Symbolicae Quaestiones del Bocchi
dimostra « che nell'impresa carraccesca ricorrono quei significati morali già
segnalati dal Bellori e negati con disinvoltura da buona parte della critica
moderna » ().
L'incisione più importante è
senza dubbio quella che rappresenta Pan
atterrato da Amore, con il motto: « OMNIA CUI CEDUNT, DIVINO CEDAT AMORI »
():
Pan, al quale sottostà ogni cosa, deve a sua volta sottostare all'amore divino.
« PAN VICTUS A CUPIDINE IN LUCTA
CADIT. Te quoque Pan ovium custos
dignissime, Amori / Luctando quondam succubuisse ferunt. / Nec tibi profuerunt ridenti cornua fronte, /
Barbaque Phoebea lampade splendidior / Non illa astriferum referens tua Nebrys
olympum, / Non calamis septem fistula disparibus. / Non dextra gestasse pedum,
quo cuncta gubernas, / Nempe tuum est mundi totius imperium. / Ergo si tantum
numen tu cedis Amori, / Ecquis erit nostrum cedere quem pigeat ? / Victore a
summo vinci victoria summa est, / Testis naturae es maximus ipse parens ».
È esattamente il significato
della scena di analogo soggetto della Galleria Farnese e dell'incisione di
Agostino Carracci che reca il motto Omnia
vincit Amor (). Il confronto con il simbolo del Bocchi
dimostra il vero significato dell'immagine di Agostino, la cui iscrizione non
deriva, come si è pensato, direttamente dai versi di Virgilio « omnia vincit
amor et nos cedamus amori », nei quali manca ogni riferimento a Pan, ma dalla
lettura neoplatonica che ne fa il Bocchi.
Il Bodmer aveva collegato l'incisione di Agostino alle sue Lascivie, fraintendendone così il
significato ().
L'intenzione simbolica del libro
del Bocchi è chiaramente espressa dal letterato sardo Gavino Sambiguccio ().
Il Sambiguccio era entrato a far
parte dell'Accademia filosofica che il
Bocchi aveva fondato nel proprio palazzo bolognese con gli auspici e la
protezione di Papa Paolo III e del cardinale Alessandro Farnese (). L'Accademia, oggi generalmente conosciuta
come "Bocchiana", veniva chiamata Hermathenaica in relazione
all'impresa personale del fondatore nella quale compaiono le figure di Ermete,
Atena e Cupido con le briglie in mano ed il motto: « SIC MONSTRA DOMANTUR ».
Il motto è riferito a Cupido: «
Horum autem in medio divinum depinxit Amorem, qui adamantino freno monstrum
frenat, cuius quidem rei admiratione ductus poeta, cum tam parvum puerum,
qualis Amor est, tantum Monstrum tam exiguo freno regere ac ducere videat,
divinum hunc affatur Amorem, quaeritque unde nam in puero tam parvo tantae
insint vires. Cui Amor respondens
apertissime monstrat causas, quibus mediantibus similiter & nos possimus
monstra domare, tandemque nobis veram felicitatem ac beatitudinem comparare,
quem admodum fusius suo loco declarabimus: atque ista, ut breviter dicam, in
praesenti Symbolo Poetae nostri intentio fuit » ().
Il tema del contrasto tra la
forza spirituale d'amore e la sua debolezza fisica, che appare anche nelle
Dionisiache di Nonno di Panopoli e nella Galleria dei Carracci, fornisce lo
spunto per una riflessione morale, un invito a ripetere le gesta d'amore nel tentativo
di vincere le passioni corporee.
Nel simbolo del Bocchi Amore
divino è figura di Dio stesso: « hoc ipsum bonum nihil aliud esse quam Deum
Optimum Maximum [...] hoc summum bonum nihil esse aliud quam Amorem » e il fine
consiste nello spiegare come raggiungere l'unione mistica con Dio una volta
liberati dai vizi e dal peccato: « humanus hic intellectus tali coniunctus
atque unitus amori vitiis omnibus atque peccatis exuatur, & quomodo nos
perfectissimi efficiamur, ipsique Deo
Optimo Maximo, qui omnium rerum est perfectio summuque bonum, coniugamur » ().
Il Sambiguccio è durissimo nel
giudizio delle filosofie materialistiche, soprattutto nei confronti di quella
epicurea, che non riconosce l'esistenza dell'anima: « Fuerunt autem variae
Philosophorum de Anima sententiae. Pythagoras [...] Post istius autem opinionem
effrenus & impudentissimus omnium Epicurus, primitus, postposita &
neglecta omni rationis consideratione, Animam nostram mortalitati &
corruptioni obnoxiam afferere non est veritas: unde nec bonorum praemia, nec
malorum supplicia ulla, post mortem expectanda autumans, animum suum ad impuras
illecebras corporis, lasciviam, cupiditates pravas, voluptates inhonestas, ac
sensuum sordidas delectationes adiecit: a quo equidem futilissimo errore inanique
opinione quam alienus sapientissimus Socrates, divinusque Plato esset, alter
nobis voluntaria morte declaravit, alter innocentissima sua vita,
sanctissimisque moribus ac innumerabilis, quibus insignis erat, virtutibus, tot
ac tam firmis rationibus & aucthoritatibus, quibus passim eius sunt referta
volumina, clarissime ostendit: quae omnia quid quaeso aliud volunt, quam ut
nobis hanc animae nostrae immortalitatem ob oculos & in conspectum ponant ?
» ()
La speculazione del Bocchi non
doveva avere solamente un carattere filosofico, ma attingeva senz'altro ad una
dimensione contemplativa se il Sambiguccio afferma che nell'atto di conoscere
Dio si realizza un'intima fusione tra colui che conosce, colui che è conosciuto
e l'atto stesso di conoscere: « summum bonum nihil esse aliuq. quam divinum Dei
Amorem, qui cum talis sit, ut & ipsum Deum amatorem, & eundem quoque id
quod amatur constituat, nullum utique, sicuti in reliquis omnibus, discrimen
aut differentiam inducet [...] Nam quemadmodum in Deo, is qui cognoscit, id quo
cognoscitur, atque ipsa cognitio, unum & idem sunt: ita & in eo,
Amator, id quod amatur, & ipse amor, unam & eandem rem, unam &
eandem naturam; & eandem essentiam efficiunt » (). La conoscenza mistica di Dio è quindi già
in sè atto di amore.
L'amore della bellezza
esteriore, cioè l'amore carnale il cui
fine è nel piacere che deriva dall'unione sessuale dei corpi, tende per sua
natura ad estinguersi rapidamente dopo l'appagamento del desiderio e a provocare
una crisi di rigetto, dopo la quale è comunque possibile che questo tipo di
amore, definito "delectabilis", si trasformi in amore divino ().
La contrapposizione tra amore
carnale e divino non viene perciò attenuata: l'esperienza dell'amore
"delectabilis" lungi dal soddisfare l'uomo, lo avverte della propria
intrinseca caducità spingendolo alla conoscenza di Dio.
Onesto è l'amore filiale, o
coniugale, ma divino è solo quell'amore che sussiste nel puro intelletto senza
connessione alcuna con la materia: « divinus appellatur, quod ipse solus in
intellectu consistens, ab omni disiunctus ac segregatus est materia, quod que
in illo solo homines divinae Dei pulchritudinis divinaeque Dei sapientiae fiunt
participes » ().
Dopo aver citato la teoria
neoplatonica delle due Veneri (),
il Sambiguccio afferma la qualità cristiana dell'amore divino, il quale ha
spinto i primi cristiani a sacrificare se stessi divenendo martiri ()
e conclude citando il motto virgiliano: « Amor omnia vincit: nam si amoris
studium & ardor in rebus perficiendis desit, frustranueus profecto finis
erit, at si e contra studium diligentiam cum sanctissimo hoc amore adhibeamus:
adsitque nostra progressio, id est firma perseverantia, necessario
perfectissimus tunc noster aderit finis, hoc est, summa Dei amoris erga nos,
& nostri erga Deum, perfectissima coniunctio » ().
Nell'interpretazione del
Sambiguccio il virgiliano "Amor omnia vincit" ha quindi carattere
evidentemente sacrale.
Rimane ora da comprendere
l'origine storica di questa speculazione neoplatonica, chiarendo quali ambienti
culturali il Bocchi abbia frequentato.
Molti indizi si ricavano dalla
lettura delle Symbolicae Quaestiones. In primo luogo va ribadita l'importanza dei
Farnese testimoniata dall'alto numero di simboli dedicati a componenti della
nobile famiglia: « PRUDENS AC FORTIS RATIO, MEDITATIO, ET USUS EDOCET
OMNIPOTENS OMNIA DURA PATI » a Papa Paolo III (),
« VIRTUS VESTIBULUM EST HONORIS ALMA » al cardinale Ranuccio (),
ben quattro simboli al cardinale Alessandro: « PICTURA GRAVIUM OSTENDUNTUR
PONDERA RERUM » (),
« FIDES AC BONITATE AC SPES EST, DECUS INDE SEMPITERNUM » ()
e « NE LINQUE AEDIFICANS DOMUM IMPOLITAM » ()
e «QUALEM VIRUM PRAESTARE PRINCIPEM DECET » ()
ed anche al duca Ottavio: «VIRTUTIS UMBRA GLORIA » ().
Altri due simboli rivelano le più
remote ascendenze filosofiche del Bocchi che conosceva l'opera di Charles de
Bovelles, insieme a Lefevres d'Etaples e a Symphorien Champier uno dei massimi
esponenti del neoplatonismo parigino degli inizi del Cinquecento, e di
Francesco Colonna autore dell'Hypnerotomachia
Poliphili.
Si può confrontare la xilografia
del Liber de nichilo del Bovelles che
rappresenta « Deus de nichilo creans
universa », con quella di analogo soggetto delle Symbolicae Quaestiones del Bocchi (). Si nota un'evidente connessione
iconografica, poichè in entrambe le immagini Dio crea il mondo insufflando il
suo spirito vitale per mezzo di una lunga canna a forma di tromba, ma vi è
soprattutto una parentela concettuale in linea evolutiva. Il Bovelles nella xilografia del suo libro
mostra la terra con l'uomo, gli animali ed il cielo stellato mentre viene
creata da Dio che, per così dire, la sottrae al disco nero che la circonda e
rappresenta il nulla. Il Bocchi,
d'altra parte, è interessato a dimostrare l'esistenza dell'anima risalendo
dalla sostanza delle cose create allo spirito del loro Creatore. Nell'incisione
delle Symbolicae Quaestiones viene
rappresentato non il mondo intero, ma solo il globo terrestre completo delle
raffigurazioni dei quattro elementi.
Dalla lettura dei versi annessi emerge chiara l'insuffucienza della pura
materia, che è in realtà guidata da una spirito celeste e divino. Il motto ideato dal Bocchi per questo
emblema, ENTELEXIA PSUXH, significa il passaggio della potenza in atto, dello
spirito di Dio in materia, così come avvenne nella creazione del mondo.
Al figlio Pirro il Bocchi dedica
il simbolo in cui vengono citati i geroglifici dell'Hypnerotomachia Poliphili
().
Il Bocchi doveva avere un legame
con la cultura romana dei primi anni del Cinquecento più stretto di quanto non
si è finora pensato, come dimostra il fatto che, durante il suo primo soggiorno
a Roma in qualità di segretario di Alberto Pio da Carpi, egli si era scelto il
soprannome accademico Phileros, parola composta greca vicina al "Poliphilo"
di Francesco Colonna o al "Philogyne" di Andrea Baiardi parmense, ma
presente anche in marmi antichi scavati a Roma ().
Infine va ricordato che le
pretese devianze eterodosse e nicodemitiche del Bocchi maturo non derivano da
una sostanziale e volontaria comunità di vedute, quanto piuttosto da una
similarità formale ed esterna con alcuni motivi del pensiero ereticale,
talvolta riscontrabile nella presentazione dei ragionamenti più marcatamente
mistico contemplativi del Bocchi (). Sembra difficile che l'imprimatur della Curia e
dell'Inquisizione bolognese per la seconda edizione delle Symbolicae Quaestiones venisse concesso a cuor leggero, soprattutto
considerando che l'autore era già morto da dodici anni. Inoltre la ristampa era a cura della Società
Tipografica bolognese della quale faceva parte Camillo Paleotti, fratello del
rigoroso cardinale Gabriele (). Anche il Plantin, editore di Filippo II era
stato accusato di segrete connivenze con eretici, ma a ben vedere tali ipotesi
sembrano difficilmente dimostrabili ().
Il Bocchi si colloca quindi
perfettamente nella tradizione umanistica romana, continuando nel tempo a
coltivare il circolo culturale farnesiano, fino ad inserire Annibal Caro nel
dialogo tra Gabriele Cesani e Claudio Tolomei del suo Ptolemaeus manoscritto della Vaticana.
Va infine sottolineato non solo
che Andrea Alciati era ben noto al Bocchi, lo dimostra il simbolo 80 delle Symbolicae Quaestiones, ma che il Bocchi
era ben lontano dall'attribuire ad Anteros il valore di amore profano (). « CAECUS QUI PULCHRI NON CERNIT LUMINA
SOLIS » e « AD ANDREAM ALCIATUM AMICORUM OPT. / LUCE CARET, PULCHRI QUI CAUSSAM
NESCIT AMORIS » ()
e che il cardinale Federico Borromeo, cugino di San Carlo ed amico di Fulvio
Orsini, creò nei primi del Seicento un'Accademia Ermatenaica per gli studenti
di teologia in Milano, ispirandosi chiaramente all'Accademia Bocchiana ().
CAP. 7
Le Accademie: punto d?incontro di storia,
arte e letteratura
Gli Innominati di Parma.
L?Accademia degli Innominati di Parma
nacque intorno al 1574 ed ebbe prestigiosi associati. L?impresa dell?Accademia consisteva in una pianta d?alloro alla
quale era appeso uno scudo bianco ed il motto virgiliano « FAMAM EXTENDERE
FACTIS » oppure, secondo il Ferri: « FORTUNA INSCRIBET » .
Il più illustre socio fu senza
dubbio Torquato Tasso che, invitato ad iscriversi dal duca Ranuccio Farnese,
rispose con questo sonetto: « Innominata ma famosa schiera / Di scelti ingegni,
che i gran nomi illustri / Con gloria tal, che per girar di lustri / non
diverrà men bella, o meno altera: // Siccome col passar di primavera / Caggiono
a terra i candidi ligustri, / Così col
grido van de? molti illustri / Ogni pregio volgar avvien che pera. // E quelli
solo non caduchi onori / Sono, che in dotte carte altrui conserva, / Ove
Ranuccio avrà perpetua vita, // Per opra tua, che i suoi celesti fiori / Vi
sacri insieme, e par ch?ella si serva, / Che ciascun l?altra è men da lui
gradita » .
Battista Guarini è, insieme al
Tasso, lo scrittore più importante; e non mancano altri nomi molto
interessanti, come Bernardino Baldi, Pomponio Torelli, Tarquinia Molza e Muzio
Manfredi. Tra i pittori troviamo Federico Zuccari, mentre non è affatto escluso
che anche gli artisti Simone Moschino e Agostino Carracci facessero parte
degli?Innominati, o che comunque frequentassero a vario titolo le sessioni
accademiche. Quasi certamente Agostino dovette seguire le riunioni
dell?Accademia o i singoli letterati che ne facevano parte, dal momento che i
suoi soggetti dalla fine degli anni Novanta in poi sono evidentemente ispirati
alle idee di Pomponio Torelli accademico innominato.
Le iscrizioni all?Accademia di
principi e di alti dignitari di corte avevano una natura latamente ?politica?,
come nel caso del promotore-fruitore duca Ranuccio Farnese. Ma spesso i potenti
si dilettavano ad ascoltare i letterati con autentico mecenatismo, tanto che
l?interesse intellettuale arrivava a superare le motivazioni della corte e del
potere.
Le notizie relative alle
Accademie del Seicento sono certamente poche e di seconda mano e soltanto uno
studio sistematico delle fonti potrà dare risposte definitive. Di certo si può solo affermare l?interesse
del duca Ranuccio nei confronti degli
studi accademici, testimoniato dai carteggi farnesiani. Inoltre è possibile
effettuare alcuni sondaggi significativi, cercando di cogliere le alleanze
politiche e culturali tra i soci. Grazie alle ricerche effettuate sulle
cinquecentine superstiti e sulle fonti d?archivio, è possibile raggiungere una
migliore conoscenza dell?Accademia degli Innominati e dei suoi frequentatori.
Una delle attività più comuni
consisteva nell?esercizio dell?adulazione, nella composizione di sperticati
elogi, nell?apologetica di corte, che raramente produceva capolavori poetici,
ma che è oggi materia di grande interesse per ricostruire le clientele
culturali che univano gli uomini di cultura ai potenti, ai mecenati , agli
artisti.
Altra tipica occupazione
accademica consisteva nell?esercizio dell?erudizione filologica. Fortuniano Sanvitale,
per esempio, traduceva in volgare la Consolazione di M. Tullio Cicerone nel
1593 per le stamperie di Erasmo Viotti editore
parmense.
Gli scrittori raggiungevano il
prestigio più grande quando sottoponevano all?Accademia le loro opere per
l?approvazione dell?assemblea prima ancora di far gemere i torchi. Così fece il
Gaurini per presentare un?opera di primaria importanza come il Pastor Fido prima di darlo alle stampe.
Così fece anche il Visdomini con il Parto
della Vergine, presentato « al chiaro inclito coro Innominato acciò ?Egli
ti purghi, e ti pulisca e terga, / Ei ti mostri, o t?asconda, o abbassi od erga
? » .
Tra i pittori il cav. Federico
Zuccari, nel 1608, lesse un Discorso
sopra la grandezza e facoltà del disegno interno ed esterno pratico, che
sostenne con venti conclusioni ed una disputa finale. E non è inutile ricordare
che lo Zuccari nel 1592 aveva rifondato a Roma con nuovi regolamenti
l?Accademia di San Luca e che quindi questa compresenza realizzi un fecondo
scambio culturale. Il letterato Pomponio Torelli illustrò l?Etica e la Poetica di Aristotele e la tragedia di fronte agli Innominati, come
vedremo più avanti.
Ancora oggi molti critici, di
qualunque estrazione e nazionalità, si chiedono dove possano essere finiti i
programmi iconografici dei grandi cicli di affreschi, i bozzetti e le prime
idee delle opere d?arte, i manoscritti di tante splendide cinquecentine, dove e
come possano aver avuto luogo i parti dei capolavori del Rinascimento e del
Barocco. Quando le Biblioteche e gli Archivi non restituiscono nulla dopo tanti
anni di lavoro e ricerche degli studiosi, l?assenza non è colpa di incendi o di
saccheggi, nè di presunta sciatteria degli archivisti o degli artisti stessi.
La fase più delicata della produzione culturale avveniva proprio presso
l?Accademia e rileggendo la documentazione tramandataci, possiamo raffigurarci
l?iter seguito a partire dalla prima
bozza dell?opera. Infatti il letterato cerca sì conferma (Guarini, Visdomini)
per il labor limae finale, ma trae
anche ispirazione dalle opere degli altri autori, la fantasia immaginativa dei
quali si trova abbondante nei miti e nelle allegorie costruite sulla scia della
moda del momento. È la nascita dell?effimero barocco, con gli apparati di corte
e le grandi rappresentazioni allegorico-mitologiche di massa, che a Parma trova
una prima realizzazione con i festeggiamenti del matrimonio di Ranuccio Farnese
e Margherita Aldobrandini e successivamente con la fondazione del noto Teatro
parmense.
Il meccanismo di base consiste
nella promozione di cultura presso il potente o per il potente, una volta
innescata la scintilla inziale, l?Accademia produce anche opere slegate dalla
primitiva istanza del potere. È un circolo virtuoso di concentrazione degli
interessi. Ma, a differenza delle accademie del Quattrocento, distinte per
filone di interesse e prevalentemente filosofico-letterarie, tra il Cinque e il
Seicento si vengono affermando per la prima volta Accademie di natura affatto
diversa, in cui non a caso trova larga affermazione l?uso dell?impresa e
dell?emblema. Arte e letteratura, parola e immagine vengono a coincidere. Di lì a poco dilaga la moda dei manuali
d?emblemi, che costituiscono il mezzo principale per la diffusione
dell?iconologia nelle arti figurative.
Procedendo a ritroso, il critico
non trova così facilmente le spiegazioni complesse che sono necessarie per
capire la genesi di un?opera d?arte con tutte le innumerevoli variabili della
committenza. Ecco che allora, l?analisi della produzione culturale
dell?Accademia può risultare utilissima sia per un approccio diretto alle opere
prodotte nella ricerca di un qualsiasi ulteriore legame; sia anche nell?esame
indiretto delle frequentazioni culturali dell?Accademia stessa. Se, infatti,
artisti, letterati, poeti, tragediografi, musicisti e anche uomini politici,
ecclesiasti, alti dignitari di corte convivono nel microcosmo dell?Accademia,
perchè non pensare ad una forma di creazione distribuita dell?opera d?arte
? Alcune testimonianze sono esplicite
ed inequivocabili, altre meno accessibili, ma comunque chiarissime ed
eloquenti.
Abbiamo condotto le ricerche
d?archivio tenendo conto di questa premessa. Abbiamo seguito le tracce degli
Accademici nelle Biblioteche e negli Archivi ancora oggi esistenti, selezionato
i titoli più importanti e individuato almeno tre ?innominati? importanti ai
fini delle nostre ricerche. Tutti e tre
hanno scritto opere i cui soggetti sono stati ripresi da Agostino
Carracci. Pomponio Torelli è il più
importante con la sua complessa teoria degli affetti e la tragedia Galatea spiega chiaramente il
significato della Galleria Farnese e una parte della poetica di Agostino
stesso; Fortuniano Sanvitale, con i suoi Avvenimenti
Amorosi d?Arianna dedicati a Margherita Aldobrandini, moglie di Ranuccio
Farnese, svela l?allegoria della scena centrale della Galleria Farnese; Bernardino Baldi testimonia del rapporto con
Ottavio Rinuccini (e quindi con Claudio Monteverdi) per l?Arianna della Galleria Farnese
CAP. 8
Agostino
Carracci e l?Accademia de I Gelati di Bologna
Fu il Malvasia ad attribuire ad
Agostino le incisioni del volume di Rime
degli Academici Gelati di Bologna ,
e vide giusto.
Agostino aveva lavorato per
l?amico letterato Melchiorre Zoppi, fondatore dell?Accademia dei Gelati, che
ricambiò il favore iscrivendo Agostino
all?Accademia.
Agostino aveva inoltre dipinto
un ritratto per la moglie di Melchiorre, che aveva riscosso tanto successo
presso di lui, da meritargli la dedica di un sonetto di ringraziamento in cui
venivano lodate le capacità pittoriche di Agostino come emulo e non solo
imitatore della natura.
« Emulo anchor de la Natura sei /
Non solo imitator, Carracci, ch?ella / Suo difetto apre in consumando quella, / Che vivente assai piacque agli occhi
miei. / Tu per virtù dell?arte avvivi in lei / L?aria, il color, lo spirto, e
la favella, / E se viva non è, come a vedella / Altro senso, che vista io non
vorrei. / Ma come può giammai privo sembiante / Di lingua articolar voce non
sua ? / Tacito anco il suo stil ti grida in lode. / Non sai , ch?occhi per
lingua sua usa l?Amante, / E de gl?occhi il parlar per gl?occhi s?ode, / Che
dice amami, io son l?Olimpia tua » .
Molto interessante, e non
casuale, e non semplicemente retorica, l?affermazione dello Zoppi: Agostino non
imita, ma emula la Natura. In questa distinzione sta il senso delle future Vite del Bellori. Il Caravaggio imita,
il Carracci emula. Ovviamente la critica è di parte, proprio com?era di parte
il Vasari quando parlava del Michelangelo, con tutta la carica filotoscana che
conosciamo. Ma va detto che alla base del pensiero belloriano ricorre un
concetto importante. La natura non è buona in sè, non esiste uno ?ius
naturale?, la verità dell?Arte è data da un giusto equilibrio di classicismo e
idea esemplato su un modello etico di riferimento, che nel caso di Agostino,
vedremo essere l?etica aristotelica, conciliata con il neoplatonismo
filosofico-esoterico-spiritualista ed esemplata sulla dogmatica della
Controriforma imperante.
Le nostre ricerche sono state
condotte sulla scorta di queste indicazioni delle fonti più antiche, per
reperire documentazione atta a confermare o smentire questo rapporto tra
Agostino e i Gelati.
Ricercando allora nella
trattatistica dell?Accademia, in particolare dello Zoppi, abbiamo identificato
un testo molto significativo, che è stato senza dubbio fondamentale per lo
sviluppo delle tematiche d?amore e in generale del pensiero di Agostino
Carracci.
Si tratta dello Psafone di
Melchiorre Zoppi, trattato d?amore, concepito all?interno dell?Accademia de I
Gelati e pubblicato a Bologna nel 1590.
In questo testo molto
interessante ricorrono tematiche poi usate da Agostino per la realizzazione di
alcune incisioni e anche riecheggiate nella Galleria Farnese.
Leggiamo quindi insieme alcuni
brani significativi del testo per dimostrare questo rapporto culturale.
Nel Proemio viene presentato
l?argomento dell?opera, un soggetto mitologico molto particolare: « In quella
parte del mondo, ove il terreno dall'industriose Hesperidi coltivato produceva
Pomi pretiosissimi d'oro; un'Affricano, per nome detto PSAFONE, aspirò già
tant'oltre col desiderio della gloria; che sdegnando honore di terreno
principato, pensò com'usurparsi il nome, & l'honore de gli immortali, &
com'essere stimato Dio; & Dio grande, allevando a questo effetto buon
numero d'augelli atti all'articolar le voci in sembianza di parole humane,
& quelli ammaestrati al tornar questa menzogna GRAN DIO PSAFONE, alla
nativa libertà rimettendo, acciochè per la loro imitatione moltri altri ne
avvezzasse al celebrar l'ambita deità del maestro: indusse gl'Affricani
ingannati dalla nuova conformità delle voci, che ogni d'intorno nell'orecchie
rissuonavano loro, alla credenza, e al sacrificio
imperciochè Psafone, che secondo la derivation del nome, significa squallido,
& macilente, rappresenta Amore, che tal color produce ne seguaci suoi, così
disse il precettor dell'arte. Il pallor è il color'atto a l'amante » .
Entrato nel vivo della
narrazione, comincia a parlare della coppia di amorini, Eros ed Anteros, che,
com?è noto, hanno crato tanti problemi interpretativi agli esegeti della
Galleria Farnese: « Ma quai sono gli Amoretti ? e perchè accoppiati ? A dire il
vero, chi vuol giocondi, e permanenti gli amori, fa di mestiero a non lasciarli
ciascheduno per se vacillare solitario perchè Amore è fanciullo, ama scherzare
con gli eguali, tanto poco di trattenimento, che trovi, si rallegra, n'arreca
diletto, ma scompagnato e troppo di sua natura sottoposto alla frenesia.
bisogna dunque accoppiar gli Amori a due a due. Questo venne a significare
l'antica favola d'Erote, e d'Anterote. Quando Erote, cioè Amore scompagnato si
trovava, stavasi tutto ritratto, assidrato, e non cresceva: ma in compagnia del
suo Anterote, cioè del reciproco Amore, s'aumentava e tutto baldanzoso gioiva. Questo istesso volse una volta accennare
anco il filosofo, il quale negò esser perciò ne gl'innamorati l'amare, non vi
essendo il riamare » .
Questa interpretazione è molto
semplice, non fornisce indicazioni utili per dirimere la vexata questio della Galleria, ma nondimeno dimostra la
dimestichezza che il Nostro dovette avere con le discussioni
filosofico-letterarie e con le tematiche d?amore. Queste discussioni avvenivano
sicuramente in Accademia, luogo naturale di compresenza di letterati ed
artisti.
Lo Psafone contiene poi almeno
altri due riferimenti interessanti per lo studio di Agostino: la discussione,
tutta d?artista, e quasi sicuramente ispirata da Agostino, sulle modalità di
rappresentazione dell?amante di sesso maschile: « Agli huomini convien forma
negletta e Theseo invaghì di sè Arianna, & Ippolito Fedra, nisiun di loro
lascivamente increspando i capelli. Dico io per questo che l'inamorato debba
darsi alla sprezzatura ? no[n] certo: anzi fino a un termine io lodo la non
affettata pulitezza. Ammoniva
Martiale colui, che non si stesse ad acconciare troppo i capelli; ma che non si
scapigliasse ancora; non portasse la cotica splendida, nè manco sordida »
un?attenzione, questa, tutta ?pittorica?
e, soprattutto, ancora una volta, più o meno direttamente risalente alla
discussione sulla ?Poetica? di Aristotele.
Dopo aver dimostrato la necessità
di una severa sobrietà per la rappresentazione della figura virile, lo Zoppi
contrappunta subito, dimostrando l?assoluta necessità di concedere alla figura
femminile abbondanza di grazia e ricchezza.
Altro tema interessante
consiste nella derisione che procura l?azione amorosa non andata a buon segno,
tema che ricorre nell?apparentemente irriverente Galleria Farnese: « [...] Quel marmo, o argento circondato d'oro;
che se ad alcuno paresse, che il Poeta lo figurasse con qualche ornamento di
più ch'eccedesse il decoro virile, consideri ch'egli lo fa adornare per mano
d'una donna, di Venere stessa sua madre.
Ovunque poi non ha il primato la Beltà. Ogni bontà propria a ciascuna
cosa è amabile in quella. Voglio perciò, che l'uomo faccia ationi virili, e
questo è presentare il Pomo, che per esser grato bisogna, che sia aureo, come
quell'altro ancora dell'Affettione, ch'è a dire preciosissimo, perchè nulla
debbe un amante stimare di prezzo, eguale alla gratia dell'amata, e l'amata
giudicare gratia più pretiosa di quella dell'amante; che dà in tributo l'anima
istessa; sian d'oro i Pomi, perchè Amore è dell'oro amatore, così leggesi.
L'oro è co'l qual si concilia
Amore e chi trattò copiosamente quell'arte ebbe a dire di non venir mastro a i
ricchi, a i quali per haver l'arte nella borsa non è di bisogno di
tant'arte. Sono d'oro perchè aurea,
pretiosa singolare dev'esser l'Affettione, e non ordinaria, ma tale che è Cupido
non si tema di presentarnela, e la donna non ischifi d'aggradirla. Così questo
delle attioni, che dal lato dell'Amante tratta l'Amabilità sarà aureo, e
operationi auree, auree maniere e isquisite quanto si conviene alla conditione
di colui, che ama. che già non intend'io di fare nè così avaro l'amore nella
donna, nè così prodigo nell'huomo; ne meno la beltà della donna determinare a
tanta viltà; che per molto che s'attribuisca all'oro & ai presenti, io
pensi però dover l'innamorato impoverire, e nisiuno poter essere capace di
amore, se non chi è ricco. Troppo
sarebbe sciaurato un privo di facultà, se insieme dovesse essere escluso
affatto da i giardini amorosi. Quel che disse Ovidio
Se verrai dalle Muse accompagnato,
E nulla arrechi Homero, andraiti fuora,
s'ha da intendere di tale, e
quale, perchè sono tre i principi dell'amare. la Utilità, il Diletto, & il
Bene; per bene ama quella donna, che da onorata cagion si muove ad amar persona
meritevole, non per altro, che perchè la giudica segno dell'amor suo, e questo
è i prestantissimo principio, degno d'un animo nobile; Per diletto ama quella,
che non prende ad amar per meriti dell'huomo; ma perchè spera da lui lode,
amorose soddisfattioni, meglio che un'altro; questo è manco perfetto, ma si
compatisce ancora con l'animo gentile; Ma l'amare per utilità, il vendere a
prezzo l'amore, voler meglio a chi sborsa più: è atto puttanesco, indegno di
donna, che sia riputata ne anco civile.
Io non biasmo l'accettar doni, e cortesie, biasmo il dare a prigione
l'amore. Se uno poi sarà tanto tanto
mendico, com'era Homero, che non haveva facoltà di sostentarsi, non che se
inamorato si fosse, da presentare alla sua donna, fuor che carte inchiostrate,
costui non prenda ad innamorarsi.
Dicesi ogni cosa in amore
dover'esser'aurea, secondo la significatione già esplicata, di tutte l'opere in
suo genere ben fatte. chi è ricco si
prevaglia delle sue facoltadi in amando, chi è robusto della sua gagliardia,
chi è ingegnoso delle sue inventioni, chi è parlatore della sua eloquenza, chi
è garbato si serva ancor di sè medesimo in questa parte, per farsi amabile,
& in qualunque attione s'adopri quanto si puote il meglio questo farà dare
oro. Se essendo ricco ti dai allo spendere con certa tenacità, misurando le
spese fatte per l'amata, con una disdicevole parsimonia, e la vuoi con alcuni
vantaggetti sminuzzare, non da i pomi d'oro fu proverbio antico, le borse de
gli amanti esser legate con una foglia di pero, nè da i pomi aurei, se
armeggiando non ti porti di maniera, che ne riporti presso a poco il vanto; ne
meno se prendi a celebrar l'amata con modi triviali. Insomma in quella cosa, ove non hai natural dispositione, non ti
affaticare, come intorno a principale impresa; perchè le attioni amorose non
hanno mezzo, o si comprano gratia, o derisione, questo forse gli antichi
significarono ne'dardi di Amore aurei, e piombati, o sono aurei, cioè pretiosi,
e questi sono atti all'innamorare, o sono di piombo, cioè ottusi, e vili, i
quali fanno contrario effetto. Fa dunque opere meritevoli di gratia, fra le
quali studiati, che una vi sia almeno, che stimar si possa aurea; e l'altre poi
se o d'argento saranno, o di qualche men pretioso metallo, non verranno
disprezzate, nè beffeggiate, purchè non riescano affatto goffe. Così istrutto
dall'Amabilità, potrai comparire arditamente nel cospetto della donna,
richiedendone quella mercede, che si debbe a chi ama, e si conviene a' tuoi
merti. Altramente ridicoli sono alcuni, che fanno instanza con mille
impertinenze, che sia corrisposto in amore il tutto, e se ne sono così ben
meritevoli, questi hanno da dire.
Non prego m'ami; sol che m'amarai
lasci: cioè che accetti il mio Cupidine che se'n viene messaggiero; sin tanto,
che dall'Amabilità, io sai talmente perfettionato, ch'io ti possa poi richiedere,
che mi riami »
Ora dalla lettura di questi passi
è chiaro che lo Zoppi non aveva certamente alcuna capacità
filosofico-speculativa. Il suo trattato è infatti ben lontano dalla complessità
delle dissertazioni del Torelli. Nondimeno va riconosciuto allo Zoppi e
all?Accademia de I Gelati il merito di aver formato il pittore, cioè Agostino,
alla discussione delle tematiche d?Amore, vale a dire il tema centrale della
produzione pittorica di Annibale ed Agostino: la Galleria Farnese.
Agostino rivela già dai
primissimi anni bolognesi, un?attitudine speculativa di fondo, una capacità di
partecipare ai più avanzati esperimenti di fusione di parola ed immagine nella
nascente scienza dell?emblematica.
Tutte le discussioni del trattato
d?Amore dello Zoppi vanno inquadrate in questo tentativo di creare un nesso
significativo tra le immagini e i concetti da esse veicolati, una sorta di
trattatistica laica sulle immagini parallela a quella sacra del Paleotti,
costruita tutta in chiave mitologica e di fantasia.
In questo senso la partecipazione
di Agostino all?impresa dei Gelati non dovette limitarsi alla sola
rappresentazione dell?impresa (il gioco di parole è voluto), quanto piuttosto
alla comune elaborazione di un nuovo linguaggio figurativo, che di lì a qualche
anno darà luogo alla nascita all?enciclopedismo-divulgativo dell?Iconologia del Ripa.
I trattati e le discussioni
accademiche fino all?ultimo decennio del Cinquecento sono ancora sperimentali
ed innovativi: Alciati, Bocchi, Ligorio, Vaenius, un poco meno il Cartari. Dalla costola dell?Iconologia del Ripa, nasceranno una serie interminabile di trattati
puramente enciclopedici e strumentali all?uso delle arti fgurative, manuali da
cui attingere per realizzare le opere d?arte.
Ecco allora che diventa molto
importante assegnare un giusto ruolo agli scrittori in contatto con Agostino,
per poter poi cogliere senza errori la portata innovativa della sua poetica.
CAP. 9
Agostino Carracci e i musicisti
Merulo, Bassani, Monteverdi
Il Bellori aveva chiaramente espresso
l?interesse genuino di Agostino Carracci per la musica con queste parole: « si
rivolse alla rettorica, alla poesia, alla musica e ad ogn?altra facoltà
liberale, nelle quali tutte apparve il suo raro intelletto
[...] Concitato dalle muse formava canzoni e versi che modulava dolcemente su?l
liuto, su la viola e su la cetera, e veniva rapito nel canto [...] Sollevò la
mente alle scienze matematiche ed alla filosofia; dalla geometria raccolse i
fondamenti della pittura, dall?aritmetica la teoria della musica [...] » .
Le incertezze sull?attribuzione
del ritratto di Claudio Merulo, le difficoltà nell?identificazione del presunto
ritratto di Claudio Bassani, altro musicista di fama, hanno di fatto ritardato
l?assimilazione di questo rapporto culturale.
Oggi, grazie a nuove ricerche,
possiamo finalmente dare per certa la notizia belloriana degl?interessi
musicali di Agostino. Il pittore conobbe Claudio Merulo ed anzi lavorò anche
per una sua opera, incidendovi un blasone del cardinale Odoardo. Si tratta delle
Toccate d?intavolatura d?organo.
Sfuggito alla critica
carraccesca anche per la sua difficile reperibilità, codesto rarissimo libretto
è conservato nella Biblioteca del Conservatorio G. B. Martini di Bologna. Si
tratta, come mi suggerisce il Prof. Oscar Mischiati, di un formato ?in piedi?,
caratteristico delle pubblicazioni auliche con dedicatario pagante. In questo
caso l?opera è davvero pregevole, sia per l?importanza del committente e
dell?autore, sia anche per l?alta qualità della stampa, dovuta alla esperta
mano di Simone Verovio, che era insieme scrittore, incisore ed editore. Si sa
del Verovio che s?era stabilito a Roma nell?Anno Santo 1575 e vi aveva
pubblicato dal 1586 al 1608 antologie di brevi composizioni a tre e quattro
voci di soggetto spirituale ricreativo. Faceva incidere spesso da Martyn van
Buyten i frontespizi delle sue edizioni pregevoli ed eleganti. Personalmente
incideva invece testo e musica delle sue opere, edizioni tutte nitidissime. Fu
il primo ad incidere musica su lastre di rame e si può ritenere l?inventore del
metodo calcografico.
Le Toccate del Merulo sono
certamente un?edizione pregiata. L?incisione che si vede al centro occupa il
posto che generalmente è riservato al soggetto pagante, quindi o all?alto
dignitario di corte o ecclesiastico del caso, o all?editore con le rispettive
insegne araldiche o marche tipografiche.
In questo caso, essendo Claudio
Merulo organista del Duca Ranuccio e pagante il fratello Odoardo, troviamo lo
stemma del cardinale, con le insegne cardinalizie e gli araldici gigli
farnesiani.
Lo stile, la composizione e la
qualità del tratto, nonchè le coincidenze storiche possono far assegnare ad
Agostino questa piccola ma significativa incisione su rame.
Sono arrivato a queste
conclusioni seguendo una traccia sicura: un foglio con vari disegni preparatori
di mano di Agostino conservato a Besançon
che la De Grazia data alla fine degli anni Ottanta o agli inizi del decennio
successivo e che presenta, tra gli altri, lo studio preparatorio per un
frontespizio di un libro a stampa con alcune annotazioni a penna, che la De
Grazia trascrive male, interpretando la scritta come ?Recerchaldi?. Si legge
invece ?Recerchari? a destra, meno leggibili: ? di italiani [...] ca[n]cioni
italiane / Recerchari / moteti .
La parola ?Recerchari?, non certo
di uso comune, poteva essere nota soltanto a chi già aveva una diretta
conoscenza del mondo musicale e doveva quindi conoscere i libretti dei
musicisti. Cercando nella bibliografia del Merulo, ho trovato anche libretti che
hanno la parola ?Ricercari? nel frontespizio, ma senza alcuna incisione di
Agostino (). Nelle Toccate
invece appare l?incisione di Agostino. Le spiegazioni possono essere due: o è
andata distrutta un?eventuale, ma assolutamente non documentata, altra versione
dei ?Ricercari? con il frontespizio di Agostino, oppure il disegno in questione
si riferisce ad un?opera mai realizzata. In ogni caso il disegno di Besançon
dimostra l?interesse di Agostino per la musica e l?incisione delle Toccate del Merulo conferma il tutto.
A questo punto bisogna
sottolineare che Agostino rappresentò il Bassani nel cosiddetto ritratto di Suonatore di liuto.
Il ritratto, conservato oggi a
Capodimonte ,
apparteneva alle collezioni farnesiane di Parma e fu dipinto nel 1585-6 o, più
probabilmente, nel 1594 al ritorno del Bassani dalle Fiandre .
Era originariamente esposto nella sesta Camera dei Ritratti del Palazzo del
Giardino, palazzo dove Agostino aveva realizzato la sua ultima opera poi
rimasta inconclusa.
Una volta assicurata la
veridicità dell?affermazione del Bellori, con i rapporti di Agostino con
Claudio Merulo e del Bassani, acquistano un valore particolare molti altri
fatti importanti, altrimenti non apprezzabili. Il tema principale della
Galleria Farnese, alla quale Agostino Carracci aveva sicuramente lavorato e
alla cui ideazione aveva contribuito, è ripreso, a distanza brevissima, da
Ottavio Rinuccini nella sua Arianna,
poi splendidamente musicata da Claudio Monteverdi. Il tema è certamente
fondamentale perchè L?Arianna,
l'ultimo celebre melodramma della trilogia di Ottavio Rinuccini
musicato dal cremonese Claudio Monteverdi
fu scritto per le nozze di Francesco Gonzaga con Margherita di Savoia celebrate
a Mantova nel 1608 . Il cartello d'introduzione del torneo esprime
chiaramente il valore generale dell'opera, tesa a fornire uno strumento di
contemplazione: « AMORE. Poichè la mente de'mortali mal consigliati, poco si
rivolge alla memoria delle cose superne, Io verso loro pietoso, vado di tempo
in tempo offerendo alla lor vista atti incomparabili della mia sovrana
possanza, onde nelle terrene miserie sieno d'infinita dolcezza racconsolati
[...] ».
La rappresentazione del
melodramma era l'evento più atteso di tutto il festeggiamento: « Intervennero a
quella rappresentazione i Prencipi, le Prencipesse, gli Ambasciatori, le Dame,
che furono invitate, e quella maggior quantità di Gentilhuomini forastieri,
ch'il Teatro potè capire, il quale ancorchè sia capace di sei mila, e più
persone, e che il Duca havesse proibita l'entrata in esso a i proprij Cavalieri
della sua Casa, nonchè agli altri Gentilhuomini della Città, non potè perciò
capire tutti que' forastieri, che procuravano d'entrarvi, i quali concorrevano
alla porta in tanta quantità, che non bastò la destrezza del Capitan Camillo
Strozzi Luogotenente della guardia degli Arcieri del Duca, nè l'autorità del
Sig. Carlo Rossi Generale dell'Armi, per acquetar tanto tumulto, ch'ancor fu
necessario, che vi andasse più volte, per farli star indietro, il Duca istesso»
.
Il nucleo lirico del melodramma è
nel famosissimo Lamento d'Arianna che
esprime tutto lo straziante dolore di lei per essere stata abbandonata
dall'amato Teseo.
Il nucleo drammatico è poi nella
contrapposizione tra il Lamento d'Arianna e l'arrivo di Bacco.
Affascinato dalla bellezza di
Arianna, il dio la sceglie come sposa.
All'amore per Teseo subentra quindi l'amore per Bacco: « Providenza
d'Amor, gentil'aita, / Spegner per nova fiamm'antico ardore, / E piagando sanar
mortal ferita [...] » . In questo passo si trova un'ulteriore
conferma della ragione della mancanza di Amore Leteo nella Galleria dei
Carracci perchè, rappresentando egli la fine delle passioni amorose, mal si
adatterebbe ad un contesto epitalamico; mentre, d'altra parte, la presenza
della lotta dei putti per la fiaccola può ben riferirsi proprio all'affresco
centrale della Galleria con il trionfo di Bacco ed Arianna denotando appunto il
contrasto tra i due amori, quello terrestre per Teseo e quello divino per
Bacco. Questa iconografia supera
quella canonica riportata dal Cartari proponendo uno schema mentale più
sofisticato, da leggersi non isolatamente ma in riferimento al contesto
generale del programma iconografico in cui il vecchio amore si spegne quando si
accende il nuovo. Ed il passaggio dall'amore per Teseo a quello per Bacco
corrisponde simbolicamente alla purificazione dell'amore stesso, perchè
all'amore per un mortale si sostituisce l'amore per un dio. Così Bacco si rivolge ad Arianna: « Sgombra
ogni duol, che la bell'alma accora / Non fu degno di te terreno amante, / Servo
di tua beltà t'ama e t'adora, / Figlio immortal de l'immortal tonante » ; così Arianna al pubblico: « Gioite al gioir
mio, / Al gioir mio, ch'ogni pensier avanza, / Talche di maggior ben non è
speranza. / Sovr'ogn'uman desio / Beato è il cor ch'a per conforto un Dio »; e
così infine, ancora più chiaramente, Bacco ad Arianna nella chiusa: « Ne
l'eterno sereno / Meco raccolta, entro gl'eterei scanni / Lieta vedrai colmo
d'ambrosia il seno. / Sotto l'immortal piè correre gl'anni / Ivi tra sommi Dei
de l'alto coro, / Le più lucide stelle / Faran del tuo bel crin
ghirland'alloro: / Gloriosa mercè, d'alma, che sprezza / Per celeste desio
mortal bellezza ».
Il Bellori metteva giustamente in
luce che la scena con Bacco ed Arianna raffigura il momento immediatamente
successivo a quello della fuga di Teseo: « Il
coro di Bacco e Arianna. Tornando
Bacco vittorioso dall'Indie trovò Arianna abbandonata da Teseo, e dalla beltà
di essa acceso l'elesse sua sposa, come a rimirarla ora nelle trionfali nozze
la pittura c'invita » . Da questo passo risulta chiaramente per
quale ragione il Bellori intitolò la scena centrale della Galleria dei Carracci
Il coro di Bacco e Arianna: egli
voleva significare la complessità dell'episodio che comprende insieme il
momento del trionfo religioso-militare e quello delle nozze.
Appurato che esiste una relazione
precisa tra l'iconografia del coro di Bacco ed Arianna ed il testo del
Rinuccini, bisogna ora individuare le priorità, chi cioè avesse per primo avuto
l?idea e chi si fosse invece ispirato.
La Dafne, primo melodramma della trilogia del Rinuccini, fu
rappresentata per la prima volta nel 1594.
Nel 1604, in occasione di una nuova recita della medesima fatta per
festeggiare la venuta in Firenze del duca di Parma Ranuccio Farnese, furono
apportate delle modifiche al testo in onore dell'ospite. La seguente quartina fu sostituita dalle
due successive: « Ah, riconosco io ben l'alta Regina / Gloria e splendor de'
Lotaringi Regi, / Il cui nome immortal, gli alteri fregi / Celebra il mondo,
e'l nobil Arno inchina »; « Oh ben del
guardo allo / splendor guerriero / Che
vibra di valor scintille accese, / Ben conosch'io dell'Immortal Farnese /
L'inclito germe d'ogni pregio altiero »;
« O di gran genitor non minor figlio, / (Nè sa lingua mentir che Apollo
scioglie) / Ei su la Mosa alzò sanguigne spoglie, / Tu l'Oronte, tu il Nil
farai vermiglio » . Certamente quindi il duca conosceva l?opera.
Alla rappresentazione dell'Euridice, secondo melodramma della
trilogia del Rinuccini, scritto per le reali nozze di Enrico IV di Francia con
Maria de Medici del 1600, era presente un Legato di Ranuccio Farnese . Nell'epistola dedicatoria del Rinuccini
premessa all'edizione a stampa dell'Euridice
del 1600 e indirizzata a Maria de Medici, si legge che l'ultima versione
dell'opera era stata « non solo dalla nobiltà di tutta questa patria favorita,
ma dalla Serenissima Gran Duchessa, e gl'illustrissimi Cardinali Dal Monte,
& Montalto udita, e commendata »
e sono documentati i rapporti d'amicizia che legavano i cardinali Odoardo
Farnese, Pietro Aldobrandini e Del Monte .
Claudio Monteverdi, l'autore
della musica per l'Arianna del
Rinuccini, aveva anche lavorato con Claudio Achillini, il letterato bolognese
autore dei versi in morte di Agostino Carracci collocati al posto dell'affresco
che il pittore avrebbe realizzato nel Palazzo del Giardino a Parma se non fosse
improvvisamente morto nel 1602 . L'Achillini è anche l'autore del testo
della Lettera amorosa del Monteverdi
stampata nel 1619 a Venezia
e di Teti e Flora e Mercurio e Marte,
poemi teatrali per le nozze di Odoardo Farnese e Margherita de Medici del 1628 .
Che l'Arianna del Rinuccini non
fosse incompatibile con la realtà del cattolicesimo e quindi con lo spirito
della Controriforma, lo dimostra il fatto che Monteverdi potè riutilizzare la
stessa musica del Lamento di Arianna
per il Pianto della Madonna sopra il
Lamento d'Arianna .
Inoltre nell'epitalamio di
Giovanni Battista Caletti per le nozze di Odoardo Farnese e Margherita de
Medici del 1628, ricorre esattamente la frase del Bocchi relativa all'emblema
di Amore e Pan: « [...] ogni cosa cede a Amor divino » .
Alla luce di questi confronti
sembra quanto mai esatta la supposizione di Irving Lavin che vedeva uno stretto
legame tra il melodramma Cefalo e Procri
del Chiabrera e l'affresco di analogo soggetto della Galleria dei Carracci,
evidenziando la puntuale corrispondenza tra il testo letterario e la
rappresentazione iconografica . Come l'Euridice
del Rinuccini e l'Epithalamio del
Murtola, anche il melodramma del Chiabrera venne scritto per le reali nozze di
Enrico IV di Francia e Maria de Medici celebrate a Firenze nel 1600.
CAP. 10
Pomponio
Torelli Conte di Montechiarugolo
Tragedia e
teoria degli affetti
L'analisi
del contributo delle tematiche neoplatoniche dell'Accademia Hermathena di
Achille Bocchi all'ideazione del programma iconografico della Galleria Farnese
è già sufficiente a far cadere l'ipotesi di quanti vi riconoscono la semplice
esaltazione dell'amore profano. Ma
per comprendere a pieno la portata culturale dell'umanesimo farnesiano è
necessario ampliare l'orizzonte degli studi oltre gli anni del Bocchi, precoci
rispetto a quelli della Galleria, ed anche oltre la figura del cardinale
Odoardo committente degli affreschi, rivolgendo invece l'attenzione verso suo
fratello il duca Ranuccio e la cultura parmense della fine del Cinquecento.
La personalità di Pomponio
Torelli Conte di Montechiarugolo è speculare rispetto a quella di Fulvio
Orsini: come quest?ultimo è pedagogo del cardinale Odoardo, così il Torelli è
precettore del duca Ranuccio e mentre l'umanista romano con la sua preparazione
filologico archeologica spiega la perfetta aderenza di Annibale ed Agostino Carracci
alla cultura dell'antichità classica, d'altra parte l'umanista emiliano ci
introduce alla dimensione della riflessione filosofica, che è quasi
completamente assente nell'opera dell'Orsini ().
Pomponio Torelli deve essere
considerato a buon diritto come il principale esponente del neoplatonismo alla
corte farnesiana e per il tenore dei suoi scritti, e soprattutto per essere
discendente di Giovanni Pico della Mirandola (). La madre del Torelli, Beatrice, era
infatti figlia di Gianfrancesco Pico della Mirandola, il cui padre era Galeotto
I Pico, fratello del ben noto Giovanni ().
Pomponio Torelli dopo avere
servito Ottavio Farnese, secondo duca di Parma, come ambasciatore presso
Filippo II di Spagna, passò al servizio di Alessandro Farnese prendendosi cura
dell'educazione di suo figlio Ranuccio ().
Pomponio Torelli è un innovatore
della tragedia cinquecentesca. Nobile, uomo politico, ambasciatore, letterato e
pedagogo, la sua figura appare come una diretta emanazione dell?intellettuale
rinascimentale ed è forse paragonabile per complessità e varietà di interessi a
quella di un Pontano. Uomo di Lettere e politico insieme, il Torelli interpreta
il suo ruolo di tragediografo senza velleità teoriche ed astratte. I suoi
scritti hanno una funzione ben precisa e pratica, indicano cioè al ?principe?
la via da seguire per un retto, giusto e saggio governo. La stessa tragedia ha una funzione
politico-didattica ben precisa perchè è al servizio dell?idea di ?Regnum?.
Il Torelli inaugura però una
sua propria e nuova figura, barocca e controriformistica, di
letterato-politico, con toni, accenti e contenuti molto vicini a quelli
espressi nella poetica e nella cultura figurativa di Agostino Carracci. La
comprensione del pensiero di Pomponio Torelli è quindi fondamentale per la
comprensione dell?immaginario e della poetica figurativa del Nostro e quindi
della Galleria. Affermando ciò non si
vuole affatto limitare l?autonomia della sfera estetica, nè rendere l?artista
succube del letterato, o viceversa. La lettura della poetica di Agostino
Carracci che qui si propone viene argomentata su base artistica, storica e
letteraria, ma con la delimitazione delle reciproche sfere di competenza.
L?analisi dei documenti dimostra
un?adesione a concetti e valori comuni, espressi dal Torelli in chiave
letteraria e in chiave figurativa da Agostino ed Annibale. La lettura dei testi
del Torelli non sostituisce affatto la lettura storica, estetica e critica dei
Carracci, piuttosto ne è per molti versi la conferma esplicita. Come dire che
lo storico dell?arte, oltre a formarsi un?intuizione ?visiva? pura di fronte
alle immagini raffigurate da Agostino e da Annibale, trae ulteriori conferme
dai testi letterari di Pomponio. La conferma finale viene poi dalla
constatazione degli eventi storici documentati, che registrano gli interessi e
le committenze comuni, quasi certamente anche la conoscenza personale tra
letterato e pittore: Pomponio Torelli è pedagogo del duca Ranuccio Farnese ed
Agostino Carracci è il suo pittore di corte a Parma, anche se molto
probabilmente il Torelli dovette conoscere Annibale prima della fine dei lavori
della volta, come suggerisce il passaporto per Roma concesso nel dicembre del
1599 ().
Vediamo allora quali e quanti
elementi salienti utili alla nostra analisi ricorrono nella cultura del
Torelli. Prendo a riferimento, oltre la nostra lettura personale dei
manoscritti del Torelli, i due testi critici fondamentali del Croce e
dell?Ariani.
Marco Ariani ha colto la
complessità del pensiero torelliano, animato da un contrasto dialettico di
opposte matrici culturali aristoteliche e platonizzanti: « Per l?aristotelico
Torelli la ragione, sempre positiva, è tutto; ma in lui agisce una fortissima
istanza platonica che gli stimola un?esigenza di verticalità ordinata e finalisticamente
proiettata: la ragione deve quindi conciliarsi con il furor dei sentimenti, sentiti come naturale dono divino » . Su questa linea il Torelli evidentemente
riprende la tendenza concettuale di Giovanni Pico della Mirandola, comune anche
a Gianfrancesco Pico (avo di Pomponio) e a Marsilio Ficino, che consisteva nel
proporre la concordia della filosofia di Platone con quella di Aristotele, come
pure della teologia con la filosofia.
Il Torelli supera la crisi del
Manierismo e si inserisce nella nascente poetica classicista e barocca con
un?ideologia di ispirazione marcatamente controriformista.
La Ragion di Stato, tema
fondamentale della tragediografia rinascimentale, che proponeva il dilemma
ragione-non ragione, una sorta di prefigurazione del contrasto morale tra
essere-dover essere, in Torelli non ha più una sua giustificazione autonoma, ma
si deve confrontare con la morale cattolica.
Viene superata, dunque, la
concezione primitiva del Giraldi e del Tasso in una molto più rasserenante e
meno manichea conciliazione degli opposti che spiega razionalmente la nuova
ideologia controriformista cercando di renderla compatibile con le forti
istanze di gran parte della cultura umanistica, sostanzialmente laica e
talvolta anche paganeggiante.
Un tentativo interessante ed
inedito, che non può non destare l?interesse dello studioso, il quale è tenuto
a ritrovare le giustificazioni dello sviluppo ed adeguamento delle poetiche
artistiche nell?evoluzione della filosofia e del pensiero nel corso della storia.
E il salto generazionale è cospicuo. Basti pensare alla distanza che separa il de hominis dignitate di Pico dal
Torelli. La grandezza dell?uomo, dice
Pico, è nella sua libertà. Può innalzarsi al di sopra delle schiere angeliche,
come diventare l?ultima delle bestie, a seconda che eserciti o meno la volontà,
la ragione e l?intelletto, seguendo la propria natura ferina o quella angelica
( « in inferiora, quae sunt bruta
degenerare », oppure « in superiora
quae sunt divina, ex tui animi sententia regenerari » ).
Il Torelli segue ugualmente
questo bipolarismo, ma con un?attenzione precipua ad individuare un ordine aprioristico e finalistico del mondo, in
cui l?uomo, sforzandosi di coltivare il suo spirito, la sua coscienza e le sue
virtù, può al massimo evitare l?errore, ma difficilmente riesce ad innalzarsi a
demiurgo di se stesso e dell?universo.
Gli affetti barocchi sostituiscono la ratio rinascimentale, le motivazioni profonde prendono il posto
dell?umanistica realizzazione di sè. Non che il Torelli alimenti spiriti
irrazionali o anti-razionali, anzi, egli è sempre ben attento a giustificare le
sue affermazioni con gli strumenti della logica formale e con un grande
rispetto della razionalità dell?uomo. È che diventa finalmente predominante, ed
è segno dei tempi che cambiano, la moderazione, la conoscenza ed il controllo
di sè. L?attenzione ai prolemi dell?uomo è meno cosmica, scende dall?empireo
delle pure idee alla reale e terrena constatazione dei fatti, dei moventi
dell?agire umano hic et nunc. E,
ancora una volta, questo non significa un?abdicazione della ragione, ma la
ricerca di altri più contingenti riferimenti e spiegazioni della prassi
politica del fare storia.
La muta pöesis non è solo un?etichetta belloriana, è esattamente la
nuova formula che si andava sperimentando allora in un?unità inscindibile di
arte e letteratura. Nel giro di breve tempo la formula diverrà addirittura un
vessillo, la nuova bandiera degli uomini di lettere, un?imprescindibile unità
delle arti nella finalistica determinazione di tutte all?idea dogmatica
controriformista.
Ovviamente questo criterio di
giudizio non è applicabile all?intero numero degli artisti e a tutti i
letterati coevi, ma vale solo quando ricorrono certi termini di paragone. Nel
caso specifico del Nostro basta pensare che, non a caso, il Bellori arriva a
sanzionare e collaudare definitivamente i concetti base della muta pöesis nelle sue Vite, attraverso Angeloni e i Carracci
stessi, e ancora prima attraverso lo Zuccari accademico Innominato. La muta pöesis è, in questo senso, un nuovo
equilibrio tra idea e natura
A ben vedere la dialettica
aristotelismo-platonismo presuppone un confronto-scontro radicale tra l?idea platonica e il vero, la realtà artistotelica, che si identifica
via via con lo Stato, la Ragione, la Storia.
Il Tasso risolveva la tragedia in
disperazione, mancato riscatto, mentre in Torelli l?elemento drammatico è al
servizio di un?attesa purificazione finale. Il pensiero Torelliano ha una forte
componente teleologica, finalistica, intesa a ricomporre le crisi ad unità, una
soluzione positiva che non sempre è aprioristica e dogmatica, ma certamente ha
forti connotati ideologici, soprattutto nella fase didattica, che, per quanto
ci interessa, si esplica fondamentalmente nelle lezioni dell?Accademia degli
Innominati di Parma e nell?espletamento della funzione di pedagogo del duca
Ranuccio Farnese.
Il Torelli è molto attento
all?analisi concreta dei problemi politici dell?Italia di allora, e in questo
segue una linea inaugurata dal Machiavelli e che percorre tutto il Rinascimento
alla ricerca delle migliori formule di governo.
La contemplazione dell?esempio
classico, greco e romano, viene esemplata sul mito della perfezione etica del
classicismo. L?idea dell?uomo che si viene formando dal Quattrocento in poi,
vede ampliarsi ed enfatizzarsi il mito dell?uomo inteso come personaggio fuori
del mondo, proiezione olimpica della perfezione della classicità, al di fuori
del tempo e dello spazio, micro e macrocosmo divino, quando il sacro è a sua
volta fusione di elementi cattolici con culti più o meno pagani ed eterodossi.
Tutta la tradizione classicista
del Rinascimento, dal Valla ad Erasmo, dal Pico a Ficino, insiste sulla
creazione di un olimpo ?laico? costruito sull?esempio dei classici, ma con i
volti degli umanisti, dei committenti, dei sacerdoti della cultura
rinascimentale. L?uomo del Torelli ha
invece una sua concretezza esistenziale di fondo, che storicamente è ben legata
allo spirito della Controriforma, come fa giustamente notare l?Ariani. E se si
guarda con attenzione alla politica delle immagini, si ha subito conferma di
questo indirizzo di fondo.
Le parole d?ordine della
Controriforma, e qui sono stati versati fiumi d?inchiostro, sono ?chiarezza?,
?storicità?, ?veridicità?. Senza scomodare il Paleotti, basterà ricordare come
il movimento d?idee parta dalla ripulsa del vocabolario iconografico del
Manierismo di stretta osservanza. Dove il Manierismo trova, infatti, la sua
piena e più originale espressione, cioè nel gioco sottile dell?ambiguità e della
complicazione, proprio in quel punto si abbatte la veemenza degli apologisti
cattolici, che, rifacendosi alla semplice, elementare ed univoca chiarezza
dell?iconografia sacra intesa come Biblia
Pauperum, invocano la storia sacra, cercano tra le fonti, inaugurano una
nuova stagione del classicismo archeologico. Sono di lì a venire il Possevino,
il Bellarmino, il Baronio, i fondatori degli Annales Ecclesiastici, i Padri Gesuiti assidui alimentatori
dell?emblematica sacra.
E ciò mentre la passione archeologica
di un Athanasius Kircher tendeva a rimanere un fatto isolato, un ricordo da Wunderkammer, da tradizione umanistica,
esoterica, egittologica. Vengono alla ribalta invece nuove figure di
?archeologo cristiano?, di indagatore delle fonti figurative e storiche dei martyrologia paleocristiani.
Un esempio per tutti: la Santa Cecilia del Maderno, splendida
statua, scolpita a seguito della non casuale scoperta del corpo della santa
paleocristiana. Si andava allora in cerca delle testimonianze, dei corpi dei martiri,
per dare credito oggettivo, filologico, alla christiana traditio. Ancora più efficacemente, il gusto stesso, la
piacevolezza, avrebbero ceduto il passo alle esigenze della storia, della
verità cruda e drammatica del martirio negli affreschi di Santo Stefano Rotondo
in Roma, dove la verosimiglianza arriva alla nuda rappresentazione della morte
violenta dei martiri con l?occhio freddo del medico legale,
dell?anatomo-patologo.
Questi eccessi dell?iconografia
sacra, fortunatamente solo sperimentali e senza discendenza, derivano da una
precisa volontà del committente, e ancora prima, dall?interpretazione letterale
ed enfatica di un indirizzo del nuovo pensiero della Controriforma. Insegnare,
ammaestrare i fedeli e, soprattutto, eliminare ogni possibile ambiguità. Gli stessi committenti di Annibale Carracci,
i Farnese, si interrogano sull?opportunità di inserire inscriptiones di medievale memoria per rendere univocamente
interpretabili i soggetti rappresentati, come mostra un?interessante lettera
del Cardinal Odoardo Farnese a Fulvio Orsini .
Ma vediamo finalmente Torelli
all?opera come pedagogo del duca Ranuccio Farnese.
Un'epistola spedita dal Torelli
al duca Alessandro nel 1584 ci fornisce un vivo ritratto del giovane principe:
« Ricevei qui in Parma la lettera di Vostra Altezza Serenissima dei 5 d'Aprile,
ove mi commanda ch'io l'avvisi del progresso che fa il signor Prencipe Ranuccio
nelle virtù. [...] il signor Prencipe è tanto bene inclinato ad
ogni maniera di vertù, che a raro Prencipe si convenghi, che più non si pò
desiderare, et in ciò è, oltr'all'educatione che sino a qui è stata bonissima,
dalla natura molto bene aiutato, essendo Sua Eccellenza di natura benigno, et
alla giustizia molto affettionato, patiente nell'ascoltare ancora chi amorevolmente
lo riprendesse, et pronto all'esseguire ciò che le pare che le sia detto per
ben suo; dà molto volentieri udienza, et dà soddisfatione nel rispondere; si
mostra liberale in quel poco che ha; non ritiene la collera, et par molto
compassionevole, et che ogni cosa mal fatta sommamente le dispiaccia; è
bonissimo Christiano nè ha bisogno d'essere invitato ad officio alcuno che
tocchi alla Religione [...] è in tal termino della lingua latina, che con poco
di fatica di sei mesi intenderà ogn'autore bono per se stesso in quella lingua.
Però non sarà che bene che l'Altezza vostra amorevolmente glielo commandi,
perchè ho visto quanto l'habbi infiammato allo studio la lettera di Vostra
Altezza che l'altr'hieri le mostrai, essendo stato a Piacenza per licentiarmi
per Roma. Già commencia a vedere
qualche scienza in volgare, et se l'è talmente facilitata la logica, che non
uscirà l'estate che per se stesso saprà formare ogni sillogismo. Con questo fondamento si porrà alle
matematiche, et morali, leggendole pur tutte volgari; et poi con l'historie se
le accoppiaranno i governi antichi delle cità, che le giovarà assai alla
pratica dei negotij; lasciando l'hora sua alla lingua latina, nella quale vede
Cesare, che intende molto bene, et Tito Livio e Salustio che lo vanno
essercitando, et vi s'aggiongeranno gl'Uficij di Cicerone per dilettarlo con la
varietà, poi che tutti questi libri servono alla prima intentione con
l'historia et con le virtù [...] » ().
Nel Trattato del debito del Cavalliero, dove debito sta per dovere, officium, il Torelli fornisce il
decalogo del perfetto cavaliere e parla anche dell'amore che gli compete: «
[...] non del ferino amore, che pieno d'intemperanza a varii vitii l'huomo
trasporta; ma dell'humano, o di quello, che dagli antichi fu chiamato divino,
da'nostri honesto si chiama, qui di trattar mi protesto [...] l'amor vero, come
da virtù d'animo, et di corpo proviene, così è di gioia ripieno. Il qual amore è, tanto proprio del
Cavalliero, ch'amore per Cavalleria vien detto; con questo nome ogn'interesse
di lascivia esclude; ma solo gentile conversatione; motti arguti; vagheggiar
honesto; alti pensieri et animose operationi abbraccia [...] » ().
Particolarmente interessante il Trattato delle passioni dell'Animo dove
viene discussa la teoria degli affetti nell'ambito della questione etica ed il
neoplatonismo del Torelli acquista un certo respiro nel tentativo di dimostrare
una sostanziale convergenza del pensiero di Platone ed Aristotele riguardo a
questo tema (): « Il
Con: Gio. Fran.co della Mirandola mio Avo materno pone il fondamento di questa
soluzione nel Libro dell'Imagine al Cap. XIX dicendo che il Piacere, et Dolore
secondo li Plat.ci sono affetti semplici de quali si compongono tutti gli
altri. Il che non è lontano così dalla
dottrina Perip.ca, poichè Arist. nei Magni Morali disse le perturbationi sono
Dolore e Piacere, o non senza dolore, et piacere » (). Più avanti emerge comunque la perspicuità
del pensiero platonico: « [...] Le passioni vengono dall'anima, o come vogliono
i platonici immersa nel corpo, o come gli Perip.ci congiunta con esso: onde il
suo primo agente sarà l'anima, poichè questa stessa dà forza al corpo di
patire, che senz'essa insensibile si rimarrebbe [...] » ().
Scopo ultimo dell'esercizio delle
virtù sta nel moderare le passioni umane indirizzandole ad un fine: « nè in
altro s'affaticano le virtù, se ad Arist. crediamo, che in moderar le passioni
dell'Animo [...] quella mediocrità aristot.ca non consiste nel mezzo della
cosa, ma della ragione. La passione
dunque qualunque essa si sia secondo alla Virtù che è l'istessa ragione, riceve
il termino [...] » ().
La dottrina delle passioni si
innesta a sua volta nel discorso sul problema pedagogico dell'arte fornendoci
una preziosa chiave di lettura: « [...] per l'assenso sono le passioni
necessarie all'Oratore, e nella Retorica si considerano come atte a scacciar
l'una l'altra per servirsene a purgar gli animi ». Il Petrarca usa la forza catartica della poesia nel proprio
sonetto che termina con il verso « che quanto piace al mondo è breve sogno »,
così commentato dal Torelli: « ove col pentimento proprio induce gli altri allo
sprezzo delle cose mondane, ch'è quel vero termino di purgatione ch'intende
ogni Poesia; et questo per essere la Poesia ministra della civile facoltà » (). Il vero fine della poesia è morale: « Et
che credete che vogliano dire i Poeti con tante querele? Altro certo se non spaventar delle
lascivie, et dal soverchio delle passioni con l'imitatione d'esse passioni » ().
Giustamente il Vernazza nel
commentare tali passi del Torelli afferma di riconoscervi una perfetta
coincidenza tra la sfera etica ed estetica (). Si potrebbe dire che il Torelli è la figura
tipica del neoplatonico controriformato, tutto attento a conciliare i dettami
neoplatonici con la dottrina cattolica.
Nelle Rime il Torelli sviluppa il tema della contrapposizione di materia
e spirito, per cui il corpo è « terren carcer chiuso » dell'anima e solo
l'amore ha il potere di purificarlo con una fiamma che: « [...] ogni voglia a
la ragion rubella / de la vil parte mia imperfetta; e stolta / fredda, e pigra
al ben far, nel fango involta / strugge, e'l mio viver tutto rinnovella. / Di
me si pasce, e ogni peso terreno / in se stesso trasforma, et a se tira / tutti
i pensier, che co'l suo caldo affina: / onde non più si torce; o più s'inchina
/ l'anima; ma si gode, e seco aspira / salire al suo natio dolce sereno » ().
Questa tematica ritorna
puntualmente negli affreschi della Galleria dei Carracci, in particolare nel
contrasto tra la bruta materialità dell'amore di Polifemo per Galatea e l'amore
divino di Bacco ed Arianna, oppure, ancora più neoplatonicamente, con il
rapimento di Ganimede che adombra l'ascesi dell'anima verso Dio.
Un anonimo commentatore
contemporaneo della Merope del
Torelli ci fornisce una preziosa serie di possibili spiegazioni allegoriche del
mito di Aci e Galatea che vanno considerate con attenzione per via della
precisa rispondenza con il contesto degli affreschi romani dei Carracci così
come ci viene presentato dal Bellori.
Tali chiose sono manoscritte, si leggono nel codice 62 nella Biblioteca
Palatina di Parma e sono state parzialmente trascritte dal Vernazza nella sua
monografia sul Torelli : « Galatea ninfa da Polifemo amata, et di Aci giovane
leggiadro amante, fu dal Ciclope trovata col giovane a ragionare, che vinto da
rabbia di gelosia per uccidere ambidoi percosse con uno scoglio il monte, che
gli avvenne il misero Aci, che di quel colpo fu oppresso. Forse che l'Autore vuole significare l'unione
della speranza col desiderio, che tanto piacere porta all'amante, che dal tempo
percossa, et disunitosi l'uno dall'altro con usura si compra con altretanti
guai ? Po' ancora inferire l'amor
lascivo col pentimento che ne segue.
Po' inferire la bellezza del corpo col colpo della vecchiezza. Po'notare la complacenza della propria
leggiadria in giovane più bella che accorta percossa dalla mutatione degli
anni. Po' consigliare a non fidarsi ne
in grandezze nè in contenti; nè in cosa che stia in arbitrio d'altri il
privarsene tosto » ().
Numerosi passi della produzione
letteraria del Torelli confermano l'esattezza dell'interpretazione morale del
mito. Il commento del Coro nella
chiusa della stessa Merope esprime la
caducità delle umane cose, il danaro, la bellezza e il potere, forze oppressive
che soffocano l'anima; nel Tancredi
il Coro mette in guardia contro gli eccessi d'Amore esortando a rifuggire i
piaceri fugaci per lasciare libera l'anima di purificarsi ed ottenere « sopra di sè corona e palma »,
quella palma, diremmo noi, che i cupidi della Galleria Farnese si contendono
negli spicchi della volta e quella corona che ottengono in premio di virtù.
Corona che ritorna anche nella scena principale della Galleria, una corona di
stelle sul capo di Arianna, sposa di Bacco.
Non mancano testimonianze che
provano come il Torelli fosse in contatto anche con il cardinale Odoardo
Farnese committente degli affreschi romani e fratello del duca Ranuccio.
Il tipografo Erasmo Viotti nello
stampare la Merope del Torelli nel
1598 dedica l'opera al cardinale Odoardo; altre dediche allo stesso sono del
Torelli, come quelle di due suoi Carmina,
« Ad Ranutium Farnesium Parm. Principem » e « Ad Illustrissimum &
Eccellentissimum Odoardum Farnesium » ()
e soprattutto della Galatea del 1603,
interessante perchè ripropone la teoria degli affetti discussa nel Trattato delle Passioni dell'Animo. La tragedia contenuta nella « favola » di
Polifemo e Galatea mostra i danni causati dalle intemperanze degli « affetti »
liberando lo spettatore « da i lacci del piacer falso » ().
Abbiamo così riscontrato la
presenza del mito di Polifemo e Galatea in due diverse fasi temporali,
precedenti e successive gli anni di realizzazione degli affreschi della volta
della Galleria dei Carracci: la corrispondenza cronologica difficilmente può
ritenersi casuale. Nel prologo della Galatea la Tragedia indica la via difficile ed aspra della virtù
come unico mezzo per approdare al sommo bene. Tale simbologia riprende quella
dell'Ercole al bivio del Camerino
Farnese: « [...] Ma vaga di sgravar l'alme dal peso, / Che le fa gir per forza
a terra chine, / Per certa via, benchè sassosa, & erta, / Di sospiri, di
lagrime, e di guai / Da Pietà generati, e da spavento, / Per quel sol ben, che
più nel mondo huom brama, / La mena a riveder l'aer sereno » ().
Sempre nel prologo della Galatea il Torelli sottolinea la potenza
d'amore al quale nulla resiste: « l'amor di una Greca in grembo a Pluto /
Molt'alme chiuse già d'invitti Heroi; / Europa, & Asia sottosopra volse »;
non dimentica di spiegare la falsità degli dei protagonisti della vicenda
narrata e ripropone ancora una volta l'intento pedagogico della propria opera:
« Siano Aci, e Galatea, siano i lor pregi, / Ch'inghiottì quasi pretiose merci
/ Tra gli instabili flutti il mar'avaro. / Volgar essempio a l'amoroso choro. /
Ch'adontar de', chi con suo danno impara, / Se le miserie altrui scaltrir lo
ponno » ().
Non va inoltre dimenticata
l'attiva partecipazione del Torelli all'Accademia degli Innominati (). Il Maylender ci dice che Ranuccio Farnese
vi era stato iscritto fin da bambino con il nome di « Immutabile », che vi
assunse la carica di Principe nel 1586 mantenendola fino al 1604 e che gli
succedette poi il Torelli.
I soci più celebri furono
Giambattista Guarini, soprannominato il «Pellegrino», e soprattutto Torquato
Tasso che scrisse un sonetto in lode dell'Accademia ();
aderirono anche la colta signora Tarquinia Molza (),
nipote del poeta e scrittore Francesco Molza, che era stato al servizio del cardinale
Alessandro Farnese ();
Il Pittore Federico Zuccari che alla seduta della propria ammissione aveva
letto una dissertazione Sopra la
grandezza e facoltà del disegno interno ed esterno pratico; Bernardino
Baldi letterato abate di Guastalla, beneficiato dai Farnese, presente a Roma
nel 1596 nella corte del card. Cinzio Passeri Aldobrandini (),
nonchè autore di un epitalamio manoscritto per le nozze di Ranuccio Farnese e
Margherita Aldobrandini ();
Muzio Manfredi, scrittore legato ai Farnese.
La partecipazione del Torelli
alla vita dell'Accademia rivestiva una particolare importanza se egli aveva
accettato di sottoporre la Galatea al
giudizio degli accademici e l'aveva pubblicata con il loro consenso (),
come d'altronde aveva fatto anche
Guarini col Pastor Fido. Il Torelli infine aveva spiegato tutta l'Etica e la Poetica di Aristotele e l'artificio della tragedia in una serie di
conferenze accademiche ().
CAP. 11
Eros e Anteros
Il problema principale per la
comprensione del significato degli affreschi della Galleria dei Carracci è
stato universalmente riconosciuto nell'identificazione di Anteros. Negli spicchi della volta egli appare in
coppia con Eros in atto di contendergli una palma, lottano poi entrambi per una
fiaccola, lottano ancora sotto una corona ed infine riappacificati, si
stringono la mano.
Come si è visto il Bellori
riconosceva nella figura di Anteros la punizione dell'« amore ingiusto »
attribuendo di conseguenza un?intenzione morale alla rappresentazione dei miti
della Galleria dei Carracci. In sede
critica fu per primo il Panofsky a disquisire sulla corretta accezione
dell'Anteros classico, così come è descritto da Pausania nel Ginnasio di
Elide. Il Panofsky spiega come il
significato di Anteros non sia tanto quello di opposizione ad Eros, un «
Gegenliebe » appunto, quanto piuttosto di una competizione nella reciprocità
d'amore (). Originariamente la lotta di Eros ed Anteros
indicava quindi la reciprocità d'amore, nel Rinascimento l'accezione antica
viene recepita dal Cartari, mentre l'Alciati intende Anteros neoplatonicamente
come « amor virtutis », vale a dire « amore vero, santissimo, razionale o
divino » avversario dell' « amore volgare o sensuale » ().
Il Merril fornisce in un dotto
saggio del 1944 una nuova serie di citazioni letterarie che permettono di
chiarire ulteriormente la natura del problema ().
Mario Equicola nel Libro di natura d'Amore del 1525 così si
esprime: « [...] appo alcuni scrittori trovo narrato che li antiqui antherote
nominavano Dio diverso da amore: l'opinione de'quali reputo totalmente falsa,
& lo suo significato essere mutuo equale, & reciproco amore, dicemo che
ben anti contra denoti, denota ancor equale, come Antideo, dice Homero
Poliphemo [...] » ().
Il ferrarese Celio Calcagnini nella
dissertazione intitolata Anteros sive de
mutuo amore del 1544 vuole dimostrare che Anteros è la divinità che
presiede al mutuo amore e non è affatto in eterno conflitto con Eros. Egli avverte che non bisogna confondere
Anteros con Amor Lethaeus, come fece Servio nel commento all'Eneide, è semmai
possibile vedere Anteros come vendicatore dell'amore non corrisposto (). Non diversamente si esprime Lilio Gregorio
Giraldi nel De Deis Gentium del 1560,
mentre Agostino Nifo nel De Amore del
1529 afferma in pieno il concetto della reciprocità d'amore, scartando
l'ipotesi vendicativo-distruttiva: « sunt igitur Eros, & Anteros, amatio
& redamatio cupidinea: ex his enim perfectus amor constat, qui semper
crescit in dies: qui enim amari sperat, longo tempore amabit [...] ()
».
Almeno i libri di Agostino Nifo e
dell'Alciati erano ben conosciuti da Fulvio Orsini, dal momento che la
Biblioteca di Palazzo Farnese li possedeva entrambi (),
inoltre Francesco Alciati parente di Andrea era a Roma uno dei maggiori esponenti
dell'Accademia delle Notti Vaticane promossa da San Carlo Borromeo che era
stato suo scolaro a Pavia ().
Ma il punto nodale della
questione per quanto riguarda la Galleria dei Carracci sta nella valutazione
del saggio del Dempsey, dove vengono accostati i cosiddetti Amori
de'Carracci agli affreschi romani.
I quattro dipinti che abbiamo già
in parte analizzato in relazione a Fulvio Orsini e allo Zsamboky furono dipinti
molto probabilmente da Paolo Fiammingo; Agostino Carracci incise i primi due,
gli altri il Sadeler.
Il Dempsey nota la presenza di
Eros ed Anteros in connessione con una scena apertamente erotica ch'egli
giudica persino pornografica e conclude che l'Anteros della Galleria Farnese
non può essere l'Amor virutis dell'Alciati o del Bellori.
Va detto subito che la coppia di
Eros ed Anteros che si contendono le palma non è posta nella scena erotica, ma
in quella precedente e che comunque il significato ultimo delle quattro tele
non può in nessun modo essere paragonato, come ha fatto Dempsey, alle Lascivie dello stesso Agostino Carracci
per il semplice motivo che l'ultimo quadro rappresenta il castigo d'amore.
Un acuto studio di Thomas
Puttfarken () chiarisce
che il significato simbolico di questi dipinti è stato sempre frainteso e
propone un'interpretazione alternativa a quella ormai canonica di Otto Kurz ().
I dipinti rappresentano le
quattro età della storia: la prima è quindi l'Età dell'oro che si caratterizza per la presenza dei danzatori, di
Eros ed Anteros e, aggiungiamo noi, di un amore edenico, asessuato, come
conferma la presenza dello iocus che
nella pietra incisa del Celtis figura accanto a Venere e Cupido; la seconda è
l'Età dell'argento, dove si manifesta
la sessualità e compaiono le stagioni, come si deduce dalla primitiva capanna di
paglia e legno dello sfondo; la terza è l'Età
del bronzo in cui compare Amore Leteo simbolo della fine delle passioni
amorose; la quarta è l'Età del ferro
che chiude il ciclo manifestando la sua completa decadenza: Amore castiga gli
amanti con la frusta e li costringe a trainare la biga sulla quale egli si è
posto tiranno, uomini e donne si suicidano gettandosi dall'alto di una rupe ().
L'interpretazione è ampiamente
confortata oltre che dall'evidenza, anche dalle iscrizioni presenti nelle
incisioni di Agostino e Sadeler (),
nè valga dire che le scritte servono di copertura moralistica a scene che poi
in sostanza, nonostante le iscrizioni, sono e rimangono erotiche, perchè il
riscontro tra le scritte e il tema delle quattro età è incrociato e non ammette
errori ().
Con buona pace dei bigotti queste
pitture dimostrano come sia possibile citare immagini anche scabrose
all'interno di un discorso morale senza per questo alterarlo e mancare
all'effetto finale.
È in chiave figurativa lo stesso
percorso mentale che il Torelli compie quando afferma che mostrare i danni
delle passioni incontrollate induce l'uomo a prevenirle.
Anche Guido Reni trattò lo stesso
soggetto nel suo Amore sacro che brucia le frecce di amore profano, legato e
bendato e nella Lotta di putti,
dipinto interessante in cui si affrontano tre coppie di amorini con e senza
ali, a terra le frecce e in alto un calice di cristallo e tralci e grappoli
d'uva che potrebbero essere riferiti ad un culto bacchico sacrale ().
Una testimonianza fondamentale
per la corretta comprensione del significato di Anteros nella Galleria dei
Carracci è contenuta nei Divini amoris
Emblemata, libro di Otto van Veen pittore di corte del duca Alessandro
Farnese in Fiandra ().
La spiegazione allegorica della
contesa della palma è contenuta nell'emblema intitolato « PIA AMORIS LUCTA / Cum Dei Amore, amans anima de palma certavit » dove « Amor
divinus » e « Anima » sono assimilati ad Eros e Anteros con il conforto di San
Paolo: « Bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi: in reliquo
reposita est mihi corona iustitiae; non solum autem mihi, sed iis qui diligunt
adventum eius » (). La corona di giustizia è sul capo di Eros
ed Anteros nella scena precedente della Galleria dei Carracci. Il Veen cita anche S. Agostino: « Iacob
luctatus praevaluit, tenuit, & quem videbatur vicisse, rogat ut benedicatur
ab eo. In angeli persona Dominus erat luctatus, facit se teneri amore, non
infirmitate; regnum enim coelorum vim patitur, & violenti rapiunt illud » (). La lotta è quindi lotta d'amore tra l'uomo e Dio stesso che si manifesta
per mezzo dell'angelo: « Quand deux s'ayment, chacun d'eux butte / Sur l'autre
estre victorieux, / Et la fin de ceste dispute / Est a qui aymera le mieux: /
Debatons en la mesme sorte / Et gaignons ainsi paradis; / Comme Iacob d'une
main forte / A surmonté l'ange jadis » ().
Un affresco dipinto da Bartolomeo
Cesi in Palazzo Magnani a Bologna intorno al 1592 rappresenta esattamente la
xilografia del Cartari relativa ad Eros ed Anteros, ma con una iscrizione molto
più vicina all'interpretazione di Alciati: « HOC VIRTUTIS OPUS ». Se la stessa iconografia del Cartari può
essere interpretata come simbolo di amore di virtù, cadono ovviamente tutte le
distinzioni causidiche del Dempsey, che tendeva ad assegnare all'amore
reciproco del Cartari il valore di amore profano. Stupisce che Clare Robertson commentando l'affresco del Cesi in
un articolo monografico sulla Galleria Farnese non abbia menzionato l'iscrizione
risolutiva, peraltro chiaramente leggibile nella foto pubblicata ().
Il soggetto della Lotta di putti acquisterà poi una sua
autonomia nel corso del XVII secolo, perdendo il legame originario con la forma
classica di Eros ed Anteros. Privi di
palma sono infatti gli amorini del pittore senese Deifebo Burbarini, lottano
anch'essi e finiscono con il pacificarsi mostrando in bella evidenza i simboli
delle virtù cardinali ().
CAP. 12
Tommaso
Aldobrandini ed Enrico Farnese
Tutti le fonti finora esaminate
convergono nel confermare la sostanziale esattezza dell'interpretazione
belloriana.
Achille Bocchi e Pomponio Torelli
rappresentano, con i rispettivi agganci al pensiero di Charles de Bovelles e
Giovanni e Francesco Pico della Mirandola, le due generazioni del neoplatonismo
farnesiano dove trova largo spazio il tema di amore sacro. In parallelo anche nell'opera dei pittori
dei Farnese, Agostino Carracci in Italia ed Otto van Veen in Fiandra, Anteros è
simbolo di amore di virtù.
Manca però ancora un elemento
fondamentale, non si spiega cioè la congruenza del soggetto della Galleria dei
Carracci in relazione alla personalità del committente, il cardinale Odoardo
Farnese. Sembra quindi utile esaminare
la proposta del Dempsey che vi riconosce una sorta di grande epitalamio.
L'occasione ci viene fornita in
primo luogo da Enrico Farnese di Liegi, Professore all'Università di Pavia, che
nel 1600 pubblica un libro in cui, tra gli altri argomenti, si tratta del
matrimonio di Ranuccio Farnese e Margherita Aldobrandini. Ranuccio duca di Parma e Piacenza, com'è
ormai ben noto, è fratello del cardinale Odoardo, Margherita è nipote di Papa
Clemente VIII.
Il libro in questione è
intitolato De perfecto Principe ad
Clementem VIII apophtegmata Card. P. Aldobrandini in quibus ars imperandi tenetur inclusa ab Henrico Farnesio Eburone (). Enrico Farnese si era infatti assunto
l'incarico di pubblicare gli scritti del cardinale Pietro Aldobrandini insieme
ai propri.
Un rapporto di collaborazione
culturale tra i Farnese e gli Aldobrandini sussisteva già da molti anni,
soprattutto grazie alla passione filologica per i testi antichi che accomunava
Fulvio Orsini e Tommaso Aldobrandini (). Tommaso era un brillante grecista ed aveva
anche una buona pratica negli studi filosofici, scrisse un trattato In Aristotelis Politicam notae ()
e tradusse in latino un'orazione di Demostene che venne pubblicata postuma a
Roma proprio dal nipote card. Pietro Aldobrandini tre anni prima dell'inizio
dei lavori della Galleria dei Carracci ().
Si conserva ancora manoscritto
alla Biblioteca Vaticana il resoconto di una dibattito sul tema Per quale ragione non si sia fatta guerra
tra i gentili, e perchè si faccia tra i cristiani al quale parteciparono
Fabio Benvoglienti, Gianfrancesco Lottini, Uberto Foglietta, Fabio Albergati,
Lucio Maggio e Tommaso Aldobrandini ().
La disputa era stata promossa nel
1567 dal card. Marcello Marcantonio di Mula bibliotecario di Santa Romana
Chiesa e aveva visto scontrarsi il Benvoglienti e l'Aldobrandini su posizioni
diametralmente opposte. L'Aldobrandini
mosse all'avversario quattordici obiezioni con le quali veniva riaffermata la
piena legittimità delle guerre di religione, seguendo una linea di rigorosa
osservanza controriformistica.
Contemporaneamente alle dispute
politico teologiche, Tommaso Aldobrandini proseguiva la propria attività di
traduttore e in questa veste venne interpellato da Fulvio Orsini per sciogliere
delle riserve su un frase greca di controversa interpretazione concernente la
reciprocità d'amore. Considerata la
grande importanza dell'iconografia di Anteros nell'ambito degli affreschi della
Galleria, è bene tenere conto di questa frase anche se non si può dimostrare
con certezza un legame diretto con l'iconografia di Anteros. Ecco la traduzione dell'Aldobrandini: « [...]
è cosa bella essere amato amando, o
vero, et questo mi piacerebbe più, è cosa
bella a essere amato in compagnia di chi ha amato [...] » ().
È certo comunque che la memoria
della persona di Tommaso Aldobrandini doveva essere ben presente alla data d'inizio
e soprattutto a quella di chiusura della volta della Galleria, se il nipote
Pietro ne pubblicava un'opera post mortem
e soprattutto se si tiene conto che Tommaso era fratello del Papa Clemente
VIII, la cui nipote Margherita, figlia di Giovanni Francesco e di Olimpia
Aldobrandini, sarebbe diventata moglie del duca Ranuccio Farnese.
Tornando ad Enrico Farnese
prendiamo subito in esame il passo del De
Perfecto Principe relativo al matrimonio di Ranuccio Farnese e Margherita
Aldobrandini, che al di là della formule panegiristiche del caso, ci offre
un'importante indicazione iconologica.
Il matrimonio di Ranuccio e
Margherita costituisce secondo l'autore il segno vivente di un vincolo di
pace alla maniera del ratto delle
Sabine il quale dimostra come il matrimonio non solo spegne la fiamma
dell'odio, ma accende quella dell'amore reciproco e della benevolenza: « ex quo
intellegimus odij flammam non solum restingui matrimonio: sed etiam accendi mutui amoris ardore, &
benevolentiae » (). Il tema della reciprocità d'Amore già
espresso nell'immagine di Eros ed Anteros in lotta per la palma negli affreschi
della Galleria trova ora una sua precisa collocazione all'interno di un
contesto matrimoniale dove viene sottolineata tutta la positività di un amore
corrisposto. Apparentemente mancante
lo spegnimento della fiaccola, che nel
Cartari indica la fine delle passioni impure ed è presente anche nell'affresco
di Bartolomeo Cesi in Palazzo Magnani a Bologna. In realtà com'è poi ovvio alla luce del contesto matrimoniale,
non può sussistere alcun simbolo che denoti la fine dell'amore, deve anzi
presentarsi il caso inverso. Enrico
Farnese prosegue infatti paragonando il mito della Salamadra che rinasce dalle
proprie ceneri e il fuoco non ha potere su di lei, a Ranuccio Farnese il cui
stesso ardore giovanile, nel fuoco dell'età, spegne ogni fiamma impura
dominando gli appetiti sensuali con la ragione, e con la prudenza ogni impeto
incontrollato, fino a concludere che reca maggior gloria astenersi dalla
voluttà piuttosto che soddisfarla ().
Negli anni immediatamente
precedenti gli affreschi di Annibale Carracci nel Camerino veniva stampato un
altro volume politico di Enrico Farnese, il De
Simulacro Reipublicae sive de imaginibus politicae et oeconomicae, che
contiene un paragrafo interamente dedicato ad illustrare l'impresa dei tre
gigli farnesiani come immagine della concordia e della pace con specifico
riferimento al duca Ranuccio e al cardinale Odoardo suo fratello ().
Enrico Farnese vede nella disposizione stessa dei gigli farnesiani
l'immagine della concordia poichè il più alto sovrasta i due inferiori e questi
a loro volta i tre più bassi in un chiaro ordine gerarchico; spiega poi il loro
significato con una litote, affermando cioè che la discordia può essere
triplice come i gigli, « aut animi, cum ratione, aut sensuum, cum virtute: aut
hominis, cum hoste » mentre viceversa tre sono le virtù che riconciliano: «
prima prudentiae vi reconciliatur: altera temperantiae auxilio: fortitudinis
termia » ().
Enrico Farnese augura al
cardinale Odoardo di poter essere speranza pubblica realizzando con la propria
vita l'iscrizione « spes publica » che si legge in un'antica medaglia romana
vicino all'immagine del giglio ().
Secondo Enrico Farnese il giglio
è il fiore di Giunone e come tale denota la forza del governo; viene da pensare
all'Ercole al bivio di Annibale
Carracci nel Camerino Farnese, dove l'eroe deve scegliere tra virtù e voluttà
e, simbolicamente, tra la vita attiva rappresentata da Giunone e quella sensuale
rappresentata da Venere come nel passo già citato di Marsilio Ficino ().
L'ordine dei gigli corrisponde
per Enrico Farnese alla concordia tra la legge divina, la naturale e la
positiva e si realizza con le tre virtù dell'astinenza, della sobrietà e della
castità: senza la pienezza della virtù il giglio marcisce e puzza ().
Il colore celeste del giglio
farnesiano è infine un simbolo divino e l'oro del pistillo indica la sapienza (). Il capitolo si chiude con un elogio del
cardinale Odoardo ed un ancora più pertinente riferimento all'Ercole al bivio: i gigli crescono dritti
al cielo senza storture proprio come la famiglia farnesiana che progredisce
sulla retta via della giustizia verso la gloria divina.
Diversamente dall'interpretazione
prevalentemente politica del giglio araldico farnesiano formulata nel De simulacro Reipublicae, l'impresa
ideata da Fulvio Orsini per il cardinale Odoardo ha un carattere filosofico
religioso. Entrambe comunque attribuiscono alle virtù il ruolo guida
nell'immaginario dei Farnese, fornendo un'ulteriore conferma della validità
dell'interpretazione del Bellori da un punto di vista generale. Mancando qualsiasi motivo per considerare
corrispondente a verità l'affermazione del Dempsey relativa alla presenza di
due programmi distinti e di opposto significato per la volta e le pareti della
Galleria e considerando che l'impresa dei gigli è presente sia nel camerino,
sia nelle pareti della medesima, risulta ben difficile, se non impossibile,
affermare che il significato della volta sia inerente alla tematica di amore
profano sic et simpliciter. Secondo la tesi del Dempsey la volta
sarebbe una sorta di "incidente di percorso", una parentesi erotica
fra due momenti di perfetta "sacralità" controriformistica. L'esegesi belloriana ha invece un respiro
più ampio nel quale l'affermazione dell'amore sacro su quello profano non è mai
apodittica o dogmatica, ma si costruisce in un percorso dialettico. Vedendo disgiunti i soggetti della volta e
delle pareti si perde completamente di vista anche la stessa poetica della
Galleria che verrebbe ridotta ad una semplice giustapposizione di motivi senza
alcuna coerenza concettuale complessiva.
Non si tiene inoltre conto che, se è vero che Fulvio Orsini morì prima
dell'inizio dei lavori per le pareti, è anche vero che il committente cardinale
Odoardo era ben vivo alla fine dei lavori stessi e oltre.
Infine, riesaminando il corpus dei disegni preparatori della
Galleria Farnese, risulta che tra i soggetti previsti nella fase d'ideazione
del programma della volta ve n'era uno di significato morale che non venne mai
affrescato. Si tratta del putto che
affronta un leone coprendosi il viso con una maschera e fingendo di essere più
forte del vero (). Tale iconografia non è un'invenzione
carraccesca, è presente in più di un'occasione nell'arte rinascimentale a
cominciare dal libro di emblemi di Guillaume de La Perriere Le Theatre des bons engins ()
e vuole significare il contrasto tra l'uomo forte e impavido e quello codardo e
bugiardo che ricorre a meschini sotterfugi pur di impressionare
l'avversario. Anche Pirro Ligorio ebbe
modo di commentare un'iconografia che ha legami di parentela con quella
carraccesca illustrando il significato di una statuetta bronzea antica: « Nella
immagine di questa fortuna è da notare molte cose. Primeramente di quel
fanciullo, che tiene in braccio, il quale credo sia Pluto, come dice
Pausania. Egli ha una maschera in
mano, perchè le ricchezze ha la maschera d'oro et è zoppa come dice Luciano, et
la Fortuna è quella che dispensa la ricchezza, onde ella ha lo iddio in grembo;
et lo domina [...] » (). La connessione maschera - ricchezza -
fortuna è già indicativa del contrasto con la verità - sapienza secondo la ben
nota tematica rinascimentale.
La presenza dell'iconografia del
putto con maschera negli studi preparatori della volta della Galleria dei
Carracci conferma dunque che i soggetti affrescati non erano scelti secondo
criteri semplicemente estetizzanti e non dovevano esaltare solo l'amore
profano, ma che rispondevano ad una precisa volontà morale del committente, il
cardinale Odoardo Farnese.
CAP. 13
Le nozze di Ranuccio Farnese e Margherita
Aldobrandini
Il Dempsey vedeva una gaia,
spensierata e pagana bellezza nei miti antichi così come venivano dipinti da
Annibale ed Agostino Carracci nella volta della Galleria Farnese e collegava
tale visione con l'idea che Anteros significasse reciprocità d'amore non sacro,
fino a considerare tutta la decorazione pittorica come un grande epitalamio. Quest'ultima ipotesi è senza dubbio esatta
non solo per la conferma indiretta che ci viene dal De Perfecto Principe di Enrico Farnese, ma soprattutto per una
serie di riscontri incrociati con altri epitalami coevi. Non sembra invece possibile accettare la
prima, quella cioè che riguarda la presunta "profanità" degli
affreschi della volta, soprattutto considerando che non vi è contraddizione tra
le due versioni di Anteros considerate dalla critica apparentemente
opposte. Infatti è ovvio che esista un
amore reciproco di carattere sacro proprio nel sacramento del matrimonio
cristiano. Anche a prescindere dal
matrimonio, è poi sufficiente ricordare come l'interpretazione di Otto van Veen
riguardi la celeste reciprocità d'amore nel dialogo tra l'anima e Dio.
Per affrontare con chiarezza il
problema è necessario in primo luogo chiarire che non c'è ragione di pensare,
come ha fatto il Martin, al matrimonio di Alessandro Farnese con Maria del
Portogallo del lontano 1565, se le nozze di Ranuccio Farnese e Margherita
Aldobrandini venivano celebrate il 7 maggio 1600 a Roma in Vaticano quando era
appena terminata la volta della Galleria.
La data precisa delle nozze è
riportata da Nicola Angelo Caferri nel proprio annuario intitolato Synthema Vetustatis (). Luis de Salazar y Castro nell'Indice de las glorias de la casa Farnese
fornisce notizie sugli ultimi accordi pre matrimoniali con la pubblicazione
delle due epistole che il duca Ranuccio Farnese e il Pontefice Clemente VIII
Aldobrandini spedirono a Filippo II di Spagna per avvertirlo dell'avvenuta
conclusione delle trattative ().
Il 2 dicembre del 1599 Clemente
VIII scrive a Filippo II di aver concluso un matrimonio tra il duca di Parma e
la maggiore delle proprie nipoti da celebrarsi in marzo quando ella avrà
raggiunto l'età per sposarsi e aggiunge che il cardinale Farnese ha avuto
particolarmente a cuore questo accordo.
Soprattutto quest'ultima notazione ha valore ai fini degli studi sulla
Galleria dei Carracci, perchè se il committente degli affreschi era interessato
al matrimonio del fratello a quella data doveva esserlo stato anche in
precedenza, visto che di un matrimonio per Ranuccio si parlava già da parecchi
anni. Cade dunque l'obiezione di
Briganti circa l'infondatezza della interpretazione epitalamica della Galleria dei
Carracci.
La conferma risolutiva viene da
una preziosa indicazione di Olga Pinto la quale, continuando il lavoro già
intrapreso dal padre che spogliava con certosina pazienza interi cataloghi di
varie biblioteche, è riuscita a raccogliere una poderosa bibliografia di
scritti per nozze che contiene la citazione di quattro rari epitalami relativi
alle nozze Farnese - Aldobrandini del 1600 (). Dimenticati dai critici della Galleria dei
Carracci, questi volumetti, insieme ad altri non citati dalla Pinto, permettono
di rispondere ad alcune domande che erano finora rimaste in sospeso. Tre furono stampati a Roma nel 1600 e
l'ultimo a Piacenza nel 1601 (). Furono scritti da Filiberto Belcredi
Referendario delle due Segnature, Onorio Longhi e Gasparo Murtola entrambi noti
in ambiente caravaggesco, e Vincenzo Villani.
L'epitalamio del Belcredi
interessa soprattutto per la presenza nel frontespizio di una piccola ma
raffinata incisione che rappresenta le insegne araldiche degli sposi. Il putto reggistemma di destra ha la stessa
espressione assorta e i capelli arruffati dell'amorino che appare nell'Omnia vincit Amor di Agostino Carracci,
incisione datata 1599. Il taglio della
composizione, la scioltezza del ductus
grafico a linee incrociate ed avvolgenti, il gioco chiaroscurale realistico ed
equilibrato ed il plastico trattamento del panneggio sullo sfondo rendono
pacifica l'attribuzione ad Agostino Carracci.
Anche l'epitalamio di Onorio
Longhi reca una bel blasone inciso.
L'invenzione maggiore è nel putto reggicorona quando con ricercato
virtuosismo Agostino riesce a creare una complessa intelaiatura di corpi solidi
dove proiezioni di luci ottengono ombre sceniche con effetti di spessore e
profondità. La mano sinistra del
putto, affusolata e tipicamente emiliana, ricorda quella del putto reggifestone
nel frontespizio della Vita di Cosimo de
Medici di Aldo Mannucci stampata a Bologna nel 1586 ().
Agostino Carracci non era nuovo a
simili imprese. Ricorda il Bellori
quanto egli fosse attento a seguire la vita di corte intrattenendosi con
letterati, accademici e uomini dell'alta società provocando anche i rimproveri
del fratello che gli ricordava le loro umili origini. Agostino si era impegnato con passione nell'editoria realizzando
ad esempio parte del repertorio d'illustrazioni per l'edizione genovese del
1590 della Gerusalemme Liberata del
Tasso (), o per il
libretto di Rime de gli Academici Gelati
di Bologna dove incise le imprese degli accademici su richiesta di Melchiorre
Zoppi ().
Esiste poi una lunga serie di
incisioni di blasoni ed insegne araldiche realizzati da Agostino Carracci per
Papa Innocenzo XI ();
uno stemma di un duca di Mantova ();
del cardinale Facchinetti ();
di un cardinale della Famiglia Sampieri ();
del cardinale Cinzio Passeri Aldobrandini (),
che era il protettore del Tasso a Roma; del cardinale Alessandro Peretti (),
caro amico di Fulvio Orsini su cui torneremo più avanti; e ancora una serie di
stemmi dei Papi e cardinali bolognesi ();
del cardinale Giovanni Battista Castagna ();
del cardinale Filippo Sega ();
del cardinale Lorenzo Bianchetti ();
del cardinale Bartolomeo Cesi ()
e la lista non è completa.
Nell'incisione per il
frontespizio dell'epitalamio di Onorio Longhi, Agostino Carracci riprese la
tipologia del putto che regge il cappello cardinalizio nello stemma del
cardinale Facchinetti. I due putti a
gambe levate in cima allo scudo assolvono il loro compito con molta
disinvoltura e naturalezza.
Queste due piccole incisioni
"inedite" testimoniano la presenza di Agostino Carracci a Roma almeno
fino al maggio del 1600. Subito dopo
il Pittore dovette raggiungere Parma per dare mano agli affreschi del Palazzo
del Giardino ().
Vediamo ora il testo degli
epitalami. Il più lungo, ma anche il
più cerimonioso e senza riferimenti consistenti alla Galleria dei Carracci, è
quello del Belcredi. Interessa
soprattutto ricordare ch'egli era socio delle Accademie degli Affidati e degli
Intenti di Pavia.
Alla prima, fondata nel
1562, appartenevano anche San Carlo
Borromeo; il giurista Francesco Alciati, parente di Andrea; Ottavio Farnese
duca di Parma e Piacenza, nonno di Ranuccio e di Odoardo; e dal 1598 i
cardinali Cinzio Passeri Aldobrandini ed Odoardo Farnese; Bernardino Baldi,
letterato urbinate abate di Guastalla che scrisse un epitalamio manoscritto per
le nozze di Ranuccio e Margherita.
Alla seconda, fondata nel 1593,
erano iscritti Melchiorre Alciati; Enrico Farnese; il card. Federico Borromeo,
cugino di San Carlo ed amico di Fulvio Orsini; i cardinali Odoardo Farnese e
Cinzio Passeri Aldobrandini. Una
compresenza certamente non casuale di personaggi giù incontrati durante la
discussione critica delle tematiche della Galleria dei Carracci.
Il testo del Murtola è più
interessante. Egli doveva avere una
buona pratica nel genere epitalamico se scrisse anche per le nozze di Filippo
Colonna con Lucrezia Tomacelli del 1597 (),
e nel 1600 per Enrico III di Francia e Maria de Medici (). Il Murtola paragona la bella e giovane
Margherita all'Iride seguendo una tradizione farnesiana ben consolidata
nell'impresa DIKHS KRINON (giglio di giustizia) di Paolo III presente
nell'impresa pittorica di Castel Sant'Angelo, dove il giglio farnesiano è
sormontato da un arcobaleno. Già il Ruscelli
notava come: « [...] era poi quell'Impresa molto bella per la vaga illusione,
che l'Arco Celeste ha nel nome col Giglio azurro. Perciochè così tal Arco, come
il Giglio si dicono Iris in Latino, & in Greco, & tai gigli sono arme
della casa Farnese. Onde veniva l'Impresa ad esser di maravigliosa vaghezza,
& perfettione, & tenuta per una delle belle, che fino a quei tempi
fosser vedute » ().
Ecco l'incipit dell'Iride : « O
tu, che al lampeggiar di chiare Stelle / Dopo maligne, & horride tempeste /
Iride scopri a noi luce tranquilla. / Spiega, deh spiega ohmai l'Arco celeste,
/ L'Arco, che fiamme mostra ardenti, e belle, / E di gemme, e di porpore
sfavilla [...] » (). L'Iride è Margherita in tutta la sua
splendente bellezza, mentre Ranuccio viene invitato a deporre le armi ed ogni
pensiero militare per acconsentire all'invito di Imeneno ed Amore: « [...]
Cangia pensiero homai, le guerre lascia, / Lascia gli usberghi, e l'ire aspre,
e dolenti, / Che prò viver fra l'armi, accenda il core / Più fortunato ardore
[...] » ().
L'allegoria si estende fino al
Sole, che viene ad identificarsi con Ranuccio stesso: « [...] Mira homai il tuo
bel Sole Iride, mira, / In esso l'occhio, in esso il cor s'appaghe, / Questi i
colori tuoi col suo bel giglio / Rende più belli ogn'hor [...] » ().
La contrapposizione tra sfera
militare ed amorosa è nuovamente sottolineata: « Hora amator si mostre, &
hor guerriero » con riferimento alle
imprese militari del padre Alessandro in Fiandra, alle quali aveva partecipato;
« [...] Mira come dipinto / Di chiara luce homai le guerre aborre, / E tempre
fra le tue natie bellezze / Le già passate asprezze [...] » ().
I versi più importanti sono
quelli dove Iride - Margherita / viene paragonata ad Arianna: « O lui felice, o
te fortunata / Iride bella, che a un sì vivo Sole / Fiammeggi opposta, e sei di
lui l'imago / Bene avien, che da te l'honor s'invole / A le Stelle del Cielo, a
l'indorata / Chioma di Berenice, e ben più vago / Cerchio, e di cinger pago /
Il tuo bel crine a te, che ad Arianna, / Che se d'oro appar quello, e in Ciel
di mille / Stelle avien, che sfaville / Di zafiri, l'hai tu, ne già s'inganna /
S'altre Stelle vi mira poichè ancora / Con le tue stelle il tuo bel Sol
l'indora [...] » (). Il parallelo è interessante perchè contiene
un riferimento all'affresco centrale della Galleria dei Carracci che
rappresenta il trionfo di Bacco e Arianna ed in particolare alla corona di
stelle di Arianna. Il Murtola guardava
con attenzione alle opere d'arte, soprattutto ai dipinti del Caravaggio che
illustrò in alcune rime del 1603, sembra quindi normale ch'egli ne conoscesse e
ne sapesse interpretare i significati relativi.
Anche Onorio Longhi, amico del
Caravaggio, diede il proprio contributo letterario alle nozze, toccando lo
stesso tasto di Arianna riferendosi prima a Ranuccio e poi a Margherita: «
[...] Quella corona, che di gemme e d'oro / Splendeati accesa quasi in ciel
sereno / Regal diadema a tuoi capelli intorno, / Hor di stelle risplende (alto
thesoro) / Il Gran Giove terreno / Così cangiolla, e fe'il tuo crin più adorno
/ Tal già vide Arianna, e ancor fiammeggia / Del crudo Theseo a scorno / La sua
corona a la celeste Reggia, / E così vide le sue chiome belle / Risplender
Berenice in ciel di stelle » ().
Se la celeste Reggia è Palazzo
Farnese, il Longhi si riferisce proprio all'affresco di Annibale. Inoltre paragona Ranuccio ad Ercole
dimostrando così ancora una volta la continuità simbolica tra i soggetti del
Camerino e quelli della volta della Galleria.
Ricorre anche l'immagine delle « Provincie incatenate » presenti nei
disegni preparatori della volta proprio sotto l'immagine di Ercole vistosamente
munito di clava ():
« Quando sembrasti qual tra Mostri Alcide [...] da la tua spada escono tuoni, /
Onde par, che si spezze, / Non sol l'orgoglio a l'Hidre, e a i Gerioni, / Ma
dal Gange, dal Nilo, e da l'Eufrate / Conduchin le provincie incatenate » ()
chiaramente riferiti ai dipinti per la cosiddetta "Sala grande" di
Palazzo Farnese che dovevano illustrare i fasti del duca Alessandro Farnese ().
CAP.14
François Perrier e l?entourage del Bellori
Compresi i valori fondanti del
programma della Galleria, resta da verificare l'attendibilità storica e il
processo di formazione dell'interpretazione del Bellori.
Com'è noto, alla morte di
Agostino ed Annibale, i pittori della bolognese Accademia degli Incamminati
diffusero lo stile e il linguaggio della scuola carraccesca. Domenichino, Reni, Guercino, Albani,
Lanfranco, in dialettica con il naturalismo luministico caravaggesco, creavano
un polo classicista che avrebbe trovato in Poussin la sua massima espressione
estera.
Tra gli allievi del Lanfranco a
Roma, il Bellori cita il borgognone François Perrier che aiutò il maestro
nell'impresa della cupola di Sant'Andrea della Valle ()
e si dedicò allo studio delle antichità.
Il Perrier soggiornò nell'Urbe in due diversi periodi: dal 1625 al 1629
e dal 1635 al 1645 (). Durante il primo soggiorno romano incise
un'acquaforte di traduzione dall'Ultima
Comunione di San Girolamo di Agostino Carracci che testimonia in prima
istanza la sua adesione alla lezione dei maestri della scuola. Realizzò il frontespizio del libro Segmenta nobilium signorum et statuarum
del 1638.
L'opera più interessante
appartiene al secondo soggiorno romano ed è il ciclo di affreschi di Palazzo
Peretti dipinto in collaborazione con Giovanni Francesco Grimaldi intorno al
1635 - 1640 con storie mitologiche e il tema di amore sacro e amore profano (). L'affresco centrale, che lo Schleier
attribuisce dubitativamente al Grimaldi, rappresenta due scenette spiritose:
nella prima un amorino profano dorme pacificamente presso un albero attorniato
da sette puttini pronti a giocargli un brutto tiro. Approfittando del suo sonno lo privano dell'arco, delle freccie
e della torcia finchè il malcapitato amorino si sveglia nella seconda scena
legato e bendato. Un altro amorino
indica il cielo con un dito; a terra giace l'arco spezzato a significare la
sconfitta di amore profano.
Da un certo punto di vista si può
dire che la presenza costante della mitologia e il modello delle partiture
della volta di Palazzo Perrier, con il classico uso di citazioni di sculture
antiche, sono vicine agli affreschi della Galleria dei Carracci anche se in
tono notevolmente minore. In Palazzo
Perrier viene sviluppato il tema paesaggistico che non è invece ancora
affermato in Palazzo Farnese. Tenendo
conto del quarantennio trascorso si può tranquillamente riconoscere la
continuità culturale esistente tra i due cicli di affreschi.
Esiste anche un libro di copie
dai disegni di Annibale Carracci per la Galleria Farnese della bottega del
Perrier, il cui frontespizio deriva dalla Storia
dei Cesari di Francesco Angeloni attraverso la mediazione di uno studio del
Perrier stesso (). Francesco Angeloni possedeva i disegni
preparatori per la Galleria dei Carracci, era protonotaro apostolico e
segretario del cardinale Ippolito Aldobrandini, nonchè secondo padre del
Bellori. Scrittore di una certa
capacità e collezionista d'arte, l'Angeloni costituisce l'anello di
congiunzione tra il Bellori e la Galleria Farnese ().
È comunque possibile accertare la
consistenza di un rapporto ancora più stretto di quello stilistico tra la
Galleria dei Carracci e gli affreschi di Palazzo Peretti. Procedendo a ritroso nel tempo si
acquisiscono notizie utili alla comprensione del significato degli affreschi
Perrier.
Il Palazzo Peretti apparteneva
alla Reverenda Camera Apostolica ed era abitato da alti prelati con il titolo
di San Lorenzo in Lucina. Il cardinale
Alessandro Peretti e suo fratello Michele principe di Venafro vi risiedevano
dal 1620; alla morte del cardinale nel 1623, Michele, chiesta ed ottenuta la
necessaria autorizzazione, aveva acquistato il Palazzo che era così divenuto
proprietà privata ().
Nel 1614 si erano celebrate le
nozze di Michele con Anna Maria Cesi e i festeggiamenti si erano tenuti nel
Palazzo della Cancelleria con l'ospitalità del fratello dello sposo. Per l'occasione l'accademico umorista di
Roma Giacomo Cicognini aveva scritto un epitalamio intitolato L'amor pudico, il cui interesse si trova
tutto nella presenza di Eros ed Anteros e nella spiegazione della relativa
simbologia suggerita da Romolo Paradiso nella lettera in cui descrive le feste
nuziali ().
L'Amor pudico si inizia con un duetto tra Venere e suo figlio Amore
sullo sfondo delle rovine di Roma antica.
Sceso sulla terra, Amore racconta alla madre per quale ragione ha
lasciato il Cielo: « Venere. Qual terrena vaghezza / ha valor di rapirti a
gl'alti giri ? () Amore. Questo pudico strale, / Che due
bell'alme punse, / E quel Nume immortale, / Che per nodo fatale / Sommo valor a
gran beltà congiunse, / Mi richiama dal Ciel, perch'io rimiri / Viva fe, puro
ardor, casti desiri ». (). Amore si riferisce al matrimonio di Michele
Peretti ed Anna Maria Cesi e finisce poi con il riconoscere alcuni errori
passati: « [...] Et io, ch'il crederia ?
qua giù discesi; / Contr'a me rivolgendo il giusto sdegno, / Perchè
d'impure fiamme un tempo accesi / I maggiori Dei del sempiterno Regno » ().
Amore ricorda alla madre le
azioni di un tempo nel contrasto con quelle recenti presentandosi come
vincitore di se stesso e meritevole in quanto tale di una doppia palma: « Se di
strali beati il fianco cinsi / Hoggi n'andrò di doppia palma altero: Gran
vincitor, che me medesimo vinsi » ()
interessante il parallelismo con la Galleria dei Carracci, soprattutto perchè
la battuta successiva è significativamente pronunciata da Anteros: «Anter. O
glorioso Nume, / O mirabile Arciero, Ceda al nuovo desio vecchio costume: /
Virtude è spesso il variar pensiero.
Amore. se tu mi porgi aita, / Indissolubilmente a te mi lego. Anter. Non mai più da te lungi i vanni
spiego; / Ch'io nacqui sol per eternar tua vita.» ().
Questo scambio di battute si
inserisce perfettamente nell'interpretazione della Galleria dei Carracci quale
è stata finora prospettata e coincide con l'Arianna
del Rinuccini, soprattutto se si tiene conto che il « variar pensiero » può
essere paragonato al passaggio dall'amore terrestre di Arianna per Teseo a
quello divino per Bacco. Inoltre la
reciprocità di Anteros non è affatto profana o carnale: « Amore. O del seno fecondo / De la mia bella Madre
/ Anterote immortal, parto secondo, / Di legitimo ardore, / Di reciproco amor
vero sostegno, / Ecco la mano, ecco la fede in pegno. / Questi pennuti strali /
Getterò disarmati, e rotti a terra: / Poichè furon cagion di tanti mali». Va notata la contrapposizione tra il
vecchio e il nuovo amore, lascivo l'uno, pudico l'altro in relazione agli
effetti del mutamento occorso. Anteros
afferma esplicitamente: «Donne leggiadre e Cavalieri amanti: / non è pudico
ardor cagion di pianti» (). L'evento centrale della rappresentazione è
ovviamente il matrimonio Peretti - Cesi, intorno al quale recitano come parti
d'appoggio i personaggi mitologici.
Amore si rivolge alla città di
Roma ricordandole la propria decisione: « O di famosi Heroi madre famosa; / Hor
ch'accendo ne'cor pudico zelo, / In Te men vivo, e sdegno il patrio Cielo » e
Roma risponde: « O de gli eterni Dei sommo Monarca; / Se tu per far in me dolce
soggiorno / Sdegni di far ritorno a l'alto impero; / Se tu cangiasti Amor
l'antica voglia: / Et io cangiando il manto antico, e nero, / Scopro fregiata
d'or la nuova spoglia » e « si cangia la prospettiva della ruinata nella nuova Roma
» (). La purificazione di Amore restaura
l'antica città in tutto il suo splendore cancellando il teatro delle
rovine. Amore è ora simbolo di virtù
contrapposto alla rovina segno di morte.
Il coro commenta: « [...] La virtù che sempre è stabile / Ne i gran
petti ogn'hor si germina; / Nè per morte ancor si termina » (). La prima parte dello spettacolo termina
con manifestazioni di gioia, balli e canti per festeggiare l'amore pudico degli
sposi.
Nell'ora seconda Venere, Marte,
Sole, Luna, Mercurio e Giove si riuniscono a colloquio per tentare di
convincere Amore a tornare in cielo, usando anche la forza se necessario; la
Fama però avverte gli dei che Amore è finalmente cambiato, non è più cieco: «
Amor io vidi a real Donna in grembo / Di pura fede, e d'honestade amico, / Due
grand'alme ferir d'un stral pudico, / E versar di sue gratie un ricco nembo. /
Indi mirai tra balli, e tra diletti / Virtù celeste accolta in humano velo, / E
formar vive stelle in terra un Cielo, / Et udij risonar CESI, e PERETTI. /
Saggi Heroi, belle Dive, honesti ardori / Facean corona a l'immortal Cupido, /
E suona intorno de'mortali il grido, / Ch'ei sol per nobil foco accende i cori.
/ E sdegnando le fiamme, ond'egli accese / Di biasmevole amor petti immortali,
/ Pudico Dio spezzò lascivi strali, / Come ministri a vergognose imprese » ().
Nell'ora terza Mercurio scende in
terra perchè « ritorni Amore pudico, / Deposto il suo rigor, al seggio antico
». Il coro si lamenta perchè « Senz'Amore il Sol non splende, Nè la terra
il seno infiora: / Langue in Ciel la bella Aurora: / Nè Diana in Terra scende
». E' la sposa che impedisce ad Amore
di tornare in cielo: « Bella, saggia, e pudica, / Cui fan corona tanti Semidei,
/ Fa ch'io sdegni tornar tra gl'altri Dei ».
Ma niente e nessuno può convincere Amore, neanche lo sdegno, che si
ritrae alla vista delle frecce d'Amore.
Come la venuta di Amore aveva
sortito l'effetto di far rinascere Roma a nuova vita, così ora scende sulla
terra nuovamente l'età dell'oro ().
Precise ed inequivocabili
conferme dell'esatto significato dell'Amor
pudico del Cicognini sono fornite nella già citata relazione di Romolo
Paradiso ().
In primo luogo viene descritto
l'allestimento del Teatro: « Ma nella parte di mezzo del cornicione appariva un
gran scudo, circondato da molti svolazzi, e mostrava in campo azzurro la face
d'Himeneo, attorcigliata diruta.
Sopr'essa in un gran cartello si leggeva Tenderò sempre al Cielo, ond'io discesi. Io mi credo, che si dinotasse con tal impresa la qualità dell'amore,
che ha uniti insieme questi duo Sposi in matrimonio » ().
Amore è presentato nella sua
nuova veste: « Havea cerchiata la zazzeretta con una benda piena tra molti
ricami di gran quantità di diamanti: e si crede esser quella, che solea portar
innanzi agli occhi, i quali erano svelati; quasi per non perder la vista, hor
ch'è divenuto pudico, quel conoscimento di verità, ch'in altro tempo presso di
lui era sconosciuta » ().
Anteros è disegnato come fedele
fratello di amore divino: « In questo videsi appressargilisi ()
ANTEROTE. Fanciulletto in tutto eguale, e simile ad Amore nella statura, e nel
volto, sì come era nella nudità, e nell'ali.
A prima giunta il persuade a compiacersi dell'opinion cangiata. Amore accortosi di lui, l'abbracciò, e
fecegli puerili accoglienze, ma piene di tenerezza fraterna. Promisegli poi, pur che egli da lui non
discompagni, di ben esseguire quello che havea ben risoluto nell'animo. E scegliendo nella faretra quelle saette,
dalle quali erano uscite così ree operationi, le rompe, e con disprezzo le
gitta in terra » ().
L'annotazione di maggior rilievo
riguarda l'età dell'oro che si rinnova con le nozze di Michele Peretti e Anna
Maria Cesi: « incontro al Sole, Amor vede scendere, sovr'un'altra nuvola, ma
non sì grande, L'ETA' DELL'ORO, e tale che parea di concorrer seco e
pareggiarlo di bellezza [...] Disse il Sole: esser venuto a lodar con le Muse
la Sig. Sposa. E l'Età dell'Oro,
coronata dalle foglie dell'albero di lei: a rinovar se medesima in Terra, onde
si era partita » ().
Ecco allora la conferma
dell'esattezza dell'interpretazione di Thomes Puttfarken relativa ai cosiddetti
Amori de'Carracci (). Con la propria trasformazione infatti Amor
pudico, in pieno accordo con Anteros, rinnova l'età dell'oro in occasione delle
nozze. Così anche nella Galleria dei
Carracci, dove all'accordo di Eros ed Anteros e alle nozze - trionfo di Bacco
ed Arianna si arriva dopo le lotte iniziali per la palma e la fiaccola.
Tornando ancora indietro nel
tempo è infine necessario sottolineare che il cardinale Alessandro Peretti era
un caro amico di Fulvio Orsini come dimostra il suo legato testamentario, con
il quale egli dona al Peretti, « cuius multa extant in me merita », due grandi
medaglie di bronzo ed una miniatura di Giulio Clovio (). Il cardinale Peretti succedeva inoltre al
cardinale Alessandro Farnese nella carica di Cancelliere Pontificio.
Se il tema epitalamico dell'Amor pudico del Cicognini è interpretato
in chiave mitologico moralistica e rappresentato nel Palazzo della Cancelleria,
e sono altresì documentabili i rapporti tra il cardinale Alessandro Peretti e i
Farnese e particolarmente Fulvio Orsini, risulta evidente che le accuse di
paganesimo e di erotismo rivolte da una parte della critica moderna agli
affreschi della Galleria dei Carracci e alle stesse intenzioni dei loro
committenti sono completamente infondate; e non tanto perchè vi sia assente la
mitologia d'Amore anche profano, quanto piuttosto perchè la lettura che di
questa mitologia viene data è antistorica.
Nella Galleria non vi è infatti apologia del mito, ma un suo utilizzo
nell'ambito della poetica controriformistica, un mito come favola che viene
posto per essere contraddetto (). Formalmente diversa, e anche meno efficace
da un punto di vista drammatico è per esempio la Rappresentazione di anima e corpo di Emilio de'Cavalieri, uno dei
prototipi del melodramma italiano rappresentato a Roma nel 1600 (). Il tema moralistico è presente fino dal
primo verso ad evidenziare un'intenzione dogmatica. La ripetizione sistematica dello stesso concetto, che cioè la
nostra vita mortale è « un campo angusto di dure pietre, [...] una valle oscura
di pianto, [...] una bolla d'acqua, [...] una casa vecchia che minaccia ruina,
[...] un sacco forato » e così via, crea un fastidioso effetto di ridondanza,
una risonanza formale e concettuale.
La Rappresentazione di anima e
corpo di Emilio de'Cavalieri è rimasta famosa per l'introduzione della
formula del recitar cantando, ma di
fronte all'Arianna del Rinuccini è
monocorde, manca di un'invenzione drammatica.
Ed è proprio quest'invenzione a rendere particolarmente interessanti gli
affreschi della Galleria dei Carracci.
CAP. 15
I "generi" della Galleria
Epitalamio,
melodramma, tragedia, concettismo ed emblematica
Tra gli affreschi della Galleria
Farnese e quelli di Agostino Carracci nel Palazzo del Giardino di Parma si
colloca un altro interessante episodio.
Lasciata Roma per Parma, Ranuccio
Farnese e Margherita Aldobrandini passarono per Macerata nel luglio del 1600
dove furono accolti con grandi festeggiamenti, archi di trionfo, magnifiche
strutture effimere con dotte iscrizioni latine e volgari. Autori della parte erudita delle
manifestazioni furono gli accademici Catenati e soprattutto uno di loro,
Alessandro Cenzi, che scrisse una relazione dettagliata di tutti i
festeggiamenti dedicata al duca Ranuccio e intitolata Relazione di quanto è stato fatto in Macerata nel felicissimo passaggio
della Serenissima Madama Margherita Duchessa di Parma ().
Vennero preparati tre archi
trionfali ispirati alla città di Macerata, alle nozze di Ranuccio e Margherita
e ai fasti farnesiani. Una « livrea
numerosa di Giovanetti Nobili », tragedie e commedie allietavano il soggiorno
degli sposi.
Nella torre maggiore della città
era stata posta l'insegna araldica del duca Ranuccio Farnese con l'iscrizione «
SUPERVM VARIANDA FIGURIS Volendosi
inferire, che si come li Serenissimi Principi Farnesi havevano fin qui
contratto affinità con li Potentati
sopradetti, che sono i maggiori d'Europa, & del Mondo; così si augurava,
che ella () dovesse
con un Sommo Pontefice far parentado, il quale a tutti superiore, &
veramente Ottimo, & Massimo, spiegasse per Arme le Stelle, che sono figure
bellissime delle superne sphere: come è felicemente avenuto, però ivi si
scrisse. Superum varianda figuris
imitato da Catullo nelle nozze di Peleo, & di Teti, dicendo. Haec
vestis priscis hominum variata figuris » ().
Questa lettura allegorica delle
stelle araldiche Aldobrandini viene confermata dall'iscrizione del secondo arco
trionfale: « [...] alludendo a l'Arme de l'uno e de l'altra, che sono le
Stelle, & i Fiori, si disse. TALIS PER FLORES QVALIS PER SYDERA FVLGET.
Del Pontano nel secondo del Eridano a Pomona, mentre parlando in altro proposito
dell'Aurora, disse. Talis per flores, qualis per sydera fulget /
Lucifer, Eois dum micat ortus aquis» (). Le corona di stelle dell'Arianna della
Galleria dei Carracci, «un bello anacronismo» secondo Bellori, sarebbe dunque
al tempo stesso riferibile al mito e alla sposa. Anche nel Palazzo del Giardino i riferimenti a Ranuccio e a
Margherita si inseriscono armoniosamente all'interno del contesto iconografico
con i simboli della perla e del vello d'oro, come giustamente osserva il
Dempsey recensendo la monografia della Marzik (). Va notato che il cardinale Odoardo affrontò
esplicitamente con Fulvio Orsini il problema delle iscrizioni nella decorazione
a fresco del Camerino Farnese; si era infatti riservato di metterle o meno per
rendere chiaro il significato delle scene rappresentate (). In stretto ambito carraccesco abbiamo
l'esempio contrario di Bartolomeo Cesi che aveva aggiunto la scritta « HOC
VIRTUTIS OPUS » all'affresco con Eros ed Anteros in Palazzo Magnani a Bologna. La scelta di affrescare scene mute rivela
un'alta valutazione del mezzo espressivo iconico, al quale si riconosce una
specificità, un proprio eloquente e distinto linguaggio. La verbalità non deve interferire, se non
episodicamente, nella struttura narrativa delle immagini.
Tornando agli apparati di
Macerata, è interessante notare che nell'ultimo quadro del primo arco trionfale
viene menzionata Iride come allegoria di Margherita Aldobrandini, proprio come
nell'epitalamio del Murtola: « [...] Et perchè nell'ultimo, che rimaneva non si
potevano tutte le gratie, & li beneficij rappresentare, che quel Santissimo
Pontefice (), & la
Sereniss. sua Famiglia alla nostra Città fatto havevano, quindi fu in esso
dipinta la medesima Città in figura di Donna medesimamente co'l viso rivolto in
alto a un Arco celeste, o Iride che vogliamo dire: impresa già di quella
Santissima Mem. & con il Lembo della veste raccoglieva Gigli, & altri
fiori, ch'indi larghissimamente sopra lei piovevano; con un motto levato da
Virgilio nel 6. MANIBUS DEDIT LILIA PLENIS » ().
Nel secondo arco trionfale,
quello delle nozze, compaiono tutti i riferimenti d'uso all'evento, vale a dire
Imeneo (), Giunone
Iugale () e Diana
Lucina (), oltre ad
Apollo le tre Grazie e, naturalmente, Amore.
Il terzo arco celebra i fasti
farnesiani da Pietro il Vecchio in poi, riservando ai nomi più recenti
l'impresa personale: «de' quali non potendosi (se non con bassezza, e per
mancamento d'inventione) le proprie effigie rappresentare; & il ponere
avanti altrui semplicemente l'Arme loro, parendone cosa semplice, e troppo
commune; fu pensato, & il pensiero posto ad effetto, che ne' luoghi
sopradetti l'Imprese, che già questi Illustrissimi, & Serenissimi Signori
portorno, si figurassero » (). Figurano appunto le imprese del cardinale
Alessandro (), del
cardinale Ranuccio ()
e del duca Ottavio (),
« ma non havendo noi una Impresa del Magno Alessandro Padre di V.A. per
dipingerla nel Quadro grande, che stava sopra il Cornicione alla Piazza
rivolto; nè parendone a proposito il Cavallino che va a prender l'ale, col
motto. Huius Aura. Scolpita nelle
medaglie di lui Giovanetto di tredici anni, nè meno l'Ovo colle due stelle, poi
che nel tempo medesimo li furono mandate da Madama d'Austria sua Madre
Serenissima alla Corte di Spagna. Onde in gran diligenza cominciossi a cercarne
qualch'una di quelle, che in età più matura havesse S. A. fatte. Et finalmente
ne furono ritrovate molte: fabricate non dal ingegno di Poeta alcuno, ma dalla
mano di S.A. istessa, colla spada, non colla penna, nè studiando libri: ma
ordinando esserciti, e fra le schiere armate combattendo [...] » ().
Da quanto letto si ricava che le
imprese rivestivano un ruolo più significativo delle insegne araldiche; anche
se la constatazione è quasi ovvia, sembra utile sottolinearla ugualmente dal
momento che le pareti della Galleria dei Carracci sono concepite come una lunga
rassegna di blasoni ed imprese della famiglia disposti in un crescendo
simbolico che colloca al primo e più basso posto gli scudi araldici e
all'ultimo le immagini figurate della volta, con il coro di Bacco ed Arianna
che raffigura le nozze di Ranuccio e Margherita. La stessa precisa ripartizione dei soggetti degli archi
dell'apparato di Macerata è molto simile a quella della Galleria dei Carracci,
le nozze e i fasti sono infatti distinti.
L'esempio eloquente di Macerata
suggerisce di tenere bene in conto il suggerimento critico della Marzik, che
afferma il valore politico degli affreschi dei Carracci. Come pensare ad una Galleria di tale
importanza concepita esclusivamente per raffigurare le nozze di una coppia che,
tra l'altro, vive in Parma ? E come
conciliare gli interessi dei due fratelli, il duca Ranuccio ed il cardinale
Odoardo ? E ancora, come spiegare il
fatto che la volontà di celebrare le vittorie e la personalità del duca
Alessandro Farnese non sembrerebbe trovare riscontro negli affreschi dei
Carracci ?
La risposta a queste domande è
relativamente semplice quando si rifletta sull'unità complessiva della Galleria
stessa, che riesce a comprendere tutte le istanze poste dalla committenza. Non tutta la Galleria e nemmeno tutta la
volta va intesa semplicemente come un epitalamio, perchè la stessa scena
centrale della volta con il Coro di Bacco
ed Arianna ha il doppio valore di nozze e trionfo militare.
Dalle Dionisiache di Nonno di Panopoli, che erano ben note a Fulvio
Orsini tramite il suo amico ungherese Janos Zsamboky, si evince il valore
simbolico di Bacco. Il mitologico
conquistatore dell'India e diffusore del proprio culto venne subito posto a
confronto con Alessandro Magno. A sua
volta Alessandro Farnese aveva giuoco a considerarsi successore dell'antico
Alessandro-Bacco come nuovo diffusore della religione cattolica nelle Fiandre e
braccio forte di Filippo II e della Chiesa.
Il passo a Ranuccio Farnese è brevissimo e presente in più fonti. Ranuccio Farnese poteva quindi ben vedersi
simbolicamente raffigurato nel Bacco della Galleria dei Carracci insieme ad
Arianna sua sposa, cioè Margherita, senza per questo motivo rinunciare alla pur
sempre possibile identificazione di Arianna con la Chiesa, dal momento che
Margherita era la nipote di Papa Clemente VIII. Il ventaglio delle possibilità interpretative è ampio, ma non
aperto e i punti fermi sono nella natura stessa del sillogismo aristotelico,
dove si possono mutare le premesse, ma non le conclusioni. Nell'affresco centrale della Galleria dei
Carracci fu ideato uno dei più complessi e raffinati sillogismi barocchi di
tipo "BARBARA". Per
transitività infatti, se Ranuccio Farnese è paragonato a suo Padre Alessandro,
se il padre è a sua volta riferito ad Alessandro Magno e se esiste, come anche
la Yates ha riconosciuto, uno stretto legame simbolico tra Bacco ed Alessandro
Magno, allora è anche possibile paragonare Ranuccio Farnese a Bacco ().
E al cardinale Odoardo è
riservata una parte non certo minore.
Anche dal confronto con gli apparati trionfali di Macerata è infatti
possibile constatare come nella Galleria dei Carracci il riferimento
epitalamico non è affatto evidente ed esclusivo, perchè mancano quegli elementi
che lo rendono tale, come ad esempio Imeneo.
L'amore che viene celebrato è di natura particolare e sembra avere un
valore pedagogico. Rileggendo in una
progressione significativa i miti rappresentati, si può notare che alla scena
tragica dall'esito mortale dell'amore di Polifemo per Galatea segue la serie
degli amori che "indeboliscono" la virtù, Ercole ed Onfale, oppure
che invitano gli dei a più o meno convenienti rapporti con i mortali;
seguono ancora scene di amore non corrisposto, Cefalo ed Aurora, e a tutte
queste scene si alternano altre in cui è chiarissima la valenza neoplatonica,
Diana ed Endimione, Giove e Ganimede, Apollo e Giacinto, o di esaltazione della
stirpe latino-farnesiana, Venere ed Anchise, fino alla scena madre con il coro
di Bacco ed Arianna.
Sul valore neoplatonico della
Galleria si può ancora aggiungere il riscontro con due imprese dell'Accademia
degli Affidati, alla quale il cardinale Odoardo si era iscritto durante il
primo anno della realizzazione degli affreschi della volta. Luca Contile riferisce che l'impresa di
Carlo Angelo Ghiringhelli accademico affidato è la Vergine con il liocorno con
il motto « SIC VIRTUTIS AMOR » (),
testimonianza quanto mai esplicita della natura dell'amore del liocorno
farnesiano, che si pone così come l'esatto contrario del mito di Leda col
cigno. Pegaso è un emblema farnesiano
notissimo, presente in cima alla strada della virtù nell'Ercole al bivio del Camerino Farnese e persino come marca
tipografica dei Viotti, stampatori di Parma.
L'altra impresa riferita dal Contile è quella che rappresenta Diana ed
Endimione con il motto « ILLUMINATIO MEA ENDIMIONE » di Filippo Binaschi, che,
cieco, vuole « inferire, che la privazione del lume del corpo è l'habito del
Lume dell'anima sua tutta rivolta alle meditazioni » ().
Il valore mistico del mito di
Giove e Ganimede si legge nell'opera di Achille Bocchi e trova riscontro
nell'affresco di Giulio Mazzoni in Palazzo Spada a Roma ()
e non mancano anche i riferimenti biblici, dice infatti Dio a Mosè nell'Esodo: « [...] ho sollevato voi su ali
di aquile e vi ho fatti venire fino a me [...] » ().
Inoltre il duca Alessandro era
considerato il paladino del cattolicesimo, come dimostrano le magnifiche
onoranze funebri che gli vennero tributate in Roma e come anche l'incisione del
suo pittore di corte in Fiandra, il già ricordato Otto van Veen, che lo
raffigura come Ercole, con lo scudo munito di Gorgone nella sinistra e la clava
nella destra sorretta dalla fede che a sua volta regge una croce in mano e ai
piedi i nemici della Chiesa ormai debellati ed uccisi.
Sulla volontà della committenza
difficimente possono sussistere dubbi, non sembra possibile che il tema di
amore profano possa sussistere isolatamente, nell'atmosfera di boudoir prospettata dal Dempsey, mentre
è molto più probabile che, attraverso i riferimenti concettosi e sillogistici e
soprattutto con un largo uso della teoria degli affetti e delle passioni
dell'animo nel senso neoplatonico controriformistico del Torelli, questo stesso
tema d'amore possa alimentare di una fiamma universale i riferimenti alla
politica, alla storia, al mito, alle nozze, alle persone viventi del duca
Ranuccio e del cardinale Odoardo.
L'amore per la Chiesa muove il duca Alessandro all'impresa delle
Fiandre, di nuovo l'amore per la Chiesa e il legittimo amore reciproco del duca
Ranuccio e Margherita muovono il figlio a continuare le gesta del padre, ancora
l'amore per la Chiesa muove il cardinale Odoardo a perfezionarsi e purificarsi sulla
ripida strada della virtù e nella conoscenza dei pericoli d'amore profano.
Non sussiste infine l'ipotesi
dello Zapperi che in sostanza vedrebbe
da una parte il Pontefice Clemente VIII come un "braghettone", che
passa il proprio tempo a coprire le nudità delle statue in Chiesa e a cacciare
le donne di malaffare dall'Urbe, e dall'altra parte i Farnese tutti intenti a
far dipingere la Galleria Farnese per dispetto al Papa (). Oltre agli specifici riferimenti presentati
in questa sede (),
si veda ora la monografia di Stefania Macioce, che chiarisce la vera
personalità del Pontefice in rapporto alle arti al di là dei pregiudizi della
critica contemporanea ().
Per comprendere il valore del
nudo nella Galleria Farnese, peraltro molto limitato, basta leggere l'epistola
di Antonio Agustin, Arcivescovo spagnolo molto amico di Fulvio Orsini: « Io
dubito che bisogni sotterrare tutte le statue ignude, perchè non venga fuori
qualche riformatione di esse. et certo parevano male quelli termini maschij
della vigna di Cesis et di Carpi et quel hermafrodito col satyretto nella
cappella, et altre pitture in casa d'un altro senatore patrone del famoso
Mario. et la vigna di papa Giulio terzo con tante Veneri et altre lascivie che
se bene alli studiosi giovano, et alli artefici, li oltramontani si
scandalizano bestialmente, et fama malum virum acquirit eundo. Così va perdendo provincie la nostra urbs
alma Regina provinciarum Moribus
antiquis res stat Romana, virisq. disse Ennio, oraculo che dura tuttavia. Santagostino de civitate dei a 56 carte e
meza della stampa vecchia vecchia assai » (). Nella frase « se bene alli studiosi giovano
» c'è tutto il valore dell'umanesimo romano del Rinascimento, dove la
classicità è modello per le arti e la cultura. Fraintendere l'umanesimo farnesiano equivale ad annullare il
valore fondante del classicismo dei Carracci fino al Poussin, a considerarlo
lettera morta. Ma i fatti dimostrano
il contrario: la Galleria dei Carracci è un'opera d'avanguardia concettuale,
che s'inserisce armoniosamente e tempestivamente nel cuore stesso del pensiero
e dell'arte contemporanea, con i suoi riferimenti contenutistici e formali al
genere epitalamico e soprattutto al nascente melodramma.
Il valore ultimo della Galleria
dei Carracci sta nell'equilibrata complessità del rapporto di contenuto e
forma; nell'alchimistica distribuzione dei generi, dal concettismo
all'emblematica, dall'epitalamio al melodramma inclusa la tragedia; nella
costruzione diretta ad un fine morale, quello propugnato dalla Controriforma,
senza però dogmaticità e senza il tradimento di un retaggio umanistico
secolare.
CAP. 16
Agostino Carracci e l?eclettismo
La Poetica ideal-classicista
Agostino frequentava letterati e
musicisti, esperto del nascente melodramma, era l?unico dei Carracci che
potesse proiettare i lavori della Galleria verso l?indirizzo epitalamico che le
era stato dato per volontà dei committenti.
Non a caso proprio Agostino
verrà chiamato dal duca Ranuccio a Parma per dipingere gli affreschi del
Palazzo del Giardino con chiari riferimenti epitalamici già bene individuati e
mai contestati dalla critica. Ranuccio viene infatti raffigurato come altro
Giasone, accompagnato dalla sposa-perla-Margherita.
Agostino aveva una mentalità
capace di assorbire con maggiore ricettività e creatività le istanze del duca
Ranuccio. Quindi proprio lui doveva avere avuto magna pars nella
missione di unire in una sola opera diversi generi: il celebrativo
dell?encomiastica farnesiana del duca Alessandro, l?epitalamico madrigalesco
delle nozze del duca Ranuccio, il religioso-apologetico del duca Alessandro
vittorioso sull?eresia delle Fiandre, del figlio Ranuccio Gonfaloniere di Santa
Romana Chiesa e del cardinale Odoardo. Soltanto un artista veramente aggiornato
come Agostino poteva essere al passo con i tempi.
Il lavoro d?équipe
iniziato ai tempi di Palazzo Magnani, aveva una giustificazione profonda nello
spirito e nella poetica stessa dei Carracci. La creazione dell?Accademia
degl?Incamminati cercava di applicare alle arti visive le sperimentazioni
contemporanee delle accademie letterarie e filosofiche.
I pensieri del Bocchi avevano già
in Bonasone e Fontana artefici pronti
ad esprimere le idee del maestro, ma l?esperimento di Agostino va oltre: la sua
non è un?applicazione pura e semplice dell?idea teorica del letterato. Egli
riesce a recepire le esigenze dei tempi, le istanze della Controriforma, la traditio speculativa umanistica, fermamente neoplatonica, l?innovazione
strutturale dell?Ars poetica perorata
dall?aristotelismo imperante del Torelli, la geniale ed assolutamente inedita
richiesta del nascente melodramma, che ecletticamente,
univa le arti figurative al teatro e questo alla musica ed entrambi alla
retorica, alla scienza della finzione.
Pensiamo che l?eclettismo di
Agostino vada quindi riletto in questa chiave nuova, sperimentale e tutt?altro che passatista o poco
originale.
Anzi, in un?ottica di vero
avanzamento della cultura.
È su queste basi che la lezione
caravaggesca non esclude affatto dalle innovazioni del secolo nascente
l?approccio ideal-classicista dei Carracci.
Agostino quindi come geniale
interprete, ma anche come portavoce dei Carracci, che rimangono uniti in
un?Accademia ideale e reale, che resiste alla lontananza causata dalla diaspora
romana. Non per niente la scuola, la
squadra di lavoro ?di Ludovico? non ha alcuna difficoltà ad ambientarsi con
Annibale a Roma: Albani, Domenichino e anche Reni, Guercino, Lanfranco.
Ad Agostino è demandato il ruolo
non solo e non tanto, come si potrebbe anche credere, delle ?pubbliche
relazioni?, quanto piuttosto di legante, questa volta sì, eclettico, ma in
senso lato, delle più moderne esperienze della cultura contemporanea e del
Barocco nascente.
Agostino riesce, grazie ai
contatti e agli studi intrapresi, a creare le condizioni per una nuova poetica.
É a lui che dobbiamo l?invenzione
della formula ideal-classicista, del Bellori per intenderci, che dominerà il
secolo insieme alla scuola caravaggesca del realismo-naturalistico.
Ed è anche chiaro che il mito
eclettico della cultura non poteva, per definizione, riferirsi ad un
Caravaggio. Se il fine dell?artista non è la mimesi, ma l?emulazione, secondo
lo Zoppi, il Torelli ed il Bellori; se all?artista è dato il difficile compito
di enucleare un exemplum di riferimento
che vada a filtrare il naturale per la creazione di opere perfette,
iperuraniche, è chiaro che l?artista deve cercare di formarsi un riferimento
altro dalla realtà pura e semplice.
Non bastava evidentemente la
semplice rilettura in chiave filologica dell?antico operata da un grande
conoscitore come Fulvio Orsini. L?erudizione mitologica era necessaria in un
periodo di grande evoluzione degli studi archeologico-umanistici, ma la presa
sull?animo, la passionalità, il coinvolgimento, lo stupore della nascente
poetica barocca non poteva certamente derivare dal vecchio Fulvio Orsini, che
muore esattamente, ed è veramente un segno del destino, contestualmente al
compimento della volta della Galleria, nel maggio del 1600.
Fulvio Orsini, vero genio del
collezionismo antiquario del Rinascimento, consegna ad Agostino ed Annibale la
propria erudizione con la relativa credibilità storica della narrazione della
Galleria. Manca però ancora la capacità speculativa di intendere, elaborare e
rendere estetico un sillogismo. Entra in gioco allora il Torelli, che con le
sue innegabili capacità filosofiche riesce a suggerire un contesto di
riferimento motivazionale, riesce a legare la poetica delle passioni alla
fredda archeologia di Fulvio Orsini.
Le istanze moralistiche della
Controriforma assegnano un preciso fine didattico alle immagini. Non quindi
soltanto un?autocelebrazione dinastica, non solo un?esercitazione
archeologico-mitologica, non solo una divertita esplosione di sensualità sulla
volta della Galleria.
Tutti questi elementi uniti dalla
dialettica di un sillogismo a sorpresa: Ranuccio nella Galleria è insieme
figlio di Alessandro Farnese, condottiero vincitore delle Fiandre, Gonfaloniere
di santa Romana Chiesa e rinnovatore delle imprese di Bacco, che riesce a portare
la religione in India, e, ancora, marito fedele di Margherita - Arianna, che,
in un delicato gioco di voluta indeterminazione, è sia immagine della Chiesa
sposata da Bacco-Alessandro-Ranuccio vincitore dei pagani-protestanti, sia la
nipote del Papa regnante Clemente VIII Aldobrandini.
La ricchezza della documentazione
fin qui discussa, porta alla certezza dell?interpretazione epitalamica della
Galleria, ma soprattutto alla constatazione che Agostino dovette essere
precursore di questa poetica espressa in un delicato classicismo idealistico
venato di una morbida e profonda sensualità emiliana.
Senza l?apparato concettuale
derivante dalla frequentazione delle Accademie, nè Agostino avrebbe elaborato
con Annibale tale poetica, nè lo spettatore potrebbe, oggi, comprendere appieno
il significato ultimo dell?opera.
Una lettura che non si
improvvisa, come non si improvvisa la preparazione di un così complesso
programma iconografico e di una così sofisticata poetica.
Ad un moderno spettatore
sprovveduto non rimarrebbe altro che la degustazione palatale, epidermica,
della pur erotica e coinvolgente sensualità emiliana; perderebbe però la più
complessa ed interessante unità delle arti del barocco nascente, il messaggio
di contenuto e di forma che l?opera vuole trasmettere.
E ciò non vale solo per la
Galleria, ma anche per altre opere.
I cosiddetti Amori de?Carracci, incisi da Agostino e dal Sadeler, senza la
necessaria comprensione del soggetto indicata dal Kurz e dal Puttfarken,
verrebbero lette in un?ottica stravolgente e priva di significato.
Esistono infatti diversi tipi
di realismo e di erotismo. Esiste l?erotismo ?da collezionista?, intimo e
realmente sensuale e spesso lascivo; esiste invece l?erotismo ?didattico?, da
alcuni ritenuto ipocrita, ma non sta a noi dare giudizi di merito in questa
sede, vale a dire una forma di erotismo di tipo ?catechistico?, che consiste
nel mostrare i danni derivanti dall?esercizio incontrollato dalle passioni per
evitare di cadervi.
E soltanto l?applicazione di
sovrastrutture moderne e superficiali può far scambiare come storico un
siffatto pre-giudizio, che dà per scontata una malizia inesistente. Non che non esistessero opere veramente
profane, direi licenziose, anche nella produzione di Agostino, ma queste sono
facilmente individuabili, entrano in una produzione destinata a privati, che
nulla ha in comune con la grande rappresentazione degli affreschi di corte.
Il fine moralistico di alcune
opere carraccesche non va inoltre inteso come di massa, come pubblico, alla
Paleotti, per intenderci. Non si tratta di educazione delle masse, ma del
Principe, ancora cioè nella tradizione dello studiolo rinascimentale, luogo
privato di contemplazione.
Ovviamente la lettura dello Psafone
dello Zoppi e dell?Etica di Aristotele del Torelli non dà elementi utili
a comprendere la Comunione di San Girolamo di Agostino, ma si inserisce
nel più ampio quadro della formazione della poetica ideal-classicista.
In questa chiave di lettura
rimarranno sempre degli episodi apparentemente spurî, ma in realtà ben
comprensibili. Gli esperimenti realistici dei Carracci, quali il mangiafagioli
di Annibale, ma anche certi studî e disegni e ritratti di Agostino, che si
rifanno ai Mangiatori di Ricotta dei Campi segneranno una strada per un
realismo diverso da quello caravaggesco, tutto meditato e quasi elegiaco. Il
ruolo di Agostino nella fase di messa a punto della poetica ideal-classicista,
può consistere dunque nella proposta di una via ?torelliana? e quindi
aristotelico-controriformata della mediazione degli affetti, cioè quella reductio ad unum, che negli anni dei
Palazzi Magnani e Sampieri ancora non si era affermata e che continua ad
esistere anche fuori della Galleria, a Parma, nel Palazzo del Giardino, e nella scuola, con Domenichino ed Albani.
REPERTORIO DELLE FONTI MANOSCRITTE
[RFM doc. 13; SCH001, COL008]
SCHEMA DEI MANOSCRITTI CONSULTATI DURANTE LA MISSIONE A
PARMA PER STUDIARE LA GALLERIA DEI CARRACCI IN PALAZZO FARNESE A ROMA (RIC.5)
ARCHIVIO DI
STATO
01 04.06.1992 (01) CFE: Roma 1592-1594, n°410.
02 idem id.: Roma 1595-1596, n°411.
03 id. id.: Roma 1597-1598, n°412.
04 05.06.1992 (02) id.: Roma 1599, n°413.
05 id. id.: Roma 1600, n°414.
06 id. id.: Roma 1601-1602, n°415.
07 06.06.1992 (03) CFI:
gen.-mar. 1594, n°184.
08 id. id.:
apr.-giu. 1594. n°185.
09 08.06.1992 (04) id.:
lug.-ago. 1594, n°186.
10 id. id.:
set.-ott. 1594, n°187.
11 id. id.:
nov.-dic. 1594, n°188.
12 09.06.1992 (05) CASA E
CORTE FARNESIANE, S.II, b.21.
13 10.06.1992 (06) id.: S.II, b.22.
14 id. id.: S.II,
b.24.
15 id. id.: S.II, b.25.
16 id. CFI:
gen.-mar. 1595, n°189.
17 id. id.:
apr.-mag. 1595, n°190.
18 11.06.1992 (07) id.:
giu.-ago. 1595, n°191.
19 id. id.:
set.-ott. 1595, n°192.
20 id. id.:
nov.-dic. 1595, n°193.
21 id. RACCOLTA MSS., n°86.
22 id. id., n°83.
23 id. id., n°128.
24 12.06.1992 (08) CFI:
mar.-apr. 1591, n°171.
25 id. id.:
gen.-mar. 1596, n°194.
26 id. id.:
apr.-giu. 1596, n°195.
27 id. id.: lug.-ago. 1596, n°196.
28 id. id.:
set.-ott. 1597, n°197.
29 id. CFE: Bologna 1578-1600, n°194.
30 13.06.1992 (09) CFI:
nov.-dic. 1596, n°198.
31 id. id.: carteggio Riva 1596-1610,
n°198.
32 id. id.:
gen.-mar. 1597, n°200.
33 15.06.1992 (10) id.:
apr.-giu. 1597, n°201.
34 16.06.1992 (11) id.:
lug.-set. 1597, n°202.
35 id. Famiglie/MASI/Lettere di
Cosimo Masi.
36 id. Famiglie/MASI/Varie.
37 id. CFI:
ott.-nov.1597, n°203.
38 id. id.:
dic. 1597, n°204.
39 id. id.:
gen.-mar. 1598, n°205.
40 id. id.:
apr.-giu. 1598, n°206.
41 id. id.: lug.-ago. 1598, n°207.
42 17.06.1992 (12) id.:
set.-ott. 1598, n°208.
43 id. Archivio TORELLI, b.18
(Epist.Pomponio).
44 id. CFI: nov.-dic. 1598, n°209.
45 id. id.: gen.-apr. 1598, n°210.
46 18.06.1992 (13) id.:
mag.-lug. 1599, n°211.
47 id. Archivio TORELLI, b.20.
48 id. id,
b.21.
49 id. CFI:
ago.-set. 1599, n°212.
50 id. id.:
ott.-nov. 1599, n°213 + Riva.
51 id. id.:
dic. 1599, n°214.
52 id. id.:
gen. 1599, n°215.
53 25.06.1992 (14) id.:
feb.-mar. 1599, n°216.
54 id. MASTRI
FARNESIANI, vol.11, anni 1591-92.
55 id. CFE: Macerata 1570-1800, n°166.
56 id. TESORERIA E COMPUTISTERIA
FARNESIANA b.9,
fasc.307.
57 26.06.1992 (15) CFI:
apr.-mag. 1600, n°217.
58 27.06.1992 (16) id.:
giu.-lug. 1600, n°218.
59 id. id.:
ago.-set. 1600, n°219.
Abbreviazioni:
CFE: Carteggio farnesiano estero.
CFI: Carteggio farnesiano interno.
Sono stato
aiutato e consigliato da
* PIER LUIGI FELICIATI
dell'Archivio di Stato: composizione e struttura archivi.
* GABRIELE NORI dell'Archivio
di Stato: Pomponio Torelli.
* ALDO SPINA laureato alla
Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano con il Prof. Dezzi Bardeschi
ed il Prof. Bruno Adorni come correlatore.
* Prof. BRUNO ADORNI della
Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano.
* Dott.ssa CATIA ZAMBRELLI
storica dell'Arte, della Biblioteca Palatina: Umanesimo a Parma nel
Rinascimento, bibliografia e fonti; i fondi mss. della Palatina; etc.
* Dott.ssa NICOLETTA AGAZZI
della Biblioteca Palatina.
* Dott.ssa LUISA SPOTTI della
Biblioteca Palatina.
BIBLIOTECA
PALATINA
01 02.06.1992 (01) MS.PARM.348 Poesie di AA.VV. e Torelli
02 id. MS.PARM.3716 Album disegni,ritratto Masi
03 03.06.1992 (02) MS.PARM.1562 BERNARDI, Fucina di Pindo
04 id. MS.PARM.306 Poesie in morte Al.Farn.duca
05 id. MS.PARM.1198 In obitu Card.Alexandri
06 15.06.1992 (03) MS.PARM.62 P.TORELLI, Gli scherzi con glosse
filosofiche
07 id. MS.PARM.637 EIUSD., Varia con indice libri del Torelli
08 20.06.1992 (04) MS.PARM.1428 ANGELETTI, Vita di P.Picedi
09 id. MS.PARM.592 Lettere diplomatiche Roma- Venezia 1591-1592.
10 23.06.1992 (06) FONDO
ORTALLI 15
11 id. id. 17
12 id. id. 18
13 id. id. 19
14 id. id. 49
15 id. id. 50
16 id. CARTEGGIO
ALESSANDRO FARNESE, cassetta 105
[RFM doc. 50, EPI055, AGU003]
GIOVANNI BATTISTA AGUCCHI, [Epistola
a Ranuccio I Farnese duca di Parma e Piacenza con la quale rinnova la propria
fedeltà],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: novembre - dicembre
1596, cassetta 198.
Ser.mo mio Sig.re et p[at]ron col.mo
Ritrovandomi qua incaminato per Roma, ne permettendomi gli ordini,
ch'io tengo di là di potermi fermare ad aspettare il ritorno di V.A. Ser.ma
bench'io mi trovassi obligato di baciarle humilm.te le mani di presenza et
significarle più apieno la divotione e gli oblighi infiniti, che Mons.re mio
fr[at]ello et io e la casa nostra teniamo con l'A.V. e'l desiderio grand.mo che
abbiamo di servirla, ho nondimeno preso ardire confidato nella sua molta
benignità, et spinto come da necessità di supplire a parte di questo debito col
mezzo della p[rese]nte con farle humilissima riverenza, et raccomandare alla
protettione di V.A. e le persone e le cose nostre, non havendo noi maggiore
interesse, che di continuare nel luogo e possesso di servitù ottenutoci
appresso la Ser.ma sua persona dal Car.le nostro Zio di buo: mem:a ser.re ()
di tanti oblighi et divotione all'A.V. quanto ella med.ma sa: Io la supplico
però ad essere servita d'aggradire questo picciol segno dell'affetto mio, che è
il med.mo con quello di mio fr[at]ello, et di restare persuasa, che non
riceveremo mai piu segnalati favori che quando ella si degnasse d'honorare de
suoi comandamenti, et riverentem.te me le inchino.
Di Parma li 14 di Dicembre 1596.
Di V.A. Ser.ma Humiliss.o et Divotiss.o Ser.re
Gio[vanni] Batt[ist]a Agocchia
Al Ser.mo mio Sig.re et p[at]rone col.mo
Il Sig. duca di Parma
[RFM doc. 6, EPI014, AGU002]
ANTONIO AGUSTIN, [ Epistola a Fulvio Orsini sull'utilità delle
statue antiche a soggetto erotico per gli studi antiquariali ], Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 4105, fol. 245 v.
[fol.245 v.:] Al Granvelano senatore ()
(come dice il Salvago, dil quale non credo che si trovi altro che il naso in
questo Pontificato) basiate la mano in nome mio: et domandateli se sa cosa
alcuna del mio Giovan Metello.
Bisogna che il vostro patron ad ogni modo agiuti M. Pirro ()
per poter mandar fuori tanto belle fatiche delle antiquità purchè lasci da
canto la sua Faustina, se qualcuna habbia, che ora mai è tempo.
Io dubito che bisogni sotterrare tutte le statue ignude, perchè non
venga fuori qualche riformatione di esse. et certo parevano male quelli termini
maschij della vigna di Cesis et di Carpi et quel hermafrodito col satyretto
nella cappella, et altre pitture in casa d'un altro senatore patrone del famoso
Mario. et la vigna di papa Giulio terzo con tante Veneri et altre lascivie che se
bene alli studiosi giovano, et alli artefici, li oltramontani si scandalizano
bestialmente, et fama malum virum acquirit eundo. Così va perdendo provincie la nostra urbs alma Regina
provinciarum Moribus antiquis res stat
Romana, virisq. disse Ennio, oraculo che dura tuttavia. Santagostino de civitate dei a 56 carte e
meza della stampa vecchia vecchia assai.
Haec hactenus. La mano al
patron, la bocca alli amici.
Vale a XII di Novembre del LXVI
di V.S. sing.ma
A.A. Ilerd. ()
[fol.246 v.:] Al molto mag.co e Rev.do signor
mio
M. Fulvio Ursino a Roma
[RFM doc.49, EPI054,ALB008]
ALBERTO ALBERGATI, [ Epistola a
Ranuccio I Farnese duca di Parma e Piacenza con la risposta positiva alla
richiesta del duca di avere il dottor Gallesi in Parma per leggere Logica e
Morale ad Odoardo Farnese ], Parma, Archivio
di Stato, Carteggio farnesiano estero: Bologna 1578-1600, n.194.
Ser.mo Sig.or p[at]ron mio Col.mo
Inteso dalla l[ette]ra di 16 il desiderio dell'Alt.a V. Ser.ma,
confirmatomi anco dalli ss.ri Camillo Paleotti, et Fabio Albergati ho preso
sigurtà di dar licenza al Dottore Galesi di venire per tutto il mese di Maggio
prossimo a leggere la logica e le Morali all'Ecc.mo s. Don Duarte
suo fr[ate]llo, con speranza di conseguirla poi anch'io da q[ue]sto senato in
occ.ne di buon'numero, non potendo credere et perciò no[n] prometto cosa certa,
che per l'osservanza di detto senato verso l'Alt.a v[ostr]a S. Don Duarte, et
della loro ser.ma Casa per li tanti oblighi che le conservano, siano mai per
mancare, send'io mass. per farme molta instanza: onde la supp.co a favorirmi
d'altri suoi commandam.ti.
Et le bacio riverentem.te le mani
Di Bol.a [: Bologna] li xxi Aprile MDXC
Di V.A. Ser.ma Humiliss. et
divotiss. ser.re
Alb.to Alb.gati [: Alberto Albergati]
[RFM doc. 48, EPI053, FAR006]
FABIO ALBERGATI, [ Epistola a
Ranuccio I Farnese duca di Parma e Piacenza di accompagnamento per il Dottor
Galesio di Bologna che viene in Parma come maestro di Odoardo Farnese ], Parma, Archivio di
Stato, Carteggio farnesiano estero: Bologna 1578-1600, cassetta 194.
Ser.mo Sig.re
Il Dottore Galesio alla ricevuta delle l[ette]re di V.A. otten[ne
sub[it]o licenza, come ben conveniva, di potere servire all'A.V., et all'Ecc.mo
Don Duarte (). Et così egli sarà l'appresentatore di
questa, et spero, ch'el suo servitio mostrarà che V.A. havrà fatta ottima
elettione della persona sua. Et con
questa occ:e poi ricordando co[n] ogni humilta all'A.V., che riceverò sempre
per gratia singolariss.a di poterla servire p[er] quanto s'estendono le mie
debili forze, et rimettendomi a quello, che sop[r]a cio potrà di più dire il
sudetto bascio riverente la mano di V.A. et prego N.S.re Dio, che conservi
co[n] piena felicità la sua sereniss.a persona.
Di Bologna alli 23 di Aprile 1590
Di V.A. ser.ma
Humiliss.o et divotiss.o
S.re
Fabio Albergati
Al Sereniss:o sig.re il S.or Principe di Parma, etc.
[RFM doc. 105,
EPI074, ALD001]
Card. CINZIO
ALDOBRANDINI PASSERI, [Epistola a
Ranuccio I Farnese duca di Parma con la risposta positiva alla di lui richiesta
di intercedere presso il Nunzio di Venezia perchè Sforza Oddi possa leggere
nello studio di Parma],
Roma, Archivio Doria Pamphili, Fondo Aldobrandini, busta 6, carta 193.
[carta
193 r.:]
Ser.mo
S.r mio oss.mo
Al
S.r Duca di Parma
Scrivo
al Dottore Sforza Oddi così efficacemente, quanto ricerca l'obbligo, ch'io
tengo, di servire in ogni cosa V.A. et riveverà qui aggiunta la lettera insieme
con un'altra egualm.te efficace, p. il Nunzio di Venetia, che è pure conforme
al mem.le che l'A.V. mi ha inviato, p. impetrare licenza al med.mo Oddi da quei
SS.ri di venire a leggere costì. Ma
conoscendo io la natura della persona, che s'appiglia volentieri a nove
rissolutioni, credo che se pure V.A. sarà sicura d'haverlo, no[n] sarà però
sicura di ritenerlo longo tempo, e vorrei ingannarmi p.servitio di V.A. alla
quale bacio con ogni affetto le mani.
Della
stradella li 19 d'ottobre 1600.
Di
V.A. ser.ma
Ho
scritto efficacem.te al sud. Sforza in nome mio particolare ma in nome di N.
S.re non havendo qua ordine di ciò supplico V.A. a scusarmi se no[n] posso
pigliarmi questa sicurtà ma egli invia [?] scrivergli busta.
[carta
193v.:] [Il foglio è cancellato con segni di penna obliqui ma rimane
perfettamente leggibile. A lato è
scritto:] questa non serve.
Al
Nuntio di Venetia.
Molto
ill.re e molto Rev.do S.re come fr.llo.
Il
S.r Duca di Parma mi fa grand.ma istanza, perchè io vogli fare uffitio con
cotesti SS.ri per impetrare libera licenza al d. Sforza Oddi di venire a
leggere nello studio di Parma, et sapendo V.S. il desiderio, et l'obligo, che
tengo di servire S.A. la prego a fare questo uffitio a nome mio così efficacem.te,
che se ne possi ottenere l'effetto, che S.A. desidera, et quando pure no[n]
volessero darli la licenza libera, si contentino almeno di concedergliela p.
due anni,, che oltre che me ne riputerò particularm.te favorito la ne havrò
loro molto obligo et V.S. procuri che S.A. resti servita et a lei mi offero et
raccomando.
Della
stradella li 19 d'ottobre 1600.
Come
fr.llo aff.mo
Mons.r
Offredi Nuntio di Venetia.
[RFM doc. 3, EPI011, ALD004]
TOMMASO ALDOBRANDINI, [ Epistola a Fulvio Orsini sulla traduzione
di un testo greco di controversa interpretazione ], Città del Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 4104, fol. 252 r.:
[...] Quanto all'ult.°
par che il senso sia assai chiaro in universale; cio è che è cosa
bella essere amato amando o vero, et questo mi piacerebbe più, è cosa
bella a essere amato in compagnia di chi ha amato, in modo che il
participio, il quale vorrei che fussi il participio del primo aoristo [fol.252
v.:] medio[SC1], si
referisse a Lucifero, al quale si parla et così l'ordine della struttura fussi
questo è però quello che m'è
venuto in mente mentre rispondo alla lettera di V.S. così quasi all'improvviso.
Nondimeno ci penserò un poco meglio et ne ragionerò con qualcuno che
ne sappia più di me, et ne avviserò V.S. alla quale con tutto il core mi
raccomando.
Di Roma alli XXVIIII di Ago.1567
Di V.S. Serv.re Tommaso Aldobrandini.
[L'epistola è indirizzata a Caprarola]
[RFM doc. 70, THO002,
ALD004]
TOMMASO ALDOBRANDINI, Francisco
Davanzato in obitu Raynutii Farnesii Card.lis S.ti Angeli,
1566. Roma, Biblioteca Casanatense, Ms. 2407.
[carta 84v.:]
Venit igitur mihi in mentem illius extremae coenae, quam ille dedit
discipulis suis; extat enim ea de re evangelium, neq[e] vestrum quisquam est,
qui illud ignoret, itaq[e] verta ipsa praetermictam, nec enim me libere laquit
sinit morbus; sed ut dicere institueram animos vestros ad earum rerum memoriam
revocabo; quas ille in ea coena discipulorum suorum memoriam revocabo; quas
ille in ea coena discipulorum suorum memoriam tradidit. Illud etiam occurrit, quod Marcellus
secundus Pontifex Maximus in quadam epistolam posuit, in qua nos in vita sumus,
in bivio esse commemoravit, ut et recte et male agere possimus. Quamobrem vos hortor ut bene christianeq.
vivatis, in eaq. re omnem cautionem, et prudentiam adhibeatis, cum enim in
nobis sive in Principum aulis, sive alio quovis modo vivendum sit , multa
ubiq[ue] [carta 85r.:] vobis imminebunt pericula, Date igitur operam actiones
vestrae ut eiusmodi sint, ut vim eo progressi eritis, quo me progressus esse
videtis, salutis vestrae firmam spem habere possitis.
Facite vobis periculum ex me, qui cum tot tantisq[ue] a Deo beneficiis
affectus dignitatibus ornatus facultatibus locupletatus abundarem et beatus
essem repente mori, atque hac omnia relinquere cogor. Illud tamen vobis, mihi credite, pro certo affirmare possum, me
nisi quod de animae salutae sollicitus sim, caetero quin mortem, quam mihi
impendere sentio. nihil factum fuisse, quamquam enim nullo me meo merito, sed
Dei misericordiam salvum me fore spero.
Tamen donec vita superest numquam a periculo tuti sumus, equidem spero
me quod salutarem hunc animae cibum in hanc diem distulerim, a vobis pusilli
animis culpam neq[ue] diffiteor et facile agnosco quamquam id ex eo natam esse
videri potest [carta 85v.:] quod mihi numquam mortis periculum aperte
denunciatum est, sed ego neminem accuso, scio enim unum quemq [...]
[RFM doc. 94, AVV026,-]
[Avviso di Roma del 5 maggio 1599], Città del Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1067.
[carta 284r.:] [...]
Ho inteso discorrere da uno affettionato della Casa Farnese, che co[n]
la tornata delle galere di Spagna si potrebbe havere qualche nuova della sposa
che havrà da essere del Duca di Parma accen[n]ando co[n] questo modo di dire
che tal volta potrebbe venire con dette galere la sposa, et tornano su in quel
che si disse già, che sia un fig.la del Re morto, ma sarebbe andata molto
secreta se questo fusse, ma potrebbe essere più presto che co[n] l'arrivo di
d.e galere il Duca potesse haverne qualche rissolut.ne sebene dall'altra banda
in casa del Card.l di [carta 284v.:] questo nome han[n]o aviso sicuro, che
l'Amb.re del Duca loro no[n] era stato anco spedito, et erano stati spediti
tutti gli altri.
[RFM doc. 97,
AVV029,-]
[Avviso di Roma del 2 agosto 1599], Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb.Lat.1067.
[carta 499v.:]
[...]
Non li scrissi
la settimana passata, del maritaggio del Duca di Parma co[n] la P°genita del
S.or Gio.Franc.o Aldob.ni perchè non pareva che il mondo lo potesse credere p.
le molte sproportioni et di età et di altro, tuttavia [carta 499r.:] essendo
per la gente la voce tanto ava[n]ti, che no[n] si può tacere senza esser
notato, però si scrive et in eff., tutta Roma lo dice, et comincia a credere sì
bene no[n] se ne può dar pace, la dote dicono di 300m. scudi, di q.ali N.S.re
ne fa donativo di 200m., et del resto provede 50m. scudi il Card. Aldob.ni et 50m. il Pad[re].
Tutta Roma come
ho detto di sopra è piena di questo maritaggio, et in eff. Il Card.le farnese
sono tre o quattro matt.e che co[n]tinuam.te è andato a palazzo, et ultim.te
l'altra matt.a vogliono andasse a fare soscrivere il chirografo et che il Duca
di Pama voglia esser in Roma ad 8.bre p. questo se bene se ne andrà p.a alla
S.ma Casa di Loreto a piedi p. il voto fatto nella sua infermità, il che fa
che facci tutt.a creder q.sto maritaggio ma dall'altra banda il mondo no[n] par
che lo possa [carta 499v.:] credere co[n] dire, che no[n] ci è parità alc.a
di tempo perchè il duca c'homai di 34 anni, et la zitella di 12 appena, et
che farnesiani dove che sono molto amati in Roma casceriano quasi in odio di
questa città, et che potrebbe più tosto pigliar la nipote del Gra[n]Duca ma il
fatto sta se il Gran Duca hora gli la vorrebbe dare, che ha le speranze più
alte co[n] il Re di Francia, et che in som[m]a Farnese no[n] è vecchio
cardinale che possa aspirare al Pontificato, et che no[n] è hora in principio
di Pontificato ma per ragione presso al fine se bene gli Aldob.ni se lo tengono
p. sicuro anco nove altri anni per almeno, et q.ste sono le ragioni che il
mondo dice dall'altra banda che farnesiani no[n] lo dovevan ar q.sto parentado
ricordando inoltre essere stato [carta 500r.:] nel Principio del Pont.to
maltrattati, et che il Sig. Gio. Franc.o è stato lor fattore dello stato di
Castro, et che mai potè impetrar titolo di Agente, ma q.ste sono parole, et i
fatti sono fatti, perchè si ha per conchiuso, et tutto hoggi ho tenuto q.sto,
ma verso il tardi no[n] ho trovato q.lla certezza che ci era già, et no[n] ne
potrebbe ne anco esser niente.
Gli Spag.li ho
bon rincontro, che no[n] ne san[n]o nie[n]te ne credo la fingano, et però mi fa
credere che non ne sia altro, tutt.a vogliono, che questo Re habbi lasciato al
Duca la briglia su le spalle et facci a suo modo.
[...] [carta
502r.:]
Si era
dimenticato di scrivere un'altra ragione, che dice il mondo, mediante la q.ale
il Duca di Parma no[n] deve far il parentado, et è che il S.r Gio. Fran.o ha da
4 altre fig.le et che le altre bisognaria darle a merca[n]ti, ma si pensa
dall'altra banda vive[n]do il vecchio, che ci sono i fig.li delli duchi di
Mantua et Modena, ma no[n] vengono forasi [sic] così facilm.te q.te cose.
[RFM doc. 99, AVV031,-]
[Avviso di Roma del 30 ottobre
1599],
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1067.
[carta 651r.:] [...]
Il Duca di Parma arrivò allo stato la sera che si scrisse, et dicono
sia venuto da Parma a Loreto a piedi in sette giorni, co[n] tre p.sone solam.te
et co[n] un sacco da campagnia, che secondo alcuni qua dicono essersi messo
a troppo rischio, [carta 651v.:] Voglione bene, che hiersera incognito et
secretam.te fusse dal Papa, il quale no[n] è maraviglia, che diede hiersera
publica audienza, et stava molto allegram.te come quel che aspettava et si dice
anco, che di già a d.o Duca siano stati pagati a conto della dote li 200m.
scudi accennati co[n] le passate.
[RFM doc. 100, AVV032,-]
[Avviso di Roma del 3 novembre
1599],
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb.Lat.1067.
[carta 661r.:]
Se bene quelli di Palazzo, et quelli anco di casa Farnese lo negano,
tutt.a è publica voce per Roma, che il Duca di Parma fusse venerdì sera pass.o
a baciar il piede al Papa, et che il giorno seguente fosse anco andato a
visitar il S.or Gio. Franc.o et le don[n]e di casa, sendosi poi partito al
ritorno a Caprarola, et di là se ne torna verso Parma, donde poi partirà cum
modis et formis al principio dell'altro mese per essere qua all'aprir della
porta dell'anno santo.
Il S.or Gio. Franc. Aldobrandino dicono se ne sia passato a Caprarola
per abboccarsi et visitarsi con D.o Duca se bene sarà andato di campagnia, ma
in questo modo potran[n]o tener più facilm.te occultata la venuta di d.o Duca
in Roma.
[RFM doc. 102,
AVV034,-]
[Avviso di Roma del 20 novembre 1599], Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1067.
[carta 715v.:]
[...]
Questi
farnesiani hanno avviso, chel Duca di Parma sarebbe qui al princ.o di Decembre,
et per comparire con magg.r decoro, condurrebbe la sua stalla de Cavalli di
molto prezzo, dovendo S.A. trovarsi p.nte alla cerimonia d.lla
porta s.ta, p.chè nell'aprirla debba p.ntare a S.S.tà il
Martello come Confalloniero di S.ta Chiesa.
[RFM doc.90, AVV022,-]
[Avviso di Roma del 16 febbraio
1600],
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb.Lat.1068.
[carta 109r.:]
Il Duca di Parma, tornato in d.a Città di Parma come si è scritto
essendo a capo di Monte luogo del Ducato di Castro fece venir cavalli dando da
intendere volere essere a Caprarola, et poi si mise in viaggio p. Parma non
menando seco che il S.r Mario Farnese, et due altri de suoi gentilhomini in
posta, havendo lasciato qua il resto della famiglia, sicome è restato il
Card.le suo fr.ello a Caprarola.
[RFM doc.92, AVV024,-]
[Avviso di Roma del 15 aprile
1600],
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb.Lat.1068.
[carta 227r.:]
Non diede altrim.te mercordi matt.a il Card.l Farnese da desinare al
V.Re, perchè S.E. pregò che si tardasse fin alla matt.a appresso et così fu
fatto, il che è stato causa poi, che il S.r Martio no[n] habbia fatto il suo
banchetto, nè lo farà altrim.te p.chè N.S.re si intende habbia prohibito il
pasteggiar più.
Il trattenimento poi, che si diede dopo il desinare in Casa del
sud.o Ill.mo no[n] fu di altro, che andar a vedere le
tante curiose et antiche cose del S.or Fulvio Orsino, che in
vero fu un trattenimento molto più bello, et più virtuoso delle caccie, et di
altre cose simili.
[RFM doc. 93, AVV025,-]
[Avviso di Roma del 26 aprile
1600],
in: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1068.
[carta 253r.:]
Hiermatt.a solennità di S.Marco si fece la solita g.le processione, et
no[n] si fece altrim.te come si credeva lo sponsalitio del Duca di Parma,
che hora dicono sia prorogato a Dom.a pross.a.
Intanto S.A. hoggi se n'è passato a Grotaferrata a diporto p. questi
pochi giorni.
Lunedì S.A. co[n] il Card. Farnese suo fr.llo furono a desinar da P.ri
Iesuiti, li quali si intende habb.o all'ordine una belliss.a tragedia sp.uale
alle mani p. recitarla a d.a A. talvolta Dom.ca havendola l'altro hieri
recitata anco [carta 253v.:] fra di loro per prova.
Il sud.o Ser.mo in luogo delle sue nozze hieri andò in un festino che
fece far p.le sue nozze un nipote del P.re Mazzarino, che ha preso moglie qua,
essendovi oltre il d.o Ser.mo stati a d.o festino anco il duca di Sessa et
quasi tutti questi Primarij sig.ri della Corte.
[RFM doc.76,
AVV008,-]
[Avviso di Roma del 6 maggio 1600], Città del Vaticano, Biblioteca
Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1068.
[fol.294v.:]
Il sponsalitio
del Ser.mo di Parma è differito dimani, havendo S.A. p[rese]ntato questa
sett:na alla sua sposa un collaro di gioie, e particolar.te di diamanti, e
rubbini, stimato 200m. s.di preparandosi dall'Ill.mo Aldobrandino un
solenniss.o banchetto, et dalli padri Giesuiti una tragedia intitolata il
martirio di San Clemente Papa, nella q.le li recitanti saranno da 300 et
l'intermedij, et apparati di spesa d più di 3m s.di q.al nozze finite S.A. si
transferirà alli 20 del corrente a Parma.
[RFM doc. 72, AVV004,-]
[Avviso di Roma di mercoledì 10
maggio 1600],
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1068, cc.281r. -
290r.
[carta 281r.:]
Dom.ca matt.a N.S.re dopo aver detto messa nella Capella di Sisto fece
lo sponsalitio del duca di Parma, et della fig.la del S.or
Gio.Franc.o Aldobrandini sendoci stati presenti alla cerimonia
oltre 30 Car.li fra quali tutte le sue Creat.re di questo Papa quelle di
Gregorio xiiij et il Card. Montalto ed alcuni de suoi; finita detta cerimonia
restarono a desinar co. S. B.ne la sposa et questa hebbe il primo luogo a
tavola dopo il Papa, la madre della sposa era la 2.da sedeva nel terzo luogo la
Nonna madre del card.le Aldob.no et dopo soccedevano Il Card. Farnese et il
Duca lo sposo; et finito il desinare la sposa se ne tornò a casa del P.re et
p.che si era confessati et co[m]municati quella matt.a S.S.tà non volse
consumasse il matrim l'istessa sera [fol.281v.:] ma la seguente come han fatto.
Intendendosi che il Duca si sia portato da buon Cav.re come egli è et
che giudicando doversi partir presto non habbia voluto perder tempo di correre
delle poste, le quali se bene non fisando certo, tutt.a dicono di quattro, è
ben vero, che S.A. la sera non volse cenare, et solo seco fece un poco di
colat.ne et fu serbato tutto l'apparecchio p. la mattina seguente.
Hoggi d.o Ser.mo è andato co[n] due carozze alle quattro Chiese, et
dimatt. a si dice tutt.a che partirà verso Parma et per andar a ricever la
sposa, che le sarà condotta, come si è scritto altre volte.
[...]
[RFM doc.73, AVV005,-]
[Avviso di Roma di sabato 13
maggio 1600],
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1068.
[carta 288v.:]
Il Ser.mo di Parma ()
non è partito, et si intende habbia prorogato l'andare p.lunedi
matt.a. Il che non deve dispiacer
punto alla sposa. [...]
[ non vi sono altre notizie riguardo agli sposi ].
[RFM doc.74, AVV006,-]
[Avviso di Roma del 17 maggio
1600],
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1068.
[carta 295v.:]
Il duca di Parma havendo cominciato ad inviar la sua famiglia
lunedi matt.a egli similmente si mosse in poste [?] la matt.a segue[n]te alle 7
hore et hora si va qua mettendo all'ordine p. condurre la sposa che si disse
hora, che ce la condurrà anco il s.or Gio.Franc.o.
Il sud.o Duca la prima sera che entrò in Camera a dormir
co[n] la sposa portava un cappotto belliss.o di valuta di oltre 2m. scudi co[n]
tutto il vestito, che dicono l'hebbe il Cav.r Clemente al quale poi S.A. fece
donar mille doppie [carta 296r.:] per rihaverlo, sono mancie solite di farsi in
simili attioni, et li vestiti della sposa, che dicono valevano da 3m. scudi
dicono gli habbia havuti la sorella 2.do genita, et N.S.re donò due Cavalierati
al S.r Gian[n]ozzo Capparelli Agente et favorit.mo del s.or Gio. Franc.o che fu
il p.o a dar la nuova a S.S.tà sicome gli sposi havevano confermato il
matrimonio, et infine in simili allegrezze ci è da star bene per molti.
N.S.re Dom.a sene andò alle quattro chiese a far il suo solito
esservitio, ma dapoi che si è partito il duca di Parma in Palazzo si batte la
ritirata, il che è signo, che si sta bene, ma è male di podagra, tutt.a secondo
alcuni, si scorge che S.B.ne amava molto di core [carta 296 v.:] il Duca,
poichè n[on] p.a ()
partita S.A. che S.B.ne si è am[m]alata.
Che il male poi sia di nessun mome[n]to si scorge da questo, che il
Card.l Aldob.no si va tutt.a mettendo, et facendo mettere all'ordine quelli che
hanno da andar seco in Francia. [...]
[RFM doc. 77, AVV009,-]
[Avviso di Roma del 21 maggio
1600],
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb.Lat.1068.
[carta 324r.:]
Scrivono di Bologna che si facevano molti apparecchi p. ricever la
sposa dil D.a di Parma che vi si trattenerà 3 o 4 giorni con
pensiero in quei SS.ri di farli feste et giostre solenniss.e
[RFM doc. 75,
AVV007,-]
[Avviso di Roma del 23 maggio 1600], Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat.1068.
[carta 309r.:]
[...]
Dom.a matt.a
per mano di S.B.ne fu fatto il sponsalitio del D.a di Parma con
l'Aldobrand.a in la Cap.a de Sisto alla presenza di tutte le
creature di N.S. quelle di Gregorio xiiij et delli Card.li Sforza Montalto et
S.ti 4 sendo le loro Alt.e vestite superbissimam.te di tela d'argento, et in
partc.re il D.a haveva nella sua beretta un centurino con diamanti et altre
gioie di grandiss.o valore et la sposa quel belliss.o gioiello donatoli
ultimam.te dal suo Consorte et dopo haver S.B.e fatta la cerimonia dell'anello
celebrata messa communicati li sposi et fattoli il sermone matrimoniale si
compiacque incontenerli a pranzo nella Galeria sedendo in una tavola lontana
doi palmi da quella di S.B.e p.ma il Card. Farnese poi la sposa dopo il
sposo appresso la S.ra Olimpia madre
della sposa et in ult.o la S.ra Flaminia madre del Card. Aldobrandino havendo
l'Ecc.mo S.r Gio. Franc.o con altri parenti pranzato con d.to Aldobrand.o non
tacendo che S.S.tà con molta amorevolezza spesso mandava a p.ntare qualche
gentilezza della sua mensa non solo alle sud.e Alt.e et altri ch'erano seco ma
anco alli poveri che parimente in quella matt.a mangiorno con S.B.ne [carta
309v.:] con la quale li sposi si
trattennero dopo un gran pezzo et la notte seguente dormirno insieme et
consumorno il matrimonio in Casa dell'Ecc.mo Aldobrand.o et nella pross.a
settimana credesi che il Duca partirà p. Parma dove anco appresso sia per
andarvi la sposa che saria condotta et accompagnata dalle persone scritte la
cui publica et solenne entrata in quella città è stata stabelita per il giorno
di S. Gio. Batt.a.
[RFM doc. 79, AVV011,-]
[Avviso di Roma del 27 maggio
1600], Città del Vaticano, Biblioteca
Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1068.
[carta 338 r.:] [...]
Lunedì il Card. Farnese passò a Caprarola
dove dopo che haverà recevuto la Ser.ma sposa sua Cognata monterà su le poste
per Parma per intervenire alle nozze che si devono fare in quella città
dovendoci S.A. inviare p. q.lla volta alli 2 dil seguente.
[RFM doc.71,AVV003,-]
[Avviso di Roma del 3 giugno
1600],
Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1068, foll.352 r. ? 352 v.
[fol.345 (segnato a penna in alto a destra e cancellato), fol.350
(segnato a penna accanto al precedente), fol.352 (numerazione moderna,
stampigliata con un timbro). Utilizzo
la numerazione moderna].
[fol.352r.:]
Di Roma li 3 giugno 1600.
Sabb.o la vigilia della santiss.a Trinita fu tenuto vespero un
intervento del Papa et dopo finito il nuovo .nale de zoccolanti andò con molti
Padri processionalm.te a baciar i piedi di S. S.tà la qual Dom.a dopo Cap.a
diede la S.S.ta benedi.e alla solita loggia all'infinito popolo concorsovi et
quella matt.a li ministri farnesiani diedero don.e dil loro Card.le
sontuoso banchetto alla vigna de Mad.a alli Card.li Aldobrand.i
et Deti dove intervenne la ser.a sposa di Parma con l'Ecc.mo suo Padre et Madre.
[carta 353r.:]
Questa matt.a è partita per Parma la sposa di quel Ser.o con la
committiva scritta di esser ricevuta a Caprarola dal Card.l Farnese.
[RFM doc. 80, AVV012,-]
[Avviso di Roma del 7 giugno
1600],
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1068.
[carta 340 r.:]
La Ser.ma Duchessa di Parma partì sabb.o matt.a come fu scritto,
et fra gli altri che accompagnarono S.A. che la sera arrivò a Caprarola vi fu
Il S.or Gio. Franc.o Aldobrandino il quale, si crede con tutto ciò, che non
passerà Ancona facendo la strada di Loreto, perchè si trova la S.ra sua
Consorte graveda, et così sperano et han detto di volere essere in Roma di
ritorno fra x giorni.
[RFM DOC.78, AVV010]
[Avviso di Roma dell'11 giugno
1600],
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1068.
[carta 331r.:]
La Duchessa di Parma è partita q.sta matt.a et con
S.A. vi sono andati alcuni di quelli Prelati che dovevano andar in Francia col
Car.le Aldob.ni [carta 331v.:] et fra questi li Vesc.vi di Caserta, et di
Avellino.
[RFM doc. 83,
AVV015,-]
[Avviso di Roma del 17 giugno 1600], Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1068.
[carta 382r.:]
[...]
Si ha aviso
che la Ser.ma Duchessa di Parma segua il suo viaggio allegram.te alla volta di
Loreto, dove si fa conto ch'arrivasse martedì sera, et possa esser a Pesaro
ricevuta dal Ser.mo d'Urbino con reggia splendidezza et che l'Ill.mo Farnese
passato avanti a Parma, doveva arrivar a Modena dove da quel Ser.mo se gli
apparecchiano molti honori.
[RFM doc. 81, AVV013,-]
[Avviso di Roma del 21 giugno
1600], Città del Vaticano, Biblioteca
Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1068.
[carta 372r.:]
Il med.o giorno ()
passò di questa vita il Ms.ore Fulvio Orsino Antiquario notiss.o et
nobiliss.o sebene non era meno antico anco nell'età che nella scienza, dicono
haver fatto testamento, et che habbia lasciato tutto il suo studio delle cose
antiche, sì di medaglie, come di altre cose belliss.e et le più singolari et
più nobili che siano in tutto il mondo al Card. Farnese dove stava a servitio;
et vogliono vagliano meglio di xx.m scudi et nel resto delle sue facultà ha
lasciati heredi li fig.li del [carta 372v.:] sig.r Flaminio Delfini, che devono
essere suoi parenti, haveva questo personaggio un Canonicato di S. Giovanni
Laterano, di che sentita la vacanza il S.r Silvestro Aldob.no sene andò dal
Papa, et l'impetrò p. il suo maestro, et così sarà passato q.to benef.o da
un letterato ad un altro, se ben non sarà il soccessore di tanta eccellenza
et N.S.re dicono vedendo la prontezza del figliolo in raccomandar il suo m.o,
che gli lo concedesse subito.
[RFM doc. 82, AVV014,-]
[Avviso di Roma del 24 giugno
1600],
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb.Lat.1068.
[carta 377:]
Il duca di Parma dicono tratti qua di erigere un monte di 200m
scudi, che renderanno 5 per cento non vacabili, et che per pagar li frutti
ogni due mesi gli ha assegnati xm. scudi l'anno delle Intrate dello stato et
Ducato di Castro facendoglisi carta per la sorte principale Il Card. Farnese Il
Cecchi, et M.or Gio. Franc.o attesta che [?] q.sto monte sarà sicuro et per la
sorte p.nte, et p. li frutti, et dicono, che quando Ser.mo haverà questi 200m.
scudi sarà fuori in tutto e per tutto de debiti, et che non havrà da pensar
sendo all'assegnamento scritto di sopra.
[RFM doc.84, AVV016,-]
[Avviso di Roma del 1 luglio
1600], Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1068.
[carta 390v.:]
Si hebb.o anco l.re di
Bologna di 24 ed aviso che di là era passata la Duchessa di Mantova che se ne
iva a Firenze a visitar la Regina di Francia sua sorella et con pensiero di
stare in tutta questa estate, et che anco vi era passato Mons. Stella,
che se ne torna a Roma dalla sua Nuntiatura di Sassuolo et che fra 3 giorni
aspettavano la Duchessa di Parma la quale di là si intendeva fosse per passare
a Torchiara luogo del Car.le Sforza p. istarvi c[on] il Duca suo
Consorte tutta questa estate haendo rissoluto a 7.bre far l'intrata solenne in
Parma.
[RFM doc. 85, AVV017,-]
[Avviso di Roma dell'8 luglio
1600],
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1068.
[carta 407v.:] [...]
Il S.or Gio. Franc.o Aldob.ni questa matt.a è tornato in Roma, et
la Duchessa di Parma s'intende sia passata p. Modena dove ha ricevuto da
quel Duca accoglienze straordinarie.
[RFM doc. 87, AVV019,-]
[Avviso di Roma dell'8 luglio
1600],
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1068.
[carta 431v.:] [...]
L'istesso giorno ()
p. l.re di Bologna delli 28 pass.o s'hebbe aviso ch'alli 26 la sposa del d.a di
Parma fece la sua entrata per quella Città su le 23 hore con grand.ma pompa in
una letica scop.ta et incontrata p.a in nome della Città dalli Senatori
Paleotto, et Manili che passorno poi alla Meldola a trovar l'Ecc.mo suo Padre
et invitarlo alle feste di quella Città p. le nozze della ser.ma sua
figl.a ma S.E. si scusò con dire che
voleva quanto p.a esser di ritorno a Roma dove s'aspetta hoggidì sendo poi d.a
sposa stata incontrata [carta 432r.:] da quell'Arciv.o et Ill.mo legato, et da
tutta quella Nobiltà con gran n.ro de SS.ri et SS.re venute da Parma, et
Piacenza alloggiate sempre a Palazzo a spese del Senato con gran splendidezza
che la sera delli 27 li fu fatto un belliss.o torneo a piedi, et a Cavallo
durato sino le 5 hore di notte con grand'honore delli Cav.ri Bolognesi. Che alli 28 s'era fatta una Comedia con
nobiliss.o apparato et alli 29 partì S.A. p.la volta di Modena verso Parma
dove pensava di far la sua entrata il giorno di S.ta Margherita.
[RFM doc. 132, NEL004, BAL006]
Bernardino BALDI, Rime varie, Napoli, Biblioteca
Nazionale, Manoscritto XII.D.38.
[fol. 6v.:]
Nele nozze del duca Ranuccio Farnese e Margherita Aldobra[n]dina.
Alto scotea la sfavilla[n]te face
L'amico di Dio che dele nozze ha cura
e giù p[er] l'aria oltra l'usato pura
Seco sce[n]deano Amor, letitia, e Pace
Cantavan le Muse, Echo loquace
Rispondea d'ogni valle, e di Natura
Rideano i pregi ogn'aspra guerra e dura
Sopia benchè sanguigno il nume Trace
Lieto al plauso commu[n] Febo mone[n]do
L'aurato plettro in questa guisa disse
Al gran RANUCCIO volto a MARGHERITA
Coppia real di novo [?] eterna unita
Godi pur che il ciel sue leggi ha fisse
Divi di te no[n] prole humana attendo.
[fol. 7r.:]
Per le medesime nozze
Stella d'Amor, che luminosa, e lieta
Raddoppij i raggi e l'occide[n]te indori
Tal che portar puo invidia a'tuoi sple[n]dori
quel ch'illustra le notti almo pianeta.
Perchè sì dolce ridi, e perchè meta
Pon l'indomito Marte a'suoi furori ?
Veggio oh veggio quel dio che casti ardori
sparge p[er] l'aria che tempeste aqueta
il sangue ALDOBRANDINO ecco il FARNESE
Giunge onde attende il mondo heroi più chiari
Di que'ch'eterna in fra suoi lumi il ciel.
Già par che maggior trombe a lor prepari
La Fama e faccia udir le gra[n]di imprese
Là v'ardon l'onde ove dive[n]gon gielo.
[RFM doc. 131, EPI090, BAL006]
Bernardino BALDI, Epigrammi
volgari,
Napoli, Biblioteca Nazionale, Manoscritto XIII.D.31.
[fol. 38r.:]
Epigrammi gravi, libro secondo.
[...]
In morte del C[onte] Pomp[oni]o Torello
Morì Torello e non sen gir sotterra
Seco Muse, et Amor di Tebro, e d'Arno ?
Vivon ne le lui opre a cui fa guerra,
co[n] la tacita falce il tempo indarno.
[fol. 46r.:]
Al S. D. Ottavio Farnese
Con gran ragione ammira il secol nostro,
in giovanetto sen valor vetusto,
et ha p[er] nuovo inusitato mostro,
veder virtute imme[n]sa in petto angusto.
Del canuto Chiron precetti udiva,
Di Peleo, il forte figlio, e de la Diva,
Ma s'il vecchio Chiron tornasse a noi
Apprenderebbe Ottavio hoggi da voi.
[fol. 52r.:]
De' Passeri delle Canarie 85.
Passerelli europei de nostri nidi,
Cercate in van presso la nostra cuna.
Gli havemmo noi là fra beati lidi,
Del'isole famose di fortuna.
Poi lasciammo cattivi il clima nostro,
Per addolcir col canto il mondo vostro.
[fol. 54r.:]
Epitafio del D. Aless[andr]o Farnese 96
Gl'illustri marmi già nel Cario scudo
il nome noto altrui fer di Mausolo.
Ma perchè la mia fama alta rimbomba
Honora angusta, e n[on] superba tomba.
[fol. 64r.:]
Al S.r Ant. Querenghi 151
Al S. Ottavio Rinuccini 112
Diemmi far meraviglie il ciel benigno
Ottavio, hor come ciò farle chiedete ?
Non è ver che la penna onde scrivete,
Ove d'oca era pria fassi di cigno ?
[fol.73v.:]
Per a morte del Conte Pomponio Torello 202
Hebbi a stillar in pianto il dì che l'empia
Pomponio estinse al biondo Apollo huom caro.
Poi mi racconsolai che nome chiaro,
E spirto amico al ciel Morte no[n] scempia
Del' affetto huom mancipio il pianto la seco,
E pur nel pianto suo l'affetto è cieco.
[fol. 90r.:]
Al Sig. C. Fortuniano Sanvitali 301
Fortunian, voi fra gl'ingegni honoro,
Onde la Parma al Po sen va superba.
Fra chiari ingegni a voi l'amato alloro,
verde corona il Re del canto serba.
E co[n] ragion, perchè co[n] dolci carmi,
Del invitto Alessa[n]dro ornate l'armi.
[Epigrammi ridicoli, libro quarto, fol. 155:]
Del vestire di Moschino 201
Il gabban di Moschin già fu del avo,
Le calze di rosato a martingalla,
E la giubba ch'allaccia in su la spalla,
Vestir di prima barba il suo bisavo.
Parmi udir che restando egli a la sede
Commette l'ira del suo futuro herede.
Io libererei Moschin se fosse amico,
Non del vestir, ma del costume antico.
[Epigrammi vari, libro quinto, fol. 172r.:]
A Torquato Tasso
[RFM doc. 19, FUC001,
BER014]
GIROLAMO BERNARDI, Fucina di Pindo per li colossi de' Serenissimi
Alessandro e Ranuccio Farnese,
Parma, Biblioteca Palatina, Ms. Parm. 1562.
De l'alto Pindo a le radici siede
Caverna nobilissima, e divina,
Che d'Omero, e Maron, sel vero ha fede,
Era già splendidissima FUCINA,
Mentre in carmi da lor si componea
Il Colosso d'Achille, e quel d'Enea
[...]
E ch'egli ()
esser dovesse il più bel Giglio
De gran Gigli FARNESI, al'or mostrollo
Ch'Aquila ria tentò col fiero artiglio
Svellere de'suoi Gigli ogni rampollo,
Et empia uno n'havea già lacerato
Quando a soccorrer quei l'elesse il fato
Ne la dolce stagion più verde, e bella,
Quando i Gigli succedono a le Rose,
Longe posava d'ogni fida ancella
Assiso al rezzo delle fronde ombrose;
Ed ecco vede da feroci artigli
Laceri e scossi da gran rostro i gigli:
Lucidamente fosca due grand'ali
Dispiegava, anzi due pennute vele,
Reina de volatili animali
L'Aquila superbissima, e crudele,
Arcato havea de grandi artigli il tronco,
E'l rostro rapacissimo d'adonco;
Vibrava fuori dal gran rostro aperto,
Acuta, e sottilissima linguetta
Che'l fretoloso vibramento incerto
Simil rendeva a triplice saetta;
E parve, si girò veloce il rostro,
Di due teste, e sei lingue esser gran Mostro
Se stata fosse di sì fiero unghione,
Di rostro tale, e di sì orrendo aspetto
Quella, che rapì il tenero garzone,
Ch'a Giove poi fu bel Coppiero eletto;
Potea col guardo sol tutto atterrirlo
E spegner forse ancor pria che rapirlo:
Se l'Aquile si degne pellegrine,
Ch'arrivar sul bicipite Parnaso
Dopo l'haver del Mondo ogni confine
Misurato dal'orto, e dal'occaso;
Fosser state d'ardir sì furibondo
Distrutto havrian, non misurato il Mondo.
Tale è sol quella, che Ministra a Giove
I più potenti fulmini tremendi
Ella sol tanto orridamente move
Rostro sì fiero, e cotai griffi orrendi,
Ella ch'orrida è tanto, e sì funesta
Sola dir si potria simile a questa:
Ma l'ardito bambin da terra sorto
L'Aquila disturbò dal fiero intento,
E i Gigli ritornò al suo bell'orto
Nel primiero terren lieto, e contento,
Ch'or più che mai per lui su'l grande stelo
Ornano il Mondo, e fanno invidia al Cielo [...]
[RFM doc. 158, DIS004, -]
AND.A CAP.A [Andrea CAPRANICA ?], Discorso del S.r And.a Cap.a
sopra l'emblema di una tigre domata da Bacco, Roma, Archivio Colonna
nel Palazzo dei Santi Apostoli Miscellanea storica, II.A.18.II, fasc. 76.
Dell'emblema nel basso rilievo venuto in mano di V.E. si
raccoglie quello, che io ho detto più volte, che grande errore fanno et li
scultori et li pittori di hoggi giorno, et quelli Prencipi che si diletteno con
diverse vaghezze adornare li lochi delli lor' diporti, che queste cose, et li
dipinghono et li compongono piu casual[men]te a ostentazione del artificio, che
a significato alcuno. Là dove se l'havessero accomodate misteriosamente,
secondo facevano l'antichi, a significare qualche secreto della nat[ur]a, o
qualche precetto di moralità; havriano alle lor'opre data l'anima; che in vero
altro no[n] è una artificiosa scultura, o pittura senza misterio, che un
bellissimo corpo, ma morto.
Questa usanza dunq[ue] delli antichi, per la pocha
esquisitezza, che oggi si trova nelle arti, posta in odio et scordata, si vede
gratiosamente eseguita nel emblema di V. Ecc.za: perchè nella tigre scolpita
non dimeno talhora con pava [:?] fortuna viene a restarne al di sopra, e quelli
tali che sono offesi, guidati dall'amore delli proprii interessi, lor' mal
grado sono forzati a deporre l'ira, la forza, con la potenza; et anche contra
ogni decoro della propria grandezza cerchare di quietare et placare colui, che
dubitino che non gli cagioni danni magiori.
Questo a punto in questa tavola si vede espresso, che l'homo
occupato da soverchio piacere si significa per Baccho, è accompagnato dal
satiro, che denota la compiacenza, quale essendo cosa conveniente anche alle
bestie, però il satiro si scolpisce et homo et bestia: bene si vede là et
artificiosamente scolpita la bravura e la franchezza del satiro che tale a
punto è il n[ost]ro sfrenato desio: nè con minore eleganza si vede certa
tumulenza nel gonfio Bacchetto, con certi atti scempi et preziosi, che tale è
il stato nel quale si lassa co[n]durre l'homo quando si lassa opprimere dal
Piacere. Si scorge anche la sciochezza del uno e dell' altro, che non ti
guardeno dalla ferocia et forza del troppo offeso animale, che co[n] piccolo
bastone lo vogliono atterrire; nè si accorghono che con un minimo impeto li
puote sbranare: Vedesi la tigre all'incontra che deposta la natia ferocità,
humile quasi cagnolo, pare che l'attendi, et li aduli: solo per il timore del
caro pegno del figlio, che il grasso baccho ha in mano: sì che spinta et
forzata dal amore di esso, dolorosamente gli conviene deporre la rabbia et la forza:
onde ben si vede sopra la tigre amore addolorato et afflitto, che miseramente
va detestando l'insopportabile insulto.
Emblema
in vero bello; deve al paragone si sono poste le due principali potenze del
anima, l'irascibile, et la concupiscibile: quella discritta in una bestia,
questa posta nell'homini: quella da un giusto amore, che la nat[ur]a ha posto
in tutti li animali moderata nelle bestie, questa da un sfrenato desiderio che
li homini tramuta in bestie pazzamente esercitata nell'homini.
E tanto più è stato l'emblema ben composto, quanto che
viene a concludere, che quando l'homo no[n] sta desto et vigilante nella
vigilia della ragione, no[n] solo viene ad assimigliarsi alle bestie, ma anche
dalli più fieri, selvaggi, et feroci animali, di accortezza et sagacità vien
superato.
Questo emblema dunq[ue] si pole applicare a diversi successi che
occorrono tutto giorno nelle cose humane, et quel tale che lo fece scolpire
facil[men]te a qualche suo particolare pensiero s'andava adattando; volendo
tal'hora dare ad intendere ragionevol causa di qualche sua raffrenata vendetta.
Hoggi mi pare che attamente si potesse applicare la tigre alli
Sig.ri spagnoli, quali e nella p[rese]nte occasione non hanno mostrata la
lor natia bravura con la lor forza et potenza, non è scolpita in esso, altro
non li significa, che una potenza che si trova brava et valorosa, nè è solita a
sopportar' offesa: quale non di meno viene domata da baccho, et dal satiro suo
fido seguace et ministro in dui modi: o con la dolcezza del piacere, che doma
qual si voglia fiero et tenero instinto, o anche con la pazzia che questo
proprio si disegna nel emblema proposto.
Già fu simbolo molto volgare delli antichi la tigre domata da baccho
ma posta sotto il freno: che volevano significare, che con la dolcezza del
piacere simbolata p[er] Baccho qualsivoglia fierezza si sottoponeva, et
superava. Ma in questo emblema escendo dal simbolo comune, com magior
esquisitezza si viene a significare, che il soverchio piacere; no[n] solo co[n]
la dolcezza ma p[er]che imbriacha, et leva l'uso della ragione a coloro che
possiede, viene ben spesso con la pazzia a domare, et la ferocia de crudeli, et
la forza de gagliardi, et la sup[er]bia di potenti. in quella maniera a punto
che il Proverbio dice che al fortuna ha cura di pazzi.
E' talmente insita all'homo questa proprietà di lassarsi sorprendere
et occupare p[er] dir così dal soverchio piacere; che offuscando con esso il
lume della ragione, subito si lassa governare affatto dalla co[n]cupiscenza
sfrenata et sendo [?] quella viene molte volte ad oltragiare coloro, dalli
quali pole facil.te essere oppresso: stato p[er] altro, se no[n] p. che così li
ha guidati l'amor del proprio interesse; che consistendo (come carissimo et
geloso pegno) nella quiete di Italia, questa in mano di altri; a quelli tali
haverà forse dato orgoglio di esercitar la bravura a credenza; ma a essi ha
data occasione, che rimettendo et la bravura et la forza, et placando et
portando la pace, essercitino la lor' propria accortezza et prudenza; nella
quale in vero consiste la fermezza di ogni grande et ben ... imperio.
All'Ill.mo et Ecc.mo Sig.re
Et P.ron col.mo il sig.r
D. Philippo Colo[n]na
Gran' Contestabile
[scrittura coeva di mano dell'archivista:]
Dicorso del S.r And.a Cap.a sopra l'emblema di una tigre domata da
bacco.
S.r D. Filippo Seniore
n. 133 [:cancellato]
125
Tit.o Famiglie Marsilie [:?]
Curiose
Scritt. 2
Partim. 7
era fra le cose curiose n. 22
[RFM doc. 25, EPI030, COL010]
FRANCESCO COLONNA Jr., [Epistola
al Cardinale Odoardo Farnese circa una testa antica di Antonino Pio],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano estero: Roma 1599, cassetta 413.
Ill.mo et oss.mo sig.re mio Col.mo
Mentre fu qui il S.or Cardinale sforza per favorire le nozze mie,
dimostro di compiacersi molto di una testa anticha di marmo di molta stima
ch'io havevo di Antonino Pio, la quale offerta da me in dono a S.S. Ill.ma
l'accettò, e gli la feci condur'in Roma, dove havendola tenuta molto cara per
spatio di cinquant'anni, hoggi contra ogni mia oppinione, ne so che a buon fine
me l'ha rimandata fin qui; e parendomi questo fatto degno di consideratione ho
voluto darne conto a V.S. Ill.ma come mio singolariss.o sig.re per ogni buon
rispetto, acciò sappia quanto mi occorre intorno a questo particolare;
supplicandola insieme a conservarmi nella solita sua buona gratia, et a
favorirmi spesso delli suoi commandamenti che per fine faccio a V.S. Ill.ma
humiliss.a riverenza, pregandole prosperità continua.
di Palestrina alle 8 di luglio 1599
Di V.S. Ill.ma e R.ma
A.mo et obblig.mo S.re Fr.co Colonna
Ill.mo S.r Card. Farnese. Caprarola
[nel sunto della cancelleria si legge, tra l'altro:]
Da conto che il S.r Card.le Sforza gl'ha rimandato la testa d'Antonino
Pio, senza saper la causa.
[RFM doc. 32, EPI037, DEL015]
GENTILE DELFINI, [Epistola
al Conte Cosimo Masi con la quale chiede se gli è stato consegnato il suo dono
di alcune pitture e disegni],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: luglio - agosto 1594;
cassetta 186.
Molto Ill.re S.r mio oss.mo
Molto tempo è, ch'io desidero intendere per certo se a lei furono mai
consegnate in dono per mia parte tutte le pitture, et dissegni (eccetto un
quadretto d'una Zingara) lasciati costì nella morte di mio Zio m. Tiberio
Delfini, non per che punto mi sia pentito d'avergliene fatto presente,
intendendo per l[ette]re del S.or Alberto Strazzi V.S. le desiderava, anzi
ratificandolo, vengo a pregare per ciò V.S. mi faccia gracia darmene aviso
particolare, che di ciò le ne restero con obligo grande, et non essendo questa
mia per altro, che per basciarli le mani, le prego da N.S.re ogni felicità.
Di Parma il di 16 di luglio 1594.
Di V.S. M Ill.re Ser.re Alessandro Delfini
Al molt.Ill.re S.r mio oss.mo Il S.r Co: Cosimo Masi
[Bruxelles]
[il sigillo presenta un'aquila coronata che sovrasta una coppia di
delfini dalle code incrociate]
[RFM doc.29, EPI034,FAR008]
Cardinale ALESSANDRO FARNESE, [Epistola a Fulvio Orsini sui numeri antichi ed un lavoro di cristallo
intagliato], Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano estero: Caprarola
1571-1700, cassetta 117.
[Minuta di epistola]
R. M. Fulvio
Vi mandiamo l'incluso foglio de numeri antichi, p[er]che lo
consideriate, et ci avisiate poi se vi parrà cosa da poterne cavar [niente
(:cancellato)] construtto [?] che ci sarà caro haverne il parer vostro.
Parlerete col Guidacci, et vedrete di accordar quel maestro intagliatore
per conto di certo lavoro di cristallo intagliato e per le cose del
dorare perciò che habbiamo veduto opere di molto miglior mano esser state
pagate meno di quello che egli domanda per questa.
Vi mandiamo anche una lettera del nipote del S.r Card. di Augusta
bo.me. perchè gli teniate la risp.ta.
28 luglio 1573
[RFM doc. 28, EPI033, FAR008]
Cardinale ALESSANDRO FARNESE, [Epistola a Fulvio Orsini sulla medaglia agrigentina],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano estero, Caprarola 1571-1700,
cassetta 117.
R. N.ro Car.mo
Con la v[ost]ra de xiij havemo ricevuto la medaglia Agrigentina,
et visto l'opera fatta da voi col Turbolo.
Intorno a che, non havemo altro che dirvi, se non che come ci piace, che
si veda se tra quelle ch'egli ha, vi fosse qualche cosa rara, così desideriamo
di sapere, in che modo havemo da tener questa Agrigentina, cio è se con
pagamento, et quale. Per tanto non
mancate di darcene aviso, et conservatevi sano.
Di Cap.la [:Caprarola] alli xvi di luglio 1576.
Desideriamo che ci teniate avisato di quel negotio, il quale
vorrem[m]o che terminasse una volta.
V[ost]ro il Car.Farnese
Al R. M. Fulvio Orsino
N.ro Amat.mo Roma
[RFM doc. 51, EPI056, FAR004]
ENRICO FARNESE, [Epistola
a Ranuccio I Farnese duca di Parma e Piacenza con la quale comunica la propria
decisone di abbandonare l'impresa di scrivere la biografia del duca Alessandro
Farnese], Parma, Archivio di Stato, Carteggio
farnesiano interno: gennaio -marzo 1596, cassetta 205.
Ser.mo et invittissimo s. Duca Padrono mio sempre oss.mo
Con l'occasione del S.r stirpio, è parso mio debito darmi di novo a
S.A. per humiliss.o et devotiss.o suo servitore, con dirli che se bene il
ser.mo et Invittissimo s.r Duca suo Padre merita uno elevatissimo ingegno, et
la prima penna d'ogni altro seculo nel scrivere sua historia: nondimeno circa
questa gloriosissima impresa non puoco mi sono affatigato.
Ma perche S.A. facilmente havera qualche scrittore particolare, del
quale solo, come Alessandro Magno d'Apelle, vora il vero ritratto d'imperio et
d'uno tanto famoso Principe: mi sono ritirato da detta opera, timendo di
disgustarla, ne presumero seguitare avanto, se lei in particolare non mi la
com[m]andi. Perche altro non bramo,
che gradirla desiderandole ogni contento.
La onde mi rincresce infinitamente del disgusto Lei ha pigliata del
N.ro Collegio, promettendoli che la colpa è d'alcuni particolari non del
collegio, quale amira, et adora S.A. et, come spero, Lei restarà a pieno
satisfatta di questi n[ost]ri dottori.
quanto a me, niente più al mondo desidero che servire S.A. et questo
senza alcuno mio interesse particolare, poiche q.to solo è il summo premio del
mio desio et contento. con quale fine
li prego dal cielo mille anni di vita.
di Pavia alli 7 de febraro 1596.
Di S.A. Ser.ma et invittissima. Humiliss.o et Devotiss.o Ser.re
Henricus Farnesius ortus Eburo, oriundus ex Gallia in Ducatu
Borbonensi.
Al Ser.mo et Invittissimo Principe
il S.r Duca
Ranuccio Farnese mio sempre oss.mo Padrono. Parma
[Note della cancelleria:]
Dice che q[uan]do fosse aiutato da qualche scrittore proseguirebbe
nell'Historia del S.mo Duca Alessandro.
Risp[os]ta a 26 di Aprile
[RFM doc. 41, EPI046, FAR004]
ENRICO FARNESE, [Epistola
a Ranuccio I Farnese duca di Parma e Piacenza con la presentazione delle
prefazioni e titoli di alcune delle sue opere a lui dedicate],
Parma, Archivio di Stato, Casa e corte farnesiane, Serie II, busta 25, fasc.15.
Ser.mo Principe mio oss.mo Padrono.
Poi ch'ogniuno [sic] honori i suoi santi, ben'è il donare ch'io
essendo annotatomi a Lei, facia ancora il medemo con S.A. Li consacro aduncq. i frutti et fatige
mie di tre o quattr'anni, cio è tre opere, i cui tituli, et prefatione hora
mando a S.A. a cio da quaeste, facia giuditio di quelle. Queste opere se bene son in mano mie
finite, tuttavia, per esser'io sessagenario con indispositione di petto vedero,
avanti mi manca questo puoco restante di vita, de repolirle, et inviarle parte,
per parte a S.A. o a Mons.re Ill.mo suo fratello.
Mi rincresce che nella sua causa contro il S.r Pallavicino, non sia
stato, per suo maggior servitio, megliore de me stesso. puro con l'amici del n[ostr]o collegio ho
fatto quello che da me non potea.
Il S.r Li dia felice principio d'anno, co[n] mill'anni di vita.
di Pavia alli 29 de xembre 1597
De S.A. Humiliss.o et
Devotiss.o Servitore
Henrico Farnese Eburone.
Al Ser.mo Principe il Duca di Parma mio oss.mo Padrono.
Parma
[RFM doc. 116, EPI078, FAR004]
ENRICO FARNESE, [Epistola
a Ranuccio I Farnese duca di Parma con notizie della biografia di Alessandro
Farnese],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno, gen. - mar.1598,
cassetta 205.
Ser.mo Principe mio eterno et oss.mo Padrono.
Abenche sempre ho fugito, per natura, l'otio, come pare per molte et
varie mie fatige: nondimeno quando non havesse mai fatto altro, in questa vita,
che l'opere da me a lei consecrate, non mi reputarei esser stato al mondo, se
non molto giovevole et utile.
Perche si come d'un Hippocrate vengono instrutti quanti medici se
ritrovano: cossì la virtù d'Alessandro gloriosa memoria suo padre, non è altro
ch'unica arte, et vero lume d'ogni felice governo et imperio. Si de pace, come
di guerra persevero adunq. in dette opere, non solamente con ardente et assidua
diligenza, ma ancora con infinita mia satisfattione.
Per questo sperarei in breve ma[n]darle a S.A. quando non fossino
simile alla veste della dea Pallade, nella cui tessitura, et ricammi [sic],
perchè se depingeano tutti gloriosi potentati, sempre mancava tempo, per
ridurla a perfettione puro fidandomi nel aggiuto del S.r non dubito q.to anno
de venire al colmo d'ogni possibile mio desegno, et fare cognoscere a S.A.
ch'altro non bramo, che spendermi vivo et morto a gloria sua, et beneficio
pubblico.
Il S.re li dia insiemme con la buona Pasqua ogni bene co[n]forme al
suo desio.
da Pavia alli 20 de marzo 1598.
Di S.A. Humilissimo et
devotissimo eterno Ser.re
Henrico
Farnese Eburone.
[RFM doc. 38,
EPI043, FAR004]
ENRICO FARNESE,
[Epistola a Ranuccio I Farnese
duca di Parma e Piacenza con la notizia della sua ammissione all'Accademia
degli Intenti di Pavia ed una nuova richiesta di intercessione per il capitano
Luca],
Parma, Archivio di Stato, Casa e corte farnesiane, serie II, busta 25, fasc.15.
Ser.mo Principe
et oss.mo mio Padrono.
Mi congratulo
sommamente con sua Ser.ma A. del amore le porta q.ta cita di Pavia, del che ne
da manifesto segno in lodarla, insieme con suoi troppi amorevoli compimenti,
insino al cielo.
Hieri lei fu
accettata nella nostra Accademia d'Intenti, con tanto honore et gloria sua,
quanto hanno comportato le forze et valore dell'Accademia. mi ralegro senza fine che lei habbi fatto
q.ta buona resolutione perche participera di frutti di piu elevati, et belli
ingegnij d'Italia come vedera alla giornata.
Quando per amore mio sera per rilassare il capitanio Luca, il che
tengo per impetrato da sua clemenza, la supplico se degni darmene aviso con
quattro linee, a cio apresso i amici resta indubitata l'instanza ho fatto
apresso V.A. ser.ma.
Il S.re la
conservi di Pavia alli 7 de luglio 1599
Di V.A. Ser.ma Humiliss.o et obligatiss.o Ser.re
Henrico Farnese
Eburone.
Al Ser.mo
Principe
il S.r Duca
Ranuccio Farnese mio S.re Parma.
[RFM doc. 39, EPI044, FAR004]
ENRICO FARNESE, [Epistola
a Ranuccio I Farnese duca di Parma e Piacenza con la presentazione di
un'orazione per l'Accademia degl'Intenti di Pavia e la prima parte della
"Statua", panegirico del duca Alessandro Farnese], Parma, Archivio di Stato, Casa e corte
farnesiane, serie II, busta 25, fasc.15.
Invittisimo et Ser.mo Principe mio S.re et in eterno oss.mo Padrono.
La present'oratione stampata, vene da me fatta, per l'obedienza deggio
alla sua Ill.ma Academia d'Intenti, et la statua scritta d'Alessandro
Massimo gloriosa memoria, per l'antiqua osservanza di tutti miei maggiori,
verso sua Regia Casa. Questa li mando
non come Academico, ma come humilissimo, et devotissimo suo servitore. penso li gradira. perche apresso a me, essa
statua è, per valor incomparabile de cossi felice, et glorioso Principe,
stimata al parangone de qualsivoglia grandissimo thesoro. Volendo sua ser.ma A. farla stampare, sera
bene, se facia in Pavia, acio possi, con la censura de S.A. ser.ma metterla in
vera perfettione, et correger'insieme la sta[m]pa. Questa prima parte è solamente sopra la testa della statua:
l'altra parte contiene il restante di tutto il corpo, quale al piacere di S.A.
Ser.ma m'affretero de ricopiare et de mandarle: acio l'una, et l'altra parte
maturisca [sic] con il iudicio sodo de S.A. et di che com[m]andara. Tra ta[n]to il S.re li dia insiemme co[n]
ogni co[n]tento mille anni di vita.
di Pavia alli 26 9e[m]bre 1599
di Sua Ser.ma A. Humiliss.o et devotiss.o in eterno ser.re Henrico Farnese Eburone
Al Invittissimo et Ser.mo Principe S.r Duca Ranuccio farnese.
[RFM doc. 40, EPI045, FAR004]
ENRICO FARNESE, [Epistola
a Ranuccio I Farnese duca di Parma e Piacenza con la quale chiede che venga
rintracciata la prima parte del libro "Statua" che non è arrivata a
destinazione],
Parma, Archivio di Stato, Casa e corte farnesiane, Serie II, busta 25, fasc.15.
Invittiss.o S.r Principe mio oss.mo in eterno Padrono.
Scrisse nell'ultima mia passata a S.A. ser.ma ch'io li mandava con
l'oratione dell'Academia, il primo tomo della vita del Ser.mo Principe Aless.o
Massimo suo padre in alcuni an[ni] a Lei da me dovuta. Ma dalla risposta sua comprendo che S.A.
Ser.ma ha receputa l'oratione solame[n]te, et no[n] il Libro. il che tanto
m'afflige, che mai in vita, ho sentuto tale dolore. Li dico aduncq. ch'io volea
portarle detto libro in persona: ma che il S.r Alfonso Petra Conte di Silvano,
Principe dell'Accademia n[ost]ra piglio q[ues]to assunto de farlo ricapitare in
mano de S.A. Ser.ma et cossi alli 26 del passato esso Libro, intitolato
statua, fu con due oratione, et diverse altre mie fatige serato in una
cassetta, et inviato al Ecc.mo Presidente Petra in Piacenza. Talche esso S.r Presidente o altro che
aveva levato fora di detta cassetta l'oratione, et mia littera, debbe sapere,
quello è fatto di detto Libro: forse di q[ues]to sera informato il S.r Conte
Oratio Scotto.
La suplico per l'amore d'idio, voglia intervenire, acio si trovi il
Libro, et io mi libero d'uno ta[n]to, et intolerabile affanno. tra tanto li prego dal cieli centi migliari
d'anni di vita co[n] le bone fede.
di Pavia 23 x.bre 1599
Di S.A. Ser.ma Humiliss.o
et obligatiss.o Ser.re
Henrico farnese Eburone.
[RFM doc. 163, EPI112, FAR009]
card. ODOARDO FARNESE, [
Epistola al card. Ascanio Colonna sui Canonici della Basilica Lateranense con
riferimento particolare a Fulvio Orsini ],
Subiaco, Archivio Colonna, II.CF.1, lett. 427.
Ill.mo et R.mo Sig.or mio oss.mo
Del favore, che V.S. Ill.ma è stata servita farmi con la sua di 9,
rallegrandosi meco del mio ritorno alla corte, vengo a darle le gratie, ch'io
devo, havendole per altra mia dichiarato, che uno de i principali rispetti, che
mi ha fatto tornar volontieri [:sic] a Roma, è per poter meglio servire a V.S.
Ill.ma nelle occorrenze del suo servitio, et spetialm[en]te nella sua Chiesa
Lateranense, dove quei ss.ri Canonici mi vedono tanto più volontieri, quanto
più sanno, che nissuno può essere più serv.re a V.S. Ill.ma di me. Il Sig.or
Fulvio Orsino mio mi ci va aiutando con li ricordi suoi, non mancando egli di
adempire l'offitio, che gli è stato imposto nel servitio di quella Chiesa.
Ma nè lui, nè io potremo far tanto, che ricompensi in qualche parte l'incommodo,
che porta l'assenza di V.S. Ill.ma, alla quale bascio humilmente le mani; et le
prego questo buon capo d'anno con tutti gli altri di sua vita sani, e felici.
Roma, ult.o x.mbre 1593
Di V.S. Ill.ma et Rev.ma
Humiliss.o et Affett.mo
Ser.re
Il Card. Farnese
S.r Car.l Asc. Colonna
[destinatario, sul verso del secondo foglio:]
All'Ill.mo et Rev.mo mio Oss.mo Card.le Ascanio Colonna
Alla Torre del Greco
[RFM doc.5, EPI013,
FAR009]
Card. ODOARDO FARNESE, [
Epistola a Fulvio Orsini sulla decorazione del Camerino di palazzo Farnese ],
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 9064, fol. 336 r.
[fol. 336 r.:] [...] Mi
piace che si attenda alli stucchi et pitture della mia cam.a come
V.S. mi avisa et perchè io spero d'essere a Roma nante che sia finita, riservo all'hora di
risolvermi se ci si haveranno da fare le l.re ()
per intelligenza dell'historie che saranno in essa secondo che V.S. mi propone
o pure se si haveranno [fol. 336 v.:] da lasciar le historie senza l.re.
Intanto non mi e
spiaciuto intendere il pensiero di V.S. anzi ne la ringratio [...].
[RFM doc. 127,
EPI085, FAR002]
RANUCCIO I
FARNESE duca di Parma, [ Epistola ad
Alberto Albergati Gonfaloniere di Giustizia del Senato di Bologna con la
richiesta di concedere una licenza al dottor Gallesi per venire in Parma a
leggere Logica e Morale ad Odoardo Farnese ] , Bologna, Archivio di Stato, Lettere di
principi e prelati al Senato, serie 6, vol. 26.
Ill.re Sig.re
Desiderando
il sig.r Don Duarte mio fr.llo di udire la logica, et le morali tutto il mese
di maggio pross.o et havendosi boniss:a relatione, che'l dottor Galesio
Gentil'huomo bolognese lettor'pubblico costì saria attissimo per'insegnar'a S.
Ecc.a dette scienze, et virtù, vengo a pregar V.S. con questa mia molto
caldamente, che si contenti, non solo per quel che tocca a lei concederli
licenza di poter'venir'a star qua per tutto detto mese, ma bisognando voglia
anco operar'con cotesti SS.ri del Regimento, che se ne contentino anco loro,
assicurandoli, che in ciò ci faranno serv.o molto grato, et a V.S. et a loro ne
restaremo con obbligo grande, sicome più largam.te intenderà dal S.r Camillo
Paleotti et dal S. Fabio Albergati, a'quali ne ho scritto parim.te in
conformità. et di core me le racc.do
et offero.
Di Parma alli
16 di aprile 1590
Di V.S. Ill.re
Al ser.io
Ranuccio
Farnese.
[Indirizzo:]
Al Ill.re
Sig.re Albergati Gonf.ro delli S.ri Quaranta di Bologna.
[RFM, doc. 126, EPI084, FAR002]
RANUCCIO I FARNESE duca di Parma, [
Epistola ad Alberto Albergati Gonfaloniere di Giustizia del Senato di Bologna
per giustificare il ritardo nel rientro di Agostino Gallesi nello Studio di
Bologna dopo la missione a Parma ],
Bologna, Archivio di Stato, Senato, Lettere di principi e prelati al Senato,
serie 6, vol. 26.
Molto ill.re Sig.re.
Tornandosene a Bologna il dottor Galesio p.nte, ho voluto
accompagnarlo a V.S. con q.a mia, sì per pregar (come fo) lei insieme con tutti
cotesti altri SS.ri del Regim.to ad haverlo per escusato, per amor del s.r
don Duarte mio fr.llo, et mio, se egli havesse trappassato il tempo della
licenza, che teneva di fermarsi qui, come per farle testim.o della molta
satisfatt.ne che lui ha data a S. Ecc.za, et a me, essendosi diportato beniss.o
nel serv.o, che si desiderava da lui, et però se le resta obligato assai della
cortesia, che ci hanno voluto usar della comodità di detto dottor Galesio, et
potendo io far alc.o serv.o a V.S. la prego a valersene liberam.te, et di core
me le racc.do et offero.
Da Parma alli 5 di giugno 1590.
Di V.S. molto ill.re
Per ser.le
Ranuccio Farnese
[Indirizzo:]
Al molto Ill.re Sig.re il Sig. Conf.ro di Giustitia del Regm.to di
Bologna.
RANUCCIO
FARNESE duca di Parma e Piacenza, [Epistola
a Fulvio Orsini in cui ringrazia della scelta fatta riguardo le medaglie
antiche], Parma, Archivio di
Stato, Carteggio farnesiano interno: luglio-agosto 1594, cassetta 186.
[Copialettera]
Al S.or Fulvio Orsino
M.re et m.to Ill.re
Ho inteso per la di V.S. de 27 del passato la dilig.e da lei usate in
mat.a [:materia] delle medaglie, et la provision che ne ha fatta, tutto
sta bene, et a mia satisfat[tio]ne, et hora la sto aspettando col ricevimento
di esse promettendomele della qualità effett[iv]a che mi fa credere l'essere
passate per sue mani, et parere, et con ringratiarla della cura, che sen'è
presa, me le offero, et prego da N.S. ogni contento.
Di Parma 7 d'Ag.to 1594.
[RFM doc. 42, EPI047, FAR002]
RANUCCIO I FARNESE duca di Parma e Piacenza, [Epistola al conte Cosimo Masi con la quale
chiede il "Libro delle imprese" del duca Alessandro Farnese per gli
affreschi della "Sala grande" di Palazzo Farnese in Roma], Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno:
gennaio-marzo 1595, cassetta 189.
Ill.re mio amat.mo
Il S.re car:le mio fr[at]ello mi fa inst[anti]a che io le mandi il
libro delle Imprese del s:r Duca n[ost]ro P[ad]re di fe:me: che voi havete
portato di Fiandra, volendo farle depingere nella sala grande del Palazzo di
Roma, però vi piacerà d'inviarmi esso libro, acio che io possa mandarlo a
S.S. Ill.ma, che ne farà far la copia, et me lo rimanderà, et Dio vi guardi.
Di Piacenza al pr.o di Marzo 1595.
Di V.S. Ill.re
Al piacere Ranuccio Farnese.
All'Ill.re mio amat.mo
Il conte Cosimo Masi. Parma
[cfr. HALLER]
[RFM doc. 44, EPI041, FAR002]
RANUCCIO I FARNESE duca di Parma e Piacenza, [Epistola al Cancelliere Zangrandi con
l'ordine di rintracciare la ricevuta del pagamento fatto a Giovanni Andrea
Scalabrini per il trasporto di alcuni statue da Genova a Parma],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: gennaio - marzo 1595,
cassetta 189.
Molto mag.co n[ost]ro amat.mo
Vi ordiniamo, che facciate vedere nella n[ost]ra Computisteria costì,
il pagamento, che fu fatto dalli Ministri n[ost]ri, a Gio: Andrea Scalabrini
per la condotta di alcuni marmi da Genova a Parma, cioè dell'Adone, et
della Venere, che sono alla Fontana, et facendo cavar'una fede autentica di
esso pagamento con la legalità della Comunità, ce la inviate qua quanto
p[ri]ma, et Dio vi conservi.
Di Piac.za li 4 di marzo 1595.
V. Ranuccio Farnese.
La sud.a fede autentica, espedita che sarà, l'inviarete voi stesso a
Roma al Moschino n[ost]ro scultore, il q[u]ale ne ha di bisogno per li
rispetti, che vedrete per le allegate due lettere sue col mem[oria]le incluso
in esse.
Al Can.re Zangrandi
Al molto mag.co n[ost]ro amat.mo
Il Can.re Pietro Giangrande a Parma.
[la risposta è del 7 marzo 1595, da Parma]
[RFM doc. 46, EPI052, FAR002]
RANUCCIO I FARNESE duca di Parma e Piacenza, [Epistola a Giulio Feo per raccomandare una
causa in Rota dello scultore Simone Moschino],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: settembre - ottobre
1595, cassetta 192.
[Copialettera del duca Ranuccio I Farnese]
Al S.r Giulio Feo 6
d'ott.re 1595
Simone Moschino, mio scultore, tiene una causa costì in Rota, come
dovete star'informato, et se bene mi persuado che voi li haverete a cuore et
usarete in essa ogni dilgenza, come suolete [?] in tutte q[ue]lle de un
cliente, Tuttavia p[er] la buona voluntà, ch'io porto al p[redett]o mio
ser[vito]re ho voluto raccom[m]andarvela con q[ues]ta, et pregarvi sicome fo
caldam.te che per rispetto mio particularm[en]te vogliate haverla al petto, et
procurare, che ne segua il buon fine, che ragionevolm.te pretende, et desidera
il d.o Moschino, che ne restarò anch'io obligato a voi al quale mi racc[oman]do
et offero per fine di quella.
[RFM doc. 52, EPI057, FAR002]
RANUCCIO I FARNESE duca di Parma e Piacenza, [Epistola a Fabio Albergati con la quale
ringrazia dell'operetta ricevuta in dono],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: aprile - giugno 1598,
cassetta 206.
[Copialettera]
Al S:r Fabio Albergati, de iiij de Aprile 1598
Ill:re Sig:re Con la
l[ette]ra di V.S. de 28 de febbraro, mi è comparsa anco ultimamente l'operetta
che lei ha fatto stampar in Roma, et mi ha mandato a p[rese]ntare, la q.le
ho gradito come frutto del suo valore, et come segno part[icolarissi]mo
dell'amorevole voluntà, che continua a portarmi
le ne rendo però doppiamente gratie, et me le offero così pronto p[er]
gl'effetti in suo serv.o dove io p[er] esso, come con affetto conserverò
particularmente di questa sua amorevolezza, et il S.re la prosperi, come
desidera.
Di Parma.
[RFM doc. 53, EPI058, FAR002]
RANUCCIO I FARNESE duca di Parma e Piacenza, [Epistola a Corradino Orsini di
accompagnamento per Simone Moschino],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: gennaio - aprile 1599,
cassetta 210.
[Copialettera]
Al C. Corradino Orsino a 29 d'Aprile 1599
Sarà essibitore della p[rese]nte il Moschino, con la venuta del
q[u]ale ho voluto visitare V.S. et ricordare la part.re mia aff.ne verso di
lei. Mando esso Moschino grosso, et
grasso come vederà, non so se V.S. lo rimanderà qua tale, le racc.do la sua
pancia, et credo, che sarà di serv.o a lui, se tal'hora lo farà digiunare,
come, che così sia per attendere meglio a lavorare.
V.S. si vaglia di me in cio che vaglio per serv.o suo, che me le
offero pront.mo, et rimett[endo]mi al d[ett]o Moschino intorno allo stato di
suo Nipote, et alla protett.ne ch'io ne tengo, resto racc.mo a V.S. di cuore.
di Parma
[RFM doc.59, EPI064,FAR002]
RANUCCIO I FARNESE duca di Parma e Piacenza, [Epistola ad Enrico Farnese di ringraziamento
per l'orazione ricevuta in dono],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: dicembre 1599, cassetta
214.
[Copialettera del duca Ranuccio datato 7.12.1599 :]
Al S. Enrico farnese Eburone 7 di x.bre 1599 da Parma.
Insieme con la l.ra sua de 26, del passato ho ricevuta l'oratione,
che mi ha mandata, la quale mi è stata molto cara, particolar[men]te essendo
fattura di lei, la quale la ringratio della sua amorevolezza verso di me, et si
come la scuopro ogni giorno magg.te, così maggior sia q.to merito et sarò
pronto in tutte le occasioni a mostrarli con effetti dove potrò, la stima, che
fò, delle sue virtù, et l'aff.ne che le conservo, et me le racc.do et offero.
[RFM doc. 60, PAS002,
FAR002]
RANUCCIO I FARNESE duca di Parma e Piacenza, [Passaporto per Roma rilasciato al Conte
Pomponio Torelli e a suo figlio Paolo],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: dicembre 1599, cassetta
214.
Ranuccio Farnese duca di Parma, et Piacenza et Confaloniere perpetuo
di Santa Chiesa
Andando a Roma per n.ro servitio Il Conte Pomponio Torelli n.ro
feudatario, et in sua compagnia il Conte Paolo suo figlio, con sei loro
ser.ri, due tamburi, et due valigie di robbe loro, ci è parso di accompagnarli
con la p.nte, non solo per far fede, come li suddetti Conti, ser.ri, et robbe
partono di q.ta n.ra Città, libera, Dio gratia, di peste, e d'ogni altro mal
contagioso, ma per pregar tutti, i SS.ri Gov.ri, Luogotenenti, Cap.ni, Datiari,
Portinari, et altri Ministri, et officiali de'luoghi, et terre, a noi non
sottoposti, per dove haveranno da passare, che non gli diano impedm.to alcuno,
ma, bisognando, li prestino ogni aiuto, et favore, assicurandosi, che lo
riceveremo per grato serv.o, et in occasioni simili, corrisponderemo loro con
l'istessa prontezza: et a tutti, i, sottoposti al nostro Dominio, di che
qualità, offitio, et carico si siano com[m]andiamo espressamente di far il
medesimo, et di ciò non manchino per quanto stimano la gratia, In fede di che.
Dato in Parma a di 9 di x.bre 1599.
Ranuccio Farnese.
[seguono altre firme, poi, in basso a destra:]
Aless.ro Orso sec.rio.
[RFM doc. 61, EPI065, FAR002]
RANUCCIO I FARNESE duca di Parma e Piacenza, [Epistola a Juan Idiaquez sulla questione del
proprio matrimonio],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: dicembre 1599, cassetta
214.
Al S.r Giovanni Idiaquez a 9 di x.bre 1599 [: copialettera del duca
Ranuccio].
Quanto era il mio casam:to più desiderato dal S.or Card.le mio
fr.ello, et da q.sti miei Stati, tanto il procrastinam.o d'esso, rendeva a S.S.
Ill.ma, et loro, maggior travaglio, che se gli accresceva, poichè, alla
continua istanza, che me n'era fatta, non potevo, con quanto si trattasse
dell'intiero stabilim:to di casa mia, dare sodisfattione nè di effetti, nè di
parole; poichè a certi partiti, per vantaggiosi che fossero, non potevo, nè
dovevo applicar l'animo, come Ser.re di S. M.tà, et certi altri, pur pativano
di qualche altre eccettioni; tra quali, non era l'ultima, una poca comodità,
che ne risultava, a questo bisogno in che mi ha lasciato il S.or Duca mio P.re,
Finalmente è piacciuto a Dio, di aprir la strada al mio casam:to, con far, che
sia seguito con la s.ra D. Margaritta Nipote di N.S.re, al qual partito,
sono condesceso volentieri, havendo, in più d'una occ.ne; toccato con mano, il
S.r Car.le mio fr.ello, et io, che doppo il serv.o della S.ta Sede, S. B.ne non
desidera cosa più, che di dar ogni sodisfatt.ne a S. M.tà, alla q.ale anche, i
SS.i Nipoti fanno professione di vivere devot.mi serv.ri, onde posso sperare,
che sia per nascermi q.alche occ.ne di servire alla M.tà S., come sopra tutte
le cose desidero, se ben sin qui non ho avuto ventura di farlo aparire in cosa
veruna, Di q.sto mio casam.to come a S.re di q.sta casa, et mio part.re, vengo
a dar parte a V.S. Ill.ma con q.sta, et con Giovanni Canobio esshibitore di
essa, sapendo, che per sua bontà ne sentirà sodisfatt.ne, Ne ho dato conto del
trattamento, avvisandomi, che il S.or Contestabile, il S.or Duca di Sessa, et
il S.or Conte di Lemos, a quali SS.ri feci saper tutto, quando il negotio si
dimostrò riuscibile, ne haveriano dato conto a S. M.tà, al qual fine feci dar
parte del d:o negotio all'Ecc:ze loro, et con V. S. Ill:ma ne sarà stata
participata, et rimett.mi al Canobio in q.el più che potrei dire a lei con
q.sta, in partic.re, del desiderio che conservo di ser.la, et pregandola a
crederli, resto basciando a V.S. Ill.ma le mani.
Di Parma
[RFM doc. 36, EPI041, FAR002]
RANUCCIO I FARNESE duca di Parma e Piacenza, [Epistola al Pontefice Clemente VIII sul
matrimonio con la nipote Margherita Aldobrandini],
Parma, Archivio di Stato, Corte e casa farnesiane, serie II, busta 21, fasc.7.
[Copialettera
non datata, ma 1599]
Alla
S.ta di N.S.a Clemente Ottavo.
Della
conclus.ne del matrimonio, che è piacciuto alla M.ta di Dio, che segua tra la
S.ra D. Marg.ta Nipote di V. S.ta, et me, io ho sentito infinito contento per
infiniti rispetti, tra quali tiene il primo luogo l'essermi con ciò dato a
credere di mostrare a V.S.ta, et a Casa sua, l'osservanza, et affet.ne mia, le
q.li, come non sono terminate, così mi fanno soprabondare in desiderio di
servire alla S.ma persona di V. B.ne [:Beatitudine] con q.sti Stati, che mi ha
dati Dio, et con q.sta vita, che mi ha preservata, forse a fine, di poter
spenderla, come sopra tutte le cose desidero, in serv.o di V. B.ne, alla quale
devo tanto, quanto m'han posto in obligo, le molte gratie ricevute in diversi
tempi, et occ.ni da V. S.ta, la qual vengo a supp.re [:supplicare] con la
riverenza che devo, et con la maggior efficacia, ch'io posso, a credere, che
dura ancora il rimorso che ho havuto in q.to negotio, d'essermi ritrovato in
necessità, non che bisogno, di parlare di quelle cose, che haverebbero potuto
tal volta scemare l'essenza, non che l'apparenza di q.ta mia divot.ne verso la
S.ta V. et amore verso [carta 1v.:] casa sua, dove V. B.ne non havesse toccato
con mano q.ta mia impossibilità, onde so, che mi sarà condonato da lei l'haver
fatto trattare di cose, che voleva, per altro, il dovere, che si suprimessero,
nè se ne toccasse parola mai, poiche, et q.llo che ne viene, et q.sti stati, et
il sangue proprio mio, renderanno sempre certa, et indubitata fede a V. S.ta
del'animo mio qualhora occorra di spender tutto (). Resta, che la S.ta V. si degni, come ne la
supp.o riveren.te, di annoverarmi hora tanto più tra il numero de suoi più
devoti serv.ri, et con la sua S.ma benedit.ne habilitar la S.ra D. Margarita,
et me, a ricever dalla divina mano, di q.lle gratie, che si sogliono aspettare
da Matrimonij, qual'e q.sto, stabilito per mano di V. S.ta, rapresentante in
Terra Dio benedetto, che viene con tutto il core pregato da me, a mantener V.
B.ne p. tanti anni con salute, quanto la christianità tutta, et io tanto
maggior.te hora, ne tengo bisogno.
[Seguono altri copialettera indirizzati alla S.ra Olimpia
Aldobrandini, al Card. Ald.ni, a Gio. Fran.co Ald.i e al card. Farnese].
[Nel copialettera al card. Odoardo Farnese, si legge, tra
l'altro, a carta 1r.:]
[...] questo mio casam.to [:casamento] non sia che per aportar
serv.tio alla casa et consolat.ne a me poiche come ella prudentem.te dice, pare
a me ancora che sia stato fatto da Dio benedetto in cielo, et qua è fattura di
V. S. Ill.ma [...].
[RFM doc. 67, EPI071, FAR002]
RANUCCIO I FARNESE duca di Parma e Piacenza, [Epistola a Nicolò Cesis di accompagnamento
per Simone Moschino incaricato di accomodare la fontana di Parma],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: febbraio - marzo 1599,
cassetta 216.
Al Co: Nicolò Cesis 14 di Marzo 1600 da Roma [:Copialettera del duca Ranuccio]
Mandò costà il Moschino per far'accom[m]odare la fontana
secondo lo stabilito fra di noi, et p. che egli viene informato della mente
mia, fate che conformem.te si esseguisca, che mi riporto alla sua relat.ne et
se bene mi persuado, che senz'altro, p.esser egli chi è gli farete sapere q.llo
che passa intorno alla fabrica. tuttavia venendo egli anche in cio instruito
della volontà mia. vi incarico a fare, ch'egli non solo ne habbia parte, ma
sopraintenda ad essa fabrica, et mi racc.do
[RFM doc. 129, EPI087, FAR002]
RANUCCIO I FARNESE duca di Parma, [
Epistola al Senato di Bologna per facilitare il trasferimento del dottor
Annibale Marescotti dallo Studio di Bologna a Parma ],
Bologna, Archivio di Stato, Senato, Lettere di principi e prelati al Senato,
serie 6, vol. 30, anni 1599-1601 e 1630.
Molto Ill.ri SS.ri
La confidenza, ch'io tengo nell'amorevolezza delle SS. VV. da me
conosciuta a più prove, mi fa aspettare in tutte le occ.ni ogni giusto piacere,
et servitio, imperò dovendo partirsi di cotesta città il S. Dottore Annibale
Marescotti, per venire chiamato da me a leggere qua alla p.a cathedra della
mattina, et che il stipendio, che ha di pr.nte non sia messo in
distributione, vengo con la presente a pregar le SS. VV., che si compiaccino
per amor mio di fare, che tanto segua, che oltre intendo, che sono cose solite
a concedersi, et tutto sarà impiegato in gentil'huo., di così buone parti, et
virtù, quanto è esso Dottore, io per la stima, che faccio della persona sua, et
per l'aff.ne che gli porto, lo riceverò dalle SS. VV. per serv.tio acett.mo,
del quale restarò loro per sempre obligato, et di cuore me le racc.do, et
offero.
Di Parma li 26 di sett.bre 1600
Delle SS.VV. M.to ill.ri
Per servirle
Ranuccio Farnese
[RFM doc. 62, EPI066, FAR003]
VITTORIA FARNESE, [Epistola
a Ranuccio I Farnese duca di Parma e Piacenza con la richiesta del ritratto di
Margherita Aldobrandini, sua promessa sposa],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: gennaio 1600, cassetta
215.
Ser.mo Sig.r mio oss.mo
Mi conosco et confesso favorit.ma da V.A. per la l.ra, con
la quale s'è degnata fra l'altre darmi conto del suo felice arrivo in Roma, di
quanto caram.te, et amor.te sia stata ricevuta da N. S.re, dell'off.o, che è
stata servita fare in mio nome con S. Beat.ne la quale si mostra in vero troppo
grata dell'aff.ne et osservanza, che le porto, et che gli ho portata sempre, et
parim.ti per che non m'habbia a restar che desiderare, significandomi l'essere,
nel quale V.A. ha trovata la persona della Sig.ra sposa ser.ma: tal che per
tante et segnalate gratie bascio mille volte le mani dell'A.V. pregando N.S.e
Iddio a prosperarla in quel colmo di felicità, che da me le viene del continuo
desiderata. Non posso però lasciare
di ricordare a V.A. la promessa, fattami del ritratto della Ser.ma mia S.ra
sposa, del quale sto con grand.ma ansietà, per compiacermene sin che S.D.
M.tà mi conceda il poterla godere et servire presentialm.te et nella buona
gratia dell'A.V. mi racc.do, con
tutt'il cuore.
Di Pes.ro [:Pesaro] a 6 di Genn.ro 1600
D. V.A. Ser.ma Humil.ma et obl.ma serva d. Coor.
Vitt.a far.se fest.a
Al Ser.mo Sig. mio oss.mo il Sig.r Duca di Parma e Piacenza. Roma
[RFM doc. 106, EPI075, FEL002]
PORFIRIO FELICIANI, [Epistola
a Ranuccio I Farnese scritta in nome del Card. Scipione Borghese con la quale
annuncia l'arrivo degli ambasciatori della lega cattolica di Germania], Roma, Biblioteca
Angelica, MS. 1216.
[carta 131v.:]
Il S.or Duca Alessandro P.re di V.ra Alt. che lasciò lei herede di
tanta gloria, quanta acquistò in tante, e sì ardue imprese contra i ribelli
della M.tà Catt.a et d Dio, gli ha lasciato gran peso nell'emulatione della sua
virtù, alla quale per eccitar V.Alt. benchè pronta per sè medesima, vengono
hora gli Ambasciatori della lega de i Principi Cattolici di Germania, et le
esporranno [carta 132r.:] l'oppressione, che tuttavia gli Eretici fanno a i
buoni et alla Religione, la quale è in estremo pericolo se da tutti i Principi
Christiani non si soccorre. I medesimi
Amb.ri sono stati a i piedi di N.ro Sig.re e partiti dalla S.tà sua ben
contenti per la dichiaratione ottenuta, che aiuterà la causa della Religione
costantemente per tutto quello, che le sarà possibile hora conferendosi a i
Principi d'Italia con l.re de Collegati, e Breve di N.S.re so che V.A. non è
per mancare di dar loro tutta quella honesta sodisfatione, che possono
desiderare. Però non ho altro, che baciarle le mani, e pregarle continua
felicità.
Di Roma li 27 di marzo 1610.
[RFM doc.45, EPI050,HAL001]
LAZZARO HALLER, [Epistola
al conte Cosimo Masi in cui si parla del libro delle imprese del duca
Alessandro Farnese], Parma, Archivio di
Stato, Carteggio farnesiano interno: gennaio - marzo 1595, cassetta 189.
Molto Ill.re Sig.r mio oss.mo
Mi spiace intendere con la di V.S. delli 4 di questo che il mal del
occhio non haveva ancora dato molza, sperando pero che con la medicina pigliata
doveva liberarsene affatto il che faccia il sig.re, e per conseguenza che V.S.
possa sollicitare li suoi conti e prezzo delle possessioni poichè così presto
havemo restituito a V.S., il patrone con il quale non ho havuto tempo di
trattare del farmi dare alcuna delle imprese, che pur haveria voluto
vedere quella di Duncherche e Dendermonde per veder quale riesce meglio,
e farla dipinger nel spazio di mancha, como faro potendola havere, ma
io pensavo che li dissegni fussero di V.S. il che si fusse così li dovese
pur rihavere, et potermene servire, e quando non sparagnerò [?] ()
questi soldi, falsando la causa perchè faccio dipingere le imprese [...]
Dal castello di Piacenza li 8 di Marzo 1595
Aff.mo e devotis.mo sempre di V.S. M. Ill.re
Leo Lazaro Haller
Al molto Ill.re Sig. mio oss.mo il sig.r Cosimo Masi Conte di S.
Michele da [...] E Parma
[RFM doc. 9, EPI017,
LIG001]
PIRRO LIGORIO, [ Epistola a Fulvio Orsini con l'autentica dello
specchio antico del Giambellino ],
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 4105, fol. 254 r.
Gentilissimo Signor Fulvio, fo fede a Vostra Signoria del specchio
che fu della bona memoria del Corvino, è antico, trovato dentro certi muri
con ornamento di legno di larice molto grave, fu prima trovato da Giovan
Bellino pittore nella sua Vigna nell'Esquilia; nella morte del pittore venne
alle mani del Signor Martio Colonna, poscia dopo la morte della signora Livia
sua mogliere [sic] il Corvino ()
procurò di haverlo con quella sua solita e naturale ansietà e diligentia,
havendolo acquistato, gli tolse via il suo ornamento il fece purificare nel
lustro al specchiaro che è oltre per la via di sansalvatore del lauro, e l'ornò
di quel'ornamento che hora tiene attorno.
con questo infinitamente me le raccomando il di 14 di febraro del 1563.
S:re pyrrho
Ligorio Meisopogniros
[fol. 255v.:]
Al mag.co et Ecc.mo s.or fulvio ursino pad.ne mio oss.mo
[una copia di questa epistola è nel Vat.Lat.9067, fol.164r.]
[RFM doc. 117, DIA007, LIG001]
PIRRO LIGORIO, Di amore,
in EIUSDEM, Silloge antiquaria..., Napoli, Bilioteca Nazionale, Ms.
XII.B.8.
No restorono gli antichi che con nuove finzioni d'immagini di diverse
figure mostrate e dichiarate le loro intelligenzie et lor stati, e desiderij et
fine di mortali, insegnando con tal figure d'operar bene, et a ridurre nella
mente ad altrui ogni effetto, et atto virtuoso et honesto per che essendo la
virtù produtta dalla providentia dell'amor divino, appropriano la maggior
spetialità a quelli che participano de le divine opre, et tanto più
particolarmente quanto più participano di quelle cose adiutrici nell'opere
virtuose, per conseguire gli atti honesti: et indurre agli altri in memoria la
perfettione, con la suadeza [?] della pacienza et forza dell'animo, perche come
contiene in se tali virtù et eccellentie così facilmente conseguisce lo intento
virtuoso. Onde ne viene poi l'essempio
imitativo di tutti quelli che cercano operar virtuosamente tanto per se come
per altri sono concordi et forti. Qual magior filosophia può suaderci, et qual
liberalità è quella che può condurci ad esser tenuti huomini d'abbene, si non
vi si adopra la pietà dell'amor celeste egualmente ver'ogni uno, et si noi non
usiamo facilità in adoperare l'amor con la virtù, che fa parte d'ogni cosa
prodotta, et così dunque accompagnata la bellezza dell'animo, con
l'amorevolezza con la cosa che si opera ver'altrui accresce la forza
dell'astenentia, scaccia da sè la superbia, et ogn'altra cosa dannatrice
dell'animo, et facendo questo cioè colui che considera le attioni et
l'imitatione di quelle cose operate bene che non gioisca, et che non voglia
conseguire perpetuo quel ben che si conosce per ben operare et porre in effetto
gli atti honesti e buoni. Dunque voglio dir per questo, che colui sculpì il
simolacro di Amore nella sua sepultura ad dimostrare la sua amorevolezza verso
altrui, o quel che communemente dovemo usare nelli nostri governi, onde con la
figura del maestro maraviglioso, vero et ottimo ammaestratore, delle compagnie,
et diletti che sono tra gli huomini. Questo fece colui per attrarci [?] a tutte
le cose honeste et sante mediante i suoi chiari et manifesti esempii, cioè che
egli iace sepolto nel fior dell'età sua, quasi volendo dire, che amore
l'habbia vinto, et egli superato gli appetiti inohonesti, et si contenta
per esser passato di questa vita all'altra più quieta, aspettando quel merito
che l'anima dev'haver quando ha ottenuto al mondo cose egregie et degne di
laude, et per mostrar questo s'a preso per suo sugetto Amore che ogni cosa
vince, che senza lui nessuna cosa è perfetta, el che demostra Xenophonte
nel convito con le parole di Socrate presente ad'ogni huomo, et è eguale a' i
sempiterni Dei, sopra a tutto di forma giovenile, il quale è quello che con la
sua grandezza ogni cosa sostiene, essendo tuttavia d'animo agli huomini eguale,
vedete dunque quanta forza ha nelle cose l'amor celeste, il qual Theocrito
ancho lui fa parlar Amor stesso in quel luogo dove figne le [carta 143v.:] ale
d'esso iddio in questo modo. Tu vedi me Re del cielo, et dela terra; non haver
paura se esse[n]do io tale, ho la barba così folta, et grave, per che alhora
nacqui quando com[m]andava la necessità. tutte le cose che vanno per il cielo,
et per il caos cedeno a me. Non sono il figliuol di Venere, ma mi chiamo Amore.
Non fo cosa alcuna per forza ma adolcisco con la persuasione: mi tremano le
profondità del mare et dela terra et il cielo, de quali m'ho acquistato
l'anticho scettro, et gli dò legge, sin qui con bellissime e purgate parole
Theocrito fa dire ad amore, et come vedete il figne vecchio, cio è che ogni
altra cosa si consuma sotto il suo tempo, et con gli suoi anni supera tutte le
cose mortali, et con la sua dolcezza applaca l'ire di chi lo conosce, per che
egli non sforza nessuno, per che le passioni non ce le da amore ma i nostri
sfrenati appetiti, per che essendo egli conosciuto per bello et per buono
ci fa gioire, et ci conseglia da vecchio, et chi non lo conosce adviene tutto
il contrario et questo è quel che esorta colui col simbolo di amore. volendo
opprimere la vanità del mondo, et la morte esser cosa naturale, et certa. onde
dovemo guardar al nostro fine, cio è la vecchiezza, et non temer la morte, mali
vitij. Anchora forse ha voluto significare, che con la sua morte ha vinto amor
terreno in certo modo, referendose all'amor celeste, essendo uscito dalla
circuitione de tormenti e passioni, dolor pungitivi con mille altri afflittioni
dell'animo conoscendo forse il celeste. abbandonando il terreno che per il
quale si generano le cose nocevoli che si acquistano dalla veduta degli occhi
visivi i quali mirano la bellezza donde nasce la lascivia che è del mondo inferiore
causata da la vita, che alcuni chiamano delettevole, o veramente intese che noi
mirassimo l'amor nocivo, che si parte dalla ragione, et che l'havesse trattato
tale che gli havesse rotti gli anni suoi nanzi il tempo, mostrando che amor
l'ha vinto sì come dio vincitore delle cose come scrisse Pallada poeta nella
sua epigramma in questa sententia. Amore nudo per questo ride, et è piacevole
perchè egli non ha l'arco, et le saette infocate. Nè accaso porta nele mani un
delfino, et un fiore, il che demostra, che è padrone del mare, et dela terra.
Così duncha, s'amore si conosce si vede com'egli è vecchio, et a cui non lo
conosce è sempre putto et cieco, e nudo, et non sol questo gli parrà, il vero
ma per li suoi effetti crederà siano più amori di uno, et questo adviene dalli
effetti dell'animo incomposto, et occupato nella voluttà, che'l fin di questo è
il sdegno. la qual cosa è terrena, et veramente degi huomini più vulgati. ma
cui lo conosce è di vita tale che ogni cosa spirituale non gli è segreta. Resta
hora dichiarare le due facelle, et queste credo che s'intendesse per li dui
effetti d'amore, che infiamma, et indolcisce, et per questo fu detto l'amor
esser gemino, cio è di due nature, che addolcisce, et infiamma, et chi non lo
conosce tormenta, et bruscia, i quali contrari consumano la vita humana nanzi
il tempo, per ch'alli più interviene che si affoganno in essi ligitimamente. Le
facelle anchora accese significano la immortalità dell'anima, la vittoria,
il passaggio di questa vita nell'altra, significa la luce del sole, la lucidità
delle degne imprese exequite coll'animo franco, et secondo in che modo si
rappresentano così hanno il significato, significa ancora il fine della nostra
vita, come ho detto nel giuoco della Lampada, qual si faceva ad honor di Apolline,
di Volcano, di Minerva, et di Cerere, neli quali giuochi molti contenti di
morire passavano da questo secolo nell'altro gittandosi dalla cima di una
torre, il che Aristophane ne demostra in colui, che desiderava gire
all'inferno. Dunque per questo dovemo intendere per le fiaccole accese la morte
di colui, et sua immortalità e la sua bona memoria accesa al mondo et sparsa
con chiara fama, dando il luogo a gli Heredi.
[RFM doc. 118, DEG001,
LIG001]
PIRRO LIGORIO, Degli amanti disgratiati, in EIUSDEM, Silloge
antiquaria, Napoli, Biblioteca Nazionale, Ms. XIII.B.8.
[carta
80r.:]
Dentro di Roma, un trar di mano discosto la porta di san sebastiano,
dentro la vigna di Battista da Anagna fu trovata una picciola urna di marmo di
questa maniera come si vede disegnata ove sono due cupidini legati colle mani
de dietro in tronchi d'arbori: la quale è sepultura di quel Pomposidio
Vestispico, che forse morì per amore di qualch'una persona; o veramente vuole significare
a noi di non seguitare l'amori terreni: ma li celesti. o veramente, che ci
debbiamo riguardare dalli superchi appititi; o veramente che egli morendo
ha lasciati i lacci d'amore i quali lo tormentavano, e colla morte, egli ha
terminato e confinato amore perpetuamente come ristretto dalli legami mortali:
ma indubbitatamente ne vole significare qualche gran disgratia intervenuta
nelli effetti amorosi, che mentre colla pena de pensieri, che l'atterravano in
simili cupidità fu assalito da qualche accedente mortale, et egli come si
legato et astretto d'amore periculo non possendo scampare corse alla morte ,
come ad venne a molti Heroi, et nominandone qui qualch'uno si proverà la
disgratia di Pomposidio, e si farà comparatione consolatoria, sì come essendo
persona bassa a rispetto degli altri che morirono nel megliore che amavano
essendo Heroi; maggiormente, non si doveano dolere i parenti suoi di tal morte,
essendo toccata ad'altri anchora, come dicono, che combattendo Achille con
Penthesilea Regina bellissima e formosissima, egli con gran fatica restato
vincitore, volendole cavare le spoglie per farne tropheo, vidde la gran
bellezza di quella, non potè contenersi che non lacrimasse sopra il suo corpo,
nè potendola renvivare comandò ali Greci, che honorevolmente la portassero a
sepellire, et li dessero degna sepoltura come meritava il suo grado, et essendo
dato il carrico a Thersite, il quale era inimico occulto di Achille, come era
ancho di tutti gli huomini eccellenti, cominciò a calunniare Achille, dicendo
che così morta era giaciuto seco per amore che già li portava, il quale non
potendola haver viva per tema che lei non gli desse qualche colpo mortale al
fine la occise, et dopo morta con amare lacrime giacque seco carnalmente: la
onde Achille sdegnato incorse in errore, perchè non dignandosi di por mano alla
spada, gli diede un tal punzone che trasse via l'anima a Thersite. Altri si
dicono che Achille non per questa cagione usò tal atto: ma per che Thersite per
dispreggio di Achille cavò un occhio a Penthesilea, et Diomede parente di
Thersite risentito della morte di quello calco co piedi con inpito il corpo di
quella misera Regina che per amore grande si condusse a Troia che ella portava
al figlioli di priamo; et per peggio Diomede la gittò nel fiume scamandro, et
mentre queste cose si facevano venne una gran compagnia di donne amazone
guidate da Cleta nutrice di penthesilea, et colle navi divertiron [?] gli
oltraggi: et preso quel corpo, e non possendo ritornare dove desideravano
spente da venti contrarij nè possendo più drizzarsi al Thermodonte la patria
loro, arrivorono in Italia et appresso i confini di Crotoniati edificorono una
terra, che poi li vicini la ruinorono. Ma questo non è nulla a rispetto
dell'errore di Achille il quale mentre si credeva ottenere polisena per moglie
di cui ardea mirabilmente, fu colla saetta di paris occiso. Hippolito
anchora essendo amato da Phedra malvaggia matrigna fu ruinato dal padre e
lei se impiccò, o veramente s'occise. anchora l'historia di Narcisso
amando s'istesso s'annegò. et quella di Oebalide et Hyacinto, et quella
di Pytis, et Borea re di Sicilia, et quel amor di Croco famosa
dalli biondi capelli, et quella di Semele et Giove, la quale fu
fulminata per le prosuntuose dimande sue, et quella anchora di Coronis saettata
da Apolline amando un altro. et l'amor di Procis, verso di Cephalo, morta
da una punta di un bastone tirato accaso, credendosi cephalo ferir una fiera
percosse la pazza innamorata. guntante [?] anchora par che voglia dire il morto
pomposidio l'amor di Sappho, et di Phaone, la quale parendo far vendetta
dell'amante dispierato e crudo, si gittò nel mare, della quale si loda Lesbo
patria sua, et mirate quell'altra anchora di Liandro, et Herone; et
guardasi Eriphyde mesta et lacrimosa dall'infelice munile. Riguardisi il
strano et sviscerato amor di pasiphe la qual giacque col tauro infamia
di Minoe suo padre è fabula di Creta accompagnata con l'amorosa voglia di Ariadne
e di Phedra, l'una et l'altra amando Theseo, si tradirono. Lodisi pur Pyrramo
et Tysbe cruciati d'amore; et faccisi pur infelice le due Laudomie
scelerate in dui mariti che loro hebbono; cantisi pure l'infelicita amorosetta
bella Canace, et Elissa fabula di Sidone la quale di congiunse
con quella che l'haveva [carta 81r.:] generata, di notte ingannando quello che
l'haveva fatta donna, e cagion che il padre per lo suo dispierato pensiero
colla spada se stesso si trafisse il petto. et compagna di costì fu Myrra
iniqua e fella. e Myrsina fanciulla giocondissima per lo furor d'amanti,
et per invidia di Venere fu morta; come ancora palustra figliola di Mercurio.
et quell'altro pazzo d'Endimione che si credette che la luna lo portasse
in cielo. e in sparta non fu tormento d'amore Venere et Adone. e per
insino all'inferno si sentirono gli amori di proserpina e di plutone, et
quelli di Orpheo et Euridice. Et è pieno tutto lo Hellesponto, del
Lampsaceno dio, et sallo ancor Thebe per la fanciulla Lothos perseguitata dalla
libidenosa voglia di priapo. et quell'altra salmace col suo Ermaphrodito
in un corpo congiunti nel fonte. et sandolo anchora li due scylle l'una
tormentata da Glauco per la sua bellezza, et l'altra tormentata che per
amor di Minoe tradì il padre proprio et la patria insieme; e che piena fu
quella del'amore dolente di Alcione et Ceice [?]. et qual maggior pena
fu quella di philumena violata da Theseo, cagion della morte di
se stesso et del figlio et la moglie insieme. come ancora l'amor di Dianira
caggionò la morte d'Hercole suo marito che tanto l'amava. Non senza
causa dunque i Galli dipignevano amore cruciato, da diverse pene legato et
rispetto da catene et percosso da ogni sorte stimoli, et ardente facelle, sì
come lo dipigne Ausonio nella sua ecloga di cupido. la cui imagine veggiamo
sculpita in un'altra reliquia di sepultura la quale è fabricata in un angolo
del palazzo di Portogallo verso la piazza di San Lorenzo in Lucina presso la
porta del cortile. Ne vedemo un altro come se detto in altri luoghi delle
nostre antichità nelle mani del signor Alessandro Corvino di bronzo col capestro
al collo colle mani legate di dietro et li ferri ai piedi. et tra l'altre belle
cose che haveva il Molza dignissimo poeta de nostri giorni, intagliato in una
pietra lo quale amore da un philosopho era sforzatamente messo dentro una
Gabbia d'occelli; di maniera che questi simboli ne insegnasse la temperanza
dell'amore carnale, et trapassando più oltre che la modestia che s'appartiene
se cade in furore come fece Phille a septevie [?] che s'impiccò per amore. in
grave danno come fu l'amore di Tarpeia la quale amando Tito Tatio Re di Sabini
tradì [?] il padre, e per premio suo ne ricevè la morte. e Paris amando
troppo la voluttà per lo amore di Helena ruinò il padre i fratelli e la
patria insieme, Turno re per amor di Lavinia volse più tosto
morire che darsi pace e godersi il Regno; et quel che scrisse Virgilio
dell'Amor di Didone che s'occise con furore stemperatamente amando. come
anche fingono l'amore di Fauno, et Iole, et quello di Canente
et Pico, et quello di Egeria et Numa, et quell'altro di Ersilia
et Romolo non potendosi consolar della legge de la natura l'una in fonte et
l'altra alla morte corseti [?]. come quell'altra percossa dall'invidia de Erse
sua sorella divenne saxo, et solo il nome di Aglauros restò in viva
pietra. e quanti infelici amanti furono questi amando Circe, et Medea,
et la fabula di Ecco, et lo disshonesto amore di Tiresia, et
l'amore di Siringa, et Pan e quello d'Apollo et Daphne, et
l'Amor di Attis e di Cibelle, et l'amore di Rhodope et Emo et
quell'altri miseri che amavano Hippomene. e quello Iphi e Theletusa.
et quello di Galathea, e Acis, et quello di Poliphemo et la detta
donna; et quell'altro di Glauco et Cyrce la quale mentre quel dio
marino amava Scylla fu amato da Circe. come a quello anchora di Naxarete
nata di Teucro, la qual diventò saxo veggendo Iphi suo innamorato
appiccato alla porta della casa sua stessa divenne sasso.
[RFM doc. 120, DEL018, LIG001]
PIRRO LIGORIO, De le Gratie et di Amore et di Thetis, in EIUSDEM, Libro X
dell'Antichità, Napoli, Biblioteca Nazionale, Ms. XIII.B.3.
[carta 94v.:] [...]
Amor'non è un'solo, perchè dalle diverse passioni delle cose celeste,
con le terrene, et con quelle dell'animo, causano diverse maniere, di cupideni;
et in diverse forme et modi vanno considerati, perchè gli antichi philosophi
hanno visto che sono diverse le virtù sue donde è proceduto non esser'un solo
Amore, ma molti, et due principalmente furono posti da Platone, et due Venere,
l'una celeste con el celeste Amore, che è quel divino Amore, che solleva
l'animo humano alla contemplatione de Iddio delle menti separate, che noi
chiamiamo Agneli, et gli antichi intelligenze et demoni et potentie menistri
della divina sapienza. et sono li celesti spiriti che adornano il cielo, e
iddio lodano, et questo amor dunque vogliano che habita nel cielo, come scrive
Philostrato, dicendo che Amore celeste, il quale è uno, e se ne sta in cielo,
et quivi ha cura delle cose celesti; et è tutto puro, è mondo e sencerissimo, e
perciò fassi di corpo così giovane, tutto lucido, e bello, a cui hanno dato
l'ale per mostrare il rivolgimento, qual sanno gli animi humani mossi
dall'amoroso desiderio, al cielo et a quelle cose che quivi sono. come sanno
etiandio quelle pure menti, le quali sopra i cieli sono ordinate tutte secondo
i gradi loro, che si innalzano quanto più ponno alla vista di quella beata
faccia, che è fonte eterno di tutta la bellezza, la quale in diversi modi dalla
più alta parte del cielo manda i raggi suoi ad irritare, e provocar le cose
tutte perchè a lei si rivolgino, et queste sono le saette, e gli acuti strali,
che sovente scocca amor celestiale, che con lo suo lume si diffonde [?] per
tutto circolarmente insino al profondo dell'abisso feriscono, et chi considera
il suo corpo divino vede la purità sua nel cielo nel lucido corpo in cui è
composto d'eterna vita. Egli è alato per potere portar sospese per l'aere quei
corpi i quali per loro stessi non si potrebbono levare o reggere di sopra della
terra, et chi considera questo vede il sollevamento che fa Amore nei corpi
celesti, et degli animi nostri alle divine bellezze sì come per le saette si
può comprendere i raggi de la divina luce, la quale in mille modi ci viene a
ferire, perchè ci si voltiamo a lei, meravigliati [?] della bellezza sua non
stimiamo più le cose di quagiù, che quanto elle ci sono scale di sallire al
cielo si che intendevo per amore celeste non del vero amore fattor
dell'universo il quale sotto cotal nome era contemplato da alcuno et da pochi
conosciuto: per haver humano genere perduto gli occhi della mente et questo non
era conosciuto [carta 95r.:] se non per uno ignoto dio, il quale si fa
conoscere passando dal celeste segno in corpo humano et d'indi triomphante
della croce santissima ritorno all'unione divina. Del medesimo amore qual il
Petrarcha lo invoca, dicendo. Anchor' se questo a quel che tutto avanza, da
volar'sopra il ciel gli havea date l'ale, per le cose mortale, che son'schala
al fattor' chi ben l'estima. questo amor divino, ... splendente come un sole,
il qual sparge i raggi suoi per l'universo e si diletta ... ... corpi lucidi et
puri, et come un sol riscalda ovunque tocca.
Ma com'unque sia questa, verremo all'altro Amore, che ha in mano
l'accesa face per denotar l'ardente effetto con cui seguitiamo le cose amate
trahendone continuo sollazzo. perchè egli splende come dilettevole ai pensieri
e giocondo al vedere pena nell'essenzia, arde et abrugia in presenza, et perchè
fa male è noioso, e questo più si confà all'amor delle cose terrene, il qual ci
porge diletto, genera molto più dispiacere, per ciò che mai porge nè diletto nè
piacer'intero, et per un'solazzo s'han mille tormenti, il che si nota nella
face che egli porta sicome in quella è il splendore et il diletto della sua
chiarezza et la fiamma che consuma ardendo, così anche egli splende consuma et
arde. perciò dice Plutarcho che i pittori i scultori et i poeti, finsero, che
questo dio havesse sempre seco la facella accesa, perchè dal fuoco quel che
luce n'è dilettevole, ma quel che abbrugia poi è fuor di modo molesto. questo
chiamano amor brutto, che sempre percuote et tormenta, et lo fia figliuolo di
Vulcano et della terrena Venere, a come altri vogliono figliuol di Marte.
questo chiama Platone pieno di rivolgimento di lasciva humana et di
compiacimento, et mondana Venere sua madre donna terrena. questo fu cagione che
Giove e Apolline e Saturno commettessero tanti stupri et tanti adulterij, de
quali Hercole et Neptuno impirono il mondo di favolose et strane macchie,
questo fu cagione dell'infelicità di Biblyde [?] ... e della misera Philli, e
dell'incesto di tante donne greche, di Philira, di Corone, di Danae, di
Euriphile, d'Helena e dell'altre disgratiate diventate fiere. questo fu la
rovina di Lucretia e della gloria insieme e de la cacciata dei Re di Roma,
questo ancora fece pericolar'Antonio, Cleopatra, e Clodio. et l'afflitta
Ottavia la qual come dice Seneca l'error di ciechi, e miseri mortali, che per
coprir il suo stolto e van disio han fatto che Amor sia dio, il quale par che
in vista sia diletto, ma si gode dell'altrui mali. che egli habbia agli homeni
l'ale, le mani armate d'arco e di saette con breve face porti fiamme
all'universo le quale accende in ogni cosa il qual di Venere e di Vulcan sia
prole, e del ciel venghi il più sublime stato, vitio della mente insana, il
qual movendosi da proprio la ... scalda con una piacevol foco, l'ocio nutrisce
la lascivia humana pien di molti contrari hor incende hor'avampa hor pende ogni
sua forza, or si rinova, et [carta 95v.:] et va vincendo et perdendo ad un
tempo, sinchè penetra nelle medolla et l'ossa, et incenerisce et si rifredda,
et di nuovo la face nel cuor accende all'uno et l'altro ... e tanto
piacer'assale appoco appoco quanto in un tratto manda. ora havendo detto
dell'amor celeste et del terreno, è di necessità di dire di dui amori anche
terreni. l'uno come s'è detto ha la face et l'arco, l'altro, ha il scudo con
cui egli ripara i colpi, et in luogo d'arco porta tre strali da far i suoi
colpi ed ha sei ale, in testa nei piedi e nelle spalle, si come erano ambe dui
intagliati in una corniola. in un'altra era Amor che faceva seder un cane. et
l'altro amore era da un cane a guisa di cieco menato, in un'altra corniola era
Amore che sedeva pescando all'amo, assiso su un scoglio con una sportella di
pesci accanto, i quali seranni [?] gli amori, della terra e del mare, secondo
l'opre che loro fanno. i dui amori anchora discrive Ovidio, quando chiamò
Venere madre d'ambi gli amori, che l'uno è il gioco, e l'altro è il piacere,
overo l'uno è quel che fa amare, et l'altro corresponde in ambi gli amanti, si
pure perchè dui sono gli amori l'uno per li effetti honesti et l'altro per li
dissonesti: l'uno di questi si dice Herote e l'altro Anterote come
havemo detto più di sopra. Anterote fu trovato contra di quei che essendo amati
non amano; il qual nume punisce chi non ama essendo amato tanto nell'uno come
nell'altro sesso. l'uno nasce dalla Venere e l'altro dall'effetto Venereo.
Favolano che Venere essendogli nato Herote quello era sempre bambino: ne dimandò
consiglio all'oracolo di Themis cio è esaminò qual fusse la natura di questo
suo figliuolo, rispose che quel fanciullo stando solo non crescerebbe mai,
bisogna darle un fratello, acciochè l'amore fusse tra loro dui scambievole et
l'uno per l'altro crescerebbeno al suo giusto dovere. per questo oracolo Venere
partorì Anterote, nè fu questo così tosto nato, che'l primo cupido cominciò a
crescere, pose l'ale, caminò prestamente, l'uno tolse le saette in mano e la
face, et l'altro il scudo e la facella, che significa che l'amor non è mai
solo, e se solo e sarà picciolo bambino che comincia a veder un poco la luce.
ma quando è accompagnato l'operation sua cresce e si fa grande, per cui che
intendendo l'uno l'altro con le faci, l'uno tira le saette l'altro nel scudo le
raccoglie, che viene a dire che l'amor cresce quando è posto in persona che
medesimamente ami, e chi è amato deve del pari amare. Per questo gli Attici
nell'amor socratico e Platonico tenevano gli essempli degli reciprochi amori,
gli Atheniesi parimente e singularmente haveano gli altari a i due amori
consecrati. Presso gli Elei, in un sol luogo del gymnasio ci voglino dir nella
loro schola venivano le statue dell'uno et l'altro amore. acciochè si
ricordassero i giovani di non esser'ingrati contra chi gli amava. aciochè
amassero altri come altri l'amavano. questi due amori finsero che insieme
combattessero per levar la palma di mano l'uno all'altro, o vero che il ramo
della palma l'uno lo concedeva all'altro, e Anterote è quello, che più
[carta 96r.:] dimostrava con atto di affaticarsi, d'acquistar la palma di
Herote. Lattantio Firmiano usò una certa ironia contra gentili introdusse
Marco Tullio, col suo Pomponio Attico, come che per mottegiarlo del amore disse
che furono i Greci di grave consiglio, e di parere di molta audacia, a porre
davante agli occhi de i giovani ove si dovevano nelle cose virtuose essercitare
la imagine di cupidine. quasi che dubitasser'estino, che quella più tosto
potesse svegliare negli animi giovenili le lascivie, e i dishonesti piaceri,
quali dicevono gli antichi tutti vivere di Amore, che accenderli alla virtù: ma
i romani per vietar'tanta sfacciata ordinatione poseno nelle schole amor tra
Mercurio et Hercole, per demostrare che quivi non si doveva seguitare l'amor lascivo,
e dishonesto, ma quello che fosse ragionevole, e virtuoso, per che mostrava
Hercole la virtù, e Mercurio la ragione. per questo nelle intagli delle gemme
che si portavano per vedere e tener sempre nanzi agli occhi i virtuosi pensieri
sono pieni dell'imagine di Hercole o questo con l'amore, o l'Amore con
Mercurio, o Mercurio con Minerva. e nelli Theatri si mettevano et nei Gymnasij
gli huomini fortissimi per essempio commune, fatti di marmo e di bronzo, e vi
si locavano come per inalzare gli animi e non esser poltroni ma di fare [?] et
essercitare corpo e atti a ogni fatica, immortale, od anche si bene erano
simili essempi impublico dedicati e ordinati da gli huomini savij non perciò
mancarono degli abbusi e di porne anco di quelli che si bene aveano qualche
parte cattiva. Voleano che la migliore anche in queste necessarie lucesse
mettendovi l'essemplari di quei ch'erano forti de corpi, se bene erano
edacissimi o vogliamo dir gulosi et voracissimi mangiatori, i quali almeno
quella quantità di sostanze che devoravano se le vedevano nelle forze, tra i
quali furonon huomini heroici, athleti, poeti e pastori. de quali fu un numero
infinito, et molti nell'amor fertili. i quali nel vero furono più per la loro
prudenza sculpiti che per altro nei Theatri, nell'Amphiteatri, nell'Hyppodromo
o Cerci o Stadij come li vogliamo chiamare luoghi fabricati a rappresentar le
feste degli dei e honorar gli huomini di memoria degni: così questi nei luoghi
pubblici de Gymnasij o schole, dove s'essercitavano vivi, le cui imagini voleano
per insegnar l'essercitio loro alla posterità, sculpendogli, appresso a gli
amori, con li instrumenti con che s'essercitavano, e con li rami di palme,
signal della vittoria da loro acquistata e quei ch'erano tiratori del disco gli
ponevano il disco in mano, il quale era fatto in forma di piatto tondo e piano,
come poseno alla statua di Iacintho, e di Apolline quelli che haveano vinti gli
altri alla musica gli locavano presso la imagine di Orpheo e di Apollo e quegli
che haveano meglior degli altri saltato, havevano in mano gli altri [?], che
sono pesi di piombo, di tredici e di quindice libre di pesso per ciascuna mano,
anche si libravano e contrapesavano per meglio levar'il corpo e le piedi in
alto e così se contrapesavano nella motion del salto, o vero questi tali piombi
scambievolmente [carta 96v.:] li ponevano in terra con prestezza stando in
piede col flesso del corpo piegandosi hor con la man destra poneva dal lato
sinistro in terra, hor colla sinistra poneva al lato destro l'altra alteres [?]
così essercitavano e usavano il corpo a snodarsi e farse flessibile ad ogni
moto [...].
[carta 99r.:] [...]
Nella casa de Salviati verso piazza Agona si vede Amore appiè della
statua di Baccho, molto ben disposto. questo è per che Amore e Baccho sono dui
tipij [?] i quali usano grandissima violenza, che come dice Taxio Alexandrino,
che questi occupando l'anima, muovono altrui con furore a operar
sfacciatamente: questi infiammandola col solito fuoco: e questi ardendola con
l'occulta fiamma del vino, il quale è il nutrimento di Amore; per questo
anchora si vede Amore sculpito in alcune pietre che fanno la vendemia dell'uve,
per che l'uva s'intende baccho, e sono tale vendemie molto frequente
nell'antiche sculture. e nelle gemme è Amore col tirso di Baccho in spalla
accavallo a un lynce cane di Baccho, overo portano canestri o raspi d'uve. e
con essi va la Ebbrietà, che è una vecchia che difformamente camina con li
pandi vestita inordinati e sparsi, sacrificano a Baccho. il vino scuopre molto
l'amore, per che palesa chiunche ama nascostamente; e par [carta 99v.:] che
egli porta odio a chi non è sfacciato, come s'havessi da alcuno ricevuto
oltraggio così disgratiatamente fa a furore movere altrui, e fallo incorrere al
pericolo. di grave periglio.
[RFM doc. 121, DEL019,LIG001]
PIRRO LIGORIO, Della
Disperatione, et durezza, in EIUSDEM, Libro X dell'antichità, Napoli,
Biblioteca Nazionale, Ms. XIII.B.3.
[carta 109r.:]
DE LA DISPERATIONE, ET DUREZZA
La disperatione d'amore dipingono phille, che s'appiccò sua unpiedi
[?] amandola in cui ella si trasformò, la quale aspettando il suo Demophane che
sopra ogni altro suo pensiero amava sette volte venne in valugo detto le sette
vie, e non trovandolo si appiccò. il medesimo fece Iphi per amor di Naxarette,
la quale non volle mai consentire all'amor di cui l'amava. Iphi s'appiccò
all'uscio, e essendo mandato con l'essequie a sepellire Naxarete morsa dal
peccato diventò sasso. significante la sua durezza. Biblis mandò Cauno suo
fratello come dice Parrhenio, et seguendolo per tutto, s'appiccò sul fonte
detto Biblide, ove purgò la sua ostinata voglia non potendo ottener l'amor del
fratello. Fu disperatione anchor quello di Timagora e di Milete, il quale
amando svisceratamente Milete e non potendo avere quanto desiderava; e un
giorno havendolo scongiurato, che gli comandasse qualche cosa gli disse. vatti
a gitar da quel scoglio: Timagora dunque acceso dal desiderio, e dal
compiacimento della cruda dimanda: per uscir d'affanni: si gittò da quella
balza e s'uccise. la onde Milete congiunto dall'amor che quello gli portava
come cagion del suo male dalla medesima rupe si gittò: e dove furono sepulti
furono fatti dui altari, l'uno ad Herote, e l'altro ad Anterote, cioè
all'Amore, e al reciproco amore che resiste, del che avemo detto altrove.
[RFM doc. 122, DIP004, LIG001]
PIRRO LIGORIO, Di Priapo et di Iside et dell'Amore, in
EIUSDEM, Libro X dell'antichità, Napoli, Biblioteca Nazionale,
Ms.XIII.B.3.
[fol.300v.:] [...]
Non meno fu bella quest'altra invenzione dove sono da una parte il Dio
Priapo di forma di termine sull'altare rotondo, e dall'altra parte un tropheo
d'arme con due palme, e tra queste dette due imagini sono dui Amori, che
cominciano la lotta, afferrandosi con le mani alla larga ogni uno di essi in
guardia si sforzano di venire alle prese più ristrette, come che quegli ci
rappresentano, molte battaglie essere state fatte, e molte città dessolate e
vinte, e molte fabricate, e molte tradite infatto ci mostrano gli atti amorosi,
come che da lascivi pensieri combattono per acquistar'la palma dell'acquisto
d'ogni vincitore, impero che non è si fiero core, ne sì valoroso soldato, che
non venghi dalle passioni amorose vinti, e superati, e fatti humili e
smenticati d'ogni lor gloria. o pure che Amore acquista la palma nella sua
lotta nei tempi della guerra quando intalhor'i stupri vanno in volta. che i
capitani siano presi dal giogo d'Amore, e fatto di loro vittorie tropheo, è
cosa nota, vedasi tra troiani Paris, e tra i Greci Achille e Neoptolemo tutti
uccisi per le occasione de seguire i loro amori. chi distrusse il regno di suo
padre e la grandezza de i suoi fratelli, chi perde la vita e il stato insieme
dell'Aniani. Diomede vinse a Troia e la sua moglie lo cacciò dal regno
dell'Argivi. Hercole vinse tutti i mostri e il sfrenato amor di Deianira
inveleno lui. Iasone vinse il velo d'oro e Medea vinse lui, Ulisse tanto
savio gli fu pure offuscato il cervello dall'amor di Circe, ove perdè tutti i
suoi compagni pria che si partisse e scampasse dalle false lusinghe di quella
figliola del sole. Le cose dell'amore
hanno molti trophei e molti acquisti piantati nelle tragedie di innumerabili
signori de quali troppo sarebbe a raccontar di tutti loro: e per la potenza
grande di questi effetti gli antichi se industriano di far dell'essempi dele
memorie locali, per ricordar con le imagini tutte le cose [fol.301r.:] che sono
honorevoli a esseguire, tutti sono essempij morali. perciò fero sempre Marte
padre dell'armi preso dall'amore, e lo chiamarono vincitore, quando havea
allato congionta Venere detta da lui Martiale, per che intalhor'nelle guerre,
molti lascivamente fanno delle prede delle faccende amorose, o pure perchè la donna,
si sogioga con l'arme, e si tiene sotto custodia, o pure perchè si porta la
palma quando l'amore nudrisce il core di giovenili e valorosi pensieri,
perciochè pare chell'amore sia di vano pensiero e di vano dolore quando non
cerca di portarne la palma, ma senza vergogna del frutto, e per essi combatte
per far'una vaga vendetta di chiunque se le oppone. imperochè Amore è tale che
assale con le sue saette ne da spatio altrui a prender l'arme in sua difesa,
per che dall'altro assalto con l'ardente facella incende, e da poggio faticoso
e aspro il mena a farne stratio, e spoglia ogni corpo armato di valorose arme,
perciò i poeti dissero che gli Amori, spogliarono il cielo. tolseno l'arme a
gli dij, con questa loro mentione macchiarono il cielo di false oppenioni.
qual mirabile arte usò quell'altro che sulpì Amore, che havendo presi i suoi
strali et l'arco e appesegli a un piè di myrto, e preso per la mano il suo
fratello Anterote, che è il reciproco amore, che porta uno scudo in
braccio col specchio in mezzo, mostrano di correre a una meta per pigliar la
palma che è in uno termine di Priapo appoggiata, i quali par che demostrano la
fiera voglia, che la lussuria mena, e tira ad acquistar'la gloriosa insegna de
suoi fatti, e da parte è una donna legata, come sdegnosa, posta sotto l'albergo
di una capanna, tutta dolente per che al mondo sia essempio di non havere
libertate la quale l'ha ligata in quel luogo Diana. quasi mostrando, che se li
amori per lei corseno ad'acquistar'la palma, quella voglia dalla quale l'ha
ligata per lo mezzo della dea della castità, viene sforzata, con fatti liberi
non deve peccare, se non quanto che alla forza, come che l'osservanza della
pudicitia venghi come permessa dagli dei, e non dover esser per forza obligata,
ma liberamente ligarsi, et per essi legami si osserva pietosa vita verso la
buona fama, che fa l'anima tranquilla: perciochè l'angoscia de pensieri casti
sono un vincolo: che fa alli lussuriosi voltar'le spalle, e trapassare il duro
effetto. per ciò che altro è essere percossa dal strale amoroso, altro da
quello di non amare con lascivi effetti, come sono quei percossi dal strale di
piombo, e non dell' [fol.301v.:] aurate quadrella che accendono l'amore, e alle
fiamme lascive avampano: e quello ch'era anche bello in questo intaglio, erano
dui caproni, che insieme cozzavano, e due capre iacevano in terra riguardante
come ruminassero le contese de lor combattitori e vi si vedeva anco un cane, e
un pastore appoggiato a un bastone, le quai cose erano tutte in uno Acathe. in
un altro pareva che fusse sculpita la prima etate dell'huomo in una dolce
primavera, per che questo era un fanciullo quasi adolescente, con capelli
lunghi con le ale alle spalle, quali si dipigne Hiccaro, che è l'Amore di
quell'età quando è più bello, e più giocondo, il quale con un dardo in mano su
un prato di herbette segue un cervo, un altro Amor poi, più fanciullo bambino
di dietro con una facella lo siegue, e lo incende a furor lo voglia muovere, e
di lontano, è un tempietto con la dea Diana dentro. forse il che demostra
questo che Amore è tanto naturale e potente, che seguita nella gioventù anco
quei che sono de pensier casti, e molte volte sono da tal corso nanti [?] come
il cervo, che vola nel correre e per Amore s'arresta della sua leggiera
gagliardia. tanto che l'amore ai giovanetti, li muove a perseguitare le cose
sacrate alla castità, come è la cerva, che serva sempre il suo signore, perchè
la gioventù fa troppo altamente sperare nelli suoi acquisti, per che senza
sperimento alcuno non sa nè dove nè quando il suo termine dell'amorose passioni
habbino fine. e sempre pensa a cose di che Amore l'attizza, e il sprona, e
fatto un fallo incontenente ne siegue un altro: tanto che si consuma a poco a
poco s'invecchia e si dissecca del natural humore, e sempre per lo continuo
habbito, gli cresce la voglia.
[RFM doc. 34, EPI039, MOS001]
SIMONE MOSCHINO, [Epistola
a Ranuccio Farnese duca di Parma e Piacenza con la richiesta di pagare Achille
Turbati], Parma,
Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: nov.-dic.1594, cassetta 188.
Ser.mo Sig.re et patron mio Col.mo
Quando io mi parti da Parma per venire a servire Ill.mo Sig.re Card.le;
io domandai a V.A. se io dovevo fare pagare Achille Turbati al S.re Car:le et
V.A. mi disse che havrà pagato lei et io ho già detto al S.re Card:le et per
che il detto Achille mi solecita il quale si trova avere grandissimo di bisogno
per aiutare suo padre e madre umilmente supplico V. A. Ser.ma a farmi gratia
di ordinare alli sua ministri che debiano pagare la provisione che il detto
Achille avanza a Giulio Torbati suo fratello che è già quattro mesi che si
trova per simil causa a parma cio è dal mese di febraro per tuto setembre che
poi ha partito di qua et e andato a casa sua o vero V.A. io lo faro pagare al
Ill.mo Sig.re Car.le che esendosi il detto achile porto bene et avendo servito
et a cio () posi
tornare a servire la suplico a liberarmi di questo im pacio ()
et sapendo io che V.A. Ser.ma auto [c.1v.:] raguaglio de l opera mia dal S.re
oratio lina e per che adeso io mi trovo nelle fatiche delli studi e per potere
atendere con l?animo ()
riposato e non avere a pensare a daltro ()
che condurre a buon fine la in cominciata opera che piacia al S.re Idio che io
la conduci a perfezione conforme al merito del glor:mo et ser:mo Sig.re Duca
suo padre agiuntamente la suplico a farmi gratia di ordinare al S.re
governatore che spedisca la lite che o con il mirola acio io sia libero da
tanti travagli trovandomi io molto obligato ()
al Sig.re Dotore vago al quale suplica a V.A. a farli gratia duna ()
litera al Ill.mo Sig.re Car.le Rusticarecio [?] conforme al incluso memoriale
che il tuto attendo come spero da V.A. ser.ma le ne saro eternamente obligato
con che baciandoli le Ser.me mano.
Di Roma alli 27 di novembre 1594.
Di V.A. Ser.ma Humi.mo et Dev.mo Serv.re Simone Moschino.
[RFM doc. 27, EPI032, MUR005]
GASPARO MURTOLA, [Epistola
a Ranuccio I Farnese duca di Parma e Piacenza con le felicitazioni per le sue
nozze con Margherita Aldobrandini e l'offerta di alcune canzoni composte per
l'occasione],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano estero: Roma, 1600, cassetta
414.
Sereniss.mo Sig.r mio
La venuta di vostra Altezza sereniss.ma a Roma, e le nozze sue, mi
hanno dato occasione di rinovare con questo piccolo segno, la servitù, che il
Sig.r Gio. Battista Maineri mio zio havea con la bona memoria del Ill.mo Signor
Cardinal farnese, e si come esso è morto servitor di casa sua, et Aio dell'Ill.mo
Sig.r Cardinale suo fra[te]llo, così vengo a supplicar vostra Altezza
sereniss.ma a tener questa Protettione di me, che ha havuto la sereniss.ma casa
sua di lui e dove per se stesse queste mie Canzoni sono di poco valore
per la debolezza d'Auttore non dubito che col favor di vostra Altezza non
habbiano da mutar natura, e le bacio le mani
di Roma li 12 di febraro 1600.
Di Vostra Altezza Sereniss.ma
Humiliss.mo e devotiss.mo servitore
Gasparo Murtola
Al Sereniss.mo Sig.r e P.ron mio Col.mo Il S.r Duca di Parma, e di
Piacenza. Castro.
[RFM doc. 63, EPI067, ORS002]
FULVIO ORSINI, [Epistola
al cardinale Alessandro Farnese con varie comunicazioni e un cenno all'
"historia per le due camere" ideata per Caprarola],
Parma, Biblioteca Palatina, Carteggio del cardinale Alessandro Farnese,
cassetta 105.
Ill.mo & R.mo S.re
Ho consegnato al Guardarobba i libri che V.S. Ill.ma desidera nella
nota mandatami dal Gambara: & molti altri ancora quali ho giudicato possino
servire a V.S. Ill.ma q.sta estate. Io
ho atteso fin qui a sbrigarmi del servitio di Giugno, del q.le non è mai solito
farsene gratia et finito questo, sperarò col favore fattomi da V.S. Ill.ma et
con q.llo che tutta via mi promette il Car.le Colonna, haver grazia
dell'estivo, non ostante la difficultà ultimamente fatta dall'ormanetto [: sic]
al S.r Giulio Monacho in una cosa simile. del che chiarito che sarò fra due
giorni, verrò, piacendo a Dio, a Caprarola, et portarò meco, l'historia per le
due cam.re che V.S. Ill.ma commanda alla q.le humiliss.te bacio le mani.
da Roma a xxviij di Giugno 1570
Di V.S. Ill.ma et R.ma
Humiliss.o Ser.re fulvio orsino
[RFM doc. 66,
EPI070, ORS002]
FULVIO ORSINI, [Epistola al cardinale Alessandro Farnese con
notizie su marmi di scavo e con un cenno alla Chiesa del Gesù in Roma],
Parma, Biblioteca Palatina, Carteggio del cardinale Alessandro Farnese,
cassetta 105.
Ill.mo &
R.mo S.re
Il mandato
delli danari per M. Alessio Cipriani sera rinchiuso in q.sta, nel quale io ho
fatto lasciare in bianco la quantità, acciocchè V.S. Ill.ma possa mettervi
q.lla che piacerà a lei honde stimi, come io le dissi, scudi 150 delli due
fauni, et dell'Hermaphrodito, che fu mandato al Duca di Savoia. et altri scudi
150 dalle colon[n]e, et scudi 60, della conca: ancorche delle due colon[n]e
dice Isac haverne portate al Palazo scudi 300 p. il Card.le Cosimo, et 100 p.
la conca. V.S. Ill.ma si risolse
darne 200 d'ogni cosa insieme, et tanto m'è parso ricordarle. il mandato s'è fatto
diretto a me, perche M. Alessio desidera, per un suo rispetto, ricevere a nome
di dono q.llo che V.S. li darà per la conca e le colonne, et a nome di
pagamento, q.llo che per li fauni & Hermaphrodito però parendo a V.S.
Ill.ma farle q.ta gra., potrà, piacendole, ordinare a me che io li doni a nome
di V.S. Ill.ma scudi 125 per la conca e le colon[n]e; et scudi 75, per li fauni
& Hermaphrodito, gli dia per pag.to.
Il libro
dell'epigram[m]i fra due giorni sarà finito, et subito ligato si mandarà a V.S.
Ill.ma col Principio che mi lasciò in nota.
S'è mandato a
M. Viviano un'Hygino, con certa carta di segni celesti, che li ho scritto
debbia riporre nello studio di V.S. Ill.ma servito che se ne sarà.
Con quel m.o
Gio.ni Ant.o che fu proposto a V.S. Ill.ma per la cosmographia [carta 1v.:], ho
parlato di nuovo con persuaderlo a contentarsi della provisione honesta. &
parmi honesto ridutto che verrà ogni volta che V.S. Ill.ma si risolverà, con li
dodeci scudi il mese & le spese, o vero dodeci, senza spese, come pare che
più si contenti.
Perche V.S.
Ill.ma mi com[m]andò che io dovessi pigliare cura più particolare delle l.re
per l'inscrittioni del Giesù, cercai un'impronta dell'OSSA AGRIPPINAE, che
avevo fatto fare con diligenza molt'anni sono p. Monsig. Ant.o Augustino. &
riscontrai infatti che la copia che n'havevano quei Padri, che vidde V.S.
Ill.ma, non era ben fatta. perciochè riscontrate in presenza con ciascuna l.ra
insieme, ve si trovò differenza grande dal bono al malo. feci poi paragonar
q.ste med.e l.re con q.lle della colon[n]a Traiana, con q.lle del Palatino, di
Cesare, & d'altri, et tutte parvero anco a M. Thomaso, che non
s'accostassero di gran lunga alla bontà di q.ste; delle q.li feci fare un
alphabeto, et un cartone dell'ALEXANDER per vedere come riuscivano in opra.
& parve al med.o ms. Thomaso che riuscisseno beniss.o et che non ne si
potesse desiderare altro, eccetto che nell'A. l'offendeva q.lla quadratura,
come invero non è da piacere. hora V.S. Ill.ma potrà vedere l'impronta stessa,
che io le mando a effetto, acioche possa risolverse, et darmi ordine che le
l.re si comincino a intagliare, che hormai [carta 2r.:] è tempo. et piacendole
q.sta forma, mutato l'A, et alcune cosette di giuditio d'esso M. Thomaso, la
supplico rimandarmi q.st'originale quanto prima. con che humiliss.te le bacio
le mani.
Da Roma a
xxviii di Giugno 1574
Di V.S. Ill.ma
& R.ma
Questi p.ri del
Giesù mi fanno sapere che hanno trovato alcuni marmi in casa di V.S. Ill.ma che
seranno buoni per il scudo del Giesù, ma che per haverli, vi bisogna la
com[m]issione di V.S. Ill.ma et per i putti che s'hanno da fare, mi dicono
haver trovato un pezzo di marmo a proposito, quale però bisogna comprarlo da
scarpellino che n'è p.rone, et se n'aspetta la licenza di V.S. Ill.ma.
Humiliss.o
Ser.re ful.o or.no [:FULVIO ORSINO]
All'Ill.mo
& R.mo S.or mio col.mo Il S.or Car.le Farnese a Cap.la [:Caprarola].
[RFM doc. 64, EPI068, ORS002]
FULVIO ORSINI, [Epistola
al cardinale Alessandro Farnese per la commissione di un lavoro ad un artista], Parma, Biblioteca
Palatina, Carteggio del cardinale Alessandro Farnese, cassetta 105.
M.o Antonio orefice da Faenza mi dice che q.l Fiamingo che doveva
fare la coverta dell'officio di don Giulio è per andare a Siena, dove starà
q.lche tempo, et che sarà necess.o se V.S. Ill.ma non lo retiene, capitare in
mani di Bartholomeo da Turino, che sarà lunghissima pratica: Con che
humiliss.te bacio le mani di V.S. Ill.ma
da Roma a xvij di Aprile 1577
di V.S. Ill.ma e R.ma obligatiss.o Ser.re Ful.o Ors.no
[RFM doc. 65, EPI069, ORS002]
FULVIO ORSINI, [Epistola
al cardinale Alessandro Farnese per i lavori dello studiolo],
Parma, Biblioteca Palatina, Carteggio del cardinale Alessandro Farnese,
cassetta 105.
Ill.mo & R.mo S.r mio col.mo
Mando a V.S. Ill.ma il scritto fatto con M.o flaminio sop. il studiolo,
q.le io scrissi a V.S. Ill.ma che s'era ridotto a legno solamente di noce,
acciocchè'l m.o si contentasse delli s.di 300, & perchè nella l.ra di V.S.
Ill.ma non era espressa q.ta conditione, mi è parso replicarla, & insieme
mandarle l'obligo , accioche piacendole, si degni ordinare che me sia
rimandato, insieme con l'ordine delli s.di 500, q.li per q.sta volta si pagano
anticipati per supplire alla p.visione che s'è fatta di legno bello, et
stagionato che è q.to m'occorre dirle in q.ta, nella quale humiliss.te bacio le
mani di V.S. Ill.ma.
Da Roma a xxix d'Ag.to 1578
Di V.S. Ill.ma et R.ma obligatiss.o Ser.re Ful.o orsino
[:FULVIO ORSINO]
[Senza destinatario]
[RFM doc. 21, EPI026, ORS002]
FULVIO ORSINI, [Epistola al cardinale Odoardo Farnese sul restauro
di alcune statue antiche], Parma, Archivio di
Stato, Carteggio farnesiano estero: Roma, 1592-1594, b. 410.
Ill.mo et R.mo S. mio Col.mo
Per dar conto a V.S. Ill.ma di quel che si fa della restauratione
del fiume di casa, le dico in questa, come trovo molta carestia di huomini,
che siano a proposito, perchè li proposti da M. Gio.Battista nostro a me non
piaceno punto, et Hippolito, del quale altre volte ho ragionato con V.S. Ill.ma
di presente è occupato con il S.or Cardinal Sforza, et dui altri, che mi
piaceriano, l'uno è longo d'operationi; l'altro è molto bizzarro, et è quello
che restaurò la Venere comprata dal Duca Cesarini.
In tanto attendo a far finire li piedistalli, accioche V.S. Ill.ma
trovi messo in opera almeno l'uno de'fiumi, cioè quello del Cesarini, se non si
potrà l'altro così presto.
Il S.or Carlo Cremona non credo che averà il giardino, perchè
ci vuole una clausula nell'istrumento che il Duca non la concederà, et
rompendosi la prattica, il giardino sarà del S.or Alessandro de Sanguini, col
quale s'era prima trattato, et sborsarà di contanti scudi tre millia alla fine
di questo mese, per tal compra. Il
sud.o S.or Aless.o per compiacere al S.or Card.e Sforza, che desiderava la statua
di Meleagro, o vero d'Adone, secondo altri (il che io non credo
perchè non somiglia) ha pagato la d.a statua cento cinquanta scudi, et
ottenutela con molta difficoltà, per essere in un nicchio nel giardino da
basso, dove era il fiume, et donatela al S.or Card.le Sforza. Nel resto il Duca è faciliss.o nel
concedere tutto quello, che se li chiede in vendita, nel che io non ho cosa,
che mi prema, fuori di quelli due Colossi, che sono bella cosa,
et rara, quando pero se potessero havere per prezzo conveniente.
Et con questo fine bacio humiliss.te le mani di V.S. Ill.ma.
Da Roma, li 22 di Settembre 1592.
Di V.S. Ill.ma et Rev.ma
fedeliss.o Ser.re Ful.o Ur.no [: Fulvio Orsini]
[P.S.:] Il Car.le Montalto mi
ha detto q.ta matina haver per le mani una testa di Hadr.o
[:Adriano] che se ne chiede cento scudi, et mi ha fatto istanza perche la veda.
All'Ill.mo et R.mo S.or mio Col.mo
il Sig.r Cardinal Farnese.
Parma
[:card.Odoardo Farnese].
[RFM doc.22, EPI027, ORS022]
FULVIO ORSINI, [Epistola al duca Ranuccio I Farnese circa
l'acquisto di medaglie antiche], Parma, Archivio di
Stato, Carteggio farnesiano estero: Roma 1592-1594, cassetta 410.
Ser.mo Sig.r et p.rone mio Col.mo
Pensavo con questa poter dire a V.A. Ser.ma d'haver fatto il bisogno
completam.te per conto delle medaglie, che me scrive; ma ritrovo tanta
difficoltà in complere il numero, che desidera, con haver riguardo che le cose
siano buone, et il prezzo non sia eccessivo, che a pena a quest'hora ho messo
insieme la metà di esse med.e et queste poche non altrimente che con sfiorare
quattro, o cinque concerti, che sono al p[rese]nte in vendita.
Con tutto ciò spero che la settimana seguente, haverò messo ogni cosa
insieme, et s'io non m'inganno, con sodisfattione di V.A. Ser.ma et di quel
S.re ancora, a chi lei disegna di mandarle, perche io pretendo principalm.te
che le medaglie siano buone, et che nel prezzo si faccia il maggiore sparmio,
che si può.
Il che mi è parso intanto dire a V.A. Ser.ma alla quale
humilissimam.te bacio le mani; et prego da Dio ogni contento.
Da Roma, li xvii di luglio MDXCIIII
[: 17 luglio 1594].
Di V.A. Ser.ma Humiliss.mo Ser.re
Ful.o Orsino.
[:Fulvio Orsini]
[Indirizzata al Duca di Parma e Piacenza, Parma].
[RFM doc.23, EPI028,ORS002]
FULVIO ORSINI, [Epistola a Ranuccio Farnese duca di Parma e
Piacenza circa l'acquisto di medaglie antiche], Parma, Archivio di
Stato, Carteggio farnesiano estero: Roma 1592-1594, cassetta 410.
Ser.mo Sig.r mio Col.mo
Finalmente ho messo insieme le quattro dozzine di
medaglie, che V.A. Ser.ma commanda, cioè doi dozzine di medaglie grandi, et
altre dui di medaglie mezzane. Se
tutte si fossero potute haver grande, e che fossero state buone, l'haveria
prese volentieri con spendere la somma delli 400 scudi. Ma delle grandi non ho potuto haverne di
più, che doi dozzine, et queste con grandissimo mio stento, havendo con ogni
diligenza scielto [sic] il fiore di cinq. concerti. In queste doi dozzine di grandi ve ne sono quattro, che vaglieno
cento s.di. Nelle doi dozzine di
mezzane ve ne sono sei, che vaglieno s.di 50.
Tutte insieme si sono pagate 270 s.di delle quali si mandarà nota a V.A.
Ser.ma insieme con le medaglie istesse.
Io non mi sono curato di medaglioni, perchè il prezzo loro è molto alto,
et quando se ne fossero messi sei insieme, il che sarebbe stato impossibile,
bisognava pagarli almeno 200 s.di. Dui
solamente si sarebbero havuti con 60 s.di
Ma così poco numero non concertava bene con l'altro. Se pure lei li vorrà, si farà opera
d'haverli. Ma a me pare che queste
quattro dozzino bastino, certificandola che'l dono haverà rispetto così al
termino a quo, come a quello, ad quem.
Ancorchè io creda che quel S.re non sia intelligente a bastanza delle
conditioni, che si richiedeno nelle medaglie, che sono principalm.te la
sincerità, et bontà di esse.
Altro non ho da dire a V.A. Ser.ma se non che a me sarà sempre
singolariss.o favore d'esser commandato da lei, alla quale humilissimam.te
bacio le manj, et prego da Dio ogni contento.
Da Roma li 27 di luglio 1594.
Di V.A. Ser.ma Humiliss.o Ser.re
Ful.o Orsino [: Fulvio Orsino]
[Al Duca di Parma e Piacenza Ranuccio I Farnese]
[RFM doc. 24,
EPI029, ORS002]
FULVIO ORSINI, [Epistola a Ranuccio I Farnese duca di Parma
e Piacenza circa la conclusione della pratica per l'acquisto di medaglie
antiche e la consegna delle stesse], Parma, Archivio di
Stato, Carteggio farnesiano estero: Roma 1592-1594, cassetta 410.
Ser.mo Sig.r
mio Col.mo
Ho consegnato al sig.r Adonia
Salvi agente di V.A. Ser.ma una scatola con quattro carte di medaglie di
bronzo, due di 24 medaglie grandi, et due di altrettante medaglie mezzane, che
fanno il numero in tutto di 48 medaglie, essendone poste 12 per carta, nelle
quali tutte si sono spesi 270 s.di et quel poco di più che si sono pagati
alcuni cerchi, et taffetà cremisini.
Et per che con le medaglie viene la nota di esse, non replicarò altro a
V.A. Ser.ma se non che queste sono le migliori, che io ho potuto havere, poi
che non ho voluto medaglie, che non fossero sincere, et che non havessero
sospitione alcuna di ritoccamento.
Quanto poi alla valuta di esse, potrà credere V.A. Ser.ma che quattro
delle grandi, et sei delle mezzane vagliano poco meno del denaro, che s'è speso
in tutte. Percioche un Vitellio col
rovescio delle cinq. figure, che è nello studio di casa simile a questo, che se
le manda, fu pagato già scudi 60 et l'altro Vitellio col MARS VICTOR è stimato
scudi 25 et altrettanto il Calligola col rovescio delle tre sorelle. La medaglia di Aelio medesimam.te è di gran
stima per la rarità del suo rovescio delle tre sorelle. La medaglia di Aelio medesimam.te è di gran
stima per la rarità del suo rovescio, et conservatione. Nelle medaglie mezzane vi sono quattro
Domitiani col rovescio delli Ludi secolari, che uno solam.te di essi è stimato
25 s.di oltre il Vitellio mezzano, che è stimato s.di 12, et alcune altre, che
sono tutte notabili. S'io haverò
satisfatto a V.A. Ser.ma in questo suo commandam.to haverò conseguito il fine,
che è stato di servirla, come farò sempre in tutto quello, che lei si degnerà
commandarme. Con che facendo fine le
bacio humiliss.te le manj, et le prego da Dio ogni contento.
Da Roma li 12
d'Ottobre 1594.
Di V.A. Ser.ma
Humiliss.o Ser.re
Ful.o Orsino
[Indirizzata al
Duca di Parma e Piacenza. Parma]
[RFM doc.123, EPI081,ORS002]
FULVIO ORSINI, [ Epistola ad
Ulisse Aldrovandi sull'iconografia di Plinio ],
in ULISSE ALDROVANDI, Observationes,
Bologna, Biblioteca Universtaria, Manoscritti Aldrovandi, ms. 124, vol. 136,
tomo 27.
[fol. 99v.:]
Ex l.ris Ill.ris D. Fulvij
Ursini.
Romae datis die 27 iunij
1598.
Di Plinio non ho veduto imagine alcuna, et mi piace quel, che il sig.r
Velli dice, che in luogo suo si potesse mettere, ma molto più mi piaceria la
figura, che si trova in un marmore senza testa, che alli piedi tiene una
cassetta di libri; et manderone il disegno a V.S. se lei vuole, al quale si
potria supplire una testa imaginata, come fece Asinio Pollione alla statua
d'Omero.
Et forsi chi cercasse, si potrebbe trovare qualche luce dell'effigie
sua appresso gli scrittori.
[RFM doc. 124, EPI002, ORS002]
FULVIO ORSINI, [Epistola ad
Ulisse Aldrovandi ancora sull'iconografia di Plinio],
in ULISSE ALDROVANDI, Observationes,
Bologna, Biblioteca Universitaria, Manoscritti Aldrovandi, Ms. 124, vol. 136,
tomo 27.
[fol. 127r.:]
Ex l.ris Ill.is D. Fulvij
Ursini.
Romae datis die 22 iulij
1598.
Nel resto credo, che il torso di Roma sarà p. molto a proposito, o con
la veste vera, o con l'immaginata.
[RFM doc. 125, EPI083, ORS002]
FULVIO ORSINI, [Epistola ad
Ulisse Aldrovandi con la quale si scusa per aver perduto il disegno del
ritratto di Plinio], in ULISSE ALDROVANDI, Observationes, Bologna, Bilbioteca Universitaria, Manoscritti Aldrovandi, Ms.
124, vol. 136, tomo 27.
[fol. 127r.:]
Ex eiusd. l.ris
ibid. datis die 8 Augusti
1598.
Io non so, che folletto m'habbia levato dinanzi il disegno della
figura, che doveva servire per il libro di V.S. per Plinio.
Et dovendo V.S. haverne bisogno p. tutto questo mese, et io non
ritrovandolo p. molta diligenza, che ho usata nel cercarlo, prego V.S. che si
serva del disegno della figura, che li dirà il sig. Veli, che è nel mio libro
delle immagini, che è tutta simile a quest'altra, che non ritrovo, dalla casset
[fol. 127v.:] ta de libri in poi, et certo motto, che mostrava d'esser
iurisconsulto et così la cosa passerà beniss.o.
Intanto escusi questa mia disgratia di non poterla servire, come
desidero.
[RFM doc. 33, EPI038, ORS005]
ALESSANDRO ORSO, [Epistola
al Conte Cosimo Masi con la quale chiede di acquistare alcune pitture per suo
conto in Fiandra],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: luglio - agosto 1594,
cassetta 186.
Molto Ill.re S.r mio oss.mo
Con l'occ.ne del p[rese]nte Simone Baccalari di S.A. che se ne viene
in Fiandra per suoi affari, per tornarsene qua al solito suo serv.tio espedito
che sia, ho voluto basciar le mani a V.S. come vengo a far con q[ue]sta,
ricordandomele il solito ser.re, et racc[omanda]re alla sua protett[io]ne il
p[redet]to in q[ue]l che li potesse accadere d'haver bisogno della
protett[io]ne sua, che restarò a V.S. con part.re obligo di quanto si degnarà
di fare a benef[iti]o del p[redett]o, per amor mio.
Un cattaro stravagante mi ha posto in necessità di pigliar la china,
nella qual purga che ho finita a punto hoggi sono stato sino a quaranta di, è
stato causa, ch'io mi sia dato a veder delle Pitture, et intrato in humor di
esse, imperò, con la confidenza ch'io so di poter haver nell'amorevolezza di
V.S., la supp.co a farmi g[rat]ia, se a sorte li da alle mani alcuna cosa di
pittura che sia buona, di farla comprare a nome mio, che gli rimetterò sub[it]o
il costo, et le sarò oblig.mo del favore, et mi saria anco car.mo di poter
haver q[ua]lche cosa di colui che lavora così bene di Piuma [...].
Di Parma li xi luglio 1594.
[Non è firmata. Il mittente
si ricava dalla nota coeva della cancelleria ad uso d'inventario]
Al molto Ill.re Sig.r mio oss.mo Ill.s.or Conte Cosimo Masi a Brussels.
[RFM doc.35, EPI040, ORS005]
ALESSANDRO ORSO, [Epistola
a Cosimo Masi con la quale chiede di dare informazioni ad Enrico Farnese per la
biografia del duca Alessandro Farnese],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: nov.- dic. 1594,
cassetta 188.
Molto Ill. S. mio oss.mo
Il s.r Duca ser.mo m'ha comandato, ch'io invij a V.S. l'alligata
l[ette]ra scrittali dal S. Dottore Enrico Farnese Eburone, Questi è uno, che
vuole scrivere l'historia del ser.mo S.r Duca di glo: me:
()
et ricerca l'informatione che V.S. potrà vedere. Onde dice S.A. ()
ch'ella veda, che satisfatt[io]ne se gli può dare, et ne avvisi, con rimettere
la l[ette]ra r[icevu]ta perchè se gli possa rispondere, dò a V.S. il buon anno
nuovo, q[u]ale le prego da Dio feliciss[im]o con molt'altri appresso, et le
bascio le mani.
Di Parma l'ult.o di x.bre 1594.
Di V.S. M.Ill. Aff.mo Ser.re
Aless.ro Orso
Al molt'Ill.re sig.or mio oss.mo Ill.e Conte Cosimo Masi a Parma.
[RFM doc. 47 EPI052, PAN006]
MUZIO PANSA, [Epistola al
Vescovo Picedi perchè ottenga un'udienza per suo fratello presso il cardinale
Odoardo Farnese],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: aprile - giugno 1596,
n.195.
La gentilezza sua, alla quale restai infinitamente
obligato nel mio Dottorato a Roma, mi spinge a valermi anco di essa in un'altra
occ[asio]ne. Mando mio fra[te]llo per
far dono all'Ill.mo card. Odoardo Farnese co[m]mune Padrone di una operetta in
verso, che contiene in parte le lodi e glorie sue.
Supplico V.S. vogli far si che detto mio fratello sia am[m]esso
all'audienza di q[ue]llo Ill.mo e che per mezo del favor suo venghi dal card.le
con buono ochio rimirato. so quanto
può, e quanto vale. Nel resto detto
mio fratello compirà a bocca con V.S. R.ma con la q.le grandeme[n]te mi alegro
della sua Promot.ne al Vescovato (come me vien riferito) pregola però di ciò a
darmi più certo raguaglio, accioche più sicuramente ne possa godere e
ralegrarmi. Mandoli un di detti volumi
perche nell'hore di recreatione possi passar tempo con esso. Torno a suplicarla vogli favorire, aiutare,
e ricomandare il d:o mio fr[ate]llo a q[ue]llo Ill.mo con che li fo riverenza
p[re]gando Dio N. Sig.re tuttavia l'esalti a magior grado
da Chieti lì 23 di maggio 96
Di V.S. m. Ill.e e R.ma
Ser.re aff.mo Mutio Pansa
Al m.to Ill.re e R.mo e P[adro]ne oss.mo
Mons. r Papirio Picedi. Roma
[RFM doc. 4, EPI012, PER005]
ANTOINE PERRENOT Cardinale di Granvelle, [ Epistola a Fulvio Orsini
con la richiesta di tradurre alcuni frammenti di Polibio ], Città del Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana,Vat. Lat. 4104, fol. 205 r.
[...] Io veram.te non haverei osato conoscendo la sua compless.ne,
altre fatiche che l'occupano et la poca inclinatione che ha al tradurre,
chiederli che s'occupasse in tradurmi quelli fragmenti di Polibio, et per
questo mi sono voltato al Gobbio, perchè me ne facci una traduttione alla
grossa come fece del Nonno ()
per il Gambaro (),
bastandomi a me di vedere il senso [...]
[RFM doc.26,
EPI031,PIC008]
GIO. PICCIONI, [Epistola a Ranuccio I Farnese duca di Parma
e Piacenza con le felicitazioni per il suo matrimonio con Margherita
Aldobrandini e l'offerta di un madrigale composto per l'occasione], Parma,
Archivio di Stato, Carteggio farnesiano estero: Roma 1599, cassetta 413.
Serenissimo
Signore.
Era pubblico il
grido che S.A.S.ma dovendo essere a Roma con l'occasione delle gloriosissime
sue Nozze passasse per Orvieto; ond'io per rinovare la sincerissima servitù,
ch'io ho tenuto coll'Ill.mo Cardinal Farnese, già felice memoria, e con tutta
la Ser.ma sua casa, havevo fatto il presente Madrigale, picciol segno
della mia professione, et havevo intentione io istesso con ogni dovuta umiltà
presentarlo a S.A.S., ma poichè (per mia mala fortuna) è successo diverso da
quello che mi pensavo, q.le lo invio nell'inclusa, e la suplico, con tutto
l'affetto del core, ad accettarlo, non guardando alla bassezza del dono, ma
alla grandezza dell'animo col quale glielo porgo, e gli resto humilissimo
servitore.
Di Orvieto il
di 28 di x.bre 1599
Humilissimo, e
Devotissimo Servitore.
Gio: Piccioni
Organista del Duomo d'Orvieto.
[indirizzata a
Ranuccio Farnese duca di Parma e Piacenza]
[RFM doc. 55, EPI061]
I QUARANTA di Bologna, [ Epistola a Ranuccio I Farnese duca di
Parma e Piacenza con la notizia della conferma della licenza concessa al dottor
Gallesi di recarsi ad insegnare a don Duarte ], Parma,
Archivio di Stato, Carteggio farnesiano estero: Bologna 1578-1600, cassetta
194.
Ser.mo Sig.r n.ro oss.mo
Habbiamo approvata, et per
leggittimo partito confirmata molto volentieri la licenza che'l sig.or
Alberto Albergati Conf.re n.ro di Giust.a diede li giorni passati al Dott.re
Gallesi di venire a servire per tutto il mese che viene all'Ecc.mo s.or D.
Duarte secondo in tutto che fossimo ricercati dall'Alt.a V.ra Ser.ma per
sua l.ra, et in conformità dalli ss.ri Camillo Paleotti et Fabio Albergati,
sendoci stata tal occ.ne gratiss. per poterle dare alc.o segno, et de gli
infiniti oblighi che conserviamo verso quella Ser.ma casa et della singolare
osservanza, et divotione che portiamo alla part.re persona di V.ra Alt.a, la
quale humilm.te supplichiamo a continuare, per benignità sua, di favorire col
commandare liberam.te che ce le offeriamo hora per sempre prontissimi;
basciandole con vero affetto et qualonque termine di riverenza le mani.
Di Bol.a [: Bologna] l'ult:o
di Aprile MDXC
Dell'Alt.a V.ra Ser.ma Devotiss.
Ser.ri
li Quaranta del Reg.to
Al Ser.mo sig.re et p.ron
n.ro Col.mo
Il S.or Prence di Parma
[RFM doc. 69, EPI072, RIV003]
BARTOLOMEO RIVA, [Epistola
a Benedetto Baistrocchi con la richiesta del disegno del Po],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: aprile - maggio
1600, cassetta 217.
Al mag.co S.r mio oss.mo
V.S. mi facia gratia mandarmi per il p.sente il Disegno del Po, e
tenghi la p.sente, per la receputa et le bacio le mani
di casa li 14 Aprile 1600
Di V.S. M. M.ca
S.re Bartolomeo Riva.
Al M. M.co S.r mio oss.mo
Il S.r Bened.o Baistrocchi.
[RFM doc. 54, EPI060, SCO002]
ETTORE SCOTTI, [Epistola a Ranuccio I Farnese duca di Parma
e Piacenza con il disegno della Chiesa della cittadella e la richiesta di
istruzioni in proposito],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: set. - ott. 1596,
cassetta 197.
Ser.mo s.r e pad[ron] mio
col.mo
Si manda a V.A. S. il dissegno
de la chiesa di cittadella, sopra'l quale si degnarà di far presta
risolutione, a ciò sopr'agionti da i cattivi te[m]pi no[n] restiamo impediti di
poter far alciar la muraglia sopra la quale, va imposta la loggia ch[e] s'ha da
far[e] verso la porta, e si co[m]e sa V.A. a la qual bascia[n]do la mano faccio
riverenza co[n] pregarle da Dio ogni contento.
di Piac.a [: Piacenza] a li 9
di 7bre [:settembre] 1596.
di V.A. Humiliss.o et aff.mo
ser.re Hettor Scotto
[RFM doc. 58, EPI063, TAR001]
LUCA TARDEGLIERI, [Epistola
al cardinale Odoardo Farnese con la quale comunica l'avvenuta discussione delle
proprie osservazioni filosofiche nell'Accademia degl'Innominati di Parma], Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: maggio -
luglio 1599, cassetta 211.
Ill.mo et Re.mo S.r et pron
mio Col.mo
Poiche non ho potuto haver ventura d'esser favorito della
desideratiss.a presenza di V.S. Ill.ma nel difendere le mie conclusioni di
filosofia già a lei dedicate, ho giudicato debito mio di darle parte,
almeno per lettere, si come fo humiliss.e con questa della difesa loro, la
quale fu fatta da me hieri l'altro, giorno della solennità di S. Antonio da Padova,
in questa Academia de ss.ri Innominati, con molto gusto, et qualche lode
mia, non già per valor mio, ma si bene per esser difese sotto l'alto, et
feliciss.o nome di V.S. Ill.ma et per esservi stato presente il Ser.mo S.r Duca
mio S.re () quale
in ciò si è degnato favorirmi con tanta benignità, quanto è suo solito, et io
mi potessi desiderare.
Restami di supplicare V.S. Ill.ma come fò con ogni divotione, che sì
come non sdegnò di accettare le d.e mie conclusioni, così sia servita hora di
gradire questa riverente dimonstratione della fede, et divotione mia verso di
lei, facendomi degno della gratia sua, et di accettarmi, et tenermi sempre per
ser.re suo fedeliss:o Il quale procurerò con ogni studio di non demeritarmi
questa mercede, che desidero sopra tutte le cose del Mondo. Et per fine prego N.S.re gli dia ogni
felicità, et contento.
Di Parma il di 15 giugno 1599.
Di V.S. Ill.ma Ser.re Humiliss.o et divotiss.o Luca
Tardeglieri
All'Ill.mo et R.mo Sig.re mio sempre Col.mo Il S.r Cardinale Farnese a
Roma.
[RFM doc. 130, PAR008,
TOR001]
POMPONIO TORELLI, Parafrasi nell'etica di Aristotele, Città del Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1336.
[Libro 1, cap. 3, carta 21:]
[...] il giovane non sarà uditor accommodato alla disciplina civile,
perch'è rozzo dell'attioni della vita, et da queste si tirano le ragioni, et di
queste si concludono. oltra di ciò indarno, e senza frutto udirà seguend'egli
le perturbationi; non essendo il fine di quest'arte la cognitione, ma sì ben
l'operatione: ma in ciò non è alcuna differenza, ch'altri sia giovene o d'età,
o di costumi simili a gioveni, percioch'il diffetto non consiste nel tempo,
[carta 22:] ma nell'essere soggetto nella vita alle perturbationi, et che
l'huomo si lasci guidare da esse, nel seguir ciò, ch'egli segue; perchè a
tali , non altrimenti, ch'agl'incontinenti giova niente il cognoscere ma bene
apportarà grand'utilità a quelli, che sottopongono ogni loro appetito alla ragione,
et operano con la scorta d'essa. [...] consideriamo le ragioni d'Aristotele
contro a i giovani, che si riducono a doi, la prima si fonda su l'inesperienza
della vita; ma a quest'è facile il rimedio con l'historie, che possono fare,
ch'il giovene habbi vivuto molt'anni, la second'è il dominio delle
perturbationi; le quali se sono naturali a giovani, non veggio il maggior
rimedio, ch'aiutarlo con l'intelletto, che [carta 23:] se non farà, ch'egli
incontinente non sia, lo levarà almeno dal precipitio dell'intemperanza, et
con mostrargli la malitia delle perturbationi, et come si possono moderare,
non veggio ch'egli in ciò non possa migliorare. ma il farlo eguale a i vecchi,
che si lasciano guidare dalle perturbationi potrebbe far qualche difficoltà,
poichè molto più eradicate saranno ne i vecchi tai perturbationi, et dove i
gioveni cangiano spesso voglie, i vecchi persistendo fanno l'habito più
facilmente nel male [...].
[Libro 2, cap. 5, carta 28:]
Ma temp'è che ritorniamo onde ci siamo partiti; perciochè non senza ragione pare, che si stimi il
sommo bene, et la felicità, misurandola col modo del vivere. Il volgo certamente, et quelli, che sono
più importuni, et strascinati dalle loro voglie, et de gl'altri stimano, che'l
piacere, al quale si sono tottalmente dati, sia il sommo bene, et perciò amano
la vita piena di lusso; et nella quale non si cerchi, se non quello che
s'accost'al senso et particolarmente a quello del tatto, che seco tira il gusto
[carta 29:] come si vedrà. Perciochè sono tre sorti di vivere, che vite
chiameremo ch'all'altre sono superiori nella stima, che se ne fa; quella,
ch'habbiamo nominato pur hora, e la civile, e la contemplativa, ch'è la terza.
et tale la pone Arist. perchè è meno conosciuta, e manco dell'altre stimata;
con tutto che sola comprenda il vero, e sommo bene, et perciò pone primo
quella, che, com'è inferiore, così è stimata da più dicendo. Il volgo certo
pare simile a uno schiavo amando la vita delle bestie, et lasciatosi incatenare
dal piacere: ma ha una sola ragione, che lo sostenta, et è l'essempio de
grandi, ch'hanno il potere, et governano gl'altri, et vivono a guisa di
sardanapallo. Ove chiaramente dimostra
il filosofo, che non la potenza, o la grandezza; ma il modo del vivere, leva i
Prencipi, e gran potentati dal numero del volgo; perchè s'essi viveranno
sepolti nelle delitie, dati solamente alla crapola, al gioco, et a piaceri
carnali; et ch'in quest'habbiano post'il so fine, et solament'in essi co'l
pensiero s'acquistano, non saranno differenti da [carta 30:] qualunque
caverniero per grandi, et sublimi di stato, et di ricchezze, ch'essi si siano.
Questa vita non riprova egli con ragione, perchè già chi vive in essa ha
abbandonata la ragione, et vive solo del senso. Ma si potrebbe con l'istesso
suo fine facilmente confutare; perchè discorda da se stessa, et si procura cose
contrarie a quel fine, che s'ha proposto; poichè volendo il piacere del senso
con le crapule et altri piaceri, trabbocca in mille dispiaceri di doglie, di
stomaco, di debolezze di membri, et altre infirmità. Oltra che procedendo co'l
desiderio in infinito, è sempre bisognosa, et per consequenza infelice [...].
[Libro 1, cap. 5, carta 52:]
[...] si sopporrà, che Dio, et la mente siano lontani da ogni macchia
[carta 53:] d'affetto, della quale per il contagio corpo vediamo imbrattarsi
l'anima, havendosi dunque l'anima, impara a congiungersi con Dio, converrà
prima purgarla dall'eccesso dell'affetti, et ciò si farà con le virtù morali,
nelle quali, et nella felicità attiva, ch'è l'ultimo lor fine, converremo con
Aristotele; ma queste seranno mezzi a più sublimi virtù, ch'Aristotele forse
chiamò heroiche, noi virtù d'animo purgato nomineremo; per questo
l'anima non solamente s'adopera bene intorno le passioni, ma disprezza ogni
fondamento loro, et s'eleva a le forme intellegibili, co'l lume, delle quali,
quasi terso, et ben polito specchio, si volgea bene astratto, dal quale viene
fecondata d'ogni piacere, et colmata di salda, et vera felicità quest'ultimo
fine appartiene alla più sublime scienza, che sapienza vien detta [...]
[Libro 2, cap. 1, carta 120:]
Ma essendo la virtù di due sorti, cioè l'intellettiva, et la morale,
l'intellettiva certo per lo più nasce dalla dottrina, et con l'istessa dottrina
cresce; per il che ha bisogno d'esperienza, et di tempo; ma la morale
s'acquista con l'assuefarsi, onde ha meritato un nome tale. Onde si cognosce
chiaramente, che nissuna virtù ci è data dalla natura. Perciochè non vi è cosa
naturale che si possa assuefare a far altrimenti di quello che fa per l'ordinario;
come la pietra alla quale conviene per natura l'andare all'ingiù, già mai
s'assuefarà d'andar in su per prova [...]. Non si generano dunque le virtù
in noi per natura, ne meno nascono fuori del corso naturale; ma per natura
siamo atti all'acquisto loro, et poscia l'acquistiamo con l'assuefarci, et p.
questo stesso uso diveniamo p. esse perfetti.
[Libro 2, cap. 5, carta 151:]
[...] Chiamo affetti la cuppidiggia, l'ira, il timore, la confidenza,
l'invidia, l'allegrezza, l'amicitia, l'odio, il desiderio, l'emulatione, la
misericordia, e tutte quelle, che sono accompagnate dal piacere, o dal dolore;
perchè, o siano veri affetti, o vero a gl'affetti, o come cagioni, o come
effetti, o come proprietà si riducono.
[Libro 4, cap. 13, carta 546:]
[...] i putti, et le bestie hanno certi abiti naturali, co'quali
giovano, et nocciono; ma lo fanno senz'alcun'aiuto dell'intelletto. et come un
corpo robustissimo, al quale manchi l'uso della vista, quale leggiadramente ci
viene da poeti dipinto, il Polifemo, o l'orco, non ostante l'estrema possa,
conviene, ch'erri nei movimenti suoi, non accertando l'offesa per diffetto
degl'occhi, così in questo caso occorre. ma se questa virtù naturale riceverà
la vista dalla mente, ch'è l'occhio interno, farà le sue attioni perfette, et
molto diverse da quelle di prima. Et all'hora quell'habito, che solo haveva la
somiglianza della virtù, si farà virtù vera, et perfetta.
[RFM doc. 20, SET002,
TOR004]
TIBERIO TORRICELLA, Le tre canzoni in morte del Ser.mo
Duca Alessandro Farnese, Parma, Biblioteca
Palatina, Ms.Parm.306.
[carta 24r.:] [...]
In te risorse un figlio,
Che'l bel ceruleo Giglio
Inalzò al par de l'Aquila reale;
Ch'al Sol, ch'eterno splende altera sale;
E desir valse in te novo destare d'ergere il trionfale
Vessillo, u'Febo scalda, u' bagna il mare [...]
Settima canzone.
In morte del Ser.mo Duca Alessandro Farnese
[carte 40r. e segg.]
[carta 41r.:]
Sorgea cinta di rose in Oriente
L'amica di Titone, e l'auree stelle
Impallidiansi a l'apparir del giorno:
E rivestendo lor sembianze belle
Le Valli, e i colli, fea terrena gente
A l'opere interposte homai ritorno;
Quando l'Heroe ch'adorno ()
Ha d'ostro il tergo, e'l crine,
E in rosso tinge il bel ceruleo Giglio,
D'Alessandro immortal mortale figlio,
Chiuse sue luci al fine
In placida quiete.
Con fronda asperso nel licor di Lete;
E mentre cerca racquetare il moto
De l'affannosa mente, e del pensiero,
Repente un Cavaliero ()
Con celesti arme, e con sembiante ignoto,
sceso dal più remoto
Cerchio del Ciel si mostra a lui, che giace,
Quinci, e quindi avventando aurata face [carta 41v.:].
Corruscante ha di rai la real chioma,
Che chioma assembra in Ciel di Berenice
O d'Arriana l'immortal Corona:
Tal già, (Se'l vero a noi la fama dice)
Lui fra stelle mirò l'antica Roma,
Ch'a gli Augusti Cesareo il nome dona:
Tal, quando Giove tuona,
Appar di fiamma cinto,
E di foco splendente a mille a mille
Van sfolgorando lucide faville
Quinci al suo lume estinto
Quel de l'Aurora scolorarsi vede
Come a luce maggior la minor cede,
E per l'aria scorrendo aureo baleno
Del divin volto a gli amorosi lampi,
Par, ch'ella accesa avampi,
E con nembi di fiori il ciel sereno
Lieto ammanti il terreno.
E già par d'essi il gran Guerriero asperso
E in lui per meraviglia il Sol converso [...]
REPERTORIO DELLE FONTI A STAMPA
[RFS doc. 62, SYM003,
BOC002]
ACHILLE BOCCHI, Symbolicarum
Quaestionum...libri quinque, Bologna,
1574.
[pag.160, libro 3, simbolo 75:]
OMNIA CUI CEDUNT DIVINO CEDAT AMORI
[pag.161:]
PAN VICTUS A CUPIDINE IN LUCTA CADIT
Te quoque Pan ovium custos dignissime, Amori
Luctando quondam succubuisse ferunt.
Nec tibi profuerunt ridenti cornua fronte,
Barbaque Phoebea lampade splendidior
Non illa astriferum referens tua Nebrys olympum,
Non calamis septem fistula disparibus.
Non dextra gestasse pedum, quo cuncta gubernas,
Nempe tuum est mundi totius
imperium.
Ergo si tantum numen tu cedis Amori,
Ecquis erit nostrum cedere quem pigeat?
Victore
a summo vinci victoria summa est,
Testis
naturae es maximus ipse parens.
[RFS doc. 91, FIL005, CAM005]
RIDOLFO
CAMPEGGI, Il Filarmindo favola pastorale,
Bologna, 1605.
[Commento del Coro alla fine del
secondo atto, pag.89:]
CHORO
Goda furtivo Amante
De' suoi lunghi martir frutto
soave,
Con dubbio cor tremante,
Ch'in mezo del gioir sospira, e
pave.
Ad un soffiar del vento, [pag.90:]
Al moto d'una fronde,
Privo d'ogni ardimento
Ei fugge, o si nasconde,
Che teme: onde al timor l'anima
avvezza,
Prova pena, e dolor, più che
dolcezza.
Habbia i frutti amorosi
Di leggitimo ardor Giovane
ardente,
Che i suoi dolci riposi
Già non può disturbar la tema
algente;
Spiri il vento, e respiri,
Scotansi pur le foglie,
Ch'allhor baci, e sospiri,
E parolette ei coglie
Da una soave bocca, e sol
l'accora,
Che finisca il gioir, fuggendo
l'hora,
Hor tu cieco Tiranno,
Che a l'alme il foco atrocemente
avventi,
Talhor con doppio affanno
Appassionato seno, empio,
tormenti.
Ama il misero, e teme,
Teme, dubbioso, ed ama,
E mancando la speme,
Via più cresce la brama;
Così schernisce, e così crucia un
core, [pag.91:]
Ne l'amoroso Agon l'ingiusto
Amore.
Ma tu, puro desire,
Refrigerio a l'ardor, conforto a
l'alma,
Condisci quel gioire,
Ch'è d'honesto pugnar pudica
palma;
O ritrosetti inviti, Dolci, e care
contese,
O sdegni saporiti,
Soavissime offese,
Voi, voi mostrate al senso guasto,
Che non è dolce Amor, se non è
casto.
Adunque il varco chiuda
A lascivo pensier ragion
feroce,
E da la mente escluda
Quel rio piacer, che in
dilettando, nuoce.
Serri pur gli occhi a i guardi,
L'orecchie, e il core a i prieghi,
Che sono acuti dardi,
E ripregato, nieghi,
Così al vincerà, ch'a un saldo
petto
E spesso Amore un'impotente
affetto.
Chi superar diffida
Il domator del Mondo, habbia almen
questo,
Che piangere non suol, chi ha fine
honesto.
[RFS doc. 37, RAG002, CON004]
LUCA CONTILE, Ragionamento di L.
C. sopra la proprietà delle imprese con le particolari de gli Academici
Affidati et con le interpretationi et croniche,
Pavia, 1574.
[pag. 50: Incisione con un paesaggio notturno, cielo stellato e la
Luna. In alto la scritta: "ILLUMINATIO MEA", in basso:
"ENDIMIONE"]
Questa notte con la Luna è
Impresa di Filippo Binaschi, onde egli tragge la similitudine de'suoi
pensieri, i quali sono volti alla contemplatione sì per la buona dispositione
dell'animo suo, sì ancora perchè la vita sensibile non lo impedisce, imperciò
che nella età sua giovenile per infirmità rimase cieco, onde egli suol dire quel
medesimo, che dir soleva Democrito, cioè che'l lume visivo è di grande
impedimento alla contemplatione delle cose divine, però essendo questo
Academico di tal lume privo è in cotale stato molto più atto a contemplare che
quando haveva il lume, per questo si tolse la notte per Impresa, alla quale
diede per anima questo Motto cioè ILLUMINATIO MEA volendo inferire, che la
privazione del lume del corpo è l'habito del Lume dell'anima sua tutta rivolta
alle meditationi, e perciò che ne i suoi poetici componimenti celebra (a
tutto suo potere) gli alti e chiarissimi honori delle singolari bellezze del
corpo e dell'anima di che a Dio piacque d'ornare l'Illustre e virtuosissima
signora Alda Torella lunati, però di questa nuova Luna alludendo al cognome del
marito di così celebrata signora, virtuosamente innamorato il Binaschi, prese
per cognome academico ENDIMIONE il quale poeticamente dicono esser stato
l'innamorato della Luna.
[?]
[pag. 64]
[Impresa incisa con fanciulla vergine e liocorno ed il cartiglio
"SIC VIRTUTIS AMOR". Tabella con: "INVAGHITO". Dimensioni
dell'incisione: mm.166 x 115 (h)].
Il liocorno in grembo a una fanciulla
vergine la quale sedendo sta appoggiata ad un faggio è impresa di Carlo Angelo
Ghiringhelli Pavese, questo Mirabile Animale è tenuto che sia inventione, e
non vero nè naturale, imperciochè niuno scrittore antico, o moderno lo pone
nella natura delle cose, e molte ragioni si potrebbero addurre che sia cosa
finta e simulata, ma veramente maravigliosa e stupenda e degna d'alta e immortale
consideratione ma, o che sia, o che non sia, dovendosi dar la colpa al difetto
dell'huomo il quale d'infinite cose che naturalmente sono egli con tutte le sue
fatiche ne sa solamente una piccola particella, però in vero non si può negare
chel Liocorno sia, nè confermar che sia. universalmente lo dipingono così,
quasi a somiglianza in parte di Leone e però dalla maggior parte è chiamato in
cotal guisa.
Con tutto ciò bella vaga e regolata impresa è questa donde questo
honorato Academico tragge somiglianza imitando, o la natura, o la favola e
prendendosi la figura humana per mistica rappresenta la virtù universale, alla
quale lo stesso Academico Ghiringhello a guisa di Liocorno, si muove per
giacerle in grembo, il cui celeste odore, lo vivifica tutto, e forse per
openione d'alcuni huomini d'alta intelligentia, quella mirabil virtù del corno
contra i veleni, procede dal medesimo odore della virginità e nettezza della
carne dello steso animale, & vero che l'odore della virginità è solamente
celeste, onde il corno assicura dal veleno tutte l'acque. L'Arbore poi
che è il faggio è stato di bella conformità con l'animo di di sudetto
Academico, imperciochè per quanto Plinio scrive, e Teofrasto; ha il faggio
l'ombra sotto la quale niuno animal velenoso si pone, anzi li rami e le
fronde difendono ogni altro animale da velenosi morsi, sì che la virtù del
corno e quella del Faggio convengono con la sincerità di questo vertuoso
Academico, promettendo egli di non rimoversi da questa somiglianza, usando
confermamente il presente Motto cioè SIC VIRTUTIS AMOR parimente si è
voluto nella Academia chiamare l'INVAGHITO con ciò sia che la vaghezza che
viene da somigliante virtù, sia vera e certa tranquillità dell'huomo.
[RFS doc. 15, EPI007, DAT001]
GIOVANNI D'ATTENNIS, Epistola ai
lettori,
in SCIPIONE DI MANZANO, Aci favola marina,
Venezia, G. B. Ciotti, 1600.
[fol.3r.:]
A'Lettori
Questa favola dell'Illustre Signor Scipione di Manzano, non è stata nè
corretta, nè revista da lui, essendo piacciuto a Dio di chiamarlo a sè mentre
disegnava di farlo: Et perchè la stampa s'è cavata dalla prima sua mano, si
sono scoperti in essa notati in margine, come per memoriale di molto, che
doveva andarvi aggiungendo, infiniti nobilissimi concetti, dai quali sarebbe
stata maravigliosamente illustrata, oltre molti altri, che per la stretta
amicitia, & conversation mia con lui a bocca m'haveva communicati: si come
anche l'havrebbe limata, & polita in tutte le sue parti conforme ai precetti
dell'arte. Il che si potrà giudicare che non gli sarebbe stato malagevole
dall'eccellenza de'suoi discorsi poetici, ch'in breve usciranno alla luce.
Io solamente ho voluto mettere qui sotto alcune memorie principali,
che concernono il compimento dell'opera, la quale & dalle sue memorie,
& dalla sua bocca posso affermare che nell'animo suo haveva formata con
ogni perfettione: & sì come haveva introdotto il Choro nell'atto primo a
trattare dell'amore, potenza, & origine sua; & come dispensi le sue
fiamme, & accendi nell'acque; così nel secondo voleva che ragionasse
dell'Amor Divino, come la bellezza mondana è ombra di quella divina, & come
il perfetto amante, per mezzo di questa mortale, perviene al godimento di
quella celeste. Nel terzo, dell'amor ferino, & quanto sia biasmevole. Nel
quarto, dell'amor coniugale, delle sue dolcezze, & come in lui
congiuntamente stanno amore, & Cupidine [fol.3v.:]. Nel quinto voleva un
madrigale, che mostrasse l'amor di Dio verso le creature, & come l'homo per
mezo dell'amor di lui si trasformi in Dio. Il prologo della favola da lui
non era approvato; e disegnava d'introdurvi l'anima del mondo, che lo facesse,
per aver campo di poter discorrere della presente grandezza di questa
Serenissima Republica sotto il velo dell'idee Platoniche, & lodar il
Senato, & la nobiltà Venetiana tutta, alla presenza della quale haveva
deliberato di farla recitare. Et perchè alla conclusione di detta Favola si
scuopre manifesto diffetto, ho voluto aggiunger quelle parole istesse, che
dall'autor medesimo sono notate dove finisce.
Et
sono queste: « Seguiti, & si parangoni al Cielo. Si dica che l'universalità
del governo sarà simile all'anima del mondo, & si mettano in prova gli
effetti dell'una & dell'altra. Il governo dei ministri particolari alla
mente Angelica; e quello del Prencipe, alla prima cagione, ch'è Dio. Onde si fa
quel circolo Platonico, che tutte le cose escono da un fonte, & ritornano
in quello. Da che si provi la perpetuità della Rep.Venetiana ». Nel resto non
ho voluto accumular altro, bastando questo in quanto alla perfettione
dell'opera, & potendo ognuno da se medesimo, persauadersi il modo, col
quale haverebbe trattato quello, che manca, & adornato quello, ch'appare.
Giovanni d'Attennis Dott.
[RFS doc. 4, DEP004,
FAR004]
ENRICO FARNESE, De Perfecto Principe ad Clementem VIII
apophtegmata Card. P.Aldobrandini in quibus
ars imperandi tenetur inclusa ab Henrico Farnesio Eburone... Pavia, Andrea Viani,
1600.
[Prefazione dell'autore; carta a 3 r.:]
Quod semper cum Antiquissima Aldobrandinorum Domo creverit religio, in qua ars,
arxque; omnis fundata est Imperij, ad Praestantissimum Religione, & Pietate
Cardinalem P. Aldobrandinum Henricus Farnesius Heburo.
[carte c 2 r. - c 3 v.; carta c 2 r.:] [...] Est igitur, & Belli,
& pacis magistra, atque domina Aldobrandinorum domus, quae ius &
scriptum, & non scriptum tuetur summa religione auctum, & cumulatum.
Quid a viris gloriae eius monimenta requiram, cum elucescant etiam in foeminis?
Testis est una instar omnium Margarita Ioannis Francisci Aldobrandini filia
Invictissimi Ducis Ranutii coniunx integerrima. Necquis quam est tam tardi
& hebetis ingenij, qui ex oris eius figura, non possit omnia regiae
virtutis pigmenta recognoscere. Quemadmodum enim Socrates, a Diotima fatidica
instructus norat statim, ex cuiusque indole, qui essent mores animi, &
sensus intimi: ita nemo est, in quo mica modo sit salis, qui [carta c 2 v.:]
Margaritam cum intueatur, non sentiat continentiae, modestiae ac summae
virtutis exemplar se intueri. Virtus enim omnis in eius indole, tanquam in
picta tabula, suis lineamentis ita est expressa, ut eos omnes a quibus
cernitur, ad gloriam videatur virtutis amore accendere. Quare sicuti
quod honestum est, corpore simul sit & animo, ita in oris eius figura
spectanda, non solum adhibendi sunt oculi, sed etiam iudicium.
Quocirca non possunt Amplissimo Principi Ranutio Farnesio, non
felices, & beatae esse eius nuptiae, quae non magis sunt Matrimonii
foedere, quam virtutum omnium societate coniunctae. Nam sicuti in uxore, formae venustas, omnium virtutum
comitatu tenetur stipata: ita in viro summa prudentia, cum pari corporis
dignitate spectatur coniuncta. quid enim altere petam ? animadverto ex eo
sacrosancto Matrimonio, non solum Italiam: sed etiam Europam omnem gestire
laetitia. Etenim Principum matrimonia non solum affinitates, in coniunctione:
sed etiam in imperio, pacis, & concordiae arctissima quaeque habent
vincula. Atque si Matrimonij interventu inter Mortales, non solum inveteratae
intermoriuntur inimicitiae: sed etiam iura amicitiae concitantur eaquae vix
ulla dirimi possint iniuria: quaenam ex faustissimo hoc Matrimonio perpetuo
futura est, & Hispaniae, & Germaniae, & Italiae seges, &
materia concordiae ? Margarita Austria Ranutii Avia Germania obses est: Rex
Philippus II Avunculus Alexandri Farnesi, Hispaniarum [carta c 3 r.:]
arctissimum nunc etiam foedus cum Italia constringit benevolentiae: Rex
Gallorum Henricus II Horatii Farnesii Castri Duci Socer, firmamenta affinitatis
reliquit.
Nihil est igitur hoc matrimonium, nisi veluti quoddam plurimarum
regionum vinculum summo amoris foedere constrictum. Res est Antiquis exemplorum testimonijs aperta.
Etenim nisi Raptae Virgines Sabinae coniugio fuissent placatae, connubijque
iura, parentum animos reddidissent tranquillos, & quietos, actum omnino
erat de re Romana ex quo intellegimus odij flammam non solum restingui
matrimonio: sed etiam accendi mutui
amoris ardore, & benevolentiae. Qua re nemo est qui, si pacis publicae,
& concordiae gustum, sensumque modo habet, non totus iam, pro
auspicacissimis his nuptijs, gestiat laetitia. At que ut illa omittam: is est
Ranutius Farnesius, qui religione: gratia: veritate: observantia: pietate,
atque usu, & experientia rerum tractandarum tantum valet, ut nihil unquam
fuerit in sapientissimo Principe, tam gloriosum, et admirabile, cuius per omnes
gentes, non efferatur gloria, & laudibus. Nam sicuti res est admirabilis
Salamandra, quae non solum, non uritur in igne, sed etiam ignis restinguit
incendium: ita ille demum vere temperans est, & integer, qui in ardore
iuventutis, nulla flagrat cupiditate, qui in ipso aestu aetatis, faces omnes
restingui voluptatis: qui appetitus domat ratione: qui sensum, qui impetus
omnes frenat consilio: qui denique ita sui habet imperium, ut rerum omnium
simul videatur habere ob [carta c 3 v.:] sequium: quod omne,eo praeclarum est
magis, quo gloriosus est voluptate abstinere, quam frui.
[RFS doc. 20, DES001,
FAR004]
ENRICO FARNESE, De Simulacro
Reipublicae sive de imaginibus politicae et oeconomicae, Pavia, Girolamo
Bartoli, 1593
[libro
3,fol.89v.:]
De simulacro Pacis et
Concordiae. Panegiricus Octavus. Cuius capita haec sunt:
1 Quod.Ro.Farnesiorum insigne verum
exemplo sit Pacis & concordiae.
2
Encomium pacis.
3 Paradoxa de pace disputantium.
4
Hieroglyphicum pacis.
5
Ritus Antiquorum de pace,
6
Quaedam de pace exemplorum testimonia.
Etsi res est salutaris, Odoarde Farnesi,
Cardinalis genere et virtute Amplissime, oleum: id tamen nec infestorum genus,
quod male sentit: nec planta, quae non perfecte vivit, ferre ullo modo potest. Itaque
hoc naturae documento instructus, solo interdum in aequo etiam, & bono
agere timide. Nam si qui sunt, qui multi sunt, qui nec bene vivunt & male
sentiunt, ij quae recta sunt, fere stomachantur omnia. Non enim ijs videtur quid, quoniam
equus est placere: sed quia placet, aequum esse. quid igitur ? in primo rei ingressu, rem omnem ad Heroes
defero, ut si quid placeat, id alijs sine culpa, non possit displicere. In
eoque nunc formicae volo imitari solertiam, quae ut umbilicum grani excedit, ne
germinet, sic modo ex hominum linguis, quas mihi praesidio comparo, studeo, tui
generis gloriam adumbrando, germen tollere petulantiae. Nam cum Regiae tuae
familiae splendorem, caeteri mor [fol.90r.:] tales suspiciunt cum admiratione:
tum mei maiores, qui ei multis ante saeculis, numquam cessarunt eam omni
honore, & gloria in coelum tollere. Tanta quippe olim, tamquam admirabilis
fuit in tuo genere, veterum etiam Farnesiorum virtus, ut non solum Italiam, sed
etiam Galliam implerint suo nomine & fama. quid inquam nomine & fama ?
imo summa singularique virtute et gloria. Nam quingentis iam ante annis, in
Ducatu Borboniensi, ut dictitabant maiores mei, oppidum extruxerunt, quod a
Farnesijs etiamnum fornes Galli corrupto vocant nomine: quod ad haec fere
tempora semper fuit in Farnesiorum ditione. Nam Jacobus Farnesius fuit oppidi
eius Heros & Dominos, cuius sum Nepos, ex eius filio Jacobo I.C. &
Curiae Leodiensis advocato, Leodij natus.
Nec id dico, ut hoc
dicam, sed at intelligas omnes meos maiores nexu & mancipio, summo tuo
generi semper fuisse deditus vetustis enim, puto, temporibus tanta fide
probitate, officiorumque sedulitate Farnesijs suam navarunt operam, ut tandem
penes eos nomen remanserit Farnesiorum. Neque enim Ciceronis a Cicero: neque
Lentuli a lente iccirco olim sunt dicti, quod hortum haberent ex eo leguminum
genere: sed quoniam toti erant in eo colendo legumine, leguminis eius nomen meruerunt
habere. Itaque nisi maiorum meorum velim esse dissimillimus, non possum operam,
industriam ac laborem denique omnem meum ad te, regiamque tuam familiam non
deferre.
Huc me Margaritae ab
Austriae aviae tuae summa erga patrem meum, dum Bruxellis egit, urgent merita:
hunc invictissimi Ducis Octavii avi tui, in omnes meos parentes, vocat
beneficentia: Huc denique puerum me impullit Girardi Grousbech Episcopi &
Cardinalis Leodiensis, qui Pauli III fuit a Cubiculo, [fol.90v.:] frequens
exortatio: quam ut omittam, ea sunt tui generis lilia, quae cum virtutes omnes,
tum pacem maxime videntur olere. Nam quorsum in tuis insignibus, caerulea
lilia illa sex, triplici ordine sic distincta, ut uni duo: duobus tria
superemineant ? veram habent, in imperij gubernaculis, adumbrationem concordiae:
quae, ut inquit Antisthenes quovis muro firmius civitatis est munimentum. quid
inquam civitatis ? imo Universi Imperij. Nam quid est eius concordia, nisi in
administranda Rep. mutuus consensus imperantium, & obedientium quo nullum
in amore arctius est et societas vinculum ? Hoc aperte natura, per lilium: quae
semper aliter loquitur, quam solent strepere imperitorum greges. Nam lilium
dicitur quasi hnion [:greco, spirito dolce] hoc est bonum, cuius sensus vix
ullus esse potest sine concordia, atque; eius nomine Syrium vocatur unguentum
susinum, e suso hoc est lilio. Nam praecellit in Syria lilium, unde Syropiorum
appellatio medicis frequens est, & ad salutares potiones propagata, ex quo
natura grande quiddam nobis videtur in aures sussurrae. Quid enim quod apertus
praeceptis, & usu expeditus est Lilij succus ? degrotae reip.nulla est nisi
in populi concordia medicina. Etenim sicuti, vix quicquam Iucundum est,sine
salute: ita in Imperio nihil firmum esse potest & stabile, sine praesidio
concordiae.
Horum insignium
auctoritatem confirmavit sic suo testimonio PAULUS III Pont.Max ut eius
Pontificatu felicius Sol nihil unquam viderit: praetereo summos virtutum
Cardinales RANUTIUM, & ALEXANDRUM patrem tuum taceo, cuius nomen, usque adeo
terrori est armatis hostibus, ut eius nomine sedari videantur turbulentiae
armorum tempestates, & procellae atque id cum ea sit mortalium [fol.91r.:]
ratio, ut aut hostes sint, aut amici illos virtute bellica: hos legibus, &
institutis ita semper temperavit, ut quod multi populi sint in virtutum
Calustri inclusi, quod pascantur officio, & honestate, id omne beneficium
eius sit proprium & singulare. Neminem fere latet quas stages fortiter
dimicando hostibus intulerit: quanta gloria rem bellicam administravit, quas
victorias, quos triumphos reportavit: quot populos, quas civitates in viam
redire coegerit, qui inferiorem Germaniam PHILIPPO iam quasi restituit
perditam.
Verum ut ad imaginem
redeam, quid illa, in tres ordines liliorum figura ? vera est concordiae imago.
qui sic ? quia discordia omnis est aut animi, cum ratione, aut sensuum, cum
virtute: aut hominis, cum hoste prima prudentiae vi reconciliatur: altera
temperantiae auxilio: fortitudinis tertia. Hoc ille in tres hordines distinctus
numerus. Testis est non ieiuna iam plebecula: sed ipsa qua nescit mentiri
natura, per trifolium, quod venenatis omnibus animantibus reluctans est, &
controversum.
Quorsum igitur
triplex illa ordinis figura ? non geometrica est forma, sed eximiae, quae
in maximo Alexandro residet virtutis. nihil enim latet aut in delectu militum,
aut in tormentis bellicis, aut in arte militari, quod non sic possideat, ut
iure ei simul cum rei difficultate, semper crescat animus. Quid duobus
subiectus unum lilium ? una est veritas, una sapientia: una sublato, duo esse
non possunt, sapientiam ex Imperio si tollas, nullus statim erit concordiae, in
quo consistat, locus est in unitate pacis vis sita omnis, &
concordiae. Unitas enim animorum,
amicitia est: unitas maris, & foeminae matrimonium: unitas populorum,
civitas: civitatum provincia: plurium provintiarum, regnum: unitas denique;
bonorum, & malorum Ecclesia. Est [fol.91v.:] igitur unitas eorum bonorum,
quae maxima sunt, sedes & fundamentum, idque; belle lilij natura.
Itaque in numo Imp.
Alexandri Pij Aug. ab altera facie lilium spectabatur cum iscriptione, spes publica admonet enim floris imago
nihil esse, aut in honoris vocabulo, aut in virtutis praemio, quod ab Odoardo
Ampliss. Cardinale, non sit sperandum ? Nam ab invictissimo Duce eius
parente plura iam universa Christianorum Resp.accepit, quam ab ullo mortalium,
ei fuit expectandum verum quoniam cum de eo dico, de Principe eo dico, qui suam
gloriam coeli, & terrae regionibus terminavit: quique Regis PHILIPPI, qui
omnium regum, qui sunt, qui fuerunt, atque futuri sunt personam, ita in armis
sustinuit, ut iam ipse Rex, Regis nomen, tanti principis virtute, videatur
superasse. Qua re iam facilius possum Maximum illum Alexandrum admirari, quam
laudare. Nihil enim potest praescribi, & definiri de Principis armati
officio, & munere, quod omnes non videantur, ex praeclarissimis eius rebus
gestis, posse addiscere. quid inquam armati ? io etiam togati. Nam cum coni
principis, fit ,non solum bonum virum se praebere, sed etiam ex improbis bonos
reddere: ita milites omnes suos animavit, ut mallent religionem sine vita, quam
vita sine religione. Id in eo belli incendio, quo multis iam annis exarsit
inferior Germania, sic docuit, ut numquam dubitarit pro Ecclesia, &
religione iugulum suum ostentare: atque se omnibus fortunae casibus odijcere,
in quo tantum effecit, ut nunc demum perfidorum furorem sapientia:
flagitiosorum libidinem temperantia: perditorum denique vim & dolum virtute
videatur superasse. Nec ullum est tantum cupiditatem cum rationem dissidium,
quod passim non videatur sustulisse, atque appetitus cum honestate, faedera
pacis continenter [fol.92r.:] ferijsse.
Hoc unum lilium. Nam unitatum unio,
concordia est, qua res magnae crescunt. Quid duo tribus subiecta illa lilia ?
concordiae materiam docent, quae omnis in bono est fundata. duo enim sunt
bonorum genera, unum infinitum, alterum externum: quorum neutrum neque parari,
neque retineri potest sine concordia. duae sunt animae facultates, sentire
& intelligere: quorum alterum cum bono: alterum cum vero nisi concordet,
anima fungi non potest suo munere. ex duobus demum homo est compositus, ex
corpore & anima: illud ex humorum, sanum: haec ex Dei concordia, felix
vocatur, & beata. quod non adeo ex numero, quam natura fas est intelligere
liliorum.
Nam lilium flos est
Iunonis, haec est Imperij, quod suis quasi quibusdam lacertis complectitur
omnia bonorum genera. siquidem Palladis, ut loquuntur Poetae, est animi
sapientia, Veneris, pulchritudo corporis: Junonis, vis & robur Jmperij.
quod tempore pacis, cum semper sic rexerunt tui maiores: ut in ijs rebus, quae
humanitus accidunt, in quibusque non datur bis errare, ita omnia repente
circumspexerint, ut non videantur in fronte modo, sed etiam a tergo oculos
habuisse: tum belli tempore, Maximus Alexander sic illud obtinuit, ut tanquam
alter Lycurgus, qui cum bellum indiceret, vulpem Marti, quod primordia belli ex
consilio sint petenda: cum autem manus cum hoste vellent conferere, ei taurum
dicabat, quod in rerum discrimine audendum sit magis, quam consultandum; omnia
desiniat gemina ea virtute: hoc est tranquilla, & pacata consilio: tetra
& turbulenta, summa quadam fortitudine. Nam concordiae nihil est in tenendo
imperio difficile. Hoc aperte forte: eleganter certe prisci Poetae. Nam cur finxerunt
concentu Apollinis, & lyrae vocibus antiqua Thebarum [fol.92v.:] Moenia
aedificata fuisse, nisi ut intelligeret mortales perfecta rerum coniunctione,
& concordia, perduci ad exitum, quae maxima sunt in civitate ? quamquam
artes omnes varijs itineribus ad virtutem proficiscuntur, nulla vera tamen est
virtutis via, nisi concordia.
Hoc liliorum natura, hoc
ipse, secundo ordine, numerus. Nam in pace & concordia duo necessaria,
unio, & distinctio. qui sic ? quia primum, concordia nihil est, nisi unum
rerum diversarum consensus: deinde quoniam concordiae duo sunt vincula, amor
& beneficium, quorum alter comparat: conservat autem concordiam. utrumque
natura docet per lilium. quid ita ? quia lilij utraque est virtus, suam enim
amat cum mortalium beneficio propaginem & ita ut hasta eius effossa,
tamquam vitis propagetur, quotque sint hastae nodi, tot inde ad paucos dies,
oriri gemina cernantur, & bulbi: si modo nec hastae flos adhuc sit apertus,
nec a radicibus hasta ipsa avulsa.
Nam quid dicerem de
lilij beneficio ? eius flos, suavis est odore: medicina utilis: aspectu
iucundus: ut videantur eius beneficentia sensus omnes recreari. Qua re quo
videntur tuae gentis munera, quorum unum in amore rerum divinarum: alterum in
beneficio mortalium est positum. in quibus, ita lynceus est pater tuus, ut
nulla sit temeritas fortunae, nullus casus, quem non quasi antecessionem in
omnibus rerum procellis, ante videat, aut potuis quasi divinitus non praedicat:
In quo etsi difficile est mortalium iudicium, nihil tamen potest errare. Nam,
cum boni principis sit, in silentio multa audire: plura videre in obscurissima
simulationum caligine: numquam obdormire tempori: semper ita excubare animo, ut
inter absentes, quasi praesens omnia temperet, tum id omne ita est eius
virtutis [fol.93r.:] proprium, & singulare, ut nihil videatur eius bonitas,
nisi communis omnium errorum medicina: nihil iudicij eius vis, nisi vetustatis,
& recunditate doctrinae memoria. Atque ita, ut ex eius potius testimonio
convincamus, quam ex Platonis iudicio, tum fore beatam Remp. cum aut sapiens
coeperit regere, aut Rex sapere.
Quid demum, in
supremo ordine, tria illa lilia? finem mostrant concordiae, qui omnis est in
lege aut divina, aut naturali, aut positiva. Quid ? ad opinionis cum
veritate concordiam, Dialectici figuras faciunt tres, primam, secundam, &
tertiam: Philosophi item ad appetitus, cum temperantia tranquillitatem,
virtutes tres: abstinentiam, quae est cibi: sobrietatem, quae est
potionis: & Castitatem, quae libidinis domina esse debet &
Imperatrix. hoc non obscurare numerus liliorum tertij ordinis: aperte natura.
Nam quorsum, quod lilij flos, quamdiu est integer, suavissimam odorem spirat:
putidam fractus & collisus ? sine virtutis integritate, nulla est, non
faeda, & obscena concordia.
Habet igitur lilium
Symbolum felicitatis, quae nec male audit, & optime facit. Nam haec est
lilij natura, si medici credimus, ut dolorum acerbitates leniat: faciem naevis,
& sordibus abstergat: veneni vim tollat, ac denique vulnera sanet. Huc
accedit maiorum tuorum virtus, cuius studio sic semper incensi fuerunt, ut non
Themisthocles ad virtutem rei bellicae: non ad medicinam Hippocrates: non
denique Democritus, non Pythagoras ad rerum cognitionem, studij & operae
plus posuerit, quam tui maiores semper posuerunt in ijs virtutibus, quibus bene
beateque; tractantur rerum in Imperio habenae, atque [fol.39v.:] guberancula
Reip. quid ita ? quia virtus quae ijs quasi divinutus semper fuit insita, si
non potest studio augeri, potest tamen ad alios propagari.
Quamquam tamen non parum
ij mihi videntur tuae dignitati derogare, qui cum volunt te laudare, gloriae
tuae monimenta mutuantur a tuo genere, quod in orbe terrarum spectatur, tamquam
thetrum divinae humanaeque gloriae. Non enim est tua virtus laus fortunae: non
maiorum tuorum patrimonium: non aliorum: sed tua gloria: quam qui spectant,
desinant eam oculorum sensibus examinare: desinant opes, regias gazas: rerumque
copias spectare. Etenim non urbes, non militum praesidia sunt tui generis
ornamenta, sed sapientiae lumina: non divitiae, sed sublimes invictique
principes: non res, non pecunia, sed religio, sed pietas, sed probatissimi
sanctorum patrum moras. Nihil est, quod PAULO III Farnesio commemorem, qui, ut
pater tuus, terra marique in armis, sic in Pontificatu suo, tantum adeptus est
nominis & famae, quantum potest per omnes gentes, virtutis gloria obire.
cuius rei non plebecula est nuncia, sed Europa & Asia, non anceps &
incertus aliquis testis, sed ipse iam orbis terrae globus. Atque eo patris tui
felicitas processit, ut sicuti placet uni, ex septem Atheniensium sapientibus,
Pittaco, quod in Principe est gloriosissimum, timeatur ab omnibus, ipse timeat
neminem. Ateque ille in apparatu rei bellicae, Mathematicam sic sibi comparavit
subsidio, ut nihil gloriosum fit in bono milite, quod apud eum non sit
usitatum, & familiare. Haec enim ars obsidiones docet; in obsidionibus,
flexiones, recessus, & diverticula: haec insidias instruit hostibus, &
ab ijs instructas eludit stratagemate: haec loca in suspicionem adducit: rataque
facit, in quibus lignari, aquari, frumentari, pabulari pos [fol.94r.:] sint
milites: haec acie denique deducit: capita enumerat, atque ad pugnam dirigit:
non parum ad commeatum valet, plurimum ad navalem apparatum, ne sit nobis
potius cum maris procellis, & fortunae tempestatibus pugnandum, quam cum
hostibus. multa sunt artis praesidia: sunmma in eo Duce, & Imperatore
felicitatis adiumenta. Etenim non solum Reges inter se dissidentes, bella tot
principum, populorum, potentissimarumque nationum ad concordiam sua virtute
perduxit, sed etiam ita semper fuit Imperij, & Ecclesiae Romanae
propugnator, ita publicae salutis, & communis vitae studiosus, ut ibi, ubi
pedem imposuerit, expressa reliquerit summae suae felicitatis vestigia, in quo
antiquorum gloriam sua superat virtute. Nam laudatur in Metello rerum arduarum
peritia: audacia in Pompeio: in Pyrrho consilium: is aut ijs omnibus sic floret
virtutibus, ut ijs omnes summi Imperatores in eo una iam videantur reviviscere.
Qua res facit, ut non solum non possit laedi hostium iniuria; sed etiam eam
lucro habeat. Hoc ipsa imago.
Nam quorsum liliorum
color ille ceruleus ? non pigmenti, sed coeli est color, quod non potest
violari: quamquam id etiam ipsa loquitur coloris natura. Nam quod ab
infectoribus componitur, ex calce viva, oleo, & glasto, id omne summum
testimonium habet eximiae eius virtutis. Etenim calx cum re ipsa sit frigida,
occultum tamen habet calorem, ex quo viva dicitur, irascique rebus adversis,
& placari secundus videtur. nec id, meo quidem iudicio, sine quasi quodam
naturae miraculo. Nam aqua diffusa
calx effervescit, qua restinguitur ignis: & incensa, restinguitur oleo, quo
ignis incendium excitatur. Farnesiorum concordia, ut natura per calcem
loquitur, plena est admirationis, quae neque facere neque patiscit iniuriam.
quid enim de oleo in [fol.94v.:] eo colore effingendo dicerem, quod fluitat in
mollibus corporibus: in solidis contra penitus se immergit ? Nihil est tui
generis concordia, neque cedentibus facilius, neque gravius renitentibus testis
est in eo colore, per glastum, natura. Nam plantam eam Brittannorum coniuges
sibi comparat, ad oris pulchritudinem, quae ansam habet amoris & gratiae,
erga coniuges. Tu vero, ODOARDE Cardinalis Amplissime, ad amorem non glastum
habes: sed beneficentiam, qua omnes inflammas tui amore: non oleum ad
calcis restinguendum incendium: sed iustitiam ad summovendos improbos cives ad
improbitate: non denique calcem vivam malis irascentem: sed virtutem, mala aut
turpia pati nescientem. Felices
igitur illae sunt civitates, quibus tu, aut tui imperant. Nam in illis, legibus
est locus, iustitia armatur: studium pacis viget: quam non solum in tuis
insignibus effingunt lilia, sed etiam colorant. In his igitur, cum facile
Imperium ijs artibus retineatur, quibus ab initio partum est, sola videtur ars
esse universij Imperij.
Nam quid est ipse mundus, nisi coeli &
elementorum veluti quaedam harmonia, sive concordia, quae si tollatur statim
mundus esse desineat ? potest plus, quam coelum concordia. nulla enim coeli vis
potest pluere: potest coeli cum elementis concordia. quare ea nihil est neque
valentius neque sapientius: qua tantum intelligimus mundum, & regi, &
conservari. Hoc in tuis insignibus, corroborat aureus ille alveolus. Nam in
eo colore, non splendor est pigmenti, sed sapientiae: cum sit Phoebi color;
virtus autem tui generis: in qua nihil tibi est potius, quam iacentes
excitare tuo beneficio: quam non pati inopes circumveniri a potentioribus, quam
resistere seditiosis, atque optimum quemque ab oppressione tegere:
purgatissimamque ab omnibus vi [fol.95r.:] tijs,& turpitudinum maculis
Ecclesiam tenere. eo quippe omnes ingenij tui vires, & industriae nervos
contendis, ut in primis tua domus sit, non voluptatis, sed iustitiae
domicilium: non otij, sed virtutis: non turpitudinis sedes, sed honoris: non
discordiae, sed salutis, & gloriae arx sit munitissima.
Qua re de hac tui Cardinalatus dignitate
vehementer gratulor Ecclesiae Universae: de te enim non possum non fausta omnia
ominari. Si enim felix ille censor fuit Imperio Ro. C. Cassius, qui concordiae
simulacrum in senaculo erigendum, & Senaculum ipsum concordiae consecrandum
curavit, qua eris Ecclesiae Romanae felicitate, qui non in seraculo, sed in tui
generis imaginibus, simulacrum gestas concordiae ? eoque quaeque obsignas, ac
veluti quodam commendas publicae pacis faedere ? Multae sunt tuae virtutes,
quas etsi non possum verbis honestare: nolo tamen eas honestatas, ut aliqua
scintilla mei erga te amoris appareat, silentio appareat, silentio praeterire,
quae autem de te, & tuis summa sunt, facile, cum propter imbecillitatem
virium omitto: tuum quia ea sum aetate, qua fieri potest ut cito moriar, fieri
non potest ut diu vivam. Sunt enim tuae ac tuorum res eiusmodi, ut non solum
longissimi sint temporis, sed etiam tam acris ingenij, ut vix possint verbis,
nisi ab eo axaequari, cui sit M.Tullij copia: acrimonia Aeschinis: ars
Demosthenis: atque Orthensij facilitas. Sed quod in tuam gratiam debeo,
quamquam turpe est, ut reddam sperare, honestum tamen est id affectare. audi
non quid ego de te dicam: sed quid tua loquantur insignia. quid ? & lilia
quo pluribus rubis, ac sentibus tenentur interiecta, eo maiorem odoris fundunt
fragrantiam, & tu quo res difficiliori loco tenetur inclusa, eo Summo
virtutis, pariquae doctrinae praesidio adiutus mihi crede [fol.95v.:] inde plus
gloriae videris capere.
In quo generis tui
fortitudinem non parum sapit liliorum hasta: multum etiam iustitiam et
aequitatem. Nam quorsum
quod lilij. Thyrsus non contorte, dum crescit,sed recte in coelum insurgit ?
nescit mihi crede Farnesiorum familia contortis, & devijs itineribus ad
honores progredi, & tu viam eam insistis iustitiae, qua nihil est ad
coelestem, & divinam gloriam rectius. quod cum facis, sapis quidem, &
multum certe ut docet lilium sapis.
Nam quorsum, quod lilij flos quasi languido
collo sit reflexus ? quid hastae celsitudo, tanquam non sufficiens capitis
oneri ? nec tu certe quidem impiorum vitia, nec impij tuam virtutem ferunt sine
onere: sed maior est summae tuae virtutis spes, quam scelerum omnium metus. hoc
Farnesiorum familia per lilium. Nam quorsum, quod lilij radix plurimum adversus
gravissimas corporis tempestates habet remedij ? cur duriciem splenis,
nervorum: cur oleo roseo sanat ? quare vulneribus cicatricem obducit? quamobrem
denique tumores solvit: ulcera abstergit: dolores mitigat: venena depellit: ac
denique puncturis, & ulceris medetur ? non ut medicinam ex tuis insignibus
capiamus, sed ut ex ijs intelligamus nihil esse in Rep.mali, cuius a te non
speranda sit vis omnis remedij.
[RFS doc. 32, CAN002, LON003]
ONORIO LONGHI, Canzone
di Honorio Longhi nelle nozze del Sereniss.
Ranuccio Farnese duca
di Parma, e Piacenza,
Roma, Nicolò Mutij, 1600, cc.A 2r. - A 4v.
[carta A 2r.:]
CANZONE
Queste
mie note fortunate, e care
Con
l'indorato stral di propria mano
Ne
le sfere celesti intaglia Amore;
Risplendano
lontano
Fatte
eguali di fiamma, e di splendore;
Che
le Muse leggendole a la luce
Di
sì vivace ardore
Desteranno
a cantar il mio Gran Duce
Cigni
felici, e fortunate cetre,
Ch'
a nove Thebi si trarran le pietre.
Bianca
e vermiglia Aurora in Oriente
Tu
già fiammeggi, e il Sol t'indora il crine,
Mentre
con le tue perle rugiadose,
Rimovi
al giorno le bellezze spente.
Più
belle, e più divine
Sono
le luci, e le purpuree rose
Di MARGHERITA,
& in più bel levante
Ti
fan gare amorose,
Ma
non qual tu stringe canuto amante,
Ch'in
letto più soave, & amoroso
Più
vago accoglie, e più gradito sposo [carta A 2v.:]
Candida
perla, a cui fu conca il Cielo,
E in
vece di rugiada in su'l matino
Ti
diè pasco d'Ambrosia il Paradiso;
Simile
al crin, che al Dio splende di Delo,
E il
tuo capel divino
E i
colori dell'Alba nel tuo viso
Dipingono
più bella primavera,
Che
il Giacinto, e il Narciso
Non
languon mai ne la tua fronte altera,
E ne
la gentil bocca & amorosa
Spiega
le pompe sue lieta la rosa.
O
figlio d'Alessandro il grande, il forte
RANUCCIO
Invitto a guisa di Fenice
A
trionfar de popoli rinato,
Che
ancor fanciullo sprezzator di Morte
Ti
fu cuna felice
Il
Campo a te di guerra fortunato;
E
non sdegnasti i giovanetti crini,
E il
volto delicato
Coprir
di ferri, & elmi adamantini,
Sì
che si vide la Vittoria estinta
Per
la tua mano vincitrice, e vinta. [carta A 3r.:]
Come
all'hor quando vendicar ti vide
Ancor
fanciullo il glorioso Padre
Quel
sangue, che per Dio da lui fu sparso.
Quando
sembrasti qual tra Mostri Alcide,
Tra
le barbare squadre,
E fu
il Campo infedel distrutto, & arso;
Sì
che al lor sangue il Reno, a l'ossa il lito
Fu
angusto spatio, e scarso.
Così
già il seno valoroso, ardito
Vide
offrir Pirro contra mille, e mille
All'hora
che arse, e vinse Troia Achille.
Ansiosi di vita i marmi al Mondo
Mostran
scolpiti ne i Colossi & Archi
Le
gloriose tue vere grandezze,
E
vede ognun, che le tue forze al pondo
De
suoi pesanti carchi
Sommette
Atlante, a simil peso avezze.
E
che da la tua spada escono tuoni,
Onde
par, che si spezze,
Non
sol l'orgoglio a l'Hidre, e a i Gerioni,
Ma
dal Gange, dal Nilo, e da l'Eufrate
Conduchin
le provincie incatenate [carta A 3v.:]
Tu
sei fama a la fama, & a la gloria
Tu
gloria sei per te già fatte illustri
Dal
valor, che nel cor tu porti impresso.
Per
te nacque superba la Vittoria,
Ch'in
giovanetti lustri
Fida
compagna havesti sempre appresso.
E
Virtù, che ti porse il latte in fasce
Diede
solo a te stesso
Quel,
ch'in mille altri Regi appena nasce,
Onde
godono i Regni ne i perigli
Viver
a l'ombra de'tuo'invitti Gigli.
Quella
corona, che di gemme e d'oro
Splendeati
accesa quasi in ciel sereno
Regal
diadema a tuoi capelli intorno,
Hor
di stelle risplende (alto thesoro)
Il
Gran Giove terreno
Così
cangiolla, e fe'il tuo crin più adorno
Tal
già vide Arianna, e ancor fiammeggia
Del
crudo Theseo a scorno
La
sua corona a la celeste Reggia,
E
così vide le sue chiome belle
Risplender
Berenice in ciel di stelle. [carta A 4r.:]
Tu
dunque, cui nel mondo fanno chiaro
La
nobiltate, in grembo a cui nascesti,
E il
tuo valore, le corone, e i fregi,
A
chi giamai dovevi esser sì caro
Se
non a chi piacesti,
Ambi
sol speme a sacrosanti Regi ?
Ma
già la sposa tua ecco ti cinge.
E de
più ricchi pregi
La
bellezza il bel volto le dipinge
Mentre
chiede al tuo Sol con i sospiri
Unirsi
a te come col Ciel fa l'Iri.
Ah
tu l'abbracci pure, e lusinghiero
Co'
dolci lumi dal bel viso involi
E da
la bocca i rugiadosi humori,
E
intento a sì felice magistero
Par,
che lieto sen voli
Amor
fra voi, & i più schietti ardori
Con
l'ali accenda a la soave impresa
Con
i seguaci Amori;
E
con la face de le Stelle accesa
Amoroso
Himeneo lieto vi vede,
E
son presenti Amor, Concordia, e Fede. [carta A 4v.:]
Ne
la fucina di Vulcan l'incudi
Scintillan
liete, e suda il Crine a Bronte
Percotendo
più duri aspri metalli
Per
fabricar novi elmi, e novi scudi.
Ogni
più eccelso monte
Di
già s'inchina, e le profonde Valli
S'inalzano
a mirar la vostra Prole.
Il
Tebro ambre, e christalli,
E
ricco manto le prepara il Sole,
E
nascon MARGHERITA novi mondi,
Perchè
novi ALESSANDRI in seno ascondi.
Troppo
vicino a i rai del Sol salisti,
Canzon
di roca Cetra,
Ond'io
pavento, poichè troppo ardisti,
Che
dileguando l'incerate piume
Icaro
non rinuovi il nome a un fiume.
Con
licenza de'Superiori
In
Roma, appresso Nicolò Mutij. MDC.
[RFS doc. 17, SEM001,
MAN007]
MUZIO MANFREDI, La Semiramis
boscareccia,
Bergamo, Comin Ventura, 1593.
[carta A 2r.:]
Al Serenissimo e
Magnanimo Principe, Ranuccio Farnese, Duca Di Parma e Piacenza, &c. Mutio
Manfredi.
Appena hebbi io,
Serenissimo, e cortesissimo Principe, abbozzato, non che finito, questo mio
Poema, che da un Principe Serenissimo mi fu con triplicate lettere
instantissimamente domandato: e sotto la fe' di suo padre promessomi, che rimandato
mi sarebbe subito sicurissimamente, e non copiato, nè pure letto, o veduto da
altri, che da lui. Ma perchè io ho fermo, e ragionevole proponimento di non
fidare [carta A 2v.:] lontano da me a persona del mondo qual si voglia opera
mia, di cui non habbia che il solo originale; negai modestissimamente di
mandare l'istesso originale, e prontissimamente promisi di mandarne una copia
quanto prima potessi: E postomi a dare una riveduta all'opera, la quale in
trenta quattro giorni soli, e continui havea composta; di mia mano la copiai, e
di qua giela mandai per persona sacra, e sua familiare assai: scrivendogli, che
io gliene faceva un presente, e che di altro nol supplicava, se non che me ne
fosse scritta la ricevuta, e che l'opra non si stampasse: ma nel rimanente la
mostrasse, la communicasse, lasciandone moltiplicar le copie, & ogni suo
piacer ne facesse; ancora che io non l'havessi fino allhora ben considerata, nè
limata: anzi gli soggiunsi, che fra l'haverla copiata, e l'havergliela mandata,
io l'havea fatti molti acconciamenti, & aggiunti più di cento versi in
diversi luoghi, e nulla nella copia, ch'io mandava a lui havea voluto riporre,
per non imbrattarla; ma essendo anche, le aggiunte, principalmente essentiali,
ma solo per abbellimento di alcuna delle parti. Di più gli scrissi, che s'egli
havesse voluto farla rappresentare, io mi offeria di venire a posta in Italia
per esserne il chorago, sì come l'Autore ne sono.
Puossi notare maggior
voglia e maggior prontezza di ubbidire, e di servire ? Ma aspettato più di diece mesi indarno la
domandata gratia della ricevuta; scrissi di nuovo al medesimo Serenissimo
Principe, raccontandogli tutta la historia del come,e del quando, e del per cui
gli mandai il Poema, ch'egli mi favorì di doman [carta A 3r.:] darmi; non
d'altro supplicandolo, che di quanto prima supplicato l'havea: e questo per
istare io con l'animo riposato, che la mia ubbidienza, e la mia cortesia
havesse havuto effetto; nè fossi da lui in concetto tenuto, s'egli ricevuto non
l'havesse per mancamento altrui, e non per difetto mio,di non curante, o di
villano. Ma cinque altri mesi ancora indarno aspettata la ridomandata, e debita
gratia: desiderando io pure questo riposo d'animo, a giustificatione ancor
della mia conscienza: sicurissimoche alle seconde mie lettere egli l'havrebbe
havuto, se non con le prime, essendo in sua mano, non pure d'haverlo da chi da
me havuto per dargilele l'havea, ma di farlo pentire dell'indugio, e più della
fraude, se stata ve ne fosse; riscrissi, e risupplicai: e per usare anche
maggior humiltà, e diligenza, ne scrissi a uno de' suoi principali
geltil'huomini, e forse il più intimo suo servidore, pregandolo che mi
favorisse egli di darmi cotale aviso, non volendo il Signor suo farmene gratia.
E questo ancora, fin qui, è stato indarno, come che le lettere mie tutte sieno
state date in Milano al suo Secretario residentevi, e delle sue ogni dì ne
vengano a Madama Serenissima la Duchessa di Bransvich, mia Signora.
Talchè, non volendo io
dire (nol potendo pensare, & havendone veduti segnali in contrario) che
questo Principe, e Principe Serenissimo, sia ingrato, o sconoscente, o
discortese; altro non vò credere, se non che quello, ond'io mi lamento di lui,
sia puramente nato da discretione, e da modestia: come dire, che il Poema a lui
semplicemente non sia piacciuto, o [carta A 3v.:] vero che qualch'uno de i
grandi huomini di belle lettere, ch'egli ha d'intorno glie l'habbia biasimato:
e così non lo havendo avuto caro, non mi habbia nè anco voluto scrivere di
haverlo ricevuto: nè rimandato me l'habbia, havendogli io scritto, che una
copia, e non l'originale gli mandava. Perchè senza fin mi rallegro, che io
servassi il mio proponimento di tener sempre appo me l'originale delle opere
mie, che da me dilungassi giamai. E che,se non l'havessi servato ? E perciò da
hora innanzi tanto maggiormente il servirò pur sempre.
E poichè hora io sono
risoluto di stampare questo medesimo mio Poema, il quale è Boscareccio, come
poco fa ne stampai un'altro, il quale è Tragico: e perchè sono fratelli,
contenendo ciascun di loro una attione di Semiramis: e che quel Tragico ho
dedicato all'Illustrissimo Odoardo, vostro fratello; questo Boscareccio dedico
a voi Serenissimo Ranuccio, suo fratello. E non come cosa rifiutata da
altri; che ad altrui non la mandai stampata, nè realmente la dedicai; ma come
Poema, la cui favola constituita in casa vostra, mentre io serviva il vostro
grande Avolo Ottavio Serenissimo, e reale; benchè i versi sieno stati fatti
in casa la Serenissima, e benignissima Dorotea di Lorena mia Signora, e come
cosa, la quale spero, che non habbia semplicemente da spiacervi, non ispiacendo
a me, e piacendo a infiniti altri: nè da esservi biasimata da niuno di quei
letterati, e Poeti, che vassalli, e servidori vi sono; perciochè con occhio più
diritto forse, e più chiaro la mireranno, e con più sodo sapere la
giudicheranno. E la vi dedico, perchè [carta A 4r.:] so per prova,
che mi amate, e perchè altre opere mie di minor fatica, fatte per voi, e per
altri del vostro Serenissimo sangue vi sono piacciute, e state care in guisa,
che con lettere, e con parole ringratiato me ne havete: e perchè siete
Principe, non pure Serenissimo, per mille splendori, ma piacevole, e generoso,
e valoroso, e niente dissimile dal gloriosissimo, e veramente eroico Alessandro,
vostro Padre: & ancora questo Poema vi dedico, perciochè siete
giovinetto, e bellissimo e per conseguenza necessaria, amoroso; & in esso
d'altro non si tratta, che d'amore: e d'amore honestissimo, come honestissimo
siete Voi. Se lo gradirete; una humile sì, ma nobile offerta gradirete, e
da un'humilissimo sì, ma non vile vostro servo degnamente fattavi, &c.
Di Nansì, il primo giorno di giugno 1593.
[RFS doc. 18, SEM001,
MAN007]
MUZIO MANFREDI, Semiramis Boscareccia, Bergamo, Comin
Ventura, 1593.
[pag.17r.:]
[Atto II] ATTO SECONDO, SCENA
QUARTA.
TISIRA. SEMIRAMIS
Tis.
Pur venisti. ò sei bella:
Ma quando non sei bella ?
Et hora poi ,che t'ha vestita Amore,
E di sua mano ornata.
Come si mostra ben tra il bianco, e
l'oro
Del velo, e de le chiome
L'azzurro, e'l verde di quei
nastri. Dimmi;
Che vogliono importar quei duo colori ?
Sem. Mostra speranza il verde:
Azzurro è il cielo, & alto.
Voglio dunque inferir che'l mio
pensiero
Ad alte cose aspira.
Frisseno,ch'è sì dotto: e che sa tanto
De l'Arte de le Muse, e seppe tanto
Già de l'arte d'Amor;
Fin che d'Amore
Fu soggetto, portogli, & io li
porto
Perchè non men di lui spero altamente.
[pag.27r.:]
ATTO TERZO,SCENA SECONDA.
PIRNESIO E FRISSENO
Pir. L'ultima speme de'cortesi amanti
Altro non è, Frisseno
Che l'esser riamato
Fris. Se dunque la tua Donna
Dicesse, ch'ella t'ama;
Non saresti felice ?
Pir. Felicissimo ancora
Fris. Hor tu sei; ch'ella il dice
Pir. O Frisseno, Frisseno; ama anco il padre
I suoi figliuoli, & è da i figli
amato:
Il fratello, i fratelli;
Et ama il vero amico i veri amici.
L'amor di ch'io ragiono,
E che non pur felice,
Ma mi faria, come tu di,beato,
Sol ch'una dramma la mia Dea m'havesse;
E' Frisseno un amore,
Ch'esprimer non si può, se non col core
Ma so ben che m'intendi,
E per mia perfettissima sciagura,
A beffarmi ancor tu crudele attendi.
Lasso, ove più ricorro,
Et a cui per soccorso;
S'ove, e da cui più ne sperava,
meno [pag.27v.:]
Oimè ne trovo, e s'io
Privo son d'argomento, e di consiglio;
Colpa de la mia sorte,
Che mi conduce a manifesta morte ?
[pag.30r.:] ATTO TERZO, SCENA SECONDA.
PIRNESIO E FRISSENO
Pir. E' mala cosa Amore ?
Fris.
Mala, se mal s'adopra
Come son'anco i dardi, e come il foco;
Che questo le cappane [sic], e le
cittadi
Può consumare, e quel l'amico uccidere.
Pir. Ma se s'adopra bene ?
Fris. La più soave cosa, e la più degna
Non si ritrova al Mondo.
Pir. Come s'adopra bene ?
Fris. Allor ch'ami chi t'ama.
Pir. E come mal s'adopra ?
Fris. Quando ami chi non t'ama [...].
[RFS doc. 85,
MON003,-]
La montagna circea. Torneamento nel passaggio della Serniss.
Duchessa Donna Margherita Aldobrandina sposa del Sereniss.Ranuccio Farnese.
Bologna, 1600.
[pag.4:] [...]
Mirabil cosa è
a dire, con quanto ardore si eccitassero i Cavallieri Bolognesi promossi da
Monsig. Horatio Spinola Vicelegato; il quale tosto, che intese risoluto in
Roma la partenza della Duchessa, fattili convocare, propose loro, com'era
debito a i benemeriti de'Padroni, & conveniente alla riputatione della
Città, d'honorare in ogni più riguardevole maniera questa venuta, co'l farne
festa segnalata;le cui essortationi furono tali, che non solo i Cavallieri
giovani, ma i veterani ancora si mossero al prender l'armi, già deposte. Et dall'altra parte, come si movesse il
Senato non solo ad inanimirli, perch'è s'effettuassero i pensieri, ma a
sovvenirli, perchè lo spettacolo in cui si fossero risoluti, dovesse pomposo
riuscire, che le due, & [pag.5:] le tre volte andò sempre con gli assegnamenti
superando le richieste, che li vennero fatte, deputandoci il Marchese Malvezzi,
il Conte Isolani, il Cavalier Bianchetti, il Signor'Orsi, e'l Sig. Marescotti
Senatori assunti.
Fatta dunque la
deliberatione dell'armeggiare, si divisava della maniera. Piaceva la giostra
all'incontro, come per se nobilissima, come assai bene pratticata dalla nobiltà
bolognese, la quale è riputata addestrarsi con gratia, & come pratticabile
con minor disagio nella stagione del caldo, che non comportasse lo starsi armato
l'hore, & l'hore, secondo che sarebbe stato bisogno in altra sorte
combattimento, che richiedesse Mantenitori.
Ma in effetto non appagava se non pochi, i quali si regolano da quel
salutifero documento, che ciascuno s'esserciti nell'arte, che le sia nota; parendo
in contrario, a molti, che le attioni ordinarie, per belle che siano, poco
habbiano del riguardevole, & che allegrezza poco maggiore sarebbesi
mostrata in honore di persona sì qualificata, di quello, ch'ogn'anno, per le
feste del carnevale, in gratia delle nostre Gentildonne sia consueto,
giostrandosi all'incontro. Così andò
prevalendo il parere di coloro, che stimarono condecente di manifestare
allegrezza inusitata, con festa esquisita, approvandosi per assai riuscibile
una Bariera a piedi; non perchè fosse da paragonare col correre della lancia;
ma perchè potendosi fare di notte tempo, havria schifato il caldo, &
prestato occasione a qualche vista, con varietà di fuochi, & di
machine. Ma nè quest'ancora
soddisfaceva, perchè simili feste manchevoli di cavalli, si giudicavano più da
cortili, che da piazze, rimembrandosene, pochi anni addietro, nelle case
private di Gentil'huomini; & non si giudicava conveniente, nè togliere la
vista di moltitudine di spettatori, riducendosi in un luogo angusto; nè in
teatro spatioso, rappresentare spettacolo di vita leggiera. & d'altra parte
frameschiarci cavalleria pareva, che dovesse dar da pensare tra [pag.6:]
fuochi, & rumori in libera piazza.
Tuttavia ci era chi si sarebbe appigliato al correre della zagaglia, altre
volte felicemente riuscito. Caroselli
non dispiacevano; ma ogni cosa era meno di quello, che si desiderava. Quando si venne alla resolutione, superata
ogni difficoltà, per la prontezza del Sig. Pompeo Marsilij, del Co.
Francescomaria Manzoli, & del Sig. Vincenzo Legnani, i quali s'offersero di
mantenere in piedi con picca, e stocco: & per l'autorità, ch'hebbe monsig.
Vicelegato al disporre il Sig. Andrea Bovio, il quale posposta ogni scusa
dell'essersi di già distratto da i pensieri dell'armeggiare, fece un'animosa
risolutione di mantenere a cavallo nella più nobil guisa, che si faccia,
posciachè in campo aperto, con lancia, e stocco, di rado si vede tornear di
notte nelle piazze, tra fuochi, & machine mostruose.
I quali,
assegnata che fu loro per questo effetto la piazza della Fontana,
elessero per l'inventione un tale, che non sia arroganza dirlo, in alcune cose,
simile al coltello Delfico, così foss'egli ne' servizi felice, com'è facile al
servire in publico, & privato: ma spesse volte alla prontezza non si
agguaglia l'ingegno, e spesso ancora del ben fatto non è l'approvatione
seguace. Et fu richiesto per la
dispositione sì della macchina, come del campo, il Cavallier Guiglielmo Fava,
intendente sopra la mediocrità di cose
d'Architettura, e Perspettiva, in materia di fuochi singolare ingegno in queste
cose principale, efficace nell'immaginare, & risoluto nell'effettuare. Acciò che quelli, che l'Accademia dei
Gelati unisce in conversatione, caminassero in questo fatto uniti per
l'essecutione, prevalendosi della diligenza, & pareri di qualch'altro della
stessa raunanza [sic], sotto nome d'Incolto, persona destra, & de'maneggi
dell'armi sperimentata.
All'Inventore
passarono da prima per la fantasia varij argomenti. Fu egli per appigliarsi a qualche histo [pag.7:] ria: se non che
li parve soggetto asciutto, & che non fosse per dover porgere occasione a
mostruosità, nè da condursi a vistosa riuscita, se non con apparecchio di
gente, & d'armi eccessivo. Hebbe
humore al figurarsi qualche semplice imaginativa d'alcun incanto, com'è quasi
l'ordinario de'nostri tempi in simili occasioni: ma questo riputò, sì come
facile al fingere di tutto punto, così privo di riputatione del fatto, di cui
per sua natura poco, o nulla se ne precognoscesse, confondendo l'intelletto,
nell'invaghire la vista, & più ai più intendenti, quando non ci fosse chi
di volta in volta andasse dichiarando il che, e'l perchè. Di maniera tale, che giudicando egli questa
essere una cotale specie di poesia rappresentativa, prese consiglio,
come nelle meglio regolate rappresentationi, d'appigliarsi al fondamento di
favola notoria, ed autorevole, sovraponendo a cose ricevute, cose imaginate,
per le quali si potesse far luogo a contese non d'armi solo, ma di ragioni,
& quindi n'havessero a riuscire dissidij, & portenti, che nel comparire
eccitassero gli animi, & dilettassero le viste.
Nè certo favola
più approprosito seppe egli, nè stimò potersi trovare di quella di Circe, si
perchè generalmente facendosi ella Maga, sarebbesi potuto far'apparire ciò che
si fosse voluto di portentoso. sì perchè il giuoco, & la contesa del
correre co'i cavalli, vogliono alcuni autori essere da prima stat'istituito da
Circe, dal nome della quale il luogo si denominasse, Circo. sì ancora, perchè
si poteva, alterata che fosse alquanto essa favola, appropriatamente accomodare
all'occasione dell'honorare la Serenissima Sposa, adattando in oltre a
Mantenitori le persone, non solo quanto al numero, ma quanto a certe qualità in
proposito. Al Mantenitore da cavallo la
persona di Pico, a cui fu attribuito l'aggiunto di Domatore di cavalli, da
Virg. A i tre da piedi i tre figliuoli
d'Ulisse, il qual vien armato da Homero, ove lo fa capitare a Circe, di picca,
e di stocco, con che essi erano per combattere. & perciò nella favola
risoluto, publico, a gli undici del mese, la Narrativa principale, che servir
dovesse insieme & per manifesto da provocare Venturieri, & per querela
da cartellarci contra, & per soggetto da discorrere fra Dame, &
Cavallieri, ventillando le Proposte; le quali, ovunque nobilmente d'ama,
poteano parere più mostruose di quegli istessi mostri, a cui erano
preparatorie. Et fu questa.
[...]
[pag.10:] [Pico
è stato trasformato da Circe, che lo tiene lontano dalla sua amata Canente]
[...] le bastò
ridur me di Canente in Piangente, senza farmi latrante, come Scilla, che da
Glauco era stata a lei così preposta in amore, com'io da Pico.
[pag.12:] [...]
Delle due Veneri, non vuole approvare quella antichissima, purissima,
bellissima, che nata dal Cielo senza madre, conversa fra i celesti, contenta
dei diletti dell'animo, conoscitore incorrotto, & amator sincero dellla
verace Bellezza; ma la rifiuta, come un'imaginaria vanità, & insieme seco
si burla del suo Amor celeste; e perchè di rado si trova tra i mortali,
[pag.13:] lo stima invalido, pretendendo che d'ogni affetto di vero amante il
termino sia la sensualità. Ma della
terrena Venere ancora, nata di Giove, & di Dione, nella cui lascivia
s'immerge, perverte, & confonde le ragioni, facendo professione di maestra
d'essorbitanze, così offuscando i giudicij, come corrompendo gli affetti.
[Segue il
colloquio di Canente e Circe pag.15:] [Pico] sarà mio finchè sarà durabile la
mia possanza: e questa durerà, secondo il vaticinio del Padre Apollo, che
richiestone così rispose.
Fia di Circe
il poter distrutto. Quando
sposino tanti GIGLI tante
STELLE.
Hor pensa tu
quando, & mai sia per adempirsi accoppiamento sì lontano, &
impossibile.
Non intendessimo allhora, che, sotto l'apparenza del
confermare, stava il minacciare, ma la riuscita del gloriosissimo sposalitio
de i Gigli Farnesi, e delle stelle Aldobrandine, corrispondenti in numero,
han fatta chiara la predittione. Sopra
che stando io in pensiero, fra desta, & addormentata, ne i tempi, che si
publicò, viddimi una notte su l'Alba sopravenire Mercurio; il quale, confermata
che m'hebbe l'interpretatione della risposta d'Apolline, soggiunse: Che in
virtù della bell'opra, ch'havevano fatto le due Veneri, la Celeste, e la
Terrena accoppiando gli Amori, nella nobilissima unione de' due Personaggi,
dovevano i veri, e leali Amanti esser fatti partecipi del giubileo universale,
& le malvagità nocive esser dileguate; com'io in breve ne proverei
l'effetto, già che le giuste querele erano ascoltate con orecchie pietose,
& le lagrime rimirate con occhi di tenerezza.
[Canente
prosegue spiegando che solo la Moli, erba magica e terapeutica già usata da
Ulisse, ha il potere di liberare Pico dall'incantesimo di Circe. Con l'aiuto dei Cavalieri si potrà riuscire
nell'ardua impresa di estirpare la Moli, e di superare la resistenza dei
custodi della Montagna Circea].
[Finito il
discorso di Canente, riprende la descrizione del commentatore] [pag.18:] [...]
Parvero colpire
assai evidentemente alcuni, i quali nell'alludere all'arma Farnese, giudicavano
più appropriatamente da dirsi quei fiori azzurri, Giacinti, che Gigli. Ma questi mancarono di riscontro;
conciosiacosa che senza i Giacinthi si trovano azurri pur'anche i Gigli, per
altro nome, Gladioli, & Iridi; i quali a più dovere si nominavano, sì per
essere il Giglio ricevuto per fiore, di nobiltà, molto più principale; sì
perchè fosse luogo a scherzare dalla pianta [pag.19:] c'ha figura di spada,
all'Armi de'Farnesi, come dal fiore all'Arma; e dall'Iride alle bellezze, &
alla varietà de gli honori, di cui la casa è splendidissima. Che se il Caro s'attenne ai Giacinti,
fecelo con giuditio, in rispetto de'Gigli reali di Francia, i quali s'era egli
proposto primieramente. Ma in questa
occasione sarebbe importunità, non che sminuimento, frammeschiare in tanta
allegrezza memoria di Giacintho, il qual è fiore, che rappresenta lutto, o per
la morte del giovanetto amato da Apolline, o per lo sangue d'Aiace, onde è nel
mezo con certe vene distinto, che raffigurano queste due lettere AI, in greco,
indicio di dolore, che perciò fu egli detto Mesto, con flebili figure. Et per chi si sentiva male, che i GIGLI si
dicessero sposare le STELLE, si ricordava essere stato detto le pioppe maritate
alle viti da Horatio, & fra le viti, e gli olmi il coniugio si trova in
Virgilio.
[RFS doc.7, IRI001, MUR005]
GASPARO MURTOLA, L'Iride.
Epithalamio del Signor Gasparo Murtola nelle nozze
del Serenissimo Sig. Ranuccio Farnese Duca di Parma e
di Piacenza con la Serenissima Signora Donna Margarita
Aldobrandini, Roma, Guglielmo Facciotto, 1600.
[carta B 2r.:]
L' IRIDE. EPITHALAMIO DEL
SIGNOR GASPARO MURTOLA.
O tu, che al lampeggiar
di chiare Stelle
Dopo maligne, & horride tempeste
Iride scopri a noi luce tranquilla.
Spiega, deh spiega ohmai l'Arco celeste,
L'Arco, che fiamme mostra ardenti, e belle,
E di gemme, e di porpore sfavilla
O qual dolcezza stilla
Il rugiadoso suo dorato manto ?
Sian pur lungi le guerre, e le saette,
In altra parte affrette
Sdegno crudel l'angoscie, il lutto, il pianto
Ei pace apporta sol dolce, e gradita,
Et Himeneo, & Amor benigno invita [carta B 2v.:]
Tu
mio Signor, che solo elmi lucenti
Havesti
in vece di superba fascia,
Cui
furo il lusingar trombe sonore.
Cangia
pensiero homai, le guerre lascia,
Lascia
gli usberghi, e l'ire aspre, e dolenti,
Che
prò viver fra l'armi, accenda il core
Più
fortunato ardore,
Che
se ben su la dura, e forte incude,
Le
fè Vulcano e le temprò col foco,
Pur
fiamma hor non v'ha loco,
Che
tempre hai furon di pietade ignude,
Quelle
donque abandona, e siano audaci
Guerre
i vezzi d'amor, le trombe...
A questo suono vaga, e lusinghiera
Discopri
il tuo splendor vergine bella,
A
questo Iri ancor tu chiara, e lucente
Esci
nel dolce arringo, e di novella
Luce
fiammeggia, in più amorosa spera,
E
bene hai tu più del ricco Oriente,
E
più vivo Ostro ardente,
Sono
finti color quelli, che mostra
Fra
le sue nubi lei vaghe, & acquose,
Son
di vermiglie rose
Faci,
queste, che Amor nel viso innostra
Et
invece di stille humide, e intatte
Bianche spume ti son, candido latte. [carta
B 3r.:]
Mirala
tu Signor, come vermiglia
Fiamma
discopra ne le bianche gote,
Mirala
come in se mille altre nove
Iridi
nostre, e le faccia anco note,
Iridi,
& Archi sono ambo le ciglia
Iridi
e Archi son le labra v' [sic] piove
Dolcezza
tal, che move
Invidia
a l'Alba, al'hor, che dolci brine
Stilla
dal ricco suo gemmato lembo
Della
terra nel grembo
E
ben son più soavi, e ben più fine,
Poichè
non solo han ruggiadosi humori
Ma
fra le brine ancor perle, e tesori.
Accresce la bellezza ardente, e chiara
La
nobiltà del sangue eccelso, e augusto
L'accresce,
chi di tre scettri la fronte
Cinge
sul Vaticano invitto, e giusto
La
fa più vaga ancor, più la rischiara
Chi
già apparve sul Po più bel Fetonte,
O
come con sue conte
Opre
placò il furor ? come l'insane
Ire
discordi, che già il Mondo tutto
Empiro
ohimè, di lutto
Come
tranquillo il fece, e con istrane
Sembianze,
per altrui maggior tesoro
Converse
i pianti in Ambre, il ferro in oro ?
[carta
B 3v.:]
Ma
dove volgi lusinghiera il ciglio ?
Dove
le luci tue serene, e vaghe ?
Mira
homai il tuo bel Sole Iride, mira,
In
esso l'occhio, in esso il cor s'appaghe,
Questi
i colori tuoi col suo bel giglio
Rende
più belli ogn'hor, ahi come gira
In
te il suo guardo, e spira
Dolcezze
ancor dal bel sembiante altero:
Come
specchio gli sei lucido, e terso
Come
da se diverso
Hora
amator si mostre, & hor guerriero,
E tu
mentre hai d'acquosa Iride il volto
Ne
l'acque ei senta il cor di fiamme involto.
Questi nato di regio sangue Illustre
Hebbe
ancor come tu chi il Mondo resse,
Questi
di più Corone il crin succinto
Genti
straniere fra le guerre oppresse,
E
come il Sole in vil terren palustre
Altri
fieri Pitoni ha ancora estinto,
Mira
come dipinto
Di
chiara luce homai le guerre aborre,
E
tempre fra le tue natie bellezze
Le
già passate asprezze,
Già
più sopra destrieri ei più non trascorre,
Che
fra le stelle accolto altero, e bello
Pegaso
e, fatto il suo destrier novello
Guarda
il Fratel come ancora
altri pregi
Accresca
ai pregi suoi chiari, honorati,
E
benigno, e cortese a noi risplenda,
Offri
l'aureo Montone, ed altri fregi
Fe,
che d'intorno a quello il mondo attenda,
E
perchè più gli accenda
Mille
porpore lor care, e gioconde
Offrir le conche, a lui de l'oceano,
Ne
pensier inhumano
Tenner
di chi le trasse fuor de l'onde
Che
vita ebbero al'hora, e nel'adorno
Ostro
provaro in terra un più bel giorno.
O lui felice, o te fortunata
Iride
bella, che a un sì vivo Sole
Fiammeggi
opposta, e sei di lui l'imago
Bene
avien, che da te l'honor s'invole
A
le Stelle del Cielo, a l'indorata
Chioma
di Berenice, e ben più vago
Cerchio,
e di cinger pago
Il
tuo bel crine a te, che ad Arianna,
Che
se d'oro appar quello, e in Ciel di mille
Stelle
avien, che sfaville
Di
zafiri, l'hai tu, ne già s'inganna
S'altre
Stelle vi mira poichè ancora
Con
le tue stelle il tuo bel Sol l'indora
[carta
B 4v.:]
O
qual progenie da voi il Mondo attende
Felici
Heroi, qual dolce speme pasce
Il desio,
che in mille alme signoreggia,
S'è
ver, che da un bel Giglio il giglio nasce,
Già
già più pretiose Iridi apprende,
Già
a noi la luce d'altro Sol fiammeggia,
Che
quel del Ciel pareggia,
Le
colombe l'additan, che co i rostri
Si
danno i baci,e l'amorose piume
Vagheggiano
al bel lume
L'accennano
le Conche, e perle, ed ostri
Mostrano,e
su le lor scorze gradite
Mille
Iridi hanno vaghe, e colorite.
Canzon tu per te stessa
Informe
nube sei, nube incomposta,
Pur
se ti mostri opposta
A
lui ch'è un Sole in Roma co'bei rai,
Forse
Iride ancor tu vaga sarai.
[RFS doc. 58, DIO003, NON001]
NONNUS PANOPOLITANUS, Dionysiaca,
Hannover, 1605.
[libro
7, pag.217:]
[Si
riferisce all'amore di Giove per Semele:]
Parvus
Amor combussit iaculatorem fulminis
Neque
(congeries pluviae), & non flammanti latori
Fulmen
profuit.
Victu
est vero & ipsa imbellis Veneris pauco igne tanta Flamma
[glossa
a fianco:]
Amor summum Iovem domat
[pag.219:]
Coelestis & parvus amor cum irsutos
pilos habente scuto
Cum aegide cestus pugnavit, ab amorem
generante v.pharetra
Fulmineae graviter sonans subiugatus et
sonitus Echus
[glossa
a fianco:]
Exiguus amor etiam validissimos
domat
[pag.831:
Morrheus a Cupidine vulneratus. Calchomedem
amat. Amor fortes mollit. Calchomedia amorem simulat. Deformis formosam
amans] [...]
& aethera tangebat Morrheus
Spe vana sublatus. In corde enim
Puellam arbitratur habere telum
aequale amorum,
Vanus vir, quod puellam temperantem
quaereret oblectare,
Nigris membris & non recordaretur
formae.
Et ipsi arridens dolo ioculari
puella
[pag.833:]
Prope astans irritabat amore
infoelicem, hostium vero
Dixit innuptae instar velocia genua
Nymphae
Miserum est amorem non esse reciprocum
Quomodo
olim Apollinem fugisset Boreali currentem cum vento [...]
[glossa
a fianco:] Morrheus amore effoeminatus
[pag.835,
solo la glossa a fianco:]
Amor effoeminat etiam fortissimos. Tmolus
Caucasus.
[libro
47, pag.1225:] [parla Arianna abbandonata da Teseo:]
[...]
Perdidi
& patrem, & sponsum, heu mihi ob amores
Non
video Minoem & non Thesea cerno,
Gnossum meum reliqui, tuas v. non video
Athenas,
Patre
privata sum & patria: Ah valde misera
Munus
sponsale mei amoris aqua pulchra, ad quem fugiam ?
Qui
Deus rapiet me, & in Marathonem feret,
Veneri
& Theseo iudicio circumventam Ariadnen ?
Quis me acceptam fere perfluctus. Utinam
& ipsa
Vestrae filum aliud videam, ducem viae
Tale habere volo & ego filum, ut
effugiam
Aegei maris fluctum,
& in Marathonem transeam
Ut amplectar te iuramentum fallentem
coniugem
Accipe
me tuorum thalamorum cubicularium si voles
[glossa
a fianco:]
natura amoris admirabilis ubi affectus
& rationis pugna
[libro
47, pag.1227:] [...]
Talia
illa conquerente delectabatur Bacchus audiens,
Cecropiam
vero cognovit & nomen Tesei cognovit
Et
classem ex Creta dolosam, prope puellam vero
Divinam
imaginem habens resplendebat, virginem vero
Meliorem
in amorem alium flagellavit incitatore cesto.
[libro
47, pag.1229:] [...]
Non
Iovis omnibus imperanti persimilis fuit Minos
Tuus genitor, non Cnossus similis est
coelo
Nec frustra classis haec meum ingressa est
Naxum
Sed amor te servavit melioribus
nuptiis
Felix, quod relinquens deteriorem aulam
Lectum desiderabilis intuebere Bacchi
Quod magis voluisti decus superius;
utrumque n.
Coelum domum habes, socer v. tibi est est
Saturnius
Non
tibi Cassiopeia poterit aequiparari.
Filiae
suae ob ornatum coelestem. Aetherios enim
Laqueos
Andromedae etiam in stellis praebiut Persaeus
Sed
tibi stellatum faciam coronam, ut audias
Coniux
fulgens coronam amantis Bacchi.
[Bacco
si paragona a Teseo e lo disprezza]
[glossa
a fianco:]
Theseus
a Bacco contemnitur
[RFS doc. 57, COP001,
PAR003]
ROMOLO PARADISO, Copia d'una
lettera del Sig. R. P. con la quale da avviso dell'apparato, e grandezza, con che
si è rappresentato il Festino dell'Eccellentissimo Sig. Principe Peretti, Roma, Girolamo Discepolo, 1614.
[pag.7:] [descrive l'allestimento del Teatro:] [...]
Ma nella parte di mezzo del cornicione appariva un gran scudo,
circondato da molti svolazzi, e mostrava in campo azzurro la face d'Himeneo,
attorcigliata diruta. Sopr'essa in un
gran cartello si leggeva Tenderò sempre
al Cielo, ond'io discesi.
Io mi credo, che si dinotasse con tal impresa la qualità dell'amore,
che ha uniti insieme questi duo Sposi in matrimonio.
[così viene descritto Amore, pag.14:]
Havea cerchiata la zazzeretta con una benda piena tra molti ricami di
gran quantità di diamanti: e si crede esser quella, che solea portar innanzi
agli occhi, i quali erano svelati; quasi per non perder la vista, hor ch'è
divenuto pudico, quel conoscimento di verità, ch'in altro tempo presso di lui
era sconosciuta [...]
[pag.19:] [...]
In questo videsi appressarglisi [si riferisce a Venere] ANTEROTE.
Fanciulletto in tutto eguale, e simile ad Amore nella statura, e nel volto, sì
come era nella nudità, e nell'ali.
A prima giunta il persuade a compiacersi dell'opinion cangiata. Amore accortosi di lui, l'abbracciò, e
fecegli puerili accoglienze, ma piene di tenerezza fraterna. Promisegli poi, pur che egli da lui non
discompagni, di ben esseguire quello che havea ben risoluto nell'animo. E scegliendo nella faretra quelle saette,
dalle quali erano uscite così ree operationi, le rompe, e con disprezzo le
gitta in terra.
[pag.49:] [...]
incontro al Sole, Amor vede scendere, sovr'un'altra nuvola, ma non sì
grande, L'ETA' DELL'ORO, e tale che parea di concorrer seco e pareggiarlo di
bellezza. Rappresentava la sua veste
quel metallo, dal quale ella prese il nome.
Nel suo ricamo vedevansi ramoscelli di quercia con ghiande vagamente
intrecciati insieme. Il cinto era
bianchissimo [pag. 49:] Dinotava forse la purità del suo secolo. Intorno al collo, sul qual cadeva con molta
semplicità, o con accurata trascuraggine, una gran chioma d'oro, che le
arrivava al seno; era un fregio di smalti con more, e fragole, che in maggior
copia giungevano sin tra le poppe. I
suoi calzari non erano punto all'habito dissomiglianti. Disse il Sole: esser venuto a lodar con
le Muse la Sig. Sposa. E l'Età
dell'Oro, coronata dalle foglie dell'albero di lei: a rinovar se medesima in
Terra, onde si era partita.
[pag.64:]
Di Roma 15 febraro 1614
[RFS doc. 86, AFF004, PIN003]
BERNARDINO
PINO, Gli affetti. Venezia,1596.
[epistola
dedicatoria a:] Guido Baldo Feltrio Della Rovere duca quarto d'Urbino.
[carta A 2r.:]
Humile offerta
et breve discorso.
La lingua & la penna, questa con arte accommodata
a dipingere le lettere, & quella per natura disposta a formar le parole:
Illustriss. & Eccellentiss. Duca, fanno quasi uno specchio in cui si scorge
il pensiero di chi scrive, & si scuopre l'affetto di chi ragiona.
Però tanto
debb'essere ciascuno in regionare e in scrivere prudente e accorto, quanto è
per dare nell'uno, & nell'altro modo, non oscuro inditio di molta prudenza,
& ben chiaro argomento di non poca sciocchezza. consideratione veramente
necessaria a chi si diletta di scrivere dialoghi, [c. A 2v.:] o di fingere con
altri componimenti, persone: perchè non essendo sì fatto studio altro che
imitatione simile alla dipintura, sì come belle, & leggiadre figure farà
quel dipintore, il quale haverà nell'animo l'Idea di belli, & leggiadri
aspetti; così saggie, & prudenti persone introdurrà quello scrittore, la
cui mente sarà ripiena di buoni concetti, & d'honesti pensieri, quel
che in ogni buona stagione ha sempre invitato molti savij scrittori a trattare
di materie utilissime in piacevoli modi di Dialoghi, & di dilettevoli
Poemi, persuadendosi, che quanto è più efficace è per insegnare il modo di bene
operare, che'l solo precetto di chi insegna quali siano le buone
operationi. Nè valer debbe quella
debole ragione, che col dipingere un vitio si dimostri la virtù dicendosi, che
con un contrario si cura l'altro: perchè non è in modo alcuno da indurre in un
corpo sano l'infermità, per mostrare quanto possa la medicina per risanarlo ne
si debbe gettare olio, o grasso, in una veste ben netta, per far prova quanto
sia buono un sapone per levarne la macchia: rimanendone sempre si questa [carta
A 3r.:] qualche ombra, & di quella qualche indispositione & non poche
volte avenendo che un animo mal disposto non modera il proprio affetto nel
vedere la sua passione in un altro, ma nel considerare il lascivo affetto di un
altro cerca modo di satiare le libidinose sue voglie, & di colorire i
dishonesti suoi disegni. Poscia
che è cosa pur troppo chiara che'l vitio non s'emenda col vitio; ma s'annulla
con la virtù sì come le tenebre non si cacciano con l'oscurità, ma si dileguano
col lume, in cotal pensiero son'io sempre stato in iscrivere questi miei
ragionamenti famigliari con parole, sentenze, & stilo conforme alla qualità
delle varie persone, che in essi introduco, & co'l titolo de GLI AFFETTI,
scoprendosi in ciascuna persona l'affetto, o passione che la disturba, &
trovandosi il modo da correggerla, e da raffrenarla.
[RFS doc. 23, ARI001, RIN001]
OTTAVIO RINUCCINI, L'Arianna,
Firenze, Giunti, 1608.
[pag.50:] [...]
CORO DI SOLDATI DI BACCO
Spiega
omai giocondo Nume
L'aure
piume,
Vien
pur lieto, Amor t'appella;
Stringi,
stringi i dolci nodi,
Stringi
e godi
D'allacciar
coppia sì bella.
Di
più raggi, o Re del giorno,
Splenda,
adorno
Questo
dì bello, e gentile,
Dì
felice e fortunato
Dì
beato,
Da
segnar con aureo stile.
COR.
A
l'aspetto sereno, al nobil volto,
(Sembianze
altere, e nove)
Deh
come degno appar figlio di Giove [pag.51:]
Amore. Mirate, o voi del Cielo,
Mirate,
o voi mortali,
D'Amor
l'altere glorie, o face, o strali.
ARIAN.
Gioite
al gioir mio,
Al
gioir mio, ch'ogni pensier avanza,
Talche
di maggior ben non è speranza.
Sovr'ogn'uman
desio
Beato
è il cor ch'a per conforto un Dio
COR.
Fortunati
sospir,pianti beati,
Cui
cotanto conforto
Destinaron
del Ciel gl'eterni fati.
VENERE USCENDO DAL MARE
Avventurosa
sposa,
Di
celeste amator godi gl'amori,
Godi,e
nel sen divin lieta riposa.
Ne
le dolcezze tue vegg'oggi il mondo,
Che
sotto fe d'Amor tradito core
Sanno
gli Dei del Ciel tornar giocondo.
GIOVE APERTO IL CIELO.
Doppo
trionfi, e palme,
Doppo
sospiri, e pianti,
Riposate
felici, o ben nat'alme; [pag.52:]
Sovra
le sfere erranti
Sovra
le stelle, e'l Sole
Seggio
v'attende, o mia diletta prole.
BACCO
Ne
l'eterno sereno
Meco
raccolta, entro gl'eterei scanni
Lieta
vedrai colmo d'ambrosia il seno.
Sotto
l'immortal piè correre gl'anni
Ivi
tra sommi Dei de l'alto coro,
Faran
del tuo bel crin ghirland'alloro:
Gloriosa
mercè, d'alma, che sprezza
Per
celeste desio mortal bellezza.
Il FINE.
[RFS doc. 25, DAF001, RIN001]
OTTAVIO RINUCCINI, La Dafne, in ANGELO SOLERTI, Gli
albori del melodramma, Milano-Palermo-Napoli, R. Sandron, 1904.
[pag.VI, commento di
ANGELO SOLERTI:]
Per l'occasione di una nuova recita della Dafne
[: di Ottavio Rinuccini] fatta per festeggiare il Duca
di Parma venuto a Firenze nel 1604,
l'editore Marescotti trasse dal
magazzino le copie ri
[pag.VII:] maste invendute della
edizione precedente, e
a quelle ristampò il primo
foglio con le due quartine mutate nel prologo
secondo che comportava la nuova
circostanza
[pag.
75:]
[EDIZIONE
DEL 1600; PROLOGO, parla Ovidio, versi
17-20:]
Ah,
riconosco io ben l'alta Regina
Gloria
e splendor de'Lotaringi Regi,
Il
cui nome immortal, gli alteri fregi
Celebra
il mondo, e'l nobil Arno inchina.
[EDIZIONE DEL
1604; la precedente quartina è
così
mutata
in onore di Ranuccio Farnese...:]
Oh
ben del guardo allo splendor guerriero
Che
vibra di valor scintille accese,
Ben
conosch'io dell'Immortal Farnese
L'inclito
germe d'ogni pregio altiero.
[...e
vi è aggiunta la seguente:]
O di
gran genitor non minor figlio,
(Nè
sa lingua mentir che Apollo scioglie)
Ei
su la Mosa alzò sanguigne spoglie,
Tu
l'Oronte, tu il Nil farai vermiglio.
[pag.76:]
[Nell'EDIZIONE DEL
1608, le precedenti due quartine
furono
nuovamente mutate nelle seguenti:]
De'
gran sembianti allo splendore altero
Vincenzio
io ben conosco e Leonora,
Incliti
eroi, che ogni bell'alma onora,
E
del Mincio e dell'Arno onor primiero.
Coppia
real, ch'alto destino scelse
Per
serenar, per far beato il mondo,
Al
cui senno e valor d'Atlante il pondo
Fora
soma non grave, anime eccelse.
[RFS doc. 60, INH001, SAM002]
GAVINO SAMBIGUCCIO, In
Hermathenam bocchiam interpretatio,
Bologna, 1556
[afferma di far parte dell'Accademia Bocchiana nell'epistola
dedicatoria diretta a «Salvatori Salapussio Archiepiscop. Sassarensi», etc.
pag. 7:]
[pag. 13; l'Accademia fu fondata dieci anni prima dal Bocchi, intorno
quindi al 1546; pag. 14: tra i fondatori è indicato Paolo III Pontefice. Dopo la morte di lui, protegge l'Accademia
Alessandro Farnese cardinale:] Quamvis
autem post mortem Pauli, Alexander Farnesius Cardinalis amplissimus &
idem Academiae Bocchianae patronus & Moecenas praecipuus, superstes
manserit [...]
[Segue la spiegazione del simbolo dell'Accademia: Ermete, Atena e
Cupido con il motto, pagg. 25 e segg.:] SIC MONSTRA DOMANTUR.
[pag. 35:] Horum autem in medio divinum depinxit Amorem, qui adamantino
freno monstrum frenat, cuius quidem rei admiratione ductus poeta, cum tam
parvum puerum, qualis Amor est, tantum Monstrum tam exiguo freno regere ac
ducere videat, divinum hunc affatur Amorem, quaeritque unde nam in puero
tam parvo tantae insint vires. Cui
Amor respondens apertissime monstrat causas, quibus mediantibus similiter &
nos possimus monstra domare, tandemque nobis veram felicitatem ac beatitudinem
comparare, quem admodum fusius suo loco declarabimus: atque ista, ut breviter
dicam, in praesenti Symbolo Poetae nostri intentio fuit [...]
[descrive il contenuto dell'opera:]
In primo igitur capite, quia hactenus de sum [pag. 36:] ma felicitate
deque summo bono actum est, conclusumque fuit, hoc ipsum bonum nihil aliud esse
quam Deum Optimum Maximum, quodque ipse sit prima omnium forma primusque omnium
intellectus, breviter quid Deus, quidque intellectus, sit declarabimus, cum
tota intelligentiarum latitudine ac productione: ad humanum usque intellectum,
quem secundum doctrinam Philosophicam in suas dividemus etiam partes, quae
omnia si diligenter a nobis considerata fuerint, cognitu illa esse summe
necessaria apparebit.
In secundo vero capite, cum primus hic intellectus summum bonus sit,
veluti diximus, declarabimus quidnam sit hoc summum bonum in illo primo
intellectu constitutum & quomodo illud singulis rebus participetur ac
infundatur.
In tertio deinceps capite postquam a nobis ostentum fuerit, hoc summum
bonum nihil esse aliud quam Amorem, breviter quoque quid & quotuplex ille,
de quo loquimur, Amor sit, declarandum erit, ut inde appareat, de qua parte
Amoris Poeta noster intellegendus sit.
Quarto loco, cum declaraverimus Poetam nostrum ad divinum respexisse
Amorem in praesenti Symbolo suo, quaedam etiam circa hoc amoris genus
annotabimus demonstrabimusque quot [pag. 37:] & qui sunt ipsius
effectus. Cumque divinum hunc Amorem
effectus producere dicamus, necesse est, ut suas habeat causas ad quas relative
referatur, ideoque.
In quinto capite veras Amoris istius causas secundum Poetae mentem ac Symboli
intellectum declarabimus.
In sexto vero capite, cum istum Amorem divinum ac spiritualem esse,
nec ullo pacto nisi ab ipsa mente possideri constet, declarabimus quo nam pacto
ab anima possideatur, & quo modo intellectus illi uniatur copuleturque expediemus.
Septimo vero ac ultimo loco demonstrabimus, qua nam ratione humanus
hic intellectus tali coniunctus atque unitus amori vitiis omnibus atque
peccatis exuatur, & quomodo nos perfectissimi efficiamur, ipsique Deo Optimo Maximo, qui omnium rerum est perfectio
summuque bonum, coniugamur. Atque ista
absolutis, erit totum secundum primae divisionis nostrae membrum explanatum
& absolutum.
[pag. 48:] [...] Fuerunt autem variae Philosophorum de Anima
sententiae. Py [pag. 49:]
thagoras [...] Post istius autem opinionem effrenus &
impudentissimus omnium Epicurus, primitus, postposita & neglecta omni
rationis consideratione, Animam nostram mortalitati & corruptioni obnoxiam
afferere non est veritas: unde nec bonorum praemia, nec malorum supplicia ulla,
post mortem expectanda autumans, animum suum ad impuras illecebras corporis,
lasciviam, cupiditates pravas, voluptates inhonestas, ac sensuum sordidas
delectationes adiecit: a quo equidem futilissimo errore inanique opinione quam
alienus sapientissimus Socrates, divinusque Plato esset, alter nobis voluntaria
morte declaravit, alter innocentissima sua vita, sanctissimisque moribus ac
innumerabilis, quibus insignis erat, virtutibus, tot ac tam firmis rationibus
& aucthoritatibus, quibus passim eius sunt referta [pag. 50:] volumina,
clarissime ostendit: quae omnia quid quaeso aliud volunt, quam ut nobis hanc
animae nostrae immortalitatem ob oculos & in conspectum ponant ? [...]
[pag. 58:] [...] summum bonum nihil esse aliuq. quam divinum Dei
Amorem, qui cum talis sit, ut & ipsum Deum amatorem, & eundem
quoque id quod amatur constituat, nullum utique, sicuti in reliquis omnibus,
discrimen aut differentiam inducet [...] Nam quemadmodum in Deo, is qui
cognoscit, id quo cognoscitur, atque ipsa cognitio, unum & idem sunt: ita
& in eo, Amator, id quod amatur, & ipse amor, unam & eandem rem,
unam & eandem naturam; & eandem essentiam efficiunt.
[pag.74:] Nos autem ex tribus Amoris partibus illa duo prima capita,
quae & naturalem & sensitivum complectuntur Amorem, missa facientes, de
tertio tantum, voluntario scilicet & rationali, dicemus Amore: quem
similiter in tres dividemus partes: in Delectabilem scilicet, Utilem, atque
Honestum. Delectabilis autem Amor ille
vere ac proprie dicitur, qui a corporis pulcritudine, cum quadam exteriorum in
nobis sensuum delectatione, provenit: estque totus lascivus & sensuum
solummodo delectationibus indulget: atque hic est ille amor, quem nostra hac
tempestate maxime esse in usu cernimus, cuius finis non est alius, quam lasciva
& obscaena corporei nexus coniunctionisque membrorum delectatio, quae ipsa
quam primum perit & extinguitur, iste quoque una amor deficit &
deperditur, neque enim amplius amatur id, in quo nulla est reliqua talis
delectatio: ita siquidem a Natura comparatur est, ut quaecunque delectationem
nostris sensibus afferre possunt, illa cupide & avide in primis
desiderentur, simul vero atque in nostram veniunt potestatem, tum statim
satietate quadam rerum illarum sensus explentur, ita ut illae non solum non
amentur amplius, sed ut ipsi sensus etiam postea ab illis abhorreant: neque
tamen negare possumus, saepissime hoc amoris genus ad honestum amorem reduci
posse: quoties videlicet, mediante corporis pulchritudine & ipsius
honestatis atque integritatis delectatione accedente, fit ut ad divinum Dei
amoris perveniamus [...]
His praedictis duabus Amoris speciebus tertio loco a nobis Honestus
amor connumeratur: & est ille qui proprie soli compe [pag. 76:] tit
homini, & in nobis ex honesto, & bono quodam provenit desiderio, atque
ex voluntario affectu originem ducit, qui affectus non est vagus, sed ab
ipsa ratione omnium magistra gubernatur. Talis est ille scientiarum ac virtutum
omnium amor, talis quoque est ille mutuus ac reciprocus amicorum, Patris &
filij, uxoris & mariti, inter se, & ut breviter dicam omnium
bonarum rerum amor: quibus intervenientibus non homines aliquo modo
perfectiores fieri posse speramus,
[pag. 77:] [...] tertius Amor, divinus a Platone nostro
dictus, qui aeternarum rerum aeternaeque sapientiae est amor: ideoque
divinus appellatur, quod ipse solus in intellectu consistens, ab omni
disiunctus ac segregatus est materia, quod que in illo solo homines divinae Dei
pulchritudinis divinaeque Dei sapientiae fiunt participes.
[pag. 81-82: teoria neoplatonica delle due Veneri, una lasciva e
l'altra celeste].
[pag. 115: l'amore divino è lo stesso che ha spinto i primi cristiani
a sacrificare se stessi divenendo martiri].
[pag. 119 (titolo):] Interpretatio quo modo humanus
intellectus divino coniunctus ac copulatos amori, omnibus viciis atque peccatis
exuatur: & quomodo nos, Deo Optimo Maximo coniuncti, perfectissimi
efficiamur.
[chiude affermando, a pag. 160:] Amor omnia vincit: nam si
amoris studium & ardor in rebus perficiendis desit, frustranueus profecto finis erit, at si e contra studium
diligentiam cum sanctissimo hoc amore adhibeamus: adsitque nostra progressio,
id est firma perseverantia, necessario perfectissimus tunc noster aderit finis,
hoc [pag. 161:] est, summa Dei amoris erga nos, & nostri erga Deum, perfectissima
coniunctio.
[RFS doc. 68, AVV002, SAN015]
FORTUNIANO SANVITALE, Gli
avvenimenti amorosi di Arianna, Padova, Lorenzo Pasquati, 1600.
[c.C
2v.:]
Tornando
e'i vincitor da l'India quivi
A
trionfar venia cinto di fiori
Con
Satiri, e Silvani & altri Divi,
Che
mandavano al Ciel gridi canori.
I
quai se ben parean di sensi privi,
Cantavan
le sue lodi, i suoi honori,
Ecco
co'l suon de l'ultime parole
Di
Semele invocar s'udia la prole.
Di
costor festeggianti, altri scoteano
(Coperto
il ferro) e lunghi Tirsi, e belli;
Altri
(di sangue intrisi) alto teneano
Le
membra di più laceri Vitelli;
Altri
il petto, & il collo si cingeano
Di
serpi, troppo horribili a vedelli;
Tale
Laooconte è in Vaticano,
Dove
hor siede il gran Zio vostro sovrano.
Altri
ne i cesti al buon libero Padre
Fean
sacrificio occulto unitamente;
Percotean'altri
poi con man leggiadre
I
Timpani, e tal suono era frequente.
Bacco
seguito da sì liete squadre
Vede
ARIANNA bella: ma dolente.
Stava
sola, e piangendo: Al primo sguardo
Amor
gli aventa un suo dorato dardo.
[c.C
3r.:]
Io
sono il Dio di Thebe se no'l sai
(Gli
dice Bacco) a cui di te ben cale,
Tratto
dal suon de i tuoi dolenti lai
Apporto
medicina a sì gran male;
Udita
ho la cagion de gli alti guai,
E so
chi fosse l'infedele, e quale;
Ma ecco
(oime) mentre vo darti aita
Mi
vien da tua beltà dolce ferrita.
E
mi legano già tue trecce bionde
(Bella
Arianna) strettamente il core;
Cupido
vi s'annida, e vi s'asconde;
Vedi
come esce in sù la fronte fuore,
E
come egli entra ne belli occhi, donde
Gli
strali aventa, e l'amoroso ardore.
Se
quelli mi piagar, questo l'infiamma,
E
per te mi distrugge a dramma, a dramma.
Un'Etna
o fatto alma Cretese il petto,
Che
manda al Ciel mille sospir cocenti;
Da
te soccorso a tanto incendio aspetto,
Cui
spegnere non ponno, o pioggia, o venti,
Ne
fieno i tuoi disir vuoti d'effetto
Se
in gioia di cangiar brami i lamenti;
Con
questo dire il Dio lei assecura,
Che
rispose fra speme, e fra paura.
[c.
3v.:]
Nume
gentil, cui tutto il mondo honora.
Poi
che tanta di me t'assal pietate,
Sappi
che'l mal presente hor si mi accora
Ch'i
temo ancor di nova crudeltate,
E se
ciò mi sovrasta, Morte hor hora
Spegni
questa dannosa mia beltade.
Ma
se di darmi aita hai pur nel core,
Rendi
a Donna tradita il tolto honore.
La
bella Donna, e de l'amore il foco
Benche
al Dio faccian lusinghiero invito,
In
lui i preghi suoi trovando luoco
Fan
che prenda gentil novo partito.
Da
costei non vuol già molto ne poco,
Se
di lei prima non divien marito.
Honde
fa celebrar tali Himenei,
Quali
solean fra lor gli antichi Dei.
E
così all'hora se la prende in moglie
Il
vago Dio, cui segue ogni hor Sileno.
Quinci
ARIANNA le passate doglie
Poste
in non cale è già felice a pieno:
Egli
intanto la sua corona toglie
Per
far che parte habbia nel Ciel sereno.
Se
in Terra fu di gemme, e ricche, e belle,
Vuol
che splenda la sù ricca di stelle.
[c.C
4r.:]
Da i
ministri di Bacco dirrizzato
Il
letto marital tosto si scopre;
Tutto
è d'Indico Avorio, e di rosato
Di
Gigli vien da le Baccanti ornato;
Questi
tutti partir, fornite l'opre;
Lasciando
in dolci giochi, & amorosi
Involti
i Divi fortunati sposi.
Intanto
al letto maritale intorno
Scherzavan
lieti i pargoletti Amori,
Indi
partiano, e vi facean ritorno
Cantando,
e sopra quel spargendo fiori,
Ne
la notte sì chiara, ne sì adorno
Reser
le stelle il Ciel co'suoi splendori;
Se
non all'hor, quando voi MARGHERITA
Foste
a sposo Real sempre unita.
[c.C
4v.:]
Al
Serenissimo Signor Duca
RANUCCIO
FARNESE
Duca
di Parma, & di Piacenza & c.
MIO
UNICO, ET SUPREMO PRINCIPE,
&
Padrone
PRENCIPE
di cui l'opre a poco a poco
Van
co'l Pianeta, che n'apporta il giorno
Non
già lo scettro tuo, te rende adorno
Ma
per te quello è via più illustre, e chiaro;
Diletto
a Marte, & a le Muse caro
Fusti
mai sempre; quinci il grido intorno
Di
te sparge la Fama; han quinci scorno
Quei,
che d'Italia bella il nome alzaro.
Sottrarsi
a l'orgoglioso ingiusto Impero
De
l'iniquo Ottomanno ha per te speme
La
Santa Terra, e dice; In te sol spero.
Trema
Babelle, e l'empio Trace teme
Le
tue vittrici insegne, il nome altero,
E
incatenato già sospira, e geme.
[RFS doc. 45, CAN003,
SFO003]
MUZIO SFORZA, Canzone di Mutio
Sforza fatta al Popolo Romano per
la statua rizzata da lui in Campidoglio all'invitto Capitano Alessandro Farnese
Duca di Parma, & di Piacenza, & Gonfaloniere di Santa Chiesa dedicata a
gl'Illustrissimi Signori Conservatori di Roma, Roma, Guglielmo Facciotti,
1594.
[carta A 2r.:]
A gl'Illustrissimi Signori Conservatori di Roma Mutio Sforza.
Solea la Grecia
(Illustrissimi Signori Conservatori) coronare quegli Athleti Vincitori ne' suoi
giuochi con ghirlande di varie sorti, & dichiararli già vincitori per alta
voce di trombetta con allegrissimo applauso de' popoli a que'giuochi concorsi.
Et a gl'istessi Olimpionici le loro patrie il più delle volte havean per
costume rizzare statue. Con vie maggior pompa, & maestà i Romani vostri
maggiori dopo i trionfi dati a i loro vincitori Consoli 10 Imperatori poneano
statue, & ergeano Archi, & Colonne, in cui le loro chiare imprese,
& vittorie si vedessero scolpite, come anchora oggidì si veggono.
Questo bel costume
imitando voi, per dimostrare al mondo che non solamente appresso di voi le
antiche fabriche di Terme, & di Teatri, & le reliquie, di quel superbo
imperio avanzano: ma che etiandio dari, & viva ne'vostri petti gran parte
di quella generosità di quegli antichi spirti da cui discendete, havete hora
nel vostro Campidolio rizzata una statua al vostro invitto Capitano ALESSANDRO
FARNESE in cui memorabili fatti illustri penne, meglio, che scarpelli in marmi,
hanno in eterne carte scol [carta A 2v.:] piti; & le cui rade prodezze la
Fama con altra voce purchè di Trombetta, con tanto suo honore ha già fatto
sentire al Mondo.
Et ciò con gran ragion per fermo, & da saggi
fatto havete. Perciò che qual Capitano a tempi nostri era degno non pur di
Statue, ma di Colossi, & di Trofei più di costui ? Il quale dalla sua prima
giovanezza a guisa d'un nuovo Annibale sempre con l'arme addosso ha
guerreggiato, & scorto da Virtute, & da Fortuna accompagnato, con un
felice corso di vittorie lasciando memorie del suo gran valore ovunque egli ha
combattuto, ha fatto rimbombar del suo chiaro grido il Ponente, e'l Settentrione
con tua infinita gloria, o Roma ?
Per altro rispetto
conveniva anche a voi far questo. Conciosia cosa che regnando presso voi il
Capo della nostra Fede, & voi sendo a Roma la santa, non era ben dritto che
non solo Statue, ma Colonne, & Archi haveste rizzato a questo gran Campion
della Fe' di CHRISTO, per la quale egli alla fine è morto in mezzo l'arme ?
Perchè fe egli il tirocinio della sua primiera militia, & giovanetto
combattè con animo così intrepido in quella battaglia navale contra'l Turco,
& con rischio della vita, se non per CHRISTO ? Perchè tanti anni hora in
Fiandra, & hora in Francia ha egli continuamente guerreggiato, come Gonfaloniere
di Santa CHIESA, se non per difesa della Fe'di CHRISTO ? Questo vostro
honorato, & lodevole atto, & degno veramente del Popolo Romano, havendo
veduto io, l'ho voluto con questa Canzone, seguendo Pindaro, celebrare; acciò
che con lei voli con l'ale di questi fogli intorno per l'Italia quella Statua,
che da voi ad ALESSANDRO FARNESE rizzata sta fissa in Campidoglio; e'l grido
d'opera così honorata per tutto si divolghi.
Et pregando loro, &
a questa inclita Città, come a nostro Capo, ogni gratia del Cielo, alle S.V.
Illustrissime bacio le mani.
Di Roma, a 20 di Gennaro
MDXCIIII.
[carta
A 3r.:]
Ben
par che nasci da l'invitto seme
Del gran
Quirino, & che per l'arme
in tanta gloria
ascendesti,
a buon popolo di Marte
Perchè
se'l Ciel crea qualche altera pianta
In
te, del tuo valor nel'hore estreme
Per
ristorar le tue ruine in parte;
Sì
te ne pregi, e con tal pompa & arte
Anchor
transalata l'ami: & sì l'honori:
Che
da gli avoli tuoi gli alti consigli
Seguendo,
svegli de'nascenti figli
A
chiare imprese i generosi cori.
Onde
havrai, per gli honori
Che
per costume antico rinnovelli,
Alti
Drusi, altri Fabij, altri Marcelli [carta A 3v.:]
Su
la rupe Tarpeia festi per dianzi
L'essequie
con equestri simolacri
In
gran pompa al grand'Heroe FARNESE.
Et
hor di Pario Marmo gli consacri
Statue
spiranti: ond'immortal s'avanzi
La
memoria di tante eccelse imprese.
Et è
ben dritto, ch'ivi a lui sian rese
Le
Palme, ov'egli trionfar dovea.
Di
spoglie carco, e di mille corone
Del
pacato per lui Settentrione
Se
Morte il permettea.
Dunque
hor del Thrace, & del Belgico orgoglio
Ei
domator si scorga in Campidoglio.
Saggio
pensier fu'l suo: chè a tre FARNESI
Magni
ALESSANDRI assai devi tu, Roma.
Sendo
stati essi a te quasi tre Soli.
Il
Primier, ch'indi PAOLO ornò la chioma
Di
tre Corone: a cui fur sì cortesi
D'ambo
le chiavi lor stellate i Poli,
Da
te lontano hostili armati stuoli
Sbandì,
& d'Italia: & fetti una età d'oro.
Ti
tenne in pace, e'n gioia molti, & molti anni [carta A 4r.:]
Chiaro
il Secondo dal Mar Indo al Moro
Il
santo Aonio Choro.
Rivocò
da Parnaso: & bello in ostro
Fu
Mecenate, e Augusto al secol nostro.
Ma'l
terzo a glorie, et a trionfi nato
Emulo
di que' chiari antichi Heroi,
Per
ornarti, qual pria, d'Allori, et Palme,
Hor
vanne incontra a i faretrati Eoi:
Gli
rompe: Et manda ei giovinetto armato
Di
sua mano a Pluton più di mill'alme.
Et
copre il mar di lor barbare salme
Hor
mandato dal Zio, quasi novello
Druso
da novo Augusto, ei de la magna
Sua
vertù fa tremar Francia, & Lamagna.
Se
trofei dunque in questo clima, e'n quello
Lascia,
& di spoglie è bello:
Honora
lui, che vincitor in guerra
Fu
qual Duillio in mar, Cesare in terra.
Ne
men sua generosa inclita prole
Del
paterno valor, non sol del regno
RANUCCIO,
& de gli honor ben giusto herede
Armato
ei pur di Martiale ingegno [carta A 4v.:]
Spargere
il sangue in tua difesa vuole:
Et
per guardarti il Serpe in Colchi eccede.
Vedete
come a lui confida, & crede
Quel
ch'ebbe il Padre, il Gran Pastor Romano,
Di
Santa CHIESA il trionfal vesillo.
Chi
non sa ch'ei vi fia Scipio, & Camillo,
Se
l'ha visto la Mosa, & l'Oceano
Guerriero,
& Capitano
Hor
di se prove far inanzi al Padre:
Hor
prudente guidar Cavalli, & squadre ?
Vedete
come il sacro giovenetto
ODOARDO
fratel, del suo gran Zio
Per
le chiare orme a vera gloria sale.
Vedete
quanto ha d'honorar desio
Il
vostro nome: & con che augusto aspetto
Splende
ad un Sol in quel Senato eguale.
Onde
se mai ghirlanda far ti cale
Per
ornamento, a l'honorata testa
Fa
nostro capo, che di questi avvinti
Immortali,
odoriferi IACINTI
Eternamente,
sia, ROMA, contesta.
Così
mai nè tempesta
Gli
scuota, o turbo svella: anzi hor feconda
Aura
lor presti il Cielo, hor Sole, hor onda.
[carta
A 5r.:] Ma tu, che sopra quelle eterne Rote
Trionfi
de le tue tante vittorie,
Hor
di là su, Spirito invitto, mira,
Come
per rimembrar l'alte tue glorie
Ti
da tua ROMA quell'honor che puote;
E
t'erge marmo che minaccia, & spira.
O
con quant'arte, ch'a sè gli occhi tira,
Prassitele
novel, novo ALESSANDRO
Ha
te con scettro in man vivo ritratto.
Vedi
di Cigni pien le ripe, e fatto
Il
gran Tebro per te, novo Meandro.
O
pur questa d'Evandro
Città
crij pari a te. Perchè sian carchi
Tutti
i suoi fori di Colossi, & d'Archi.
Sopra'l
monte Tarpeo, CANZON vedrai
Saggi.
Spirti gentil, che co'l nome
La
Maestà Conservan de'QUIRITI.
Dì
lor: Se vostri Duci al Ciel graditi
Tai
sempre honori havran: Qua ricche some
Portar
le genti dome;
Et
gioir, veggio, queste altere cime
Di
Carri Trionfai, di spoglie opime.
IL FINE.
[carta
A 5v.:]
Sonetto del medesimo Sforza in morte
dell'Illustrissimo
Duca Alessandro Farnese.
Al
quinto Cielito il FARNESE Marte
Lasciato
ha questo simolacro in terra,
Che
con piramidi alte cinge, e serra
Di
Palme, e di Trofei sua bellica arte.
Armate
Navi in Mar conquise, & sparte:
Battaglie
vinte: & Città prese in guerra,
Fede
al valor ch'ogni aspro orgoglio atterra
Faranno
in Bronzi, in vivi Marmi: e'n carte.
La
Mosa, il Rhen, la Senna, & l'Oceano,
E'l
Naupatto a la spada immortal vanto
Daran,
che fulminar tra lor sentissi.
Così
dicea virtù piangendo in vano
A
cui Fama fe' l'Echo. Et un gran pianto
In
Italia, In Ispagna, e'n Francia udissi.
IL FINE.
[trascritta
interamente]
[RFS doc. 5,CAR016, TOR001]
POMPONIO TORELLI, Carminum libri
sex.
Parma, Erasmo Viotti, 1600.
[libro 3, pag. 65:]
Ad Ranutium Farnesium Parm.
Principem.
Integer surda bene praeteristi.
Aure Sirenum scopulos
minaces
Hinc tibi digna statuemus
omnes
Laude trophaeum;
Monstra qui vinces
Acheronte ab imo
Cerberum traxit domitum
catena,
Traxit Alcides dominae
superbae
Mollia pensa:
Turpiter spectans vacuus
laboris
Dum furens Hector premeret Pelasgos
Cessit invictus Thetidis marinae
Sanguis Amori.
Pulchrius vinces cupidum Ranuti
Spiritum,
quam si subigas potentem
Thracium armis illecebrum proterva
Compede vinctus.
[libro 3, pag. 65:]
Ad Illustrissimum & Eccellentissimum
Odoardum Farnesium
Regum progenies, novis
Virtutum titulis qui decoras genus, [pag.
66:]
Non gemmas, Odoarde; Non
Crescentem
sequitur fama pecuniam;
Lati haud viribus imperi, haud
Coae
proveniet Gloria purpurae.
Non oblivia divitem;
Minas
non fugiunt spernere Principis;
Sepultis opprobrijs iacent
Sepsit quos tumidos turba satellitum;
Nullae blanditiae iuvant
Indignum meritis tollere honoribus
Virtus,quam peperit labor
Durus,sola
beat, sola superstites
Vitae, restituit viros;
Stellis sola viros inserit aureis;
Haec claves Atavo dedit
Plenum syderibus quae reserant polum.
Tectus scuto adamantino
Hac rectore potest frangere Belgicas
Phalanges genitor
tuus,
Et
perrumpere atrox moenia fortia;
Pulchro pulchrior Hespero.
Hac patris Carolus splendet avunculus;
Haec vostra Oceani freta
Subegit Tritavus isiades Cruci.
Hos, tu inter sapientia, et
Diceris
populis eloquio potens,
Plaudent, purpura dum tibi
Digno
dignius honos impediet comas.
[pag.151:] [...]
In
Amorem voenalem
Aeger
amans sibi poscit opem, medicina paretur,
Ingemuit, exultet, quae nocuere iuvent.
Vulnera
saeva tulit, iacit aurea tela Cupido,
Aurea
sunt, auro conciliator amor.
[RFS doc. 41, GAL003, TOR001]
POMPONIO TORELLI, La Galatea, Parma, Erasmo Viotti,
1603, pagg.varie.
[Imprimatur nel verso del frontespizio:]
Potest imprimi Parmae praesens Tragedia Illustriss. D. Comitis
Pomponij Taurelli, cuius titulus est Galatea, cum nihil contineat fidei, aut
bonis moribus obnoxium, cum ipsa sit fabula antiqua.F. Agap. C.Inq. Parmae,
quantum in se est.Ant. Angeluccius Maceraten. Vic. Gen. Parmae.
[EPISTOLA DEDICATORIA, carta + 2r.:]
All'Illustrissimo et
Reverendissimo Sig.Patron colendissimo Il Sig. Card. Farnese.
Essendomi l'Estate
passata ritirato a Montechiarugolo per passar con qualche trattenimento non
totalmente inutile la noia della stagione, & sottrar me stesso a molte
cure, & pensieri mi posi a tessere la presente Favola. La quale, poi
ch'ebbi ridotta al suo fine, & mostratela, secondo l'obligo delle leggi
nostre a questi signori Academici, piacque loro sì, che mi persuasero a
publicarla, per aggiungere questa semplice, all'altre due mie ravviluppate.
Da questo ardimento, che m'ha dato l'applauso
loro è nato un altro mag [carta + 2v.:] giore, fondato sopra la somma humanità
di V.S. Illustrissima, che mi ha persuaso a dedicarlo a lei. Nè mi spaventa
punto, ch'ella contro il corso dell'età e dell'usanza, havendo sopito ogni
straordinario affetto non sia per gustare di Poema per sua natura affettuoso;
parendomi, che perciò ella sia per prenderne maggior piacere. Non per quella ragione che si suole addurre,
ch'a quelli i quali sono in porto giova di veder talor gl'altri travagliati tra
l'onde, & di mirare standosi al sicuro gli altri naufragij, che questo
conosco alienissimo dalla Pietà di V.S. Illustriss. Ma sì bene; perchè la
perfettion sua è tale, che brama di vedere ogn'altro perfetto; onde quello, che
a lei per particolar proprietà si toglie di non soggiacere alle
perturbationi, per soprabondanza di benignità se le conviene per
l'imperfettione de gli altri; a quali è forza di compatire, e temere che non
trabocchino in quelli infortunij che l'imitation tragica ci propone, per
svilupparci da i lacci del piacer falso, & ridurci a una vera letitia.
Nè rimarrà perciò V. S. Illustriss. con la compassione, che nel suo magnanimo
petto si desterà de i mali, che diversi affetti a'mortali portano, & co'l
terrore, che per essi non avvenga lor peggio, che non goda insieme, conoscendo,
che lo stato di lei è tanto dal lor diverso, quanto un perpetuo sereno della
mente [carta + 3r.:] dalla caliginosa, & sempre travagliata instabilità del
senso si scosta.
Supplico V.S.
Illustriss. a non isdegnar questo dono per picciolo ch'egli si sia; poichè le
vien porto da eccesso di devotione, & che le piaccia nella debolezza dello
ingegno aggradire uno estraordinario desiderio di corrispondere in servirla
all'obligo, che tengo a lei, & alla Serenissima sua casa. Prego Dio che
conservi lungamente, e prosperi l'Illustriss. sua persona.
Di
Parma il dì 20 di luglio MDCIII
Di
V.S. Illustriss. & Reverendiss.
Devotiss.
Servitore
Pomponio
Torelli.
[carta + 4v.(prima di pag.1):]
PERSONE
Melibeo Pastore
Dameta Pastore
Choro
di Ninfe compagne di Galatea
Galatea Ninfa
Polifemo Ciclope
Aci Pastore
Satiro
Evadne Ninfa
Choro
di Nereidi
Choro
celeste
La
Tragedia fa il Prologo
La
Scena è ne i boschi di Sicilia.
[pag.1:]
PROLOGO
Questi
coturni miei, che'l minio tinse,
E
con vari fogliami adorna l'oro;
La
veste, che simiglia un verde prato,
Sparsa
tutta di gocciole di sangue,
E
qual novo troffeo fregiata intorno
Di
corone spezzate, e scettri rotti;
De
la mia testa l'ornamento altiero,
Ne
la qual, non le gioie, non le perle:
Ma
ne le chiome son le stelle inserte;
Il
Sol, che mi lampeggia ne la fronte;
Lo
sguardo in sè ristretto; il parlar grave;
E
gli atti schifi; e'l passo tardo, e lento,
A
quei gentili spirti, a'quai sol calse
D'honor,
che trionfar d'horridi mostri,
Ch'arricchiti
di senno, e di valore,
Fer
in pregio salir Roma, & Atene;
Tosto
palese farmi, e conosciuta [pag.2:]
Potrebber
per colei, che'l riso in pianto
De
gli Heroi volge, & ne l'essequie il fasto;
Che
de'tiranni è regno, e gloria, e nome
Egualmente
disperde, e le radici
Svelte
di lor grandezza al mondo mostra;
Come
squallida sterpe d'elce annosa
Scuopre
del Sole a i raggi Euro adirato.
Che
non per odio altrui, non per disprezzo.
Con
saldo piè, qual passaggiera calca
Queste
vane speranze; ond'i mortali
Son
sottoposti a i lacci, a i gioghi, a i ceppi,
Fatti
preda di morte e fama rea;
Ma
vaga di sgravar l'alme dal peso,
Che
le fa gir per forza a terra chine,
Per
certa via, benchè sassosa, & erta,
Di
sospiri, di lagrime, e di guai
Da
Pietà generati, e da spavento,
Per
quel sol ben, che più nel mondo huom brama,
La
mena a riveder l'aer sereno.
Già
fur di fele sparsi i detti miei
Graditi
a quelle menti, che d'altezza
Ebre
gustar ne la radice il mele.
Già
fu, chi m'ebbe cara, e da potenti
Popoli,
e da color, ch'ebbero il freno
De
le Cittati in man, fui riputata
Dei
Teatri magnanima Regina [pag.3:]
Hor'un
favoleggiar soave, e piano
Con
lusinghiere voci tiranneggia
L'orecchie
sì, ch'io violenta, e dura
Stimata
sono, e indomita, e proterva.
De
l'altrui colpa ingiusto biasmo merco
E de
l'affaticar, ond'altri il vero
Abbracci,
e lasci l'ombre fuggitive
Il
guiderdone è l'essere schernita
Da
chi non può mirar con gli occhi loschi
Quel
Sol, nel qual sempr'io le luci ho fise.
Ma
non perciò da l'util mio lavoro
Divisa
m'ha l'indignitate, o'l duolo;
Ch'a
quelli, onde virtù non si scompagna,
L'opra
è del ben oprar degna mercede.
Ecco
riprese ho l'armi; e l'armi sono
Questo
lucido specchio, e questi versi;
Quest'è
la mia Medusa: ond'io impetrire
Visto
ho la voglia altrui quando più ferve,
Queste
sono l'acute mie quadrella,
La
corda è il gesto, e la pronuntia è l'arco,
Co'quai
penetro, e intenerisco i cori;
Questo
è il mio duce, son questi i guerrieri,
Senz'essi
trionfar di dure genti;
Nè
potrei far sì gloriosi acquisti.
Hor
donne mie gentili, ove s'annida.
Con
somma leggiadria somma beltade [pag.4:]
Che
di moto gareggia, e di splendore
Co'l
ciel sublime, e con le chiare stelle,
Per
servir voi, per adempir apieno
L'obligo
mio; che pur son donna anc'io
Ogni
mio ingegno, ogni mia forza accampo.
In
questo chiaro specchio hoggi mostrarvi
Spero;
se'l ciel il mio desir adempie,
Che'l
ben, che de le voglie vostre in cima
Siede,
d'haver sopra le belle il vanto,
E
incatenato rimirarsi intorno
D'indissolubil
nodo stuol d'amanti,
Ch'arder
vi fa d'invidia, e l'odio desta
Tra
l'eguali sovente, e tra l'amiche
E
ben, che chi'l possiede a morte mena.
Che
la sembianza de l'eterne Idee,
Che
in voi traluce, se non v'erge al cielo:
Onde
per don di Dio scesa è tra noi,
O
tra vari lacciuoli intorno tesi
Vi
scorge da l'astutie de'minori,
O
vi lascia d'indegno indegna preda,
Cui
grande stato a violenza sprona.
Nè,
ch'io d'Amor hoggi parlarvi intenda,
Sia
che m'incolpi, o tal impresa stimi
Men
de l'usate mie severa, e grave;
Se
forse non sarà nel fondo immerso
Di
Lete sì, che più non gli sovenga, [pag.5:]
Che
l'amor di una Greca in grembo a Pluto
Molt'alme
chiuse già d'invitti Heroi;
Europa,
& Asia sottosopra volse
C'Hercole
domator de l'orco impuro
Con
Himeneo scherzando Amor'estinse.
Nè
men, c'Heroi non sian quei, che vestiti
D'habito
di Pastor proporvi hor voglio
Alcun
dirà; se ne la prima etade
Sa
che gli Heroi guidar greggi, & armenti,
Nè
con essi tra boschi si sdegnaro
Cinti
d'humana scorza eterei spirti
Errando
visitar gli antri innocenti.
Ma
se stirpe del ciel ve gli propongo
Chi
dal choro d'Heroi potrà sbandirgli ?
Nè
perciò il cor falso pensier v'ingombri,
Che
vere Deità fossero quelle,
Del
cui sangue, n'andar gonfi i Pastori;
Che
da Cocito tal nebbia d'errori
Si
sparse, mentre di superbia pregna
L'empia
turba de gli angeli ribelli
Nel
mondo s'usurpava altari, e tempi.
Poi
che dal sommo cielo il vivo Sole
Scese,
illuminò l'oscure carte,
E
nel lor centro rilegò quei mostri,
Io
quasi accorto medico distillo
Da
l'herbe venenose il vital succo [pag.6:]
Per
apportar salute a l'egre menti;
Che,
se quei, che per lor supremi merti
Fur
detti figli de'bugiardi Dei,
Per
traviar tra vane cure involti,
Da
possente voler, da speme vinti.
Tal
che sospir dal cor, da gli occhi pianto
Pietà
può trar co'l duro scempio loro.
Se'l
doloroso passo, ove son giunti,
Far
potrà altrui co'l pallido timore
Correr
per l'ossa, e per le vene il gelo,
Qual
si deve stimar, che sia la gioia,
Quanto
fallace il ben, che gli ha condotti
Sotto
immagine falsa di ben vero
A
trabboccar de la miseria in seno ?
Al
rio costume, onde Natura è vinta,
Al
desir cieco, al vaneggiar tra sogni
Così
potrassi un saldo freno porre.
Tal
che dal corso suo rivolta indietro
Punta
da sdegno, e di vergogna tinta
L'anima
vaga al suo fattor ritorni.
Questa
sarà del corso mio la meta
Donne
gentili; in questo segno spendo
De
la faretra mia tutti gli strali,
Con
diletto tra l'onde oscure infide
De
gl'infortuni altrui condurvi spero
Al
porto, ove virtù l'anchore getta. [pag.7:]
Hor
mentre nei Pastori, e ne le Ninfe
De
le soverchie voglie il flutto ondeggia,
A
voi stesse pensando, & al fin loro
State
ad udirle, a rimirargli intente.
[pag.108:]
[...]
Cho.
Io ardo di desio pur di vedere
Il
vago fiume, che'l più bel Pastore
Fu
che guidasse armenti; hor l'urna versa.
Sat.
Fuggite Ninfe al monte, al monte; il mare
Cresce,
spuma, e s'appressa,
Nereo
il suo gregge mena a veder l'alpi.
Melib.
Fuggi tu, ch'empio sei. Eccovi Ninfe
Le
Nereide vaghe, e co'l suo amante
La
bella Galatea, che'l puro raggio
Scopre,
per addolcir il dolor nostro;
Udite
a la sinistra amico tuono.
S'apron
le dense nubi, un nembo appare
D'alme,
che tra le stelle han loro albergo
Hor
beviam con l'orecchie il dolce canto.
C.
Ner. Ne le nostre tranquille onde marine
Prima
le treccie d'oro a l'aria sciolse,
Prima
le luci angeliche divine
Venere
ignuda a i salsi flutti volse;
Invido ciel, che tanto ben ne tolse,
E'l
caro furto vuole
Che
sempre guardi il sole.
S'al
dì volge la schiena,
O se
l'ombre scacciando i raggi mena.
C.
Cel. Quanto di bello il cieco mondo ammira,
Ciò
che'l terren produce, ò cuopron l'onde, [pag.109:]
Tutto
viene dal ciel, che intorno gira,
E in
vari semi virtù varie infonde,
Qualhor
a la ragion l'opra risponde;
In
lei si scorge il vero
Mirabil
magistero;
Ben
folle è chi'l riprende
Se
ne le proprie sue forme
risplende
C.
Ner. Perchè dunque fu tolta a i boschi dianzi;
Perch'al
mar condennata è Galatea ?
S'altra
non è che di beltà l'avanzi
Su
nel Ciel, se non sola Citerea ?
Già
più simile a la feconda Idea
Non
fu l'Orsa, ch'al dardo
Del
suo figlio gagliardo
Temprò
fremendo il duolo,
Et
hor cinta di stelle irraggia il Polo.
C.Cel.
Ebre di bello da'superni cerchi
Nel
vostro basso Fondo cadon l'alme;
Ivi
par che ciascuna attenta cerchi
Quel,
che traspar ne le corporee salme;
S'alcuna
a le bellezze sacre, & alme
S'erge
da quelle spoglie;
Lieta
tra noi s'accoglie,
Se
in esse si compiace
Con
esse, o in mar si tuffa, o in terra giace.
C.Ner.
Misere noi; che in fuggitiva gioia [pag.110:]
Ben
credemmo fondar nostre vaghezze,
E da
quel ben, che posseduto annoia,
Trar
ci pensammo alhor pure dolcezze;
E
perchè fummo a desio infermo avezze,
Instabil son l'acque,
Com'è
quel che ci piacque,
Fur
nostri lumi spenti,
E
s'aggiriam tra le tempeste, e i venti
C.Cel.
E così andra, chi tra gli acuti scogli
Erra
co'l fragil legno,
Nè
leva gli occhi al segno,
Che
vi scuopre il dì chiaro,
O
Notte, che di stelle accenda il Faro.
Melib.
Udiste accorte Ninfe,
Ciò
che prescrive a noi benigno il cielo ?
Siano
Aci, e Galatea, siano i lor pregi,
Ch'inghiottì
quasi pretiose merci
Tra
gli instabili flutti il mar'avaro.
Volgar
essempio a l'amoroso choro.
Ch'adontar
de', chi con suo danno impara,
Se
le miserie altrui scaltrir lo ponno.
Cho.
Vano pensiero aduna, Scorto da falsa speme
Chi
stima vero bene
Cosa,
che nata sia sotto la Luna.
Al
sovrano splendore, [pag.111:]
Che'l
fonte de la luce in grembo tiene.
Erga
la mente, e'l core,
Chi
brama esser contento;
Che
quanto piace al mondo, è picciol vento.
IL
FINE
In Parma, per Erasmo Viotti
MDCIII
[RFS doc. 43, MER001,
TOR001]
POMPONIO TORELLI, Il Tancredi, Parma, Erasmo Viotti,
1598.
CHORO
Queste
son le speranze, e quest'è'l frutto
Nè
lo scetro, nè'l regno,
Nè sotto l'ali sue il piacer fugace
A
lieto fine alcuno ha mai condutto;
Fugga ciò, che più piace
Al
volgo l'huom accorto, e cerchi a l'alma
Di
sè, sopra di sè corona, e palma.
IL
FINE
BIBLIOGRAFIA MANOSCRITTI
ABBREVIAZIONI
BAV Biblioteca Apostolica Vaticana
Ms. Manoscritto
Urb.Lat. Urbinate Latino
Vat.Lat. Vaticano Latino
Biblioteche ed Archivi
Consultati:
Bologna, Archivio di Stato
Bologna, Biblioteca
dell?Archiginnasio
Bologna, Biblioteca Universitaria
Città del Vaticano, Archivio
Segreto Vaticano
Città del Vaticano, Biblioteca
Apostolica Vaticana
Napoli, Archivio di Stato
Napoli, Biblioteca Nazionale
Centrale
Parma, Archivio di Stato
Parma, Biblioteca Palatina
Roma, Archivio di Stato
Roma, Archivio Doria Pamphili
Roma, Biblioteca Angelica
Roma, Biblioteca Casanatense
Subiaco, Archivio Colonna
ALDOBRANDINI C 19.10.1600
Card. Cinzio PASSERI ALDOBRANDINI, [Epistola a Ranuccio I Farnese duca di Parma con la risposta positiva
alla di lui richiesta di intercedere presso il Nunzio di Venezia perchè Sforza
Oddi possa leggere nello studio di Parma], Roma, Archivio Doria Pamphili,
Fondo Aldobrandini, busta 6, carta 193.
ALDROVANDI Observationes
Ulisse ALDROVANDI, Observationes, Bologna,
Biblioteca Universitaria, Manoscritti Aldrovandi, Ms. 124, vol. 136, tomo 27,
dall'8.3.1598.
AVVISO ROMA 05.05.1599 [Avviso di Roma del 5 maggio 1599], BAV, Urb.Lat. 1067, foll. 281r.- 285v.
AVVISO ROMA 09.06.1599 [Avviso di Roma del 9 giugno 1599], BAV,
Urb.Lat. 1067, foll. 361r.- 366r.
AVVISO ROMA 11.06.1599 [Avviso di Roma dell'11 giugno 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll. 331r.- 331v.
AVVISO ROMA 10.07.1599 [Avviso di Roma del 10 luglio 1599], BAV, Urb.Lat. 1067, foll. 450r. - 451v.
AVVISO ROMA 02.08.1599 [Avviso di Roma del 2 agosto 1599], BAV,
Urb.Lat. 1067, foll. 498r.- 502r.
AVVISO ROMA 14.08.1599 [Avviso di Roma di sabato 14 agosto 1599], BAV,
Urb.Lat. 1067, foll. 503r.- 506v.
AVVISO ROMA 30.10.1599 [Avviso di Roma del 30 ottobre 1599], BAV,
Urb.Lat. 1067, foll. 651r.- 654v.
AVVISO ROMA 03.11.1599 [Avviso di Roma del 3 novembre 1599], BAV,
Urb.Lat. 1067, foll. 661r.- 664v.
AVVISO ROMA 10.11.1599 [Avviso di Roma del 10 novembre 1599], BAV,
Urb.Lat. 1067, foll. 675r.- 678v.
AVVISO ROMA 20.11.1599 [Avviso di Roma del 20 novembre 1599], BAV,
Urb.Lat. 1067, foll. 714v.- 715v.
AVVISO ROMA 22.01.1600 [Avviso di Roma del 22 gennaio 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll. 73r. - 74r.
AVVISO ROMA 05.02.1600 [Avviso di Roma del 5 febbraio 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll.102r.- 103r.
AVVISO ROMA 16.02.1600 [Avviso di Roma del 16 febbraio 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll. 105r. - 109r.
AVVISO ROMA 12.04.1600 [Avviso di Roma del 12 aprile 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll. 222r. - 226r.
AVVISO ROMA 15.04.1600 [Avviso di Roma del 15 aprile 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll. 227r.- 231v.
AVVISO ROMA 26.04.1600 [Avviso di Roma del 26 aprile 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll. 251r.- 255v.
AVVISO ROMA 06.05.1600 [Avviso di Roma del 6 maggio 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll. 293v.- 294v.
AVVISO ROMA 10.05.1600 [Avviso di Roma di mercoledì 10 maggio 1600],
BAV, Urb.Lat. 1068, foll. 281r.- 290r.
AVVISO ROMA 13.05.1600 [Avviso di Roma di sabato 13 maggio 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll. 286r. -290r.
AVVISO ROMA 17.05.1600 [Avviso di Roma di mercoledì 17 maggio 1600],
BAV, Urb.Lat. 1068, foll. 295r.- 299r.
AVVISO ROMA 21.05.1600 [Avviso di Roma del 21 maggio 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll.323r.- 324r.
AVVISO ROMA 23.05.1600 [Avviso di Roma del 23 maggio 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll. 309r.- 310v.
AVVISO ROMA 27.05.1600 [Avviso di Roma del 27 maggio 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll. 338r.- 339r.
AVVISO ROMA 03.06.1600 [Avviso di Roma del 3 giugno 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll. 352r.- 352v.
AVVISO ROMA 07.06.1600 [Avviso di Roma del 7 giugno 1600],
BAV, Urb.Lat. 1068, foll. 340r.-
343v.
AVVISO ROMA 17.06.1600 [Avviso di Roma del 17 giugno 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll. 381r. - 382v.
AVVISO ROMA 21.06.1600 [Avviso di Roma del 21 giugno 1600], BAV, Urb.Lat. 1068, foll.
369r.- 373r.
AVVISO ROMA 24.06.1600 [Avviso di Roma del 24 giugno 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll. 374r.- 378r.
AVVISO ROMA 01.07.1600 [Avviso di Roma del 1 luglio 1600], BAV, Urb.Lat. 1068, foll.
388r.- 393r.
AVVISO ROMA 08.07.1600 [Avviso di Roma dell'8 luglio 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll. 404r.- 409r.
AVVISO ROMA 08.07.1600 [Avviso di Roma dell'8 luglio 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll. 431r.- 432r.
AVVISO ROMA 12.07.1600 [Avviso di Roma del 12 luglio 1600], BAV,
Urb.Lat. 1068, foll. 418r.- 422r.
CRONACA Cronaca
parmigiana dal 1276 al 1700, Parma,
Biblioteca Palatina. Ms. Parm.126.
EPISTOLARUM Epistolarum diversorum ad Paulum Manutium
liber secundus. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,
Vaticano Latino, 3434. Note: nel foglio
di guardia si legge: «299. Ful.Urs.» ,
cioè la nota di possesso di FULVIO ORSINI. Nel foglio successivo l'elenco dei
mittenti. Il primo libro ha la
segnatura: Vat. Lat. 3433.
MONIMENTA Monimenta antiqua Romae, in Scritti conservati dal resto d'un libro di
quei di Achille Bocchio Gentilomo, et famo.mo lettore d'humanità, e di filos.a
in Bologna, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,
Barberiniano Latino 2163, foll. 22r.- 23v.
Si tratta di sole due carte inserite in una miscellanea che contiene
soprattutto opere di Achille BOCCHI.
AGUCCHI 1596
Giovanni Battista AGUCCHI, [Epistola
a Ranuccio I Farnese duca di Parma e Piacenza con la quale rinnova la propria
fedeltà], Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: nov. -
dic. 1596, cassetta 198.
AGUSTIN 12.11.1566
Antonio AGUSTIN, [Epistola a
Fulvio Orsini sull'utilità delle statue antiche a soggetto erotico per gli
studi antiquariali], in: [Manoscritto miscellaneo], Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 4105, datata 12.11.1566.
ALBERGATI A 21.04.1590
Alberto ALBERGATI, [Epistola a
Ranuccio I Farnese duca di Parma e Piacenza con la risposta positiva alla
richiesta del duca di avere il dottor Galesi in Parma per leggere Logica e
Morale ad Odoardo Farnese], Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano
estero: Bologna 1578-1600, Cassetta 194, datata 21.4.1590.
ALBERGATI F 23.04.1590
Fabio ALBERGATI, [Epistola a
Ranuccio I duca di Parma e Piacenza di accompagnamento per il Dottor Galesi che
viene in Parma come maestro di Odoardo Farnese], Parma, Archivio di Stato
Carteggio farnesiano estero: Bologna 1578-1600, cassetta 194, datata
23.04.1590.
ALBERGATI F 27.11.1580 ID., [Epistola a Ranuccio I
Farnese duca di Parma e Piacenza con la quale rinnova la propria fedeltà], Parma,
Archivio di Stato, Carteggio farnesiano estero: Bologna 1578-1600, cassetta
194, datata 27.11.1580.
ALDOBRANDINI T 29.08.1567
Tommaso ALDOBRANDINI, [Epistola a
Fulvio Orsini sulla traduzione di un testo greco di controversa interpretazione],
in: [Manoscritto miscellaneo], Città
del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vaticano Latino 4104, datata
29.08.1567.
ALDOBRANDINI T 1567
ID., [Thomas Aldobrandinus de
Florentia obedientia[m] prestat Pio V Pontifici Maximo pro Duce Parma et
Place[n]tiae 1567], Roma,
Biblioteca Casanatense, Manoscritto 2407.
ALDOBRANDINI T 1566
ID., [Thomas Aldobrandinus,
Francisco Davanzato in obitu Raynutii, Farnesij Card.lis S.ti Angeli], Roma,
Biblioteca Casanatense, Manoscritto 2407, foll. 83r. - 86v., datato 1566.
ALDOBRANDINI C 19.10.1600
Cinzio ALDOBRANDINI PASSERI, [Epistola
del Card. Aldobrandini a Ranuccio I Farnese duca di Parma con la risposta
positiva alla di lui richiesta di intercedere presso il nunzio di Venezia
perchè Sforza Oddi possa leggere nello Studio di Parma], Roma, Archivio Doria Pamphili, Fondo
Aldobrandini, busta 6, fol.193, data 19.10.1600.
ALESSANDRINO
Girolamo ALESSANDRINO, Versi
all'Ill.ma S.ra Hersilia Farnese, in [Manoscritto
miscellaneo di soggetto farnesiano], Parma, Biblioteca Palatina, Ms.
Parm.348, XVI sec.
BALDI Egloghe Bernardino BALDI, Egloghe miste, Napoli, Biblioteca Nazionale, Manoscritto XIII.E.82.
BALDI Epigrammi
ID., Epigrammi volgari,
Napoli, Biblioteca Nazionale, Manoscritto XIII.D.31.
BALDI Nozze Bernardino BALDI, Nelle nozze del duca
Ranuccio Farnese con Margherita Aldobra[n]dina, Napoli, Biblioteca
Nazionale Vittorio Emanuele, Manoscritto XIII.D.38, 1600.
BALDI Rime ID., Rime varie, Napoli, Biblioteca
Nazionale, Manoscritto XII.D.38.
BALBI 1549 Scipione BALBI, [ Epistola ad Achille Bocchi ], Bologna, Biblioteca Universitaria,
Ms. 90 (datata finali 6. no. Iulias. 1549).
BERNARDI Girolamo
BERNARDI, Fucina di Pindo per li colossi
de'Serenissimi Alessandro e Ranuccio Farnese, Parma, Biblioteca Palatina,
Ms. Parm. 1562, XVII sec. in.
BIANCHI Ludovico
BIANCHI, Canzone al duca Ottavio Farnese,
in [Manoscritto miscellaneo di
soggetto farnesiano], Parma, Biblioteca Palatina, Ms.Parm.348, XVI sec.
BORASCHI Valerio
BORASCHI, Versi in memoria del Sig. G. B.
Colla, in: [Manoscritto miscellaneo
di soggetto farnesiano], Parma, Biblioteca Palatina, Ms. Parm.348, XVI sec.
BORRA Bernardino
BORRA, Versi al Sig. duca di Parma
Ranuccio Farnese, in: [Manoscritto
miscellaneo di soggetto farnesiano], Parma, Biblioteca Palatina,
Ms.Parm.348, XVI sec.
CAPRANICA [?] Discorso, Andrea CAPRANICA [?], [sic:] AND.A CAP.A,
Discorso del S.r And.a Cap.a sopra
l'emblema di una tigre domata da Bacco, Roma, Archivio Colonna nel Palazzo
dei Santi Apostoli Miscellanea storica, II.A.18.II, fasc. 76.
COLONNA 1599
Francesco COLONNA, [Epistola al
cardinale Odoardo Farnese circa una testa antica di Antonino Pio], Parma, Archivio di Stato, Carteggio
farnesiano estero: Roma 1599, cassetta 413, datata 08.07.1599.
COLONNA A Muret
Ascanio COLONNA, abate di S. Sofia, [
Epistola latina a Marc - Antoine Muret con la richiesta di un giudizio intorno
ad alcuni propri scritti latini ], Roma, Archivio Colonna nel Palazzo dei
Santi Apostoli, II.C.F.1, lett. 1851.
DELFINI 1594 Gentile DELFINI, [Epistola al conte Cosimo Masi con la quale chiede se gli è stato
consegnato il suo dono di alcune pitture e disegni], Parma, Archivio di
Stato, Carteggio farnesiano interno: lug.- ago.1594, cassetta 186, datata
16.07.1594.
FACCIUTA 1571
Sebastiano FACCIUTA, In Fontes
Caprarolae Alexandris Farnesij cardinalis. Sebastiani Facies cognomento
Facciutae Melphitani Poemata. Roma,
Biblioteca Alessandrina Manoscritti, 228.
Epistola dedicatoria dell'autore, Romae 14 kal.nov.1571, al card.
ALESSANDRO FARNESE.
FARNESE E 20.03.1598
Enrico FARNESE, [Epistola a
Ranuccio I Farnese duca di Parma con notizie sulla biografia del duca
Alessandro], Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno, gen. -
mar. 1598, cassetta 205, datata 20.03.1598.
FARNESE E 07.02.1596
ID., [Epistola a Ranuccio I
Farnese duca di Parma e Piacenza con la quale comunica la propria decisione di
abbandonare l'impresa di scrivere la biografia del duca Alessandro Farnese], Parma,
Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: gen.- mar. 1596, cassetta 205,
datata 07.02.1596.
FARNESE E 29.12.1597
ID., [Epistola a Ranuccio I
Farnese duca di Parma e Piacenza con la presentazione delle prefazioni e titoli
di alcune sue opere a lui dedicate], Parma, Archivio di Stato, Casa e corte
farnesiane, Serie II, busta 25, fasc.15, datata 29.12.1597.
FARNESE E 07.07.1599
ID., [Epistola a Ranuccio I
Farnese duca di Parma e Piacenza con la notizia della sua ammissione
all'Accademia degl'Intenti di Pavia ed una nuova richiesta di intercessione in
favore del capitano Luca], Parma, Archivio di Stato Casa e corte
farnesiane, serie II, busta 25, fasc.15, datata 7.7.1599.
FARNESE E 26.11.1599
ID., [Epistola a Ranuccio I
Farnese duca di Parma e Piacenza con la presentazione di un'orazione per
l'Accademia degl'Intenti di Pavia e la prima parte della «Statua», panegirico
del duca Alessandro Farnese], Parma, Archivio di Stato, Casa e corte
farnesiane, serie II, busta 25, fasc.15, datata 26.11.1599.
FARNESE E 23.12.1599
ID., [Epistola a Ranuccio I
Farnese duca di Parma e Piacenza con la quale chiede che venga rintracciata la
prima parte del libro «Statua» che non è arrivata a destinazione], Parma,
Archivio di Stato, Casa e corte farnesiane, Serie II, busta 25, fasc.15, datata
23.12.1599.
FARNESE E 22.05.1599
ID., [Epistola a Ranuccio I
Farnese duca di Parma e Piacenza perchè interceda in favore del capitano Luca],
Parma, Archivio di Stato, Casa e corte farnesiane, serie II, busta 25,
fasc.15, datata 22.05.1599.
FARNESE A 31.07.1573
Cardinale Alessandro FARNESE, [Epistola
a Fulvio Orsini sui numeri antichi ed un lavoro di cristallo intagliato], Parma,
Archivio di Stato, Carteggio farnesiano estero: Caprarola 1571-1700, cassetta
117.
FARNESE A 16.07.1576
ID., [Epistola a Fulvio Orsini
sulla medaglia agrigentina, etc.], Parma, Archivio di Stato, Carteggio
farnesiano estero: Caprarola 1571-1700, cassetta 117.
FARNESE O 31.12.1593
card. Odoardo FARNESE, [ Epistola
al card. Ascanio Colonna sui Canonici della Basilica Lateranense con
riferimento particolare a Fulvio Orsini ], Roma, Archivio Colonna nel
Palazzo dei Santi Apostoli, ora Subiaco, Archivio Colonna, II.CF.1, lett. 427.
FARNESE O 19.02.1594
ID., [ Epistola al card. Ascanio
Colonna su una raccomandazione in favore di Monsignor Stella ], Roma,
Archivio Colonna nel Palazzo dei Santi Apostoli, ora Subiaco, Archivio Colonna.
FARNESE O 05.08.1595 ID.,
[Epistola a Fulvio Orsini sulla
decorazione del Camerino di palazzo Farnese], in: [Manoscritto miscellaneo], Città
del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vaticano Latino, 9064, datata
5.8.1595.
FARNESE R 09.02.1587
Ranuccio FARNESE, Duca di Parma e Piacenza, [Epistola al cardinale Alessandro Farnese sulla copia della pianta di
Piacenza], Napoli, Archivio di Stato, Archivio Farnesiano, busta 252 (II)
fol. 1061, datata 9.2.1587.
FARNESE R 16.04.1590
ID., [Epistola ad Alberto
Albergati Gonfaloniere di Giustizia del Senato di Bologna con la richiesta di
concedere una licenza al dottor Gallesi per venire in Parma a leggere Logica e
Morale ad Odoardo Farnese ] , Bologna, Archivio di Stato, Lettere di
principi e prelati al Senato, serie 6, vol. 26.
FARNESE R 05.06.1590
ID., [ Epistola ad Alberto
Albergati Gonfaloniere di Giustizia del Senato di Bologna per giustificare il
ritardo nel rientro di Agostino Gallesi nello Studio di Bologna dopo la
missione a Parma ], Bologna, Archivio di Stato, Senato, Lettere di principi
e prelati al Senato, serie 6, vol. 26.
FARNESE R 07.08.1594
ID., [Epistola a Fulvio Orsini in
cui ringrazia della scelta fatta riguardo le medaglie antiche], Parma,
Archivio di Stato Carteggio farnesiano interno: luglio-agosto 1594, cassetta
186, datata 7.8.1594.
FARNESE R 02.12.1594
ID., [Epistola a Simone Moschino
sul corridore della Pilotta ed il disegno di un labirinto], Parma, Archivio
di Stato, Carteggio farnesiano interno: nov.-dic. 1594,cassetta 188, datata
2.12.1594.
FARNESE R 01.03.1595
ID., [Epistola al Conte Cosimo
Masi con la quale chiede il «Libro delle imprese» del Duca Alessandro Farnese
per gli affreschi della «sala grande» di Palazzo Farnese in Roma], Parma,
Archivio di Stato Carteggio farnesiano interno: gen.- mar. 1595, cassetta 189,
datata 1.3.1595.
FARNESE R 03.03.1595
ID., [Epistola al Conte Cosimo
Masi circa alcune scritture], Parma, Archivio di Stato, Carteggio
farnesiano interno: gen.- mar. 1595, cassetta 189, datata 3.3.1595.
FARNESE R 04.03.1595
ID., [Epistola al Cancelliere
Zangrandi con l'ordine di rintracciare la ricevuta del pagamento fatto a
Giovanni Andrea Scalabrini per il trasporto di alcune statue da Genova a
Parma], Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: gen.- mar.
1595, cassetta 189, datata 4.3.1595.
FARNESE R 06.10.1595
ID., [Epistola a Giulio Feo per
raccomandare una causa in Rota dello scultore Simone Moschino], Parma,
Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: sett.-ott. 1595, cassetta 192,
datata 6.10.1595.
FARNESE R 04.04.1598
ID., [Epistola a Fabio Albergati
con i ringraziamenti per l'operetta ricevuta in dono], Parma, Archivio di
Stato, Carteggio farnesiano interno: apr.-giu. 1598, cassetta 206, datata
4.4.1598.
FARNESE R 06.04.1598
ID., [Epistola a Galeazzo Paleotti
circa il passaggio per Bologna del Marchese di Caravaggio e consorte],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: aprile - giugno 1598,
busta 206, datata 6.4.1598.
FARNESE R 28.4.1598
ID., [Epistola a Galeazzo Paleotti
di risposta alla sua circa il passaggio per Bologna del Marchese di Caravaggio
e consorte], Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno, aprile
- giugno 1598, busta 206, datata 28.4.1598.
FARNESE R 29.04.1599
ID., [Duca di Parma e Piacenza
Epistola a Corradino Orsini di accompagnamento per Simone Moschino], Parma,
Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: gen.- apr. 1599, cassetta 210,
datata 29.4.1599.
FARNESE R 09.12.1599
ID., [Epistola a Juan Idiaquez
sulla questione del proprio matrimonio], Parma, Archivio di Stato,
Carteggio farnesiano interno: dicembre 1599, cassetta 214, datata 9.12.1599.
FARNESE R 1599 ID.,
[Epistola al Pontefice Clemente VIII sul
matrimonio con la nipote Margherita Aldobrandini], Parma, Archivio di Stato
Corte e casa farnesiane, serie II, busta 21, fasc.7, [1599].
FARNESE R 07.12.1599
ID., [Epistola ad Enrico Farnese
di ringraziamento per l'orazione ricevuta in dono], Parma, Archivio di
Stato, Carteggio farnesiano interno: dicembre 1599, cassetta 214, datata
7.12.1599.
FARNESE R 09.12.1599
ID., [Passaporto per Roma rilasciato al Conte Pomponio Torelli e a suo figlio
Paolo], Parma,Archivio di Stato Carteggio farnesiano interno: dicembre
1599, cassetta 214, datato 9.12.1599.
FARNESE R 14.03.1600
ID., [Epistola a Nicolò Cesis di
accompagnamento per Simone Moschino incaricato di accomodare la fontana di
Parma] Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: feb. - mar.
1599, cassetta 216, datata 14.3.1600.
FARNESE R 26.09.1600
ID., [ Epistola al Senato di
Bologna per facilitare il trasferimento del dottor Annibale Marescotti dallo
Studio di Bologna a Parma ], Bologna, Archivio di Stato, Senato, Lettere di
principi e prelati al Senato, serie 6, vol. 30, anni 1599-1601 e 1630.
FARNESE V 06.06.1600
Vittoria FARNESE, [Epistola a
Ranuccio I Farnese duca di Parma e Piacenza con la richiesta del ritratto di Margherita
Aldobrandini, sua promessa sposa], Parma, Archivio di Stato, Carteggio
farnesiano interno: gennaio 1600, cassetta 215, datata 6.6.1990.
FELICIANI 1610
Porfirio FELICIANI, [Epistola a
Ranuccio I Farnese duca di Parma e Piacenza scritta in nome del card. Scipione
Borghese con la quale annuncia la venuta degli ambasciatori della lega dei
principi cattolici di Germania], Roma, Biblioteca Angelica ms. 1216,
foll.131-132, datata 27.3.1610.
GALLESI Agostino
GALLESI, Augustini Galesii Bononien. tractatus de Fortitudine, Prudentia,
Iustitia cum Emblematibus, Bologna, Biblioteca Universitaria, Manoscritti, 421
(722), XVI sec.
GALLESI ID., Augustini Gallesij Bononiensis in tertium
librum Aristotelis de anima, Stato del Vaticano, Città del Vaticano, Barberiniano
Latino, 352, XVI in.
GAMBARA L 1571
Lorenzo GAMBARA, Ad Fulvium
Ursinum carmen, in: In Fontes
Caprarolae Alexandris Farnesij cardinalis. Sebastiani Facies cognomento
Facciutae Melphitani Poemata. Roma, Biblioteca Alessandrina, Manoscritti 228,
fol.31v.-34v., datato 1571.
GAROFANI GAROFANI, La
Grilleide, in: [Manoscritto
miscellaneo di soggetto farnesiano], Parma, Biblioteca Palatina, Ms.Parm.
348., XVI sec.
GRASSI Nicolò
GRASSI, Sunt ne oculi isti belli, an sunt
mea Nysa Sagittae, in: Scritti
conservati dal resto d'un libro di quei di Achille Bocchio Gentilomo, et
famo.mo lettore d'humanità, e di filos.a in Bologna, Città del Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana, Barberiniano Latino, 2163, fol. 31v. Note: si tratta di soli quattro versi
trascritti insieme ad altri di Giovanni de' MEDICI, Uberto GAMBARA e SANNAZARO
a fol. 31r. e v. di una miscellanea che contiene principalmente opere di
Achille BOCCHI.
HALLER 08.03.1595
Lazzaro HALLER, [Epistola al conte
Cosimo Masi in cui si parla del libro delle imprese del duca Alessandro
Farnese], Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: gen.-
mar.1595, cassetta 189, datata 8.3.1595.
LIGORIO 14.02.1563
Pirro LIGORIO, [Epistola a Fulvio
Orsini con l'autentica dello specchio antico del Giambellino], Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana Vaticano Latino, 4105, fol.254r.,
datata 14.2.1563.
LIGORIO 1 ID., Libro
I delle medaglie de Greci raccolte da Pyrrho Ligorio Napolitano, Napoli,
Biblioteca Nazionale, Manoscritti, XIII.B.1, XVI sec. Note: cart., foll. I + 400 + I, mm. 425 x 275. Nota: con i disegni del recto e del verso
delle medaglie.
LIGORIO 8 ID., Libro VIIII del'antichità di Pyrrho Ligorio
patritio napolitano, et citatino romano. Dove si tratta di alcune varietà di
vestimenti di re, et di magistrati romani, di privati, et dell'altre usanze di
diversi populi, Napoli, Biblioteca Nazionale, Manoscritti, XIII.B.2, XVI
sec. Note: cart., foll. I + 202 + I,
mm.425 x 280.
LIGORIO 10 ID., Libro X dell'antichità di Pyrrho Ligorio,
nel quale si tratta de alcune cose sacre et imagini, ornamenti degli dii de
gentili, et delli loro origini et di chi prima le mostro al mondo
symbolicamente adorarli o reverirli, Napoli, Biblioteca Nazionale,
Manoscritti, XIII.B.3, XVI sec.
LIGORIO 19 ID., Libro XIX dell'antichità di Pyrrho Ligori
napolitano, dove si tratta de pesi et de misure varie de diverse nationi, et de
vasi, et navi apartenenti all'uso rumano, Napoli, Biblioteca Nazionale,
Manoscritti, XIII.B.4, XVI sec.
LIGORIO 39 ID., Silloge antiquaria e Libro XXXIX
dell'antichità di Pyrrho Ligorio napolitano, nel quale sono raccolte alcuni
epitaphii dell'antiche memorie de sepulchri, Napoli, Biblioteca Nazionale,
Manoscritti, XIII.B.8, XVI sec. Note:
ho consultato il microfilm del Centro Nazionale di Studi sul Manoscritto della
Biblioteca Nazionale di Roma segnato [POS. 1663]. Il Ms. è cart., foll. I + 254 + I, mm.425 x 280.
LIGORIO 40 ID., Libro
quarantesimo dell'antichità, di Pyrrho Ligorio Napolitano, nel qual si tratta
d'alcune imagini de fiumi, et de fonti, et particolarmente si narra de i nomi
di essi, et de lachi, et d'altre cose di memoria degne presso di diverse
nationi, Napoli, Biblioteca Nazionale Manoscritti,XIII.B.9, XVI sec. Note: consultato il microfilm del Centro
Nazionale di Studi sul Manoscritto presso la Biblioteca Nazionale di Roma
[POS.1431]. Ms. Cart., foll. I
+ 218 + I, mm. 420 x 280.
LIGORIO amanti ID.,
Degli amanti disgratiati, in Silloge antiquaria e Libro XXXIX
dell'antichità di Pyrrho Ligorio napolitano, nel quale sono raccolte alcuni
epitaphii dell'antiche, Napoli, Biblioteca Nazionale, Manoscritti,
XIII.B.8, foll. 80v. - 81r.
LIGORIO amore ID., Di
amore, in ID., Silloge antiquaria e
Libro XXXIX dell'antichità di Pyrrho Ligorio napolitano, nel quale sono
raccolte alcuni epitaphii dell'antiche
Napoli, Biblioteca Nazionale,
Manoscritti, XIII.B.8, foll. 143r.- 143v.
LIGORIO Gratie ID.,
De le Gratie et di amore et di Thetis, in
ID., Libro X dell'antichità, Napoli,
Biblioteca Nazionale, Manoscritti, XIII.B.3, XVI sec., pagg. 93r. - 100r.
LIGORIO disperatione
ID., Della disperatione, et
durezza, in ID., Libro X
dell'antichità, Napoli, Biblioteca Nazionale, Manoscritti, XIII.B.3., fol.
109r.
LIGORIO lamentatio
ID., [ "Lamentatio" per
la mancata tutela delle rovine ], in ID., Silloge antiquaria e Libro XXXIX dell'antichità di Pyrrho Ligorio
napolitano, nel quale sono raccolte alcuni epitaphii dell'antiche, Napoli,
Biblioteca Nazionale, Manoscritti, XIII.B.8, XVI sec., foll. 224v. - 225r.
LIGORIO priapo ID.,
Di Priapo et di Iside et del'Amore, in
ID., Libro X dell'antichità, Napoli,
Biblioteca Nazionale, Manoscritti, XIII.B.3, foll. 229r. - 304r.
METELLO 24.05.1578
Giovanni METELLO [Epistola a
Fulvio Orsini con la richiesta della collezione di eclissi raccolta da Onofrio
Panvinio], in: [Manoscritto
miscellaneo], Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vaticano
Latino, 4103, datata 24.5.1578.
MOSCHINO 27.11.1594
Simone MOSCHINO, [Epistola a
Ranuccio Farnese duca di Parma e Piacenza con la richiesta di pagare Achille
Turbati], Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: nov.-dic.
1594, cassetta 188, datata 27.11.1594.
MURTOLA 12.02.1600
Gasparo MURTOLA, [Epistola a
Ranuccio Farnese duca di Parma e Piacenza con le felicitazioni per le sue nozze
con Margherita Aldobrandini e l'offerta di alcune canzoni composte per
l'occasione], Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano estero: Roma
1600, cassetta 414, datata 12.2.1600.
ORSINI 1594 Fulvio
ORSINI, [Epistola a Ranuccio I Farnese
duca di Parma e Piacenza circa la conclusione della pratica per l'acquisto di
medaglie antiche e la consegna delle stesse], Parma, Archivio di Stato,
Carteggio farnesiano estero: Roma 1592-1594, cassetta 410.
ORSINI 28.06.1574
ID., [Epistola al cardinale
Alessandro Farnese con notizie su marmi di scavo con un cenno alla Chiesa del
Gesù in Roma], Parma, Biblioteca
Palatina, Carteggio del cardinale Alessandro Farnese, cassetta 105, datata
28.6.1574.
ORSINI 28.06.1570 ID., [Epistola al cardinale
Alessandro Farnese con varie comunicazioni e un cenno all' «historia per le due
camere» ideata per Caprarola], Parma,
Biblioteca Palatina, Carteggio del cardinale Alessandro Farnese, cassetta 105.
ORSINI 17.04.1577
ID., [Epistola al cardinale
Alessandro Farnese per la commissione di un lavoro ad un artista], Parma,
Biblioteca Palatina, Carteggio del cardinale Alessandro Farnese, cassetta 105,
datata 17.4.1577.
ORSINI 29.08.1578
ID., [Epistola al cardinale
Alessandro Farnese per i lavori dello studiolo], Parma, Biblioteca
Palatina, Carteggio del cardinale Alessandro Farnese, cassetta 105, datata
29.8.1578.
ORSINI 22.09.1592
ID., [Epistola al Cardinale
Odoardo Farnese sul restauro di alcune statue antiche], Parma, Archivio di
Stato, Carteggio farnesiano estero: Roma 1592-1594, cassetta 410, datata
22.9.1992.
ORSINI 17.07.1594
ID., [Epistola al duca Ranuccio I
Farnese circa l'acquisto di medaglie antiche], Parma, Archivio di Stato,
Carteggio farnesiano estero: Roma 1592-1594, cassetta 410, datata 17.7.1594.
ORSINI 25.02.1594 FULVIO ORSINI, [ Epistola al card. Ascanio Colonna ], Roma, Archivio Colonna nel
Palazzo dei Santi Apostoli, II.C.F varie, Lettere al card. Ascanio Colonna.
ORSINI 27.07.1594
ID., [Epistola al duca Ranuccio I
Farnese circa la scelta e l'acquisto di medaglie antiche], Parma, Archivio
di Stato, Carteggio farnesiano estero: Roma 1592-1594, cassetta 410.
ORSINI 27.6.1598
ID., [ Epistola ad Ulisse
Aldrovandi sul ritratto di Plinio ], in U. ALDROVANDI, Observationes, Bologna, Biblioteca Universitaria, Manoscritti
Aldrovandi, 124, vol. 136, tomo 27, 27.6.1598, foll. 99v. - 100r.
ORSINI F 18.7.1598
ID., [ Epistola ad Ulisse
Aldrovandi ancora sull'iconografia di Plinio ], in U. ALDROVANDI, Observationes, Bologna, Biblioteca
Universitaria, Manoscritti Aldrovandi, 124, vol. 136, tomo 27, 18.7.1598, foll.
127r. - 127v.
ORSINI F 18.7.1598
ID., [ Epistola ad Ulisse
Aldrovandi con la quale si scusa per aver smarrito il disegno del ritratto di
Plinio ], in U. ALDROVANDI, Observationes,
Bologna, Biblioteca Universitaria, Manoscritti Aldrovandi, 124, vol. 136,
tomo 27, 18.7.1598, foll. 127r. - 127v.
ORSO 11.07.1594
Alessandro ORSO, [Epistola al
Conte Cosimo Masi con la quale chiede di acquistare alcune pitture per suo
conto in Fiandra], Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno:
lug.- ago. 1594, cassetta 186, datata 11.7.1594.
ORSO 31.12.1594
ID., [Epistola al Conte Cosimo
Masi con la quale chiede di aiutare Enrico Farnese nell'impresa di scrivere la
biografia del duca Alessandro Farnese], Parma, Archivio di Stato, Carteggio
farnesiano interno: nov.-dic.1594, cassetta 188, datata 31.12.1594.
PACIOTTI 03.02.1575
Francesco PACIOTTI Conte, [Epistola
ad Ottavio Farnese duca di Parma e Piacenza sull'ingaggio di Giulio Mazzoni], Napoli,
Archivio di Stato, Archivio Farnesiano, 254-255, datata 3.2.1575.
PANSA 23.05.1596
Muzio PANSA, [Epistola al Vescovo
Papirio Picedi perchè ottenga udienza per suo fratello presso il cardinale
Odoardo Farnese], Parma, Archivio
di Stato, Carteggio farnesiano interno: apr.-giu. 1596, cassetta 195, datata
23.5.1596.
PANVINIO Onofrio
PANVINIO, Onophrii Panvinii Veronensis
fratris eremitae augustiniani anteiquitatum romanarum libri LX tomeis quattuor
distincti, Napoli, Biblioteca Nazionale, Manoscritto V.E.11, XVI sec. Microfilm del Centro Nazionale Studi sul
Manoscritto della Biblioteca Nazionale di Roma, segnato: [POS.16899].
PERRENOT 18.10.1582
PERRENOT, Antoine cardinale di GRANVELLE, [Epistola a Fulvio Orsini con la richiesta di tradurre alcuni frammenti
di Polibio], in Manoscritto
miscellaneo, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vaticano
Latino 4104, datata 18.10.1592.
PICCIONI 28.12.1599
Gio. PICCIONI, [Epistola a
Ranuccio Farnese duca di Parma e Piacenza con le felicitazioni per il suo
matrimonio con Margherita Aldobrandini e l'offerta di un madrigale composto per
l'occasione], Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano estero: Roma
1599, cassetta 413.
QUARANTA 30.04.1590
I QUARANTA DI BOLOGNA, [Epistola a
Ranuccio I Farnese duca di Parma e Piacenza con la notizia della conferma della
licenza concessa al dottor Gallesi di recarsi a insegnare a don Duarte],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano estero: Bologna 1578-1600,
cassetta 194, datata 30.04.1590.
RIVA 14.04.1600
Bartolomeo RIVA, [Epistola a
Benedetto Baistrocchi con la richiesta del disegno del Po], Parma, Archivio
di Stato, Carteggio farnesiano interno: apr. - mag. 1600, cassetta 217, datata
14.4.1600.
SCOTTI 09.09.1596
Ettore SCOTTI, [Epistola a
Ranuccio I Farnese duca di Parma e Piacenza con il disegno della Chiesa della
cittadella e la richiesta di istruzioni in proposito], Parma, Archivio di
Stato, Carteggio farnesiano interno: set. - ott. 1596, cassetta n. 197, datata
9.9.1596.
SIGONIO C 1582 Carlo SIGONIO, [Epistola latina al card. ASCANIO COLONNA], Roma, Archivio Colonna
nel Palazzo dei Santi Apostoli, II.C.F.1 lett. 1500.
SCRITTI Scritti conservati dal resto d'un libro di
quei di Achille Bocchio Gentilomo, et famo.mo lettore d'humanità, e di filos.a
in Bologna Dove sì come variam.te sua sig.a raccolse cose degne, Io Cesare Conti metterò alla giornata ciò che
mi piacci nelle carte bianche tra essi
ancora, fin che s'empono; et aggiungendocene, et pure di ling.e diverse.
Ci saranno appresso alcuni studi, et argomenti del prefato Dotto che fu
circa l'anno di N.S.re MDXL. [in basso a destra:] Balasij. , a cura di CESARE CONTI. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica
Vaticana Barberiniano Latino 2163.
TARDEGLIERI 15.06.1599
Luca TARDEGLIERI, [Epistola al
cardinale Odoardo Farnese con la quale comunica l'avvenuta discussione delle
proprie osservazioni filosofiche nell'Accademia degl'Innominati di Parma],
Parma, Archivio di Stato, Carteggio farnesiano interno: mar. - lug. 1599,
cassetta 211, 15.06.1599.
TODESCO 29.09.1568
Ludovico TODESCO, [Epistola ad
Ottavio Farnese sull'ornamento della fontana di Parma], Napoli, Archivio di Stato, Archivio
farnesiano, Busta 254 - 255, fasc.3, c.180, datata 29.9.1568.
TOMASSONI 26.12.1592
Alessandro TOMASSONI, [Epistola a
Ranuccio I Farnese duca di Parma e Piacenza in morte del duca Alessandro suo
padre], Parma, Archivio di Stato, Carteggio Farnesinao estero: Roma,
1592-1594, cassetta 410, 26 dicembre 1592, datata 26.12.1592.
TORELLI S.Antonio
Pomponio TORELLI, A Sant'Antonio.
Versi del Perduto Pomponio Torelli, in: [Manoscritto
miscellaneo di soggetto farnesiano], Parma, Biblioteca Palatina, Ms. Parm. 348,
XVI sec.
TORELLI Parafrasi
Pomponio TORELLI, Parafrasi
nell'etica di Aristotele, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica
Vaticana, Urb. Lat. 1336, Libro 1, cap. 3, carta 21
TORRICELLA 1593
Tiberio TORRICELLA, Sette canzoni
sorelle in morte del Ser.mo Duca Alessandro Farnese, di Tiberio Torricella
nella Ill.ma Accademia de'Signori Innominati di Parma il Violentato. All'Ill.mo et Rev.mo Sig. Cardinale Farnese. Parma, Biblioteca Palatina, Ms. Parm.
306. Epistola dedicatoria dell'autore,
Parma 15 settembre 1593, al cardinale ODOARDO FARNESE. Note: esiste un'edizione
di Viotti, 1594 (Pezzana, VI, 3, 658 e segg.).
BIBLIOGRAFIA STAMPATI
ABBREVIAZIONI:
DBI Dizionario
Biografico degli Italiani. Roma,
Istituto della Enciclopedia Italiana.
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Per le ristampe anastatiche o
testi analoghi, come riedizioni con scarso o nessun commento, etc., la data di
edizione evidenziata è sempre quella della ristampa e non dell'edizione
originale.
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ANFUSO, Le tre Arianne di Claudio
Monteverdi, Firenze, Centro Studi Rinascimento musicale, Nuova Metodologia
("Studi Musicologici", vol. 5), 1975.
ANGELI 1969
Bonaventura ANGELI, La historia
della città di Parma, et la descrittione del fiume Parma di Bonaventura Angelo
ferrarese divisa in otto libri dove ampiamente si tratta di cose pertinenti
all'historia universale di tutta Italia, e si ragiona particolarmente d'alcune
delle più antiche, & illustri famiglie della città. Al Ser. mo Sig. Don Ranuccio Farnese
Prencipe di Parma, & c, Bologna, Forni ("Historiae urbium et
regionum Italiae rariores", vol. 41), 1969. Ristampa anastatica dell'edizione di Parma, Erasmo Viotti,
1591. Nota: l'ottavo libro è dedicato
a Fortuniano SANVITALE.
ANGELONI 1611
Francesco ANGELONI, Gl'
irragionevoli amori Comedia di Francesco Angeloni da Terni. All'Illustr. et
eccell. Sig. il Sig. Hippolito Aldobrandini, in Venetia, appresso Giorgio
Bizzardo, 1611.
ANGELONI 1616 ID., Piego di Ser Agrestino de'Calzanti
Indirizzato ad Erasto Afrone, di lui come figliuolo amatissimo Dove di schifare
gl'inganni delle cattive femine coll'altrui essempio l'instruisce, Vicenza, Francesco Grossi, ad instanzia
di Gio: Battista Ciotti, 1616.
ANGELONI 1638 ID., Lettere di buone feste scritte da Principe a
Principi, Roma, Vitale Mascardi, 1638.
Epistola dedicatoria di Giovanni Pietro BELLORI, Roma 30 nov. 1638, a'
studiosi di lettere. Nota: il BELLORI
spiega che le epistole furono scritte dall'autore per il card. Ippolito
ALDOBRANDINI.
ANGELONI 1641 ID., La Historia Augusta da Giulio Cesare infino
a Costantino il Magno. Illustrata con la verità delle Antiche Medaglie da
Francesco Angeloni alla Maestà Christianissima di Luigi XIII il giusto, Roma,
Andrea Fei, 1641.
ANGELONI 1646 a
ID., Historia di Terni descritta
da Francesco Angeloni et dedicata all Emin.et Rev.mo Sig.Cardinale Giulio Mazarini,
Roma, Andrea Fei, 1646.
ANGELONI 1646 b
ID., Vite de' Santi e nota de'
Beati che appartengono alla città di Terni, in ID., Historia di Terni, Roma, Andrea Fei, 1646, carte Hh i r.e segg..
ANGELONI 1685 ID., L' Historia Augusta da Giulio Cesare a
Costantino il Magno illustrata con la verità dell' Antiche Medaglie da
Francesco Angeloni. Seconda
impressione con l'emendationi postume del medesimo autore, e col supplimento
de'rovesci, che mancavano nelle loro tavole, tratti dal tesoro delle medaglie
della Regina Christina Augusta e descritti da Gio: Pietro Bellori
Bibliotecario, & Antiquario di Sua Maestà. [stampato] a spese di Felice Cesaretti Libraro all' insegna
della Regina, MDCLXXXV, Roma, Gio: Battista Bussotti, 1685.
ANNIBALDI 1987 Claudio
ANNIBALDI, Il mecenate «politico». Ancora
sul patronato musicale del Cardinale Pietro Aldobrandini (ca.1570-1621), in
"Studi musicali", Firenze,
Leo S.Olschki, 1987, anno 16, n. 1, pagg. 33-93. Nota: il saggio continua
nel n. 1, anno 17, 1988, pagg. 101-176.
ANNIBALE 1986 Annibale Carracci e i suoi incisori a
cura di Evelina BOREA, Rome, École Française de Rome, 1986. Catalogo Mostra: Roma, Villa Farnesina
4.10-30.11.1986.
ANSELMI 1982 Sergio
ANSELMI, Angelo Colocci, in DBI, vol. 27, 1982, pagg. 105-111.
ANTONACI 1984
Antonio ANTONACI, Ricerche sul
neoplatonismo del Rinascimento. Francesco Patrizi da Cherso. Volume 1 La
redazione delle opere filosofiche. Analisi del primo tomo delle Discussiones, Galatina,
Editrice Salentina, ("Università di Bari, Fac. di Magistero. Pubblicaz.
dell'Istituto di Filosofia", vol. 2), 1984.
ARCANGELI 1956
Francesco ARCANGELI, Sugli inizi
dei Carracci, in "Paragone - Arte",
Firenze, Sansoni, 1956, anno 7, n. 79, lug., pagg. 17-48.
ARIANI 1974 a Marco
ARIANI, Tra Classicismo e Manierismo. Il
teatro tragico del Cinquecento, Firenze, Leo S. Olschki, 1974.
ARIANI 1974 b ID., Pomponio Torelli e la reintegrazione della
struttura tragica, in ID., Tra
Classicismo e Manierismo. Firenze, 1974, pagg. 289-332.
ARISI 1976
Ferdinando ARISI, Quadreria del
Palazzo Farnese di Piacenza, Piacenza, Museo Civico, 1976.
ARTESE 1985 Luciano
ARTESE, Francesco Patrizi e la cultura
delle insegne, in "Atti e memorie dell'Accademia Toscana di Scienze e
Lettere La Colombaria", Firenze,
Leo S. Olschki, nuova serie, vol. 50, 1985, pagg. 181-207.
ARTI 1982 Le Arti a Bologna e in Emilia dal XVI al
XVII secolo. A cura di Andrea EMILIANI, Bologna, CLUEB, 1982. Atti Convegno: Bologna, 10-18.09.1979. Atti del XXIV Congresso C.I.H.A.
("Comité International d'Histoire de l'Art").
ASCARELLI 1977
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ASCARELLI 1989
Fernanda ASCARELLI - Marco MENATO, La
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Pamela ASKEW, Perino del Vaga's
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ATTI 1948 Atti del V Convegno Nazionale di Storia
dell'Architettura, Firenze, R. Noccioli, 1956. Atti Convegno: Perugia,
1948.
BACCHELLI 1985
Franco BACCHELLI, Note per un
inquadramento biografico di Marcello Palingenio Stellato, in
"Rinascimento. Rivista dell' Istituto Nazionale di Studi sul
Rinascimento", Firenze, Leo S.
Olschki, serie 2, vol. 25, anno 36, 1985, pagg. 275-292.
BACOU 1961
Roseline BACOU, Historique de la
collection, in "Dessins des Carrache", Paris, Éditions des Musées
Nationaux, 1961, pagg. 9-12.
BACOU 1964
ID., Two Unpublished Drawings by
Annibale Carracci for the Palazzo Farnese, in "Master Drawings",
vol. 2, 1964, n. 1, pagg. 40-44.
BALDI 1590
Bernardino BALDI, Versi e Prose di
Monsignor Bernardino Baldi da Urbino Abbate di Guastalla. De i versi: La
Nautica, L'Egloghe Miste, I Sonetti Romani, Le Rime, varie, La Favola di
Leandro di Museo; Delle Prose: Un dialogo della Dignità, L'Arciero overo della
felicità del Principe Dialogo, La descrittione del Palazzo d'Urbino, Cento
Apologi, Venezia, Francesco de Franceschi, 1590. La prima epistola dedicatoria è dedicata a Francesco Maria II
DELLA ROVERE duca d'Urbino, Guastalla 24 apr. 1590; la seconda a Ranuccio
FARNESE duca di Parma, Urbino, 24 gen.1590; entrambe scritte da Bernardino
BALDI.
BALDI 1854 ID., Lettere inedite di Bernardino Baldi a
Francesco-Maria II duca d'Urbino a cura di Silvia ROMAGNOLI DONATI,
Firenze, Tipogr. di G.B. Campolmi, 1854.
Pubblicate per le nozze di Clarice de Pretis urbinate con Ciro de'
Marchesi Antaldi pesarese.
BALDI 1859 ID., Versi e prose scelte, Firenze, Felice Le
Monnier, 1859.
BALDI 1873 ID., Lettere di Bernardino Baldi cavate dagli
autografi che sono a Parma nell'Archivio di Stato a cura di Amadio
RONCHINI, Parma, R. Deputazione di Storia Patria, 1873. Nota: La raccolta comprende lettere
dall'anno 1580 al 1617 indirizzate a: Vittoria DORIA in GONZAGA principessa di
Molfetta; Ferrante II GONZAGA, principe di Molfetta; VESPASIANO Duca di
Sabbioneta e Traietto; Bernardino MARIANI ; Ercole MARIANI.
BALESTRIERI 1981
Lina BALESTRIERI, Feste e
spettacoli alla corte dei Farnese, Parma, Palatina Editrice, ("Collana
di opere inedite o rare" diretta da G. Capacchi e G. Zarattini, vol. 6),
1981. Ristampa anastatica
dell'edizione di Parma, tipogr.Donati, 1909.
BALLISTRERI 1969
Giovanni BALLISTRERI, Gabriele
Bombasi, in DBI, vol. 11, 1969,
pagg. 377-379.
BALSAMO 1986 Luigi
BALSAMO, Editoria e Umanesimo a Parma fra
Quattro e Cinquecento, in Parma e
l'Umanesimo italiano. Atti del Convegno Internazionale di Studi Umanistici, Parma,
Antenore, ("Medioevo e Umanesimo", vol. 60), 1986.
BARGAGLI 1594
Scipione BARGAGLI, Dell'imprese di
Scipion Bargagli Gentil'huomo sanese.
Alla prima parte, la Seconda, e la Terza nuovamente aggiunte: dove;
doppo tutte l'opere così scritte a penna, come stampate, ch'egli potuto ha
leggendo vedere di coloro, che della materia dell'Imprese hanno parlato; della
vera natura di quelle si ragiona. Alla regia, e Cesarea Maestà del savissimo,
ed ottimo imperatore Ridolfo il Secondo, dedicate, Venetia, Francesco de
'Franceschi, 1594.
BARILLI 1958 Arnaldo
BARILLI, Studi farnesiani, a cura di
Remo CATTELANI, Parma, Tipogr. Bodoniana, 1958.
BAROCCO 1985 Barocco romano e Barocco italiano. Il
teatro, l'effimero, l'allegoria, a cura di Marcello FAGIOLO e Maria Luisa
MADONNA, Roma - Reggio Calabria, Gangemi ("Roma, storia, cultura e
immagine", vol. 1), 1985.
BAROCELLI 1995 Francesco BAROCELLI, Agostino Carracci e gli ?Amori? di Ranuccio Farnese, in:
?Aurea Parma?, 79, 1995, n. 1-2, gen. ? ago., pagg. 15-57.
BARONE 1898 Nicola
BARONE, Notizie riguardanti l'Archivio
Farnesiano ora conservato nell'Archivio di Stato di Napoli, Napoli,
Direzione Archivio di Stato, 1898.
BATAILLON 1942
Marcel BATAILLON, Philippe Galle
et Arias Montano. Matériaux pour l'iconographie des Savants de la Renaissance, in
"Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance. Travaux et documents", Paris, E. Droz, 1942, tomo 2, pagg.
132-160.
BATTISTI 1966
Eugenio BATTISTI - Maurizio CALVESI - Marcello FAGIOLO DELL'ARCO Amore carnale e divino. Discussione sulla
Galleria dei Carracci, in "Marcatrè", 1966, n. 19-22, pagg. 298-304.
BAUMGART 1935 Fritz
BAUMGART, La Caprarola di Ameto Orti, in
"Studj romanzi", Roma,
Società Filologica Romana, vol. 25, 1935, pagg. 77-179.
BEGHELDO 1939
Alfonso Maria BEGHELDO, Ranuccio I
Farnese e le missioni in Cina, in "Aurea Parma", 1939, anno 23, fasc. 1 e 3, pagg. 3-7
e 92-99. Nota: descrive i rapporti intercorsi tra il duca di Parma Ranuccio I
Farnese ed il padre missionario gesuita Nicola TRIGAULT dal 1615 al 1621, anno
della morte del duca.
BEGNI 1978 Pier
Virgilio BEGNI REDONA - Giovanni VEZZOLI, Lattanzio
Gambara, pittore, Brescia, Morcelliana, per interessamento della Banca S.
Paolo di Brescia, 1978.
BELCREDI 1599 a
Filiberto BELCREDI, Ad Clementem
VIII Pontificem Opt. Max et rerum gestarum gloria florentissimum Philiberti
Belcredi ipsius Summi Pontificis V.S. Referendarij, et Academici Humilis
Affidati de recuperata Ferrara Oratio, Ticini, ex tipographia Andreae
Viani, 1599.
BELCREDI 1599 b
ID., In optatissimum Augustissimae
Margaritae Austriacae Hispaniarum, Reginae adventum Philiberti Belcredi
Patricii Ticinensis, legum, ac Sacrosanctae Theologiae Doctoris, & Summi
Pontificis Utriusque Signaturae
Referendarij ad Ticinenses oratio, Ticini, Andrea Viani, 1599.
BELCREDI 1599 c
ID., Oratione di monsignor
Filiberto Belcredi Referendario dell'una e l'altra Segnatura di Sua Santità et
Academico Humile Affidato intorno alle lodi della Sereniss. Margherita
d'Austria, Regina di Spagna, nella venuta sua alla città di Pavia, Pavia,
appresso Andrea Viani, 1599.
BELCREDI 1599 d ID., Oratione
funebre per lo catolico,e potentissimo Re delle Spagne e dell'Indie, Filippo II
composta, e recitata nell'Illustriss.ma Accademia de gli Affidati, Pavia,
appresso Andrea Viani, 1599.
BELCREDI 1600 ID., Oratione al Serenissimo et invittissimo
Popolo romano per le nozze delle Serenissime Altezze di Parma, e di Piacenza,
Ranuccio Farnese, e Margherita Aldobrandina fatta da Monsignor Filiberto
Belcredi, Referendario dell'una, e dell'altra Segnatura di Sua Santità, &
Academico Humile Affidato. Roma, appresso Guglielmo Facciotto, 1600. Note: dopo il frontespizio, versi in
volgare di Latino DONI dedicati a Filibero Belcredi.
BELDON 1988
John BELDON SCOTT, The meaning of
Perseus and Andromeda in the Farnese Gallery and on the Rubens house, in
"Journal of the Warburg and Courtauld Institute", vol. 51, 1988,
pagg. 250-260.
BELLI 1960 Isa
BELLI BARSALI, Cherubino Alberti, in DBI, vol. 1, 1960, pagg. 688-689.
BELLORI 1976
Giovanni Pietro BELLORI, Le vite
de' pittori, scultori e architetti moderni, a cura di Evelina BOREA,
Torino, Einaudi, 1976.
BELTRANI 1886
Giovanni BELTRANI, I libri di
Fulvio Orsini alla Biblioteca Vaticana, Roma, Tipogr. Fratelli
Centenari, 1886.
BENASSI 1909 a
Umberto BENASSI, Ambizioni
ignorate di Ranuccio I, 1909.
BENASSI 1909 b ID., I natali e l'educazione del Duca Odoardo
Farnese, in "Archivio Storico per le Province Parmensi", Parma, nuova serie, vol. 9, 1909,
pagg. 99-227.
BENASSI 1909 c ID.,
Pareri politici intorno alle nozze di
Ranuccio I, in "Archivio Storico per le Province Parmensi", Parma, nuova serie, vol. 9, 1909,
pagg. 229-244.
BENASSI 1982 ID., Curiosità storiche
parmigiane, a cura di Lino Lionello GHIRARDINI, Parma, Luigi Battei, 1982.
BERNARDINO 1987 Bernardino Mei e la pittura Barocca a Siena
a cura di Fabio Bisogni e Marco Ciampolini, Siena, Palazzo Chigi Saracini,
1987.
BERNHART 1966
Max von BERNHART, Medaillen und
Plaketten, Braunschweig, Keinkhardt & Biermann, 1966.
BERNINI 1968 Dante
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di Storia Patria per le Province Parmensi
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BERTINI 1951 Aldo
BERTINI , Disegni inediti di Annibale
Carracci nella Biblioteca Reale di Torino, in "Commentari. Rivista di
critica e storia dell'arte", Roma, De Luca, vol. 2, 1951, pagg . 40-42
BERTINI 1987
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Duca di Parma. Storia di una Collezione, Milano, Nuova Alfa per la Cassa di
Risparmio di Parma, 1987.
BERTOLOTTI 1882
Antonino BERTOLOTTI, Don Giulio
Clovio principe dei miniaturisti, in "Atti e memorie delle RR.
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BERTOLOTTI 1886 a
ID., Artisti bolognesi, ferraresi
ed alcuni altri del già Stato Pontificio in Roma nei secoli XV, XVI, XVII.
Studi e ricerche tratte dagli archivi romani, Bologna, Regia Tipografia
("Documenti e Studj pubblicati per cura della R. Deputazione di Storia
Patria per le Province di Romagna", vol. 1), 1886.
BERTOLOTTI 1886 b ID.,
Artisti francesi a Roma nei secoli XV,
XVI e XVII. Ricerche e studi negli archivi romani, Mantova,
Tipogr.G.Mondovi, 1886.
BEZZI 1575 Cesare
BEZZI, Per la signora Vittoria dalla
Valle Caetana, per la Signora Fulvia di Correggio Pichi, et per li SS. suoi
figliuoli, in M. MANFREDI, Per donne
romane rime di diversi, Bologna, 1575, pagg. 512-513.
BIAVATI 1978
Giuliana BIAVATI, Bernardo
Castello, in DBI, vol. 21, 1978,
pagg. 781-786.
BIENEWITZ 1534 Peter BIENEWITZ (APIANUS), Inscriptiones
Sacrosanctae vetustatis, Ingolstadii in aedibus P. Apiani. Anno
M.D.XXXIIII.
BIGNAMI 1973
Jeanne BIGNAMI ODIER, La
Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l'Histoire des
collections de manuscrits, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana
("Studi e Testi", vol. 272), 1973.
BIGNAMI 1979
ID., Le casin Farnèse du mont
Janicule (Porte San Pancrazio), Maintenant Villa Aurelia, in "Mélanges
de l'École Française de Rome. Moyen-Age, Temps Modernes" Rome, vol. 1, tomo 91, 1979, pagg. 507-538.
BIOGRAFIA 1829 Biografia universale antica e moderna, Venezia,
Giovanni Battista Missiaglia, 1829.
BIOGRAPHIE 1866 Biographie Nationale publiée par l'Académie
Royale des Sciences, des lettres et des Beaux-Arts de Belgique, Bruxelles, 1866-1944 (27 voll. +
indici).
BIRALLI 1600 Simone
BIRALLI, Dell'imprese scelte dove
trovansi tutte quelle, che da diversi autori stampate, si rendon conformi alle
regole, & alle principali qualità; stimate da'buon giudizi, Venetia,
appresso Gio.Battista Ciotti, 1600.
BIRALLI 1610 ID., Delle imprese scelte da Simon Biralli volume
secondo. Dove sono imprese tutte nuove ben regolate, nella forma di quelle del
Primo Volume, e non più venute in luce; sì di varij gran Personaggi; come di
diversi elevati ingegni d'ogni qualità di nobil professione: e di dotte
Accademie, e di studiosi Accademici d'Italia, Venetia, appresso Giovanni
Alberti, 1610.
BIRKE 1993 Veronica BIRKE, A new studio by Agostino Carracci for the ?Last Communion of St.
Jerome?, in: ?Master Drawings?, Essays in Memory of Jacob Bean (1923-1992),
vol. 31, n. 4, 1993, pp. 404-407.
BISCONTIN 1980
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del Pordenone in Santa Maria di Campagna a Piacenza, in "Prospettiva.
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deorum gentilium libri, a cura di GIOVANNI ROMANO, Bari, Laterza &
Figli ("Scrittori d'Italia", nn. 200-201), 1951.
BOCCHI 1555 Achille
BOCCHI, Symbolicarum Quaestionum de
universo genere quas serio ludebat libri quinque, Condictio. Attende lector optime, si forte quid contra patrum
decreta sanctorum pia factumve dictumve his libris, infectum id indictumve
sit. Sacrosancta Iuli III Pont. Max. Lege cautum est ne quis hac poema autore inscio invitove de
caetero imprimere neve venale habere uspiam audent, Bononiae, in
Aedib.Novae Academiae Bocchianae, 1555.
BOCCHI 1574 ID., Symbolicarum Quaestionum de universo genere
quas serio ludebat libri quinque, Bologna, Società Tipografica Bolognese,
1574. Curiae Episc. & S.
Inquisit. concessu.
BOCCHI 1599
Agostino BOCCHI, Sonetto, in
Filiberto BELCREDI, Oratione funebre per
lo catolico, e potentissimo Re delle Spagne e dell'Indie, Filippo II composta,
e recitata nell'Illustriss.ma Accademia de gli Affidati, Pavia, Andrea
Viani, 1599.
BODART 1966
Didier G.I. BODART, Cérémonies et
monuments romains à la mémoire d'Alexandre Farnèse, duc de Parme et de
Plaisance, in "Bulletin de l'Institut Historique Belge de Rome", Bruxelles-Rome, vol. 37, 1966,
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BODMER 1924
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Annibale Carraccis, in "Zeitschrift für bildende Kunst mit
Monatsrundschau", vol. 58, 1924 / 1925, pagg. 104-113.
BODMER 1934
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in the Doria-Pamphili Gallery, in "The Art Bulletin", vol. 16,
1934, n. 3, set., pagg. 260-271.
BODMER 1935 ID., L' Accademia dei Carracci, in
"Bologna", 1935, n.8,
estratto.
BODMER 1937 ID., Die Fresken des Annibale Carracci im
Camerino des Palazzo Farnese in Rom, in "Pantheon", vol. 19,
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BODMER 1939 ID., Ludovico Carracci, Burg bei Magdeburg, August Hopfer, 1939.
BODMER 1939 ID., Le note marginali di Agostino Carracci
nell'edizione del Vasari del 1568, in
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BOLOGNINI 1978
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Studi su Francesco Patrizi da Cherso, Roma, Bulzoni ("Strumenti di
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inedite di Antonio Carracci, in Arti
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Farnese. Don Giulio Clovio
miniaturiste (1498 - 1578), Rome-Paris, A. Picard, 1929.
BOREA 1965 Evelina BOREA, Domenichino, Milano, Edizioni per il Club del Libro ("Collana
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BORENIUS 1922
Tancred BORENIUS, Drawings and
Engravings by the Carracci, in "Print Collector's
Quarterly", vol. 9, 1922, n. 2,
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BORSELLINO 1964
Nino BORSELLINO, Scipione
Bargagli, in DBI, vol. 6, 1964, pagg. 343-346.
BORSI 1984 Franco BORSI - Francesco QUINTERIO -
Giuseppina MAGNANIMI, Palazzo Cenci. Palazzo Giustiniani, Roma,
Editalia, 1984.
BORZSAK 1973 I.
BORZSAK, Die Janus Pannonius - Ausgaben
des Sambucus, in Acta Antiqua
Academiae Scientiarum Hungaricae, Budapest, Akadémiai Kiadò, 1973, fasc.
1-4, tomo 21, pagg. 361-374.
BOSCHETTI 1600 a
Francesco Maria BOSCHETTI, Arceuthia
Ethiopessa regina del'Agisimba, in M. ZOPPI, La Montagna circea, Bologna, Eredi di Giovanni Rossi, 1600, pagg.
44-45.
BOSCHETTI 1600 b
ID., Costante d'Arceuthia servo
regale a Pico di Circe re servile, in M. ZOPPI, La montagna circea, Bologna, Eredi di Giovanni Rossi, 1600, pagg.
46-47.
BOSCHLOO 1971 Anton
W.A. BOSCHLOO, Due lettere inedite di
Mons. Giovan Battista Agucchi, in cui si parla di Ludovico, Agostino e Annibale
Carracci, in "L' Arte", 1971, n. 14. Note: si tratta di copie seicentesche delle epistole dell'Agucchi
contenute nei Mss. 44 e 45 della Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna.
BOSELLI 1895
Antonio BOSELLI, Pitture del
secolo XVI rimaste ignote fino ad oggi, in "Archivio Storico per le
Province Parmensi", Parma, serie
4, vol. 4, 1895, pagg. 159-174. Note:
si tratta degli affreschi cinquecenteschi della Biblioteca del Monastero di San
Giovanni Evangelista in Parma.
BOSELLI 1971
Camillo BOSELLI, Nuove fonti per
la Storia dell'Arte. L'Archivio dei Conti Gambara presso la Civica Biblioteca
Queriniana di Brescia: I.Il Carteggio, in "Memorie dell'Istituto
Veneto di scienze, lettere ed arti - classe di scienze morali, lettere ed
arti", Venezia, vol. 35, 1971,
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BOVI 1963 Arturo
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BOURDON 1909
Pierre BOURDON - Robert LAURENT VIBERT, Le Palais Farnèse d'après l'inventaire de 1653, in "Mélanges
d'Archéologie et d'Histoire. École Française de Rome", Paris - Rome, 1909, anno 29, fasc. 1-4, gen. - lug., pagg. 145-198.
BRACCINO 1598
Giovanni Paolo BRACCINO, Canzone
di Gio. Paolo Braccino All'Illustriss...Card. Aldobrandino Nepote, & legato
del S.mo N.S. PP Clemente Ottavo. Nel giorno, che S.S... prese possesso
della...città di Ferrara...adi 29.Gennaro l'anno 1598, Bologna, Vittorio
Benacci, 1598.
BRENTANO 1989
Carrol BRENTANO, Giovanni Battista
Della Porta, in DBI, vol. 37,
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BRIGANTI 1969
Chiara BRIGANTI, Curioso
itinerario delle collezioni ducali parmensi, Parma, Cassa di Risparmio di
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BRIGANTI 1987
Giuliano BRIGANTI - André CHASTEL - Roberto ZAPPERI, Gli amori degli dei. Nuove indagini sulla
Galleria Farnese, Roma, Edizioni dell'Elefante, 1987. Note: carta delle «giornate» e nota tecnica
di Carlo GIANTOMASSI e fotografie di Giuseppe SCHIAVINOTTO.
BRIGSTOCKE 1973
Hugh BRIGSTOCKE , Domenichino
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BROGI 1990
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dell'ideale: note sulla prima attività di Francesco Albani tra Bologna e Roma, in
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tardo '500 e l'opera di Giovanni e Cherubino Alberti a Roma, in
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BUIATTI, Francesco Angeloni, in DBI, vol. 3, 1961, pagg. 241-242.
BURMANN 1727 Peter
BURMANN, Sylloges epistolarum a viris
illustribus scriptarum, Leiden, Samuel Luchtmans, 1727. 5 voll., gli indici nel quinto volume.
BUSSI 1956
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cappella e organisti della cattedrale di Piacenza (sec. XVI - XIX). Appunti, Piacenza,
Tipogr. Maserati, 1956.
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J. Byam SHAW, A warrior subduing a
monster» by Agostino Carracci, in "Master Drawings", vol. 6,
1968, n. 3, autunno, pagg. 255-257.
CAFERRI 1667
Nicola Angelo CAFERRI, Synthema
Vetustatis sive Flores Historiarum ex Cardinalis Baronij, Saliani, Patavij,
& aliorum celebrium Scriptorum monumentis, ac intima pene antiquitate a N.
A.Caferrio a Sancta Victoria Horis subsecivis excerpti Temporum eventus memoria
dignos. Romanos Pontifices, Imperatores, Reges, S. R. E. Cardinales, Viros
insuper, quam literis, qua rebus gestis, & armis illustres, omnisque;
Civilis, & Ecclesiasticae Historiae (Ad receptas Chronologorum Epochas)
haud incuriosum conspectum exhibentes.
Ab initio rerum ad
Annum Christianum MDCLXVII, Roma, Jacopo Dragondelli, 1667.
CALETTI 1628
Giovanni Battista CALETTI, Le
feste della città di Parma. Epitalamio nelle felicissime nozze de' Serenissimi
Prencipi Odoardo Farnese Duca di Parma, e Piacenza e D.Margarita Medici
Prencipessa di Toscana...all'Illustriss., & Reverendiss. Sig. Cardinale
Deti, Roma, Erede di Bartolomeo Zannetti, 1628. Epistola dedicatoria di Francesco Maria GUIDI Roma, 27 ottobre 1628 al Cardinal DETI.
CALORE 1982 Marina
CALORE, Accademie e Teatro: il Tancredi
di Ridolfo Campeggi a Palazzo Zoppio nel 1615, in "Strenna storica
bolognese. Pubblicazione periodica annuale di
studi e ricerche di Storia dell'Arte",
Bologna, Patron, 1982, anno 32,
pagg. 85-97.
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Maurizio CALVESI, Note ai
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De Luca, 1956, anno 6, fasc.4, pagg. 263-276.
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pugna d?amore in sogno di Francesco Colonna Romano, Roma, Lithos, 1996.
CAMORALI 1975
Ciliano CAMORALI, Gli arredi della
cappella di S.Nicomede nel castello di Torrechiara, in "Parma
nell'Arte. Rivista di lettere, storia e arte", Parma, 1975, anno 7, fasc. 2, nov., pagg. 53-57.
CAMPEGGI 1600
Ridolfo CAMPEGGI, Lettera di
Venere a Canente, in M. ZOPPI, La
montagna circea, Bologna, Eredi di Giovanni Rossi, 1600, pagg. 39-42.
CAMPEGGI 1605 ID., Filarmindo favola pastorale del rugginoso
gelato il Co: Ridolfo Campeggi all'Ill.mo et Rev.mo Signore Card.le SS.Quattro,
Bologna, Eredi di Giovanni Rossi, 1605.
Epistola dedicatoria dell'autore, Bologna 29 ottobre 1605, al card.
Antonio FACCHINETTI.
CAMPEGGI 1610 ID., Andromeda. Tragedia del Co: Ridolfo Campeggi
da recitarsi in Musica in Bologna, in Bologna, Bartolomeo Cocchi,
1610. [verso del frontespizio: ]
fatta recitare in Musica di stile rappresentativo nella Città di Bologna, per
diporto delle sue bellissime dame. Nei
giorni di Carnesciale, con apparato magnifico l'anno MDCX. Sotto la felicissima legatione
dell'Illustriss. & reverendiss. Sig. Card. Giustiniano. Dalli illustri, & Eccelsi Sig.Antiani,
consoli, & Confaloniero di Giustizia del popolo bolognese.
CAMPEGGI 1613 a
ID., L' Aurora ingannata, in
ID., Filarmindo favola pastorale del sig.
Conte Ridolfo Campeggi in questa quinta impressione arricchita con l'Aurora
ingannata, Bologna, Bartolomeo Cochi ad istanza di Simone Parlaschi, 1613.
CAMPEGGI 1613 b
ID., Filarmindo favola pastorale
del sig.Conte Ridolfo Campeggi in questa quinta impressione arricchita con
l'Aurora ingannata favoletta per gli Intermedij in Musica, Bologna,
Bartolomeo Cochi ad istanza di Simone Parlaschi, 1613.
CAMPIDOGLIO 1672 Il Campidoglio della virtù aperto nel
giardino farnese con la fondatione d'una nuova Academia sotto il titolo de'
scelti nel Collegio de' Nobili di Parma e dedicata all'Altezza Sereniss. di
Ranutio II Duca di Parma, Piacenza &c. Protettore della medesima,
Piacenza, Gio. Bazzacchi, 1672. [MISC.2530/26] Biblioteca Casanatense, Roma.
CAMPORI 1852
Giuseppe CAMPORI, La villa del
Sigonio, in "Indicatore Modenese. Giornale di lettere, agricoltura,
industria", Modena, 1852, anno
2, n. 29, fasc. 17, lug., pag. 232.
CAMPORI 1855 ID., Gli artisti italiani e stranieri negli Stati
Estensi. Catalogo storico corredato da documenti inediti, Modena, Tipogr.
della R. D. Camera, 1855.
CAMPORI 1870 a ID.,
Raccolta di cataloghi ed inventari
inediti di quadri, statue, disegni,
bronzi, dorerie, smalti, medaglie, avori, ecc. dal secolo XV al secolo XIX, Modena,
Tipogr.di Carlo Vincenzi, 1870. Note:
esiste anche la ristampa anastatica della casa editrice A. Forni, Bologna,
1975.
CAMPORI 1870 b ID.,
Estratto dell'Inventario della Guardaroba
del Principe Ranuccio Farnese (1587), in Raccolta di cataloghi ed inventari inediti di quadri, statue, disegni,
bronzi, dorerie, smalti, medaglie, avori, ecc. dal secolo XV al secolo XIX, Modena,
Tipogr. di Carlo Vincenzi, 1870.
CARAVAGGIO 1985 Caravaggio e il suo tempo. Milano,
Electa, 1985. Catalogo Mostra: Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte, 14 mag.
- 30 giu. 1985.
CARO 1957 Annibale
CARO, Lettere familiari, a cura di
Aulo GRECO, Firenze, Le Monnier, 1957-1961.
CARRACHE 1988 Les Carrache et les décors profanes. Rome, École Française de Rome,
("Collection de L'École Française", vol. 106), 1988. Atti Convegno: Roma, Palazzo
Farnese: 2-4 ott.1986.
CARTARI 1556 Vincenzo
CARTARI, Le imagini con la spositione de
i dei de gli antichi, in Venetia
per Francesco Marcolini, 1556.
CARTARI 1571 ID., Le Imagini de i Dei de gli antichi nelle
quali si contengono gl'Idoli, Riti, ceremonie, & altre cose appartenenti
alla Religione de gli Antichi, in Venezia appresso Giordano Ziletti, e
compagni, 1571.
CASATI 1926
Giovanni CASATI, Dizionario degli
scrittori d'Italia (dalle origini fino ai viventi), Milano, Romolo
Ghirlanda, 1926-1934 ?.
CASATI 1934 ID., Angelo Ingegneri, in Dizionario degli scrittori d'Italia (dalle
origini fino ai viventi), Milano, Romolo Ghirlanda, vol. 3, 1934 (?), n.
31, pag. 264.
CASTIGLIONE 1588
ID., In funus Francisci Peretti
Sixti V Pont.Max. nepotis ad Alexandrum Perettum Cardinaelm Montaltum Iosephi
Castalionis Anconitani carmen, Roma, Francesco Zanetti, 1588.
CASTIGLIONE 1594
ID., Variae lectiones ad
Alexandrum Rodulfinum Jo. Francisci F., Roma, Bartolomeo Bonfadini, 1594.
CASTIGLIONE 1596
ID., Epulum a Clemente VIII
Pont.Max. pauperibus appositum, a Josepho Castalione Iurisconsulto, & Cive
Romano versibus conscriptum ad Petrum Aldobrandinum Cardinalem, Roma,
Aloisio Zanetti, 1596. Epistola
dedicatoria dell'autore al card. Pietro ALDOBRANDINI. Note: a pagina 13 un carme latino di Antonio QUERENGHI.
CASTIGLIONE 1611 a
ID., Serenissimi Principis Parmae
Genethliacon, Roma, Jacopo Mascardi, 1611. Epistola dedicatoria dell'autore, Roma ottobre 1610, al
cardinale Odoardo FARNESE.
CASTIGLIONE 1611 b
Giuseppe CASTIGLIONE, Epistola
dedicatoria al Cardinale Odoardo Farnese, in ID., Serenissimi Principis Parmae Genethliacon, Roma, Jacopo Mascardi, 1611.
CASTIGLIONE 1657
ID., Fulvii Ursini vita, Romae,
typis Varesij, 1657.
CASTRONOVO 1970
Valerio CASTRONOVO, Scipione
Borghese Caffarelli, in DBI, vol.
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CATALOGUE 1972
Catalogue of the Ellesmere
Collection of drawings by the Carracci and other bolognese masters collected by
Sir Thomas Lawrence, London, Sotheby & Co., 1972.
CATANEO 1591 Baldo
CATANEO, Gradisca il cielo i miei devoti
accenti, in Tempio fabricato da
diversi Coltissimi, & Nobiliss. Ingegni, in lode dell'Ill.ma & Ecc.ma
Donna Flavia Peretta Orsina, Duchessa di Bracciano, Roma, Giovanni
Martinelli, 1591, pagg. 137-142.
CAVAGNA 1981 Anna
Giulia CAVAGNA, Libri e tipografi a Pavia
nel Cinquecento. Note per la storia dell'Università e della cultura, Milano,
Istituto Edit.le Cisalpino La Goliardica ("Fonti e Studi per la Storia
dell'Università di Pavia", vol. 3), 1981.
CENZI A 1600 ID., Relazione di quanto è stato fatto in
Macerata nel felicissimo passaggio della Serenissima Madama Margherita Duchessa
di Parma. Con la dichiaratione di tutte le figure, Emblemi, Imprese, &
Motti, che si contenevano ne
gl'Archi. Al Serenissimo Signor Duca di Parma, e di Piacenza,& Protettore
Colendissimo, Macerata, Sebastiano Martellini, 1600. In chiusura: di Macerata, lì 6 di luglio,
1600. Di V.A. Sereniss. Humiliss.,
& devotiss. serv. Alessandro Centio Academico Catenato.
CENZI A 1606 ID., Il Padre afflitto. Comedia di Alessandro
Centio per le nozze del Sig.Giacomo Centio,e della Sig.Costanza Ricci da
Macerata, Venezia, Alessandro de' Vecchi, 1606.
CENZI A 1617
Alessandro CENZI, L' amico
infedele. Comedia del Sig. Alessandro Centio. Academico Catenato. All'Illustrissimo
& Eccellentissimo Sig. Appio Conti Prencipe di San Gregorio, Macerata,
Pietro Salvioni, 1617. Epistola
dedicatoria di Carlo CENZI, Macerata 20 novembre 1617.
CENZI C 1617 Carlo CENZI, Epistola dedicatoria, in Alessandro CENZI, L'amico infedele, Macerata, Pietro Salvioni, 1617.
CERUTI 1867 Antonio
CERUTI, Lettere inedite di dotti italiani
del secolo XVI tratte dagli autografi della Biblioteca Ambrosiana, Milano,
Tipogr. e Libreria Ditta Boniardi - Pogliani di Ermenegildo Besozzi, 1867.
CESIO Carlo CESIO, Galeria nel Palazzo Farnese in Roma del
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CHAPPELL 1976
Miles L. CHAPPELL, An
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"Studies in iconography", vol.
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CHAPPELL 1978
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Agostino Carracci's «Venus» in the Farnese Gallery, in "Studies in
iconography", vol. 4, 1978,
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CHENEY 1981
Iris CHENEY, Catalogue of preparatory
drawings related to the Mid-Sixteenth Century Decorations in Palazzo Farnese, in
"Mélanges de l'École Française de Rome. Moyen-Age,Temps Modernes", 1981, tomo 93, 2,
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CHIABRERA 1829
Gabriello CHIABRERA, Lettere, Genova,
Tipogr. L. Pellas, 1829.
CHIABRERA 1889 ID.,
Lettere inedite, a cura di Achille NERI. Genova, Tipogr. del R. Istituto dei
Sordomuti, 1889.
CHIAVI 1984 Le Chiavi della memoria. Miscellanea in
occasione del I centenario della Scuola Vaticana di Paleografia Diplomatica e
Archivistica a cura di Associazione
Degli Ex Allievi, Città del Vaticano, Scuola Vaticana di Archivistica e
Diplomatica ("Littera Antiqua",
vol. 4), 1984.
CHIELI 1591 Matteo
CHIELI, Priva era quasi con l'Italia il
mondo, in Tempio fabricato..., Roma,
1591, pagg. 237-268.
CIACCONIO 1588
Pietro CIACCONIO, De triclinio
romano. Fulvi Ursini Appendix, Romae, in aedibus S.P.Q.R., apud Georgium
Ferrarium, 1588. Epistola dedicatoria
di Fulvio ORSINI a Sisto V Papa. Note:
[L'Appendix di Fulvio ORSINI è così intitolata:] Fulvi Ursini Appendix ad librum Petri Ciacconio de Triclinio. Epistola dedicatoria di Fulvio ORSINI s.l.,
s.a., al card. Alessandro PERETTI.
CICOGNINI 1614
Jacopo CICOGNINI, Amor pudico.
Festino e balli danzati in Roma nelle nozze de gl'Illustr.mi & Eccell.mi
Sig.ri D. Michele Peretti Principe di Venafro, e Signora Principessa D. Anna
Maria Cesis nel Palazzo de la Cancellaria l'Anno 1614 del Sig. Iacomo
Cicognini ne l'Accademia de gli Humoristi di Roma detto il Confidente, Roma,
Girolamo Discepolo, 1614.
CIONINI 1971 Maria
Cionini VISANI, Un itinerario nel
Manierismo italiano: Giulio Clovio, in "Arte Veneta", Venezia, Alfieri, 1971, anno 25, pagg.
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CIVITA 1900 Amelia
CIVITA, Ottavio Rinuccini e il sorgere del
melodramma in Italia, Mantova, Tipogr.Aldo Manuzio, 1900.
CLAUDIO 1969 Claudio Monteverdi e il suo tempo. A
cura di RAFFAELLO MONTEROSSO. Verona, Valdonega, 1969. Atti Convegno: Venezia, Mantova e Cremona
dal 3 al 7 mag 1968.
COATTINI 1589
Francesco COATTINI, Raccolta
d'orationi et rime di diversi, co'l Discorso, Descrittione dell'Essequie, &
Disegno del Catafalco nella morte dell'Illustriss. Cardinal Farnese ,fatta da
Francesco Coattini. Con la Tavola di
tutti gl'Auttori All'Illustrissimo, & Eccellentissimo Signor D.Duarte
Farnese, Roma, Francesco Coattini, ai Balestrari, 1589.
COBARRUBIA 1562
Pietro COBARRUBIA, Institutione de
giuocatori, nella quale s'insegna a giuocare senza offesa di Dio, & si
reprobano i cattivi giuochi. Et in particolare si ragiona del giuoco de gli
scacchi, & della palla, Venezia, Vincenzo Valgrisi, 1562. Note: al cap.16, pagg. 57-62: Che le mascare sono illicita maniera di
giuoco o di ricreatione.
COCCIOLI 1987 Anna
COCCIOLI MASTROVITI, Ingressi solenni,
mascherate, catafalchi: contributo all'effimero di Corte a Piacenza nel
Seicento, in "Bollettino storico piacentino", 1987, anno 82,
fasc. 1, gen.- giu., pagg. 94-109.
Note: alle pagg. 99-100 la descrizione dell'entrata in Piacenza di
Margherita FARNESE ALDOBRANDINI, il 10 marzo 1620,
COFFIN 1955
David R. COFFIN, Pirro Ligorio and
decoration of the late Sixteenth Century in
Ferrara, in "Master Drawings",
1955, set., pagg. 167-185.
COFFIN 1964
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of the arts, in "Journal of the Warburg and Courtauld Institute",
vol. 27, 1964, pagg. 191-210.
COLONNA F 1980 Francesco Colonna, Hypnerotomachia
Poliphili, edizione a cura di G. POZZI E L.A. CIAPPONI, Padova,1980.
COLONNA S 1989
Stefano COLONNA, Variazioni sul
tema della Fortuna da Enea Silvio Piccolomini a Francesco Colonna, in
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COLONNA S 1994
Stefano COLONNA, Arte e letteratura. La civiltà dell?emblema
in Emilia nel Cinquecento, in La pittura in Emilia e in Romagna. Il
Cinquecento. Un?avventura artistica tra natura e idea?, Milano, 1994, pagg.
102-128
COLTON 1967
Judith COLTON, The Endimion myth
and Poussin's Detroit painting, in "Journal of the Warburg and
Courtauld Institute", vol.30,
1967, pagg. 426-431.
CONTI 1567 Natale
CONTI, Mythologiae, sive explicationum
fabularum libri decem. In quibus
omnia prope Naturalis e Moralis
Philosophiae dogmata sub antiquorum fabulis contenta fuisse demostratur. Cum locupletissimis indicibus eorum scriptorum
qui in his libris citantur,rerumque notabilium,& multorum nominum ad
fabulas pertinentium explicationibus.
Opus non tantum humanarum, sed etiam sacrarum literarum &
Philosophiae studiosis perutile, ac propre necessarius. Venezia, 1567.
CONTI 1623 Ortensio CONTI, Breve contezza delle principali virtudi del sereniss. signor Ranutio
Farnese duca di Piacenza, Parma, & C. Con un conciso ragguaglio del seguito
dall'affetto della città di Piacenza. In morte di S.A. sereniss. dedicati al
sereniss. signor duca Odoardo Farnese figliuolo, e suo legitimo
successore. Per Hortensio Conti
procuratore piacentino, Piacenza, Giacomo Ardizzoni, 1623.
CONTILE 1872 Luca
CONTILE, Lettere di Luca Contile tratte
dagli autografi che si conservano a Parma nell'Archivio Governativo, Venezia,
Tipogr.del Commercio di Marco Visentini, 1872. Note: lettere dal 26 maggio 1549 al 23 agosto 1574.
CONTILE 1574 ID., Ragionamento di Luca Contile sopra la
proprietà delle imprese con le particolari de gli Academici Affidati et con le
interpretationi et croniche. Alla Sac. Cat. M. del Re Filippo, Pavia, 1574.
COPENHAVER 1978
Brian P. COPENHAVER, Symphorien
Champier and the Reception of the occultist tradition in Renaissance France, Hague
- Parigi - New York, Mouton Publishers,
1978.
COPPOLA 1637
Giovanni Carlo COPPOLA, Le Nozze
degli Dei Favola dell'Ab. Gio. Carlo Coppola Rappresentata in Musica in Firenze
nelle Reali Nozze De Sereniss.mi Gran Duchi di Toschana Ferdinando II e
Vittoria Principessa d'Urbino, Firenze, Amadore Massi e Lorenzo Landi,
1637.
CORBO 1975 Anna
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Ministero per i BB.CC.e AA. ("Pubblicazioni degli Archivi di Stato",
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DALL'ACQUA 1980
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DANIA 1977
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DE ANGELIS 1829 DE
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DE BOVELLES 1510 CAROLUS
BOVILLUS (CHARLES DE BOVELLES), Liber de
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DE GRAZIA 1984
Diane DE GRAZIA BOHLIN, Le stampe
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Catalogo critico, a cura di ANTONIO BOSCHETTO, Bologna, Alfa, 1984. Titolo originale: Prints and
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Note: pubblicazione correlata alla mostra tenutasi presso la
National Gallery of Art di Washington dal 18 mar. al 20 mag.1979.
DE LA PERRIERE 1539
Guillaume DE LA PERRIERE, Le Theatre
des bons engins, auquel sont contenuz cent Emblems moraulx, Paris, Denys
Ianot, 1539
DE NAVENNE 1923
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Palais Farnèse pendant le trois derniers siècles, Paris, Librairie ancienne
Honorè Champion, 1923.
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DE NOLHAC 1884 a
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Orsini, in "Gazette des Beaux Arts", Paris, 1884, tomo 29, pagg. 427-436.
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Cardinale Sirleto, in "Studi e documenti di Storia e
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Conferenze Storico-Giuridiche, 1884, anno 5, pagg. 247-276.
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Orsini. Contributions a l'histoire des collections d'Italie et a l'Etude de la
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Correspondance avec Fulvio Orsini, in "Studi e documenti di Storia e
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Conferenze Storico - Giuridiche, 1889, anno 10, n. 1-2, gen.- giu., pagg.
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DE RINALDIS 1911
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des Musées Nationaux, 1961.
DE VITO 1972 Silvia
DE VITO BATTAGLIA, Leggende cavalleresche
nelle pitture del Palazzo del Giardino a Parma, in "Aurea Parma", 1972, anno 56, fasc.1, gen.- apr.,
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DE VOCHT 1928 Henry
DE VOCHT, Literae virorum eruditorum ad
Franciscum Craneveldium 1522-1528. A
Collection of original letters edited from the manuscripts and illustrated with
notes and commentaires, Lovanio, Librairie Universitaire Uystpruyst
("Humanistica Lovaniensia", vol. 1), 1928.
DE' PAOLI 1979
Domenico DE PAOLI, Monteverdi, Milano,
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DE'CAVALIERI 1903
Emilio DE' CAVALIERI, Rappresentazione
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melodramma. Testimonianze dei contemporanei, Torino, Fratelli Bocca
("Piccola Biblioteca di Scienze Moderne", vol. 70), 1903, pagg. 1-39.
DEBES 1965
Louis HELMUT DEBES, Die
Musikalischen Werke von Claudio Merulo (1533-1604). Quellen nachweis und
tematischer katalog, Wurzburg, 1965.
Inaugural - Dissertation zur Erlaugung der Doktorwürde der
Philosophischen Fakultät der Julius - Maximilians - Universität zu Würzburg vorgelegt von L.H.D. aus Würzburg
1964. Referent: Professor Dr. Hermann
Beck; Prof. Dr. Georg. Reichert; Tag
der mündlichen Prüfung: 19 juli 1965.
DELFINO 1604
Giovanni DELFINO, Triplicata
corona per la promotione al cardinalato dell'Illustrissimo, &
Reverendissimo Sig. Gio. Delfino Vescovo di Vicenza. Raccolta da Lodovico Masotti,
Vicenza, Giorgio Greco, 1604.
DELLA ROVERE 1776
Francesco MARIA DELLA ROVERE, II Memorie
concernenti la vita di Francesco Maria Secondo della Rovere Sesto ed ultimo
duca d'Urbino scritte da se medesimo, coll'aggiunta di tutto ciò che accadde nella
devoluzione de' di lui Stati alla Santa Sede, a cura di Francesco Saverio
PASSERI CIACCA, in Nuova raccolta
d'opuscoli scientifici e filologici, Venezia, Simone Occhi, 1776, tomo 29.
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FARNESE AG 1887 Agnese
FARNESE PICCOLOMINI, Lettere, a cura di
Alessandro LISINI, Siena, 1887.
FARNESE E 1593
Enrico FARNESE, De simulacro
Reip.sive de imaginibus politicae et oeconomicae virtutis. Henrici Farnesii
Eburonis I. C. et artis Oratoriae
Interpraetis Regij. Panegirici
lib IIII absoluti. In quibus quam imperii faciem adumbrent quaedam Illustrium
Familiarum insignia: Apologi: Emblemata: Fabulae: Adagia: Hieroglyphica:
breviter ostenditur. Huc accedunt
mores: leges: ritus antiquorum: Synonima virtutum: Paradoxa disputantium:
exemplorum testimonia, ac denique; orationes pro Arte Imperandi quinque, Papiae,
ex officina Haeredum Hieronymi Bartoli, 1593.
FARNESE E 1597 ID.,
De triumphali ingressu Alexandri Saulii
Papiae Episcopi Henrici Farnesii Eburonis I. C. & Artis Oratoriae
Interpretis Regij Ad Antonium Mariam Speltam Politiorun Litterarum studiosiss.
Apparatus, in Historia di Antonio
Maria Spelta Cittadino Pavese, delle vite di tutti i Vescovi che dall'anno di
nostra salute VL. fino al MDIIIC successivamente, Pavia, Eredi di Girolamo
Bartoli, 1597, pagg. 553-572.
FARNESE E 1599 ID.,
Henrici Farnesi Eburonis I.C. Artis
Oratoriae in Ticinensi Gymnasio Interpretis Regij, & Academici Conspiranti
Intenti Oratio de Serenissimi Ducis Rainutii Farnesii in Illustriss. Intentorum Academiam Cooptatione. Huc accesserunt alij Academicorum
plausus Ad Illustriss.& Reverendiss. Principem Odoardum Farnesium S.R.E.
Cardinalem Amplissimum & Academicum Intentum, Ticini, apud Haeredes Hieronymi Bartoli, 1599. Epistola
dedicatoria di FILIPPO MASSINI, I.C. Primarius in Ticinensi Gymnasio legum
Interpres, & in Intentorum Academia Estaticus, ottobre 1599, al cardinale ODOARDO FARNESE. Nota: dopo il frontespizio un sonetto di
SCIPIONE CELLA accademico intento, dedicato al medesimo card. FARNESE.
FARNESE E 1600 ID.,
De perfecto Principe ad Clementem VIII
apophtegmata Card.P. Aldobrandini in quibus ars imperandi tenetur inclusa ab
Henrico Farnesio Eburone I.C.& Artis Oratoriae in Ticinensi Gymnasio, Regio
Interprete in librum unum congesta, atque regum,imperatorum, ac
sapientissimorum Heroum exemplis, Ex
omni antiquitate aucta, & locupletata,
Ticini, ex typographia Andreae Viani, 1600.
FARNESE E 1607 ID.,
Diphtera Iovis, sive de antiqua principis
gloria. Ex qua olim aegiptiorum reges Trismegisti Ter Maximi Optimi:
sapientiss.ac potentiss. sunt appellati, Milano, Girolamo Bordoni &
Pietro Martire Locarno, 1607.
FARNESE 1995 I
Farnese. Arte e Collezionismo (Cat. Mostra - Pal. Ducale di Colorno, 4
marzo - 21 maggio 1995; Napoli, Gall. Naz. di Capodimonte, 30 sett. - 17 dic.
1995; Monaco di Baviera, Haus der Kunst 1 giu. - 27 ago. 1996) Milano, 1995. A
cura di Lucia Fornari Schianchi e Nicola Spinosa.
FASANO 1960 Elena
FASANO GUARINI, Cinzio Passeri
Aldobrandini, in DBI, vol. 2,
1960, pagg. 103-104.
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l'Association Internationale des Historiens de la Reinassance (2.e
section). Atti Convegno:
Bruxelles-Anvers-Gand-Liège, 2-7 set.1957.
[vol.3:] Quinzième Colloque
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meravigliose dell'alma città di Roma anfiteatro del mondo. Con le chiese et antichità rappresentate in
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Gio., Antonio Franzini, 1600.
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Hoc est Moralis philosophia per fabulas brutis attributas, traditae,
amoenissimum viridarium in quo humanae vitae labyrintho demonstrato virtutis
semita pulcherrimis praeceptis, veluti Thesei filo docet. Artificiosissimis
nobilissimorum sculptorum iconibus ab Arnoldo Freitagio Embricensi, latine
explicatis aeri incisum, Antverpiae, Philippo Galleo Christophorus
Plantinus excudebat, 1579.
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nell'Academia de i Gelati detto l'Improvviso celebrati da gli Academici stessi
in Bologna. Bologna, Vittorio Benacci, 1595. [A.V.Caps.226.36,9] Bologna, Biblioteca Universitaria. Epistola dedicatoria, senza autore, senza
data, all'Ill.mo S.Abbate FACCHINETTI academico gelato. In chiusura di volume,
un'altra epistola dedicatoria di Francesco Maria CACCIANEMICI, Bologna 18
ott.1595.
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di Agostino CARRACCI è disponibile presso l'Archivio della Scuola Normale
Superiore di Pisa.
GALANTE 1985 Lucio
GALANTE, Un Ludovico Carracci ed una
copia del Barocci a Gravina di Puglia, in "Prospettiva", Firenze, Centro di, 1985, n. 43, ott., pagg. 61-64,
GALLE 1593 Theodore
GALLE, XII Cardinalium pietate doctrina
rebusq. gestis maxime illustrium imagines et elogia, Anversa, 1593.
GALLE 1598 ID., Illustrium imagines ex antiquis marmoribus
nomismatibus et gemmis expressae quae extant Romae maior pars apud Fulvium
Ursinum, Antverpiae, ex officina Plantiniana sumptibus Theodori Gallaei,
1598.
GALLENI 1969 Leila
GALLENI LUISI, Il «Lamento d'Arianna» di
Severo Bonini (1613), in Claudio
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del Cinquecento", vol. 5), 1978.
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BLAS GARCIA, Ad Illustr.et
Revere.S.R.E.Cardinales oratio, qua gratias Deo agit pro novo Pontifice,
Clemente VIII. Habita in Academia Romana xvij kal. Julij MDXCII. Ad Illustr.et
excellent. D. D. Antonium de Corduba, & Cardona, Romae, Aloyse Zanetti,
1592.
GARCIA 1593 a ID., Oratio funebris in laudem Alexandri
Farnesii, Serenissimi Parmae, & Placentiae Ducis. Ad Illustrissimum, et
Reverendissimum DD. Odoardum Farnesium Cardinalem amplissimum, Roma,
Eredi di Giovanni Gigliotti, 1593.
GARCIA 1593 b ID., Vincentii Blasii Garciae Valentini oratio
funebris, habita Nepetae, cum eo cadaver Horatii Celsi, Episcopi Melphiensis, e
Flaminia, cuius fuerat Prolegatus, transatus humaretur. Anno Domini MDXCII ad
Illustriss. et Reverendiss. D.D. Odoardum Farnesium S.R.E. Cardinalem
amplissimum, Roma, Eredi di Giovanni Gigliotti, 1593.
GARCIA 1593 c ID., Vincentii Blasii Garciae Valentini oratio,
habita pro se ipso in Academia Romana XVI kal Iulij anno ab humanae salutis
MDXCII Ad Illustrissimum, & Reverendissimum D. D. Ascanium Columnam S. R.
E. Cardinalem amplissimum, verumq. saeculi nostri Moecenatem, Roma, Eredi
di Giovanni Gigliotti, 1593.
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Note: dopo l'epistola dedicatoria versi di TORQUATO TASSO.
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INGEGNERI 1606 ID.,
Contra l'Alchimia e gli Alchimisti.
Palinodia dell'Argonautica dichiarata da copiose postille del proprio Autore.
Al molto illustre, Reverendiss. Signore Monsignor Girolamo Fosco Prothonotario
Apostolico Intimo Cameriere, & Elemosiniere segreto di N.S, in Napoli, appresso Gio. Giacomo Carlino,
1606.
INGEGNERI 1612 ID.,
Per la feliciss. e desideratiss.
Assuntione al Pontificato del Santiss. e Beatiss. Padre e Sig. Nostro Papa
Clemente Ottavo, in Roma, appresso Ascanio & Girolamo Donangeli, 1612.
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Firenze, Olschki ("Nuova Collezione di Testi Umanistici Inediti o
Rari", vol. 1), 1939.
LASAGNI 1991
Roberto LASAGNI, Bibliografia
parmigiana 1974-1983 preceduta dalle aggiunte e correzioni alla Bibliografia
generale delle Provincie Parmensi di Felice da Mareto, Parma, Battei, 1991.
LATINI 1659 Latino
LATINI, Epistolae, Coniecturae, &
Observationes. Sacra, Profanasque eruditione ornatae. Ex Bibliotheca Catedralis
ecclesiae Viterbiensis, A Dominico
Macro Melitensi ID. Ecclesiae Canonico Theologo Studio ac triennali labore
collectae, prodeunt in lucem publicae studiosorum utilitati. Iussu
Eminentissimi, & Reverendissimi D. Francisci Mariae Cardinalis Brancacci
Philogrammati, Roma, 1659.
LATINI 1677 ID., Latini Latinii viterbiensis Bibliotheca
sacra et profana sive observationes,correctiones in sacros, et profanos
scriptores e marginalium notis codicum ID. a Dominico Macro Melitensi
Cathedralis Viterbien. olim Canonico Theologo, Sacrarumque Inquisit. &
Indicis Congregat. Consultore, Protonotario Apost.ac Comite Palatino collectae.
Et nunc primum, e Bibliotheca
Brancaccia in lucem editae. coniecturae,
& variae lectiones, Roma,
1677.
LAUKE 1954
Jutta LAUKE, Bemerkungen zur
Zeichenweise der drei Carracci Lodovico, Agostino, Annibale, München -
Hamburg - Berlin, Mikrokopie Gesellschaft für angewandte Mikrographie,
1954. Note: stampa da microfilm
di un Ph.D. discusso il 3 marzo 1954. Con una tavola sinottica dei disegni
ordinata topograficamente per località del Museo o Collezione di appartenenza e
completa di referenze fotografiche.
LAVER 1932
James LAVER, Stage design for the
Florentine Intermezzi of 1589, in "The Burlington Magazine, vol. 60,
1932, giu., pagg. 294-300.
LAVIN 1954
Irving LAVIN, Cephalus and
Procris. Transformations of an Ovidian Myth, in "Journal of the
Warburg and Courtauld Institute", 1954,
pagg. 260-287.
LAWRENCE 1961
Marion LAWRENCE, Three pagan
themes in Christian Art, in "Essays in honor of Erwin Panofsky". New York, 1961, vol. 1, pagg. 323-334.
LEFEVRE 1959 Renato
LEFEVRE, Il patrimonio romano degli
Aldobrandini nel '600, in "Archivio della Società Romana di Storia
Patria", vol. 82, 1959, pagg.
1-24.
LELIO 1987 Lelio Orsi (1511-1587). Dipinti e disegni a
cura di Elio MONDUCCI e Massimo PIRONDINI.
Milano, Silvana Editoriale, 1987.
Catalogo Mostra: Reggio Emilia, Teatro Valli: 5 dic. 1987 - 30 gen.
1988.
LEONI 1589 Giovanni
Battista LEONI, Oratione di Gio. Battista
Leoni per l'essequie dell'Illustrissimo et reverendissimo S. Cardinal Farnese, Roma,Vincenzo
Accolti, 1589.
LEONI 1594 Giovanni
Battista LEONI - Lucio SCARANO, Due
orationi una volgare di Gio. Battista Leoni l'altra latina di Lucio Scarano
recitate da loro nel publicarsi dell'Academia Venetiana, Venezia, Giovanni
Battista Ciotti, 1594. Epistola
dedicatoria dell'autore a Pietro PRIULI.
LEONI 1596 Giovanni
Battista LEONI, Madrigali, Venezia,
Giovanni Battista Ciotti, 1596.
LEONI 1605 ID., Vita di Francesco Maria di Montefeltro della
Rovere IIII Duca d'Urbino, Venezia, Giovanni Battista Ciotti, 1605.
LETTERE 1977 Lettere di artisti italiani ad Antonio
Perrenot di Granvelle. Tiziano, Giovan Battista Mantovano, Primaticcio,
Giovanni Paolo Poggini, ed altri. Appendice: documenti tizianeschi inediti
tratti dall'Archivio Gen.le di Simancas, Madrid, Istituto Italiano di
Cultura ("Documenti e Ricerche", vol. 7), 1977. A cura di Cesare GREPPI [il curatore non
figura nel frontesp., ma è menzionato come tale nell'introduzione di L.
FERRARINO].
LEVI 1950
Mirella LEVI D'ANCONA, Illuminations
by Clovio lost and found, in "Gazette des Beaux Arts", serie 6, tomo 37 bis, anno 92, 1950,
lug.- set., pagg. 55-76.
LEXICON Lexicon iconographicum
mythologiae classicae (LIMC), Zürich - München, Artemis, 1981 - .
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Caterina LIMENTANI VIRDIS, Manierismo
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LIMENTANI 1974 b
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Martin de Vos e i suoi rapporti con la pittura romana del Cinquecento, in
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LIMENTANI 1979 ID.,
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Sadeler (c.1570 - 1629): drawings, prints and theory, Princeton University,
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di Phd.
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LO PARCO Francesco
LO PARCO, Il Cardinale Guglielmo Sirleto.
Notizie bio-bibliografiche con la pubblicazione del suo testamento inedito (dal
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LONGHI 1600 ID., Canzone di Honorio Longhi nelle nozze del
Serenissimo Ranuccio Farnese duca di Parma, e Piacenza, Roma, Nicolò Mutij,
1600. Collocazione: [N.VII.8.CCC]
Biblioteca Casanatense, Roma. Nota:
l'incisione del frontespizio misura cm.10 x 12,8 (h).
LUGLI 1982 Adalgisa
LUGLI, Le «Symbolicae Quaestiones» di
Achille Bocchi e la cultura del l'emblema in Emilia, in Le Arti a Bologna e in Emilia dal XVI al
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LÖWENKLAU 1577
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Apotelesmata, sive de significatus et eventis insomniorum, ex Indorum,
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MAC DOUGALL 1975
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Sleeping Nymph: Origins of a Humanistic Fountain Type, in "The Art
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Nazionale di Capodimonte: genesi e interpretazioni, in "Storia
dell'Arte", Firenze, La Nuova Italia, 1981, n. 42, mag. - ago., pagg.
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MACIOCE 1990
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MACIOCE 1990
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by Annibale Carracci in Dijon, in "Master Drawings", vol. 13,
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Luisa MADONNA, La Biblioteca. Theatrum mundi
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benedettina di San Giovanni Evangelista a Parma, Parma, Cassa di Risparmio
di Parma, 1979, pagg. 177-194.
MAGRI 1677 Domenico
MAGRI 1677, Latini Latinii viterbiensis
vita a Dominico Macro, ex varijs ipsius epistolis concinnata, et a Carolo ID.
auctoris fratre in compendium redacta, in Bibliotheca sacra et profana sive observationes, correctiones
coniecturae, & variae lectiones, Roma, 1677, carte *2r.-*3v.
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post-scriptum, in "Commentari. Rivista di critica e storia
dell'arte", Roma, De Luca, vol. 1, 1950, pagg. 163-171.
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further reflections on the validity of a label, in "Journal of the
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MAHON 1953
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practice in the early Seicento: some clarification, in "The Art
Bulletin", vol. 35, 1953, n. 3, set., pagg. 226-232.
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Exhibition, in "Gazette des Beaux Arts", apr. 1957, pagg. 193-207;
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links between the young Albani and Annibale Carracci, in "The
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corredata da indici di ricerca, da un commentario di orientamento bibliografico
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MANZANO S 1600
Scipione di MANZANO, Aci favola
marina del molto illustre Signor Scipione di Manzano. Sotto il velo della quale si loda la Serenissima Repubblica di
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Ciotti, 1600.
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organista del Sereniss.o Sig. Duca di Parma et Piacenza &c. Nuovamente da
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stemma del card. Odoardo Farnese] In
Roma, appresso Simone Verovio MDXCVIII.
MERULO 1607 Ricercari
da cantare a quattro voci di Claudio Meruli da Correggio organista del
Serenissimo di Parma nuovamente dato in luce per Giacinto Meruli nipote
dell?autore, In Venetia, appresso
Angelo Gardano & fratelli, MDCVII
MERULO 1982 Claudio
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MOSTRA 1954 Mostra di Guido Reni, a cura di
Giancarlo CAVALLI, Bologna, 1954.
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dell'Archiginnasio 1 sett. - 31 ott.1956.
A cura di (vol.1) Giancarlo CAVALLI; Francesco ARCANGELI; Andrea
EMILIANI; Maurizio CALVESI; vol.2: Denis MAHON e Maurizio CALVESI (traduzione
dall'inglese).
MOSTRA 1950 Mostra di Lelio Orsi, a cura di Roberto
SALVINI e Alberto Mario CHIODI, Reggio Emilia, 1950. Catalogo Mostra: Reggio Emilia, Civica Galleria Fontanesi: 16
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Rudolf II en de Arcane Wetenschappen, in "Leids Kunstisthorisch
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Antoine MURET, Variarum lectionum libri XV, Antverpiae, ex officina Christophori
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MURTOLA 1597
Gasparo MURTOLA, Epithalamio di
Gasparo Murtola nelle nozze dell'Illustrissimo & Eccellentissimo Sig. Don
Filippo Colonna, e della Signora Donna Lucrezia Tomacelli, in Perugia, appresso Vincenlio Colambara
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MURTOLA 1600 a ID.,
La cetra. Canzone del Signor Gasparo
Murtola,alla Serenissima Signora Donna Margarita Aldobrandini Duchessa di Parma
e Piacenza, Roma, Guglielmo Facciotto, 1600.
MURTOLA 1600 b ID.,
Epithalamio del S. Gasparo Murtola nelle
feliciss. Nozze de le Maestà Christianissime Henrico IIII et Maria de Medici.
Dedicato all'Illustrissimo & Reverendissimo Sig.Serafino Olivario Decano
della Rota, Roma, Nicolò Mutij, 1600.
MURTOLA 1600 c ID.,
L' Iride. Epithalamio del Signor Gasparo
Murtola nelle nozze del serenissimo Sig. Ranuccio Farnese Duca di Parma e di
Piacenza con la Serenissima Signora Donna Margarita Aldobrandini, Roma,
Guglielmo Facciotto, 1600.
MURTOLA 1600 d ID.,
Il panegirico. Canzone del Signor Gasparo
Murtola al Serenissimo Signor Il Signor Ranuccio Farnese Duca di Parma e di
Piacenza, Roma, Guglielmo Facciotto, 1600.
MURTOLA 1601 ID.,
Nutricia in ortu Sereniss. Infantis Hispaniarum Illustriss. ac
Excellentiss. Antonio de Cardona de Corduba Duci Suessae, Regis
Hispaniarum a consilio, & as summum Pontificem legato, Roma, Carlo Vullietti, 1601.
MURTOLA 1617 ID., Delle pescatorie di Gasparo Murtola
Secretario del Ser.mo Carlo Emanuelle Duca di Savoia con la Creat.ne della
Perla, et altre rime del medesimo non più stampate dedicate all'Ill.mo S.r il
S.r Baron Filippo Masio, Venezia, Evangelista Deuchino, 1617.
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denuo in lucem edita, & Latine reddita per Eilhardum Lubinum Poëseos
Academia Rostochina professorem. Ex Bibliothecam Ioannis Sambuci Pannonij. Cum
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gen.1974; tavola rotonda "Attualità del Caravaggio": Bergamo, 16
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& veteres inscriptiones Fratrum Arvalium. Iunius Philargyrius in Bucolica
& Georgica Virgilij Notae ad Servium in Bucol.
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PALAZZO 2000 Palazzo Farnese. Ambasciata di Francia a
Roma. Saggi introduttivi di Gianni Guadalupi; Michel Hochmann; letture
iconografiche di Caterina Napoleone con testi di Giovan Pietro Bellori;
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Signora Lucretia Salviati Orsina, in M. MANFREDI, Per donne romane rime di diversi, Bologna, 1575, pagg. 346-348.
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Eros (Zur Genealogie von Rembrants Danae), in "Oud Holland", 1933, anno 50, fasc. 1-6, pagg.
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PANSA 1590 Muzio
PANSA, Della Libraria Vaticana.
Ragionamenti di Mutio Pansa divisi in quattro parti ne' quali non solamente si
discorre dell'origine e rinovatione di essa: ma anco con l'occasione delle
Pitture che vi sono nuovamente fatte si ragiona. Di tutte l'opere di N.S.Papa Sisto V dell'Historie de'Concilij
Generali fino al Tridentino. Delle
librarie famose, e celebri al Mondo.
Di tutti Huomini illustri per l'inventione delle Lettere. Con
l'Agiunta degli Alfabeti delle Lingue straniere,e con alcuni discorsi infine
de' libri,e della Stampa Vaticana, e di molte altre librarie publiche, come
private in Roma, Roma, Giovanni
Martinelli, 1590.
PANSA 1589 ID., Nella morte dell'Illustrissimo Cardinal
Farnese. Canzone e sonetti di Mutio Pansa da Cività di Penne. Al molto illust.et eccellen.Signore il
Signor Papirio Picedi Luogotenente generale del Sereniss. Duca di Parma, Roma,
Tito e Paolo Diani fratelli, 1589.
PANSA 1608 ID., Vago, e dilettevole giardino di varie
lettioni di Mutio Panza [sic], nelle quali si leggono le sontuose fabriche di
Roma. L'Historie de'Concilij Generali. L'obedienza de'Principi a S.Chiesa. L'Inventione, e chi trovò le lettere. Caratteri e alfabeti stranieri. Inventioni delle Librarie. Epitaffi che sono nelle case memorabili di
Roma. Le librarie famose, e celebri
del mondo. Le librarie, così publice, come private di
Roma. La Libraria, Libri, e Stampa Vaticana. Tutti gli huomini Illustri.
Gli obelischi di Roma. Gli Ornamenti fatti alle Chiese di
Roma. Le vite, & historie de'Santi
Padri. Et infinite altre cose curiose,
come all'Indice di Cose notabili,
Roma, Giacomo Mascardi ad instanza di Giovanni Martinelli, 1608
PAOLO 1985 Paolo Giovio. Il rinascimento e la
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PARADISO 1614
Romolo PARADISO, Copia d'una
lettera del Sig. Romolo Paradiso. Con la quale da avviso dell'Apparato,e
grandezza, con che si è rappresentato il Festino dell'Eccellentissimo
Sig.Principe Peretti, in J. CICOGNINI, Amor
pudico, Roma, 1614.
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PICO 1599 Pico
della MIRANDOLA Conte di Concordia, GIOVANNI Lettera dell'Illustrissimo, et
Eccellentissimo Giovanni Pico, Signore della Mirandola, al Sig. Gio. Francesco
Pico, suo nipote. Tradotta dalla lingua latina nella favella fiorentina da M.
Francesco Bocchi Firenze, Semartelli, 1599.
Nota: l'epistola è datata 15 mag. 1492
PIGGE 1587 Stephen
WYNKENS PIGGE, Hercules prodicius, seu
Principis iuventutis vita et peregrinatio...Historia Principis adolescentis
institutrix; & antiquitatum, rerumque scitu dignarum varietate non minus
utilis quam iucunda, Antverpiae, ex
officina Christophori Plantini Architypografi Regij, 1587.
PIGGE 1701 ID., Themis dea, seu de lege divina: ubi praeter
alia reconditae antiquitatis, multa de horis, in J. GRONOW, Thesaurus graecarum antiquitatum, Lione,
Peter Vander, 1701, vol. 9, pagg.
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PIGGE 1959
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Epistolarium published from the Brussels Copy, Cart. & Man., 187, a cura di Henry DE
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PIGLER 1956
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auswahl von verzeichnissen zur Iconographie des 17 und 18 Jahrhunderts, Budapest,
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PIGLER 1968
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PIGLER 1954
ID., Orszàgos Szépmüvészeti
Mùzeum. A Régi képtàr katalògusa, Budapest, Akadémiai Kiadò, 1954.
PINACOTECA 1987 La Pinacoteca Civica di Cento. Catalogo
generale, Bologna, Nuova Alfa per la Cassa di Risparmio di Cento, 1987.
PINO 1596
Bernardino PINO, Gli affetti.
Ragionamenti famigliari, di M. Bernardino Pino da Cagli, dotto, et dilettevole
componimento. Nel quale sotto varie persone, si scoprono con piacevoli modi
varie passioni humane, & si mostra il modo di regolarle, Venezia,
Michele Bonibelli, 1596.
PINTO 1981 Olga
PINTO, Nuptialia. Saggio di bibliografia
di Scritti italiani pubblicati per nozze dal 1484 al 1799, Firenze, Leo S. Olschki
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de expositione virgiliane continentiae.
Iunii Philargyri
veteris grammatici in Bucolica & Georgica Virgilii commentariolus. Fulvii
Ursini notae ad Servium in Bucolica, Georgica, & Aeneida Virgilii Velius
Longus de Orthographia.Magni Aurelii Cassiodori de Orthographia liber e variis
auctorib. concinnatus, ex his Fulgentius nunc primum editus est. Alii vero
emendatiores quam ante: partim etiam notis aucti, [Heidelbergae], in
officina Sanctandreana, 1589.
PLANTIN 1965 Plantin - Rubens. Arte grafica ad Anversa
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Art Bulletin, vol. 52, 1970, n.2,
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POSNER 1977 f ID., Franceschino Carracci, in DBI, vol. 20, 1977, pag.627.
POSNER 1977 g ID., Ludovico Carracci, in DBI, vol. 20, 1977, pagg. 627-629.
POSNER 1982 ID., Marginal notes by Annibale Carracci, in
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Kruno PRIJATELJ, Giorgio Giulio
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STELLA 1600 ID., In Raynutii Farnesii et Margaritae
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STRAUSS 1977
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STRAZZULLO 1978
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STROZZI 1615 Giulio
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STUDI 2000 Studi di Storia dell'Arte in onore di
Denis Mahon, a cura di MARIA GRAZIA BERNARDINI, SILVIA DANESI SQUARZINA,
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SUSSIDI 1926 Sussidi per la consultazione dell'Archivio
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vol. 45), 1926, vol. 1. Contenuto:
Schedario Garampi; Registri Vaticani; Registri Lateranensi; Rationes Camerae;
Inventario del Fondo Concistoriale.
SUSSIDI 1947 Sussidi per la consultazione dll'Archivio
Vaticano. Il "Bullarium generale" dell'Archivio Segreto Vaticano e
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Gregorio e Siro di Bologna. Città
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TASSO E 1612 Ercole
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imprese, in Bergamo, per Comino Ventura, 1612.
TASSO E 1613 ID., Risposte di Hercole Tasso alle assertioni
del M.R.P. Horatio Montalto, overo Montaldo Giesuita, contra il trattato suo
dell'Imprese pubblicato sotto il nome si Cesare Cotta, Bergamo, Comin
Ventura, 1613. Epistola dedicatoria
dell'autore al cardinale Benedetto GIUSTINIANI.
TASSO T 1590 TORQUATO TASSO, La Gierusalemme Liberata di Torquato Tasso con le Figure di Bernardo
Castello e le annotazioni di Scipio Gentili, e di Giulio Guastavini, Genova, Girolamo Bartoli, 1590.
TASSO T 1591
Torquato TASSO, Tempio fabricato
da diversi Coltissimi, & Nobiliss. Ingegni, in lode dell'Ill.ma &
Ecc.ma Donna Flavia Peretta Orsina, Duchessa di Bracciano dedicatole da Uranio
Fenice, in Roma, appresso Giovanni Martinelli lib. alla Fenice, 1591.
TASSO T 1594 ID., Versi in lode di Angelo Ingegneri, in A.
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TAVIANI 1969
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ungherese nella seconda metà del Cinquecento, in "Accademie e
Biblioteche d'Italia", Roma,
Palombi, anno 24, nuova serie / anno 7, 1956, pagg. 25-32.
TEMPIO 1600 Tempio all'Illustrissimo et Reverendissimo
Signor Cinthio Aldobrandini Cardinale di S.Giorgio nipote del sommo Pontefice
Clemente Ottavo, in Bologna, presso gli Heredi di Giovanni Rossi,
1600. Si tratta di una raccolta di
versi di vari autori divisa in due parti, una volgare, l'altra latina. Tra le due parti è una tabella con una serie
di acrostici incrociati intitolata: In
angulari lapide monumentum. Il
titolo della parte latina è: Templum illustrissimo ac reverendissimo
Cynthio Aldobrandino Cardin. S.Georgii, Clementis Octavi Summi Pontificis
Nepoti D. (vedi). Epistola
dedicatoria: Giulio SEGNI Bologna, 1 agosto 1600 al Card.Cinzio Aldobrandini.
TEMPLUM 1600 Templum Illustrissimo ac Reverendissimo
Cynthio Aldobrandino Cardin. S.Georgii, Clementis Octavi Summi Pontificis
Nepoti D. Bologna, Eredi di
Giovanni Rossi, 1600. E' la seconda parte del volume "Tempio
all'Illustrissimo et Reverendissimo cardinale S. Giorgio...".Bologna, 1600
(vedi).
TERVARENT 1965
Guy DE TERVARENT, Eros and Anteros
or reciprocal love in Ancient and Renaissance Art, in "Journal of the
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TEXT 1988 Text und Bild, Bild und Text, a cura di Wolfgang HARMS, Stuttgart, J. B.
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TIETZE 1906
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Galerie in Palazzo Farnese und seine römische Werkstatte, in "Jahrbuch
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G.Freytag, vol. 26, 2, 1906.
TOMORY 1954
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Collection of Old Master Drawings, Leicester, The Museums and Art Gallery,
printed by C. H. Gee & Co. Ltd., 1954.
TORELLI 1598
Pomponio TORELLI, La Merope et il
Tancredi. Tragedie di Pomponio Torelli Conte di Montechiarugolo. Nell'Academia
de' Sig. Innominati di Parma il Perduto. Di nuovo ampliate, & ricorrette.
Insieme con gli Scherzi dell'istesso Auttore, Parma, Erasmo Viotti,
1598. Epistola dedicatoria
dell'autore, Parma 18 ottobre 1598, al
cardinale Odoardo FARNESE.
TORELLI 1600 ID., Pomponii Torelli Montisclariculi Comitis,
Academici Innominati Parmensis Carminum libri sex, Parma, Erasmo Viotti,
1600.
TORELLI 1603 ID., La Galatea del Conte Pomponio Torelli,
nell'Illustriss. Accademia degli Innominati, il Perduto. All'Illustriss.et
Reverendiss. Sig. il Sig. Cardinal Odoardo Farnese, Parma, Erasmo Viotti,
1603.
TORELLI 1983 ID., Movimenti dell'animo. Romanzo filosofico, con
un'Appendice di lettere inedite a cura di Luigi VIGNALI e Gabriele NORI, Parma,
Università di Parma - Regione Emilia Romagna, ("La civiltà delle
scritture", vol. 2), 1983.
TORRECHIARA 1972 Torrechiara. Rivivere un tempo antico, Parma,
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TRINCHIERI 1983
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67-90.
TRITONIO 1560
Marcantonio TRITONIO, M. Antonii
Tritonii utinensis Mythologia in qua haec continentur. Disputatio de fabula, & fabulari
sermone. Fabulosa exempla ad virtutum & vitiorum seriem redacta,ex Ovidiana
Metamorphosi breviter selecta. Epitome
in Ovidij metamorph.libros, in qua singulae fabulae ita breviter,& ordinate
suis in locis explicantur,ut a quovis facile intelligi possint. Ad nobiliss.et illustr.Virum Aemylium
Malvetium Patritium Bonon., Bononiae, ex officina Alexandri Benacij e
Joannis Rubei, 1560.
TURNER 1985
Nicholas TURNER, Two paintings
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UGINET 1980
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F. Cavazzoni, che si conserva manoscritta nella Biblioteca Comunale di Bologna
con la segnatura [B.1343] e il titolo: Pitture
e sculture e altre cose notabili che sono in Bologna. La guida è datata 1603.
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VISCOGLIOSI 1990
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Girolamo ZOPPI, Oratio Hieronymi
Zopii in studiorum suorum auspicijs habita Bononiae, Bononiae, apud
Alexandrum Benacium impressorem cameralem, 1586.
ZOPPI M 1589
Melchiorre ZOPPI, Sermones analytici,
quibus ostenditur artificium, quo primus, & secundus Posteriorum
Analyticorum conscripti sunt ab Aristotele, una cum quaestiones, numquid
definitio sit logicum instrumentum, Bononiae, apud Alexandrum Benatium,
1589.
ZOPPI M 1590 ID., Psafone trattato d'amore del medesimo
Caliginoso Gelato, Melchiorre Zoppio nel quale secondo i Poeti, & Filosofi,
Platonici massimamente si discorre sopra le principali considerationi in
materia d'Amore e di Bellezza, Bologna, Giovanni Rossi, 1590. Note: è legato insieme con le «Ricreazioni
amorose dell'Accademia dei Gelati».
ZOPPI M 1602 ID., La Medea essule tragedia del caliginoso
gelato il Sig. Melchiorre Zoppio, in Bologna,
presso gli Heredi di Giovanni de'Rossi, 1602.
ZOPPI M 1600 ID., La montagna circea.Tornamento nel passaggio
della Sereniss. Duchessa Donna Margherita Aldobrandina sposa del Sereniss.
Ranuccio Farnese Duca di Parma, e Piacenza festeggiato in Bologna xxvij giugno
1600, Bologna, Eredi di Giovanni Rossi, 1600.
ZSAMBOKY 1559 Janos
ZSAMBOKY (Johannes SAMBUCUS), Oratiuncula
Ioan.Sambuci Pan. in obitum Generosi Adolescentis Iacobi a Stubenberg, Baronis,
& Pincernae haereditarij Stiriae & c. qui annos natus 17 Patavij 27
februarij anni MDLIX gravi omnium luctu, vita excessit, Pavia, 1559.
ZSAMBOKY 1560 ID., Oratio in obitum generosi ac magnifici
adolescentis Georgi Bona Transylvani, Domini in Landscehr, & Laknpach &
c. Qui mortuus est,VI sept. anni 1559. Addita sunt in fine doctissimos aliquot
virorum epitaphia graeca & latina, Pavia, Grazioso Percaccini, 1560.
ZSAMBOKY 1564 ID., Emblemata, cum aliquot nummis antiqui
operis, Ioannis Sambuci tirnaviensis pannonii, Anversa, Christopher
Plantin, 1564.
ZSAMBOKY 1603 ID., Veterum aliquot ac recentium Medicorum
Philosophorumq.Icones. Ex Bibliotheca Iohannis Sambuci; cum ID. ad singulas
elogiis. Praemisso hac editione,vitae singulorum & scriptorum indiculo,
Anversa, 1603.
ZUCCARI 1981
Alessandro ZUCCARI, La politica
culturale dell'Oratorio romano nella seconda metà del Cinquecento, in Storia dell'Arte, Firenze, La Nuova
Italia, 1981, n.41, gen. - apr., pagg. 77-112.
ZUCCARI 1981 ID., La politica culturale dell'Oratorio romano
nelle imprese artistiche promosse da Cesare Baronio, in "Storia
dell'Arte", Firenze, La Nuova Italia, 1981, n. 42, mag.-ago., pagg.
171-193.
ZUCCHELLI 1980
Dante ZUCCHELLI - Renzo FEDOCCI, Il
palazzo ducale di Parma, Parma, Artegrafica Silva, 1980. Note: con fotografie a colori degli
affreschi di Agostino CARRACCI.
ZUCCHINI 1931 Guido
ZUCCHINI, Edifici di Bologna. Repertorio
bibliografico e iconografico, Roma, R. Istituto d'Archeologia e Storia
dell'Arte ("Bibliografie e Cataloghi"), 1931.
ZUCCHINI 1956 ID., Una palazzina Bentivolesca bolognese colpita
e ricostruita, in Atti del V Convegno
Nazionale di Storia dell'Architettura, Firenze, R.Noccioli, 1956, pagg.
649-654.
ZUNTO 1626 Alberto
ZUNTO, In funere Odoardi Cardinalis
Farnesii Oratio in templo divae Virgini Sacro a Steccata Parmae ab Alberto
Zunto in Cathedrali ID. Civitatis Canonico,
Parma, Eredi di Anteo Viotti, 1626.
INDICE
PREFAZIONE di Maurizio Calvesi
INTRODUZIONE
CAP.1
Fortuna critica.
Bellori, Tietze, Martin, Battisti-Calvesi, Dempsey,
Anderson, Marzik, Briganti-Zapperi, Robertson, Ginzburg
CAP.2
Fulvio Orsini collezionista d'antichità presso i
Farnese
CAP. 3
Fulvio Orsini nella tradizione umanistica
di Roma
CAP. 4
Stephen
Wynkens Pigge e l'Hercules prodicius
CAP. 5
Janos Zsamboky e le
Dionisiache di Nonno di Panopoli
CAP. 6
Achille Bocchi. « Omnia
cui cedunt, divino cedat amori »
CAP. 7
Le Accademie:
punto d?incontro di storia, arte e letteratura
Gli Innominati di
Parma.
Agostino Carracci e l?Accademia de I Gelati di Bologna
CAP. 9
Agostino
Carracci e i musicisti
Merulo, Bassani,
Monteverdi
CAP. 10
Pomponio Torelli Conte di
Montechiarugolo
Tragedia e teoria
degli affetti
CAP. 11
Eros e Anteros
CAP. 12
Tommaso
Aldobrandini ed Enrico Farnese
CAP. 13
Le nozze di Ranuccio Farnese e Margherita
Aldobrandini
CAP.14
François Perrier
e l?entourage del Bellori
CAP. 15
I
"generi" della Galleria
Epitalamio, melodramma, tragedia, concettismo
ed emblematica
CAP. 16
Agostino Carracci
e l?eclettismo
La Poetica
ideal-classicista
Repertorio delle fonti manoscritte
Repertorio delle fonti a stampa
Bibliografia
Indice
Ringrazio l?Azienda per il diritto allo studio di
Parma che mi ha ospitato nel 1992 durante le mie ricerche all?Archivio di Stato
e alla Biblioteca Nazionale di Parma; ringrazio inoltre i dipendenti della
Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II di Roma e in particolare
quelli della la sezione Manoscritti e Rari, senza il cui aiuto non avrei potuto
realizzare codesto libro; altro ringraziamento va alla Biblioteca Apostolica
Vaticana e all?Archivio Segreto Vaticano per avermi concesso l?accesso ai fondi
e guidato nella ricerca quando necessario.
[1]) Durante la Seconda Guerra Mondiale, com'è
noto, i documenti più importanti degli Archivi di Stato furono trasportati in
luoghi strategici per preservarli dalle distruzioni belliche. Seguendo questa
prassi comune l'Archivio di Stato di Napoli fu destinato alla Villa Montesano
nei pressi di San Paolo Belsito (Nola).
Il provvedimento non riuscì a salvare i documenti dall'incendio che i
soldati tedeschi appiccarono il 30 settembre del 1943.
Per la relazione dell'avvenimento si veda: DANNI
1944, partic. pagg. 21-22.
In particolare sull'Archivio Farnesiano: BARONE
1898; RAMACCIOTTI 1951; FILANGIERI 1952.
Per l'Archivio di Stato di Napoli nella sua
completezza, si veda il testo classico di MAZZOLENI 1974.
() É disponibile un'ottima edizione critica
completa di indice dei concetti, dei nomi di persona, dei testi cui Bellori fa
riferimento, dei luoghi e delle opere, delle incisioni, delle opere non
identificate e delle opere citate senza riferimento di luogo: BELLORI 1976.
() Si veda anche MALVASIA 1969.
() Il Vasari già utilizza la parola disegno
nel senso lato di progetto, invenzione oltre
che in quello letterale di rappresentazione di qualcosa per mezzo di segni
grafici; per il Bellori «Idea del pittore e dello scultore è quel perfetto ed
eccellente esempio della mente, alla
cui immaginata forma imitando, si rassomigliano le cose che cadono sotto la
vista» BELLORI 1976, pag. 14.
() BELLORI 1976, pag. 32.
() Ora vi è una squallida copia, l'originale
si trova al Museo Nazionale di Capodimonte in Napoli.
()
Per il testo del Bellori, ibidem, pagg. 66-67; l'Oratione del Faberio fu stampata a Bologna nel 1603.
L'interpretazione è confutata da MARTIN 1965, pagg. 105-109 e da
DEMPSEY 1966, pagg. 67-70. Il Martin
propone di identificare la scena con il mito di Glauco e Scilla, il Dempsey con quello di Peleo e Teti.
() TIETZE 1906, vol.26, 2
() Sull'incendio dell'Archivio di Stato di
Napoli si veda la nota 1; per la lettera: TIETZE 1906, pag. 54
() BELLORI 1976, pag. 77: « Avendo Annibale
terminato la Galeria con l'altre opere del palazzo, il cardinale voleva che
egli dipingesse nella sala gli eroici fatti del grande Alessandro Farnese, non
molti anni avanti morto in Fiandra [...] ».
()
Per la discussione di tale progetto e degli studi di Annibale Carracci che gli
si riferiscono, si veda BERNINI 1968.
() MARTIN 1965; preceduta da MARTIN 1956.
() FARNESE
O 05.08.1595, fol. 335 v.: « [...] mi è piaciuta grandemente la impresa
della pianta de'gigli paonazzi, con il motto o greco, o latino et come che
facciano il medesimo senso a me piace più il latino, come più spiritoso secondo
lei dice. Io la ringratio di detta
impresa et perchè dalla finezza del suo ingegno non si poteva aspettar se non
cosa perfetta, et buona, io non mi estenderò in dirgliene altro [...] »
() Ibidem, fol. 337 r.: « [...] per
risposta di quello che V.S. m'ha scritto con la l.ra de gli XI intorno a gli
stuchi della mia camera, replico a V.S. quel med.mo che le dissi a
bocca, cioè che a me piacevano infinitamen.te certe camere che
havevo viste del S.r Duca di Urbino, et molto più mi sono piaciute
adesso che son passato di là, che le ho considerato più diligentemen.te
dell'altre volte. et se bene il Card. Thomaso ne potrà haver forse fresca mem.a
non lasciarò con tutto ciò di dire a V.S. che lo scompartimento di dette camere
è tutto schietto, eccetto che negli angoli intorno a'quali s'aggira una quercia
che viene a pigliar un poco del vano ed a far un effetto belliss[imo]. Di questa maniera ad unq.vorrei che fosse
lavorato lo scompartimento et nel resto restasse schietto. Rimetto però a V.S. il mettere a luogo
della quercia o vite o palma, o oliva [fol.337 v.:] come anco il mettere più o
manco oro, pur che nel vano dello scompartim.to non sia altro che il
fogliam[e] che stara molto all'angolo [...].
() Va notato che l'Orsini era a quella data
anche il precettore del cardinale, o quanto meno lo seguiva nell'apprendimento
delle materie umanistiche. Si veda la
lettera latina di Fulvio Orsini Amplissimo
iuveni Duarti Farnesio in RONCHINI 1880a, pagg. 68-69.
()
MARTIN 1965, pag. 25. Cita giustamente
Giovanni Savorgnano che decanta poeticamente le virtù di Odoardo Farnese: « Giovanetto real, novello Alcide, / che i
serpi uccisi del fecondo Egitto ».
() Ibidem, pag. 27. Per gli affreschi di Palazzo Sampieri si
veda FORATTI 1913; JAFFÉ 1956; JAFFÉ 1957 e POSNER 1971.
() « hic videt, alter agit ». Il Martin propone inoltre di identificare gli
astronomi come Tolomeo ed Euclide per via degli attributi della sfera e del
compasso. È inutile ricordare come tali
attributi siano abbastanza generici e quindi non sempre affidabili, comunque
sembra convincente l'identificazione di Tolomeo, per sostenere la quale il
Martin indica anche il volume Tabulae
geographicae Cl:Ptolemaei ad mentem autoris restitutae & emendatae per
Gerardum Mercatorem. Cologne, 1578.
Fulvio Orsini era infatti in contatto con il noto astronomo tramite
Giovanni Metello, del quale si conserva un'epistola nel ms. Vat. Lat. 4103, foll. 112-113..
() Celebre edizione aldina del 1499, sulla quale
esiste un'ampia bibliografia. Si veda la ristampa anastatica COLONNA F 1980;
per la simbologia e l'attribuzione a Francesco Colonna signore di Preneste:
CALVESI 1983; CALVESI 1987 e, in particolare, CALVESI 1996.
() Il programma è descritto in un'epistola di
Annibal Caro a Taddeo Zuccari del 2 novembre 1562 ben nota per essere stata
pubblicata dal Vasari nella vita del pittore, Firenze, Giunti, 1568. É
pubblicata anche in CARO 1957, vol. 3, pagg. 131-140. Va ricordata anche
un'altra epistola del Caro a Fulvio
Orsini del 5 ottobre 1564 nel ms. Vat. Lat. 4105, fol. 215 : « un folletto mi
ha levata di mano quella nota che V. S. mi lascio de l'historie de la sala
[...] ».
() MARTIN 1965, pag. 60: « Althought Orsini did not live to see the
Perseus frescoes [...], it is likely that he had earlier selected the subjects
and discussed with the artist their relationship to the painting of the vault
». La tesi del
Dempsey sarà discussa più avanti.
() Ibidem, pag. 88: « it
is in this [:Alciati] moralizing sense, and non in the orthodox antique sense
of reciprocal love, that we must interpret Carracci's Cupid fighting for the
palm ».
() Ibidem, pag. 122: « The
theme of the central fresco can only be divine love. The mortal Ariadne is
deified by the love of the god and the crown of stars above her head is the
visible signe of her apotheosis [...] ».
() Ibidem, pag. 107, cfr. nota 14.
() BATTISTI 1966. Era presente anche Dempsey,
ma non potè consegnare la propria relazione per la stampa. Per l'idea dell'accademia letteraria si
veda più avanti.
() Ibidem, pagg. 302-303.
() DEMPSEY 1968, DEMPSEY 1981 e ancora,
brevemente, nella recensione al libro di Iris Marzik: DEMPSEY 1987. Vi è anche
un'analisi sul contributo del Tasso alla poetica di Annibale Carracci: DEMPSEY
1982.
() CALVESI 1971; relazione al Convegno Internazionale di Studi
Caravaggeschi di Bergamo tenuta il 26 gen. 1974: CALVESI 1975, partic. pag. 84; CALVESI 1990b, dove è ripubblicato
il saggio del 1971 e sono presenti anche altri riferimenti alla Galleria
Farnese.
()
Per le stampe dei Carracci si vedano CALVESI 1965 e DE GRAZIA 1984.
() CALVESI, 1990, pag. 25
() CALVESI, 1975, pag. 84
() Matteo, VI, 28: « e perchè vi affanate per
il vestito ? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non
filano. Eppure io vi dico che neanche
Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro ».
()
Come si è visto il Bellori e anche il Martin consideravano gli affreschi della
volta e delle pareti come parto di un'unica mente, frutto di un solo programma.
Cfr. pag. 12 e nota 32. Così si esprime il DEMPSEY
1981, pag. 292: « mais cette association entre les images peintes sur la voûte
et celle peintes aux parois est une interprétation post facto, proposée pour
concilier avec les amour licencieuses des dieux figurées sur la voûte un
seconde programme de peintures, destiné aux murs, dans l'intention expresse
de modifiér le ton du plafond dont Bellori savait fort bien qu'il etait
consacré à une celébration de l'Amour érotique ». Ricordo che il saggio del
Dempsey è stato tradotto in francese da FRANÇOIS VÉRON per essere pubblicato
nel volume dell'École Française.
() Ibidem, pag. 307: « [...] je ne fais, en tout coscience,
qu'avancer une hipothèse, en présumant dans la galerie Farnèse un epithalame én
peinture; mais cette hypothèse est bien étayée par les circostances de la
commission du peintre, l'histoire des Farnèse, la tradition (à la fois
littéraire et picturale) à laquelle Annibale fait appell, et -plus important
encore- par l'exuberance plen d'esprit des peintures elles-mêmes ».
() BELLORI 1976, pagg. 122-124.
() ANDERSON 1970; si veda anche BAROCELLI 1995.
()
Agostino morì il 23 febbraio 1602, si veda POSNER 1977 a.
() Si tratta della scena che il Bellori
identificava come Galatea ed il Martin come Glauco e Scilla: cfr nota 14.
() tenuto dal 2 al 4 ottobre 1986. CARRACHE
1988.
()
BRIGANTI 1987. Il volume fu stampato nel febbraio del 1987, ma gli stessi
autori parteciparono al Convegno dell'École Française anticipandovi le proprie
idee.
()
BRIGANTI 1987, pagg. 36-37 e ZAPPERI, pag. 49; cfr. inoltre pag. 15 e nota 47.
() MARZIK 1986, pag. 28: « Die
gesamte Austattung einschließlich der antiken Skulpturen ist so eng aufeinander
bezogen, daß man für das Austattungsprogramm einen Entwurf von einen Autor
vermuten muß; dies gilt unhabhändig von den stilistischen Unterschieden im
unteren und oberen Teil der Galerie und dem zeitlichen Abstand, in dem die
Dekorationen ausgeführt wurden ».
() BRIGANTI 1987, pag. 39
() MARZIK 1986, pag. 24: « [...] in
der Ausstattung ein gemaltes Epithalamium zu sehen, ist sehr unwahrscheinlich,
da sich unter den vier Wappen der Galerie nicht das der Braut oder ihrer
Familie befindet, die zu diesem Zeitpunkt den regierenden Papst, Klemens VIII,
stellte [...] ».
()
Pubblicata in BRIGANTI 1987 ed anche, più piccola, in CARRACHE 1988.
()
La scoperta della data dell'inaugurazione si deve allo ZAPPERI 1981, dove viene
pubblicato un foglio de Gli avvisi di
Roma conservato nella Biblioteca Casanatense di Roma, Ms. 983, c. 63 v.: «
Alli giorni passati si scoperse la non meno vaga che bella galleria del Ill.mo
cardinale Farnese dipinta dal Carracci Bolognese, qual è riuscita talmente che
l'Ill.mo sig. cardinal Aldobrandino ha voluto un quadretto da detto
pittore, d'un Cristo et S. Pietro et gl'ha donato una catena d'oro di 200 scudi
con una grossa medaglia di Nostro Signore per essere stata giudicata pittura
mirabile , onde che hora si scorge che Roma fiorisce nella pittura, non meno
che abbia fatto a tempi a dietro. Attendesi ora a finir la sala di Campidoglio
dal cavaliere Giuseppe, li dua quadri che fa il Caravaggio per la cappella del
già Mons. Ceraseo, tesauriero, il quadro principale in essa cappella di detto
Caraccio, essendo in somma quei tre quadri di tutta eccellenza et bellezza ».
() Non sempre e necessariamente la disposizione
delle scene riflette il percorso logico-narrativo: giustamente il Bellori
notava come « [...] è ben vero che le favole medesime non sono così ben
disposte come in essa camera, e più si ordinano alli siti che al loro soggetto
» , BELLORI 1976, pag. 76.
() Ibidem, pag. 34 e passim.
() Nato a Roma l'11 dicembre 1529, ivi morto il
18 maggio 1600. Il più completo studio
sull'Orsini è quello di DE NOLHAC 1887; per la collezione d'antichità: DE
NOLHAC 1884 a e BROWN 1985; per la collezione di dipinti DE NOLHAC 1884 b. Per il testo degli epistolari: DE NOLHAC
1884 c; RONCHINI 1880 a.
() La cronologia è ricostruita dal DE NOLHAC
1887 a. L'Orsini diviene Canonico di
San Giovanni in Laterano il 24 dic.1554; Gentile Delfini muore il 2 gen. 1559;
nel 1558 l'Orsini era già presso la corte del Cardinale Sant'Angelo, cioè
Ranuccio Farnese.
() DE NOLHAC 1884 a, pag. 153, n°1.
() Tale derivazione fu per la prima volta
notata dal Martin.
() Diventerà duca alla morte del padre, nel
1592.
() Si riferisce ai cardinali Ranuccio ed
Alessandro Farnese. L'epistola è
datata 8 aprile 1589 e pubblicata dal RONCHINI 1880 a, pag. 65.
() Epistola di Fulvio Orsini al cardinale
Alessandro spedita da Roma il 5 dic. 1571.
Ibidem, pagg. 51-52.
() Epistola di Fulvio Orsini al cardinale
Alessandro spedita da Roma il 7 ott. 1586.
Ibidem, pag. 64.
() Si veda, oltre al DE NOLHAC 1887 a, BELTRANI
1886 e GUERRIERI 1941.
() Sul palazzo si veda la monografia di FALDI
1981.
() Ill.mo et Rev.mo
Sig.re. Mando a V.S.Ill.ma
il discorso
dell'amico mio in materia della Cosmographia della Sala di Caprarola acciocchè
lei, vedendolo, possa risolvere quello che s'ha da fare; che già sollecita i
cartoni dall'amico mio l'huomo che dovrà metterli in opra, che è quello che
fece la Cosmographia di Palazzo, sì come io ho detto a V.S.Ill.ma.
Et perche ne anco i cartoni si possono fare se prima non si vedono i
compartimenti della Sala, supplico V.S. Ill.ma risolversi con la
commodità di questa andata, et commandarmi poi quello che ho da ordinare che
s'eseguisca, accertandola che la dottrina et la pratica di questo mio amico è
buona e fondata su buoni autori, oltre il condimento che ha per essere versato
nell'antichità Romana, donde cavarà molte cose per i segni celesti; per i quali
tiene anco un Hygino scritto a mano antichissimo con le sue figure colorite,
come devono stare: et servirà V.S.Ill.ma solo per acquistare la
gratia sua, et non per altra mercede. [...] Da Roma a IIII di marzo 1573 [...].
RONCHINI 1880
a, pag. 53.
() «[...] con questa invio a V.S.Ill.ma
il pittore ch'ella risolse ultimamente in Caprarola che dovesse fare la sala
della Cosmographia, cioè quella parte che s'aspetta alle figure [...]». Epistola del 15 ott. 1573. Ibidem, pag. 56.
() Epistola al cardinale Alessandro Farnese del
26 lug. 1578. Ibidem, pag. 59.
() Epistola al cardinale Alessandro Farnese del
18 ago. 1581. Ibidem, pagg.
62-63.
()
Epistola al cardinale Alessandro Farnese spedita da Roma a Caprarola il 6
settembre 1573. Ibidem, pagg. 54-56:
«[...] mando a V.S. Ill.ma la carta rinchiusa della facciata del
Giesù secondo il disegno del Vignola, la quale in Roma da costoro che se
n'intendono è tenuta molto bella et bene intesa [...] ».
() In un'epistola del 14 febbraio del 1563
conservata nel Ms.Vat. Lat. 4105, fol. 254 r., Pirro Ligorio garantiva a Fulvio
Orsini l'autenticità di uno specchio antico scoperto nella Vigna che Giovanni
Bellini possedeva in Roma all'Esquilino (si veda il Repertorio delle fonti manoscritte). La notizia riveste notevole importanza perchè testimonia la
presenza del pittore veneto in Roma.
Un'altra versione della stessa lettera fu pubblicata in LANCIANI 1975,
vol. 1, pag. 223. Si tratta degli
scavi alle Terme di Traiano effettuati intono al 1547 e si menziona uno scavo
precedente: «[...] assai più antica della precedente sarebbe la notizia
relativa ad una scoperta fatta dal pittore Gianbellino, figlio di Jacopo, e
morto nel 1516, se si potesse prestar fede a chi l'ha divulgata pel primo.
Nell'Esquilie circa le Therme di Traiano nella vigna di Giovan Bellino pittore
molti anni sono furono cavate incerte rovine, ove dentro di un muro in una
fenestra murata fu trovato un specchio molto grosso e grave di una mistura soda
molto lucida fatto de metallo d'acciaro, ornato di legno di Larice e molto
perfetto della sua pianicie...fu molto caramente tenuto da detto Pittore,
poscia dopo la sua morte il signor Marcio Colonna ne fece acquisto:
ultimamaente fu della signora Livia sua mogliere, et questa anco essendo spenta
di vita, et venuto nelle mani di M. Lysandro Corvino, et pe farle carezze gli
(fu) tolto l'ornamento di Larice antico et l'ha fatto uno di Ebano, cosa tra le
antichità molto rara. Così dice il
Ligorio, Paris. c.405, e così ripete il Panvinio a c.227 del cod.Vat.9141. Può darsi che ci sia qualche cosa di vero, e
che tanto lusso di particolari e di nomi non sia frutto esclusivo della
immaginazione ligoriana ».
Ecco il testo
di Onofrio Panvinio citato dal Lanciani, Ms. Vat.Lat. 9141, carta 226v.: «
Speculu[m] inventu[m] circa in Thermas Traiani in vinea Jo. bellini pictoris
elegans / cu[m] lariceo ornatu post pictoris morte[m] d[omin]i Marcius columna
quo mortuo / Livia qua occisa corvinus quo mortuo fulvius visus. cu[m] ornatu
Ebano ». Tutti i personaggi citati
sono storicamente esistenti: Marzio Colonna aveva effettivamente sposato Livia
e Alessandro Corvini è presente anche in altri documenti pubblicati dal
Lanciani nella sua storia degli Scavi di Roma.
Sulla morte di Livia si veda MASETTI 1973.
Vi sono buone
ragioni per ritenere veritiera l'affermazione relativa alla Vigna di Giovanni
Bellini in Roma. In primo luogo non
sembra esserci movente da parte del Ligorio per falsificare l'intera vicenda
dello specchio di fronte ad un esperto come Fulvio Orsini, per giunta protetto
dai Farnese; poi non vi è apparentemente alcun motivo per inventare la notizia
relativa alla Vigna del Bellini, essendo l'invenzione stessa facilmente
smascherabile dall'Orsini, destinatario della lettera, come anche da Onofrio
Panvinio e di intralcio ad un'eventuale vendita dello specchio.
() DE NOLHAC 1884 a, pag. 174, n.
39. Ora si veda
il catalogo FARNESE.
() Ibidem, pag. 174, n. 24.
() Ibidem, pag. 176, n. 60.
() Ibidem, pag. 176, n. 75.
() Ibidem, pag. 177, n. 85.
() Ibidem, pag. 178, n. 97.
() Primo fra tutti va ricordato il notissimo
intervento michelangiolesco nella fabbrica di Palazzo Farnese.
() Ibidem, pag. 178, n.
104. Cfr. l'epistola di Carlo Sigonio a Fulvio
Orsini spedita da Bologna il 3 nov. 1579, nel Ms. Vat. Lat. 4104, fol. 151 r.:
« [...] io mando a V.S. il ritratto che ella dimandò, fatto per mano della Sig.ra
Lavinia Fontana, pregandola a non dir alcuno che io l'abbia fatto fare.
perciochè io sarei riputato il più vano huomo del mondo se la cosa si sapesse
et non si sapesse, che per servir V. S. la quale io honoro tanto, l'havessi
fatto. Se piacerà a lei di mandarmi il
suo, l'havrò caro ma non l'obbligo, per non farla fare una vanita indecente
alla sua eta et grado. Nella scatola
dove è il ritratto sono alcuni fogli i quali V.S. darà a Nicolo Sigone mio,
quando gli verrà a prendere [...]»
() CASTIGLIONE 1657, il testamento di Fulvio
Orsini è trascritto alle pagg. 15-37.
() Datata 2 feb.1572, si veda DE NOLHAC 1887 a,
pag. 5, n. 1.
() Ibidem, pagg. 79-80. Si veda l'epistola di Antonio Tebaldeo ad
Angelo Colocci spedita da Roma il 20 nov. 1527 conservata nel Ms.Vat. Lat.
4104, foll. 79 r. - 80 r.: «[...] quando io fui a casa vostra li soldati erano
partiti & la massara vostra era morta, ond'io andai con la Philippa vostra
Comadre, & trovai ne la camera di sopra a tetto li libri vostri, & li
cominciai a metter in ordine, & in questa torno il capitanio spagnolo,
& mi percosse, ond'io non ci potei piu andare: dapoi è venuto tutto lo
exercito in Roma, & altra gente è entrata in casa vostra, tal che è stato uno
altro saccho, & credo che tutti li libri siano andati in la mala hora [...]
quanto al fatto de rescotere li libri ve dico che non seria possibile perchè
vanno in diverse mani [...]». Per ciò
che riguarda il legato testamentario dell'Orsini si vedano DE NOLHAC 1887 a, e
BELTRANI 1886.
() Mantova 12 lug. 1533 o 1534 - Ferrara 26
feb. 1611.
() Cremona ? - Roma il 17 nov. 1561.
() Viterbo 1513 - Roma 21 gen. 1593.
() Forlì 30 set. 1530 - 13
nov.1606 (1604 ?).
()
Modena 1520 c. - Ponte Basso (Modena) 28 ago. 1584.
()
Firenze 3 lug. 1499 - 19 dic. 1585.
()
Verona 23 feb. 1530 - Palermo 7 apr. 1568.
()
Pier Luigi Farnese, figlio di Alessandro, futuro Papa Paolo III, divenne primo duca duca di Parma e
Piacenza. Il card. Alessandro era
fratello del duca Ottavio. Il Caro fu
al servizio dei Farnese fino al febbraio del 1563.
()
La mappa aggiornata dei manoscritti riguardanti Fulvio Orsini è in KRISTELLER
1989.
() Ottimo catalogo critico ragionato, completo
di profili biografici e note bibliografiche relativi agli autori dei libri
stampati dal Plantin è l'opera di VOET 1980; utile anche VOET 1959.
() Nel 1571 il Granvelle divenne vicerè di
Napoli. Dal 1575 era nuovamente a Roma per rimanervi fino al 1579, quando fu
richiamato a Madrid e nominato presidente del Consiglio supremo d'Italia.
() Si veda il volume LETTERE 1977.
() Cioè a Christopher Plantin in Anversa.
() Ranuccio Farnese era morto nel 1565.
() Stephen Wynkens Pigge olandese.
() Ms. Vat. Lat. 4105, foll. 42 r. ? 42 v. Per quanto riguarda gli interessi
archeologici vanno inoltre ricordati i versi indirizzati a Fulvio Orsini da
Lorenzo Gambara in FACCIUTA 1571, partic. carta 31v., dove il Gambara ricorda
la piacevole visita al tempio della Fortuna di Preneste con l'ospitalità di
Giulio Colonna e menziona anche il Granvelle.
() Stampato nel 1587. La traduzione latina del nome del Pigge è Stephanus Vinandus
Pighius Campensis, dove Vinandus sta per Wynkens, il cognome della madre, e
Campensis si riferisce al luogo di nascita, la città di Kampen in Olanda. Nell'Hercules Prodicius egli si presenta
anche come "Corona", cioè "Stefano" alla greca.
() MARTIN 1956; MARTIN 1965, pagg. 25 e segg.
() Albert Pigge: Kampen (Overijssel,
Olanda) 1490 c. - Utrecht 26 dic. 1542.
() Kampen (Overijssel, Paesi Bassi 1520 -
Xanten (a NO di Duisburg, Germania occidentale) 19.10.1604. Il più completo studio sul Pigge è di
JONGKEES 1954; per l'edizione annotata dell'epistolario si veda PIGGE 1959;
alle pagg. 2-8 e 14-18 si trova una sintetica ma ben documentata biografia del
Pigge. Ancora sull'epistolario:
JONGKEES 1961.
()
Ibidem, pag.5 e 7. La Mitologia ... era già stata pubblicata
da M. Verhasselt a Lovanio nel 1559.
()
Il Granvelle era stato creato cardinale nel 1562.
()
Per la data della morte, PIGGE 1959,
pagg.15-16.
()
Lo Zapperi nota che il card. Odoardo Farnese si firmava Don Duarte, alla
spagnola, e poteva aver avuto l'idea di lasciare il cappello cardinalizio per
prendere il posto del fratello duca di Parma e Piacenza, nel caso che questi
non fosse riuscito ad avere una discendenza.
ZAPPERI 1988, pag. 343. Il
card. Odoardo prese i voti maggiori solo nel 1621, ibidem, pag. 344.
()
PIGGE 1587, pagg. 20-21.
()
Ibidem, pagg. 360-361.
() Janos Zsamboky (Johannes Sambucus) Tranva (Cecoslovacchia), in tedesco
Tyrnau, in ungherese Nagyszombat 1531 - Vienna 13.06.1584. Per la biografia dello Zsamboky durante il
suo soggiorno in Italia, si veda VARADY 1935; la ricostruzione della bilioteca
dell'umanista ungherese è stata compiuta da GULYAS 1941 (il libro è molto raro
in Italia; ho consultato la copia della Biblioteca dell'Accademia d'Ungheria di
Roma); BOAS 1921; L. VARGA 1966.
() VARADY 1935, pagg. 4-5.
() Ibidem, pag. 8. Esztergom, città dell'Ungheria, in tedesco:
«Gran».
() Giorgio Bona, in una pausa degli studi
padovani, tornato in Ungheria per prendere parte ad una festa familiare vi era
morto ventenne il 3 settembre 1599. Lo
Zsamboky rimase a Parigi dal 1560, ma l'instabilità della situazione politica
dovuta agli scontri tra ugonotti e i cattolici lo costrinse a tornare in
Italia. Era sicuramente a Genova
nell'estate del 1562.
() VARADY 1935, pagg. 20-24.
() Lo Zsamboky si stabilì a Vienna il 26 set.
1564. VARADY
1935, pag. 26.
() Panopoli è l'odierna Akhmim in Egitto.
() NONNUS 1605. Fulvio Orsini era perfettamente in grado di leggere il testo
greco, comunque circolavano delle traduzioni provvisorie realizzate per gli
intellettuali che non avevano molta dimestichezza con il greco. Si veda per esempio l'epistola del card.
Granvelle a Fulvio Orsini del ms. Vat. Lat. 4103, fol.
205 r.: «[...] Io
veram.te non haverei osato conoscendo la sua compless.ne,
altre fatiche che l'occupano et la poca inclinatione che ha al tradurre,
chiederli che s'occupasse in tradurmi quelli fragmenti di Polibio, et per questo
mi sono voltato al Gobbio, perchè me ne facci una traduttione alla grossa come
fece del Nonno per il Gambaro, bastandomi a me di vedere il senso [...]».
() Ibidem, libro 7, pag. 217.
() Ibidem, libro 7, pag. 219.
() Ibidem, libro 47, pag. 1225.
() «natura amoris admirabilis ubi
affectus & rationis pugna».
() Ibidem, libro 47, pag. 1227.
() Ibidem, libro 47, pag. 1229. Nella glossa a fianco: «Theseus a Bacco
contemnitur».
() Ibidem, libro 47, pag. 1229.
()
P. APIANUS e B. AMANTIUS, Inscriptiones
sacrosanctae vetustatis, 1534, pag.451.
() É Conrad Pickel (Wipfeld presso Schweinfurt
1 feb. 1459 - Vienna 4 feb. 1508).
() DE GRAZIA 1984, pagg. 176-177, cat. 191,
ill. 218-219.
() VARADY 1935, pag. 23, che trascrive parte
dell'epistola contenuta nel Ms. Vat. Lat. 4103, fol. 44 r.
() L'incisione in DE GRAZIA 1984, pag. 72, cat.
1[28].
() Editio
princeps: BOCCHI 1555; la seconda edizione è stampata nel 1574 dalla
Società Tipografica Bolognese. Sul
Bocchi (Bologna 1488 - 6 nov.1562): ROTONDÓ 1969; LUGLI 1982; si veda anche
SCHMIDT 1967; RAVERA 1942.
() MARTIN 1965, pag. 27, cita l'editio princeps delle Symbolicae Quaestiones.
() MARZIK 1986, ad vocem
"Bocchi".
() CALVESI 1975, nota 104 a pag. 400.
()
BOCCHI 1555, ediz. 1574, libro 3, pagg. 160-161, simbolo 75.
() DE GRAZIA 1984, pagg. 190-192, cat. 210
[237].
()
SAMBIGUCCIO 1556. Mancano notizie biografiche sul
Sambiguccio.
() Nell'epistola dedicatoria indirizzata
«Salvatori Salapussio Archiepiscop. Sassarensi», il Sambiguccio afferma di
essere socio dell'Accademia bocchiana. Ibidem, pag. 7.
() Ibidem, pagg. 160-161.
() BOCCHI 1574, libro 5, pag. 326, simbolo 141.
() Ibidem, libro 1, pag. 72, simbolo
33.
() Ibidem, libro 1, pag. 8, simbolo 3.
() Ibidem, libro 4, pag. 218, simbolo
103.
() Ibidem, libro 4, pag. 230, simbolo
109.
() Ibidem, libro 5, pag. 266, simbolo
125.
() Ibidem, libro 2, pag. 90, simbolo 42.
() DE BOVELLES 1510; BOCCHI 1574, libro 5, simbolo 140, pag. 324.
() BOCCHI 1574, libro 5, pag. 344, simbolo 147.
Grazie agli studi del Calvesi, conosciamo la fitta trama di parentele relative
all?Hypnerotomachia e soprattutto i legami di parentela con i Farnese,
essendo Francesco Colonna, il nobile romano autore dell'Hypnerotomachia, figlio di Eugenia Farnese, sorella del padre di
Papa Paolo III. Eugenia Farnese è figlia di Ranuccio Sr. Francesco Colonna, figlio di Eugenia
Farnese e Stefano Colonna, sposò Orsina Orsini (ramo dei duchi di Gravina),
ebbe un figlio di nome Stefano e morì non molto tempo prima del 29 giugno 1517.
() Sul Baiardo si veda COLONNA S 1989, pag. 141
e nota 89. Va notato che il Bocchi
indirizza un suo emblema a Francesco Baiardi: « OMNIA MENS SPECULATUR, AGIT
PRUDENTIA ET ARTE / FRANCISCO BAIARDI PARMENSI ». BOCCHI 1574, libro 5, pag. 356, simbolo 151.
() Sulle ascendenze neoplatoniche del pensiero
filosofico - religioso di Achille Bocchi, si veda LUGLI 1982, pag. 87, che
ridimensiona l'interpretazione in chiave eterodossa del pensiero del Bocchi.
() L'elenco dei dodici soci fondatori è pubblicato
da SORBELLI 1921. Tra i dodici vanno
ricordati in particolare Paris Grassi, della famiglia senatoria bolognese con
il quale il Bocchi era imparentato e Carlo Sigonio, lo storico modenese amico
di Fulvio Orsini. La Società venne
fondata nel 1572 per la durata di dieci anni, al termine dei quali si sarebbe
dovuta confermare la validità per altra decade, oppure ritirare gli eventuali
introiti. Nel 1582 la Società fu sciolta senza utili e
furono assegnati ai soci fondatori i libri presenti nel magazzino.
() Si veda ad esempio CROMBRUGGEN 1950.
() BOCCHI 1574, libro 3, pag. 170, simbolo 80.
() Ibidem, libro 2, pag. 86, simbolo 40.
() MAYLENDER 1976. Per i rapporti che intercorrevano tra Federico Borromeo e
Fulvio Orsini si tenga conto in primo luogo della parentela tra la casa
Borromeo e quella Farnese. Ersilia
Farnese, figlia di naturale di Ottavio Farnese duca di Parma, aveva infatti
sposato Renato Borromeo fratello di Federico.
Poi si veda l'epistola di Fulvio Orsini a Giovan Vincenzo Pinelli del 24
agosto 1590 pubblicata dal NOLHAC 1887 a, pag. 17, nota 5: «[...] Il cardinale
[Federico] Borromeo, il quale fu hieri due hore in camera mia, ogni giorno
mostra più desiderio delle buone lettere».
() MERULO 1598. Ringrazio
sentitamente la dr.ssa Barbara Ventura per la cortesia dimostratami durante le
ricerche nella Biblioteca del Conservatorio G. B. Martini di Bologna.
() Sul Rinuccini si veda:
MEDA 1894; RACCAMADORO RAMELLI 1900; CIVITA 1900.
() Sul Monteverdi: GALLICO
1967 a; CLAUDIO 1969; ANFUSO 1975; DE' PAOLI 1979.
() Il resoconto dei
festeggiamenti per le nozze con il testo dell'Arianna del Rinuccini è di FOLLINO, 1608; RINUCCINI 1608.
() FOLLINO, Compendio, pag. 30.
() SOLERTI 1904, pagg. 75-76. Ediz. 1600, vv. 17-20.
() Relazione del Legato Conti
del 7 ottobre 1600 conservata manoscritta nell'Archivio di Stato di Parma fra
le carte dei residenti di Toscana (M.2) e menzionata da COSTA 1888, partic.
pagg. 113-114.
() RINUCCINI 1600 a, carta A 2r.
() ZAPPERI 1988, pag. 347.
() BELLORI 1976, pagg.
123-124: «[...] Il quarto vano non fu dipinto, e restò vuoto ed imperfetto per
la morte di Agostino, succeduta nel lavoro; e'l duca non permettendo che
restasse occupato da altro pennello, riputò degna a riempirlo la penna di
Claudio Achillini, per dar compimento alla pittura con le lodi del pittore,
onde questo celebre ingegno consacrò alla memoria d'Agostino Carracci il
seguente elogio: AVGVSTINVS CARRACIVS / DVM EXTREMOS IMMORTALIS SUI PENNICILLI TRACTUS
/ IN HOC SEMIPICTO FORNICE MOLIRETUR / AB OFFICIIS PINGENDI ET VIVENDI / SVB
VMBRA LILIORVM GLORIOSE VACAVIT / TV SPECTATOR INTER HAS DVLCES PICTURAE
ACERBITATES / PASCE OCVLOS / ET FATEBERE DECVISSE POTIVS INTACTAS SPECTARI /
QVAM ALIENA MANV TRACTATAS MATVRARI ».
L'Achillini scrisse anche l'epigrafe per la tomba del pittore. Ibidem,
pagg. 124-125.
() GALLICO 1967 b, partic.
pag. 287. L'edizione veneziana del
1623 della Lettera amorosa di Claudio
Achillini fu stampata insieme al Lamento
d'Arianna. Ibidem.
() Il duca Odoardo Farnese, figlio di Ranuccio.
() MONTEVERDI 1967 a. Va inoltre ricordato che l'Arianna fu rappresentata nel Convento
delle Convertite in Firenze nel Carnevale del 1614 con un prologo intitolato La Sapienza. Cfr. SOLERTI 1904, vol.1, pag. 116 e vol. 2, pag. 188.
() CALETTI 1628, pag. 11, n. 24.
() LAVIN 1954, pagg. 260-287.
() Sul Torelli si veda, tutta ricostruita sui
testi manoscritti della Biblioteca Palatina di Parma, l'ottima monografia di
VERNAZZA 1964. Si veda anche TORELLI
1983.
() VERNAZZA 1964, introduzione.
() Si vedano le lettere pubblicate in appendice
a TORELLI 1983, pagg. 111-112 segg.
() Epistola del 7 maggio 1584, ibidem,
pagg. 111-112. In un'altra epistola non
datata spedita al principe Ranuccio Farnese dopo il 23 ottobre del 1591, il
Torelli sprona il principe a mostrare tutta la sua forza d'animo e coraggio al
servizio del padre dimenticando gli svaghi parmensi: « [...] Le feste, i
giochi, le caccie, ancora che siano di travaglio, nominar manco che si pò, et
come se questo stato a lei niente appartenesse: così si mostrarà disposto verso
di lui [scil.: Alessandro], scoprendo solamente quel desiderio ch'ella
tiene nel core, magnificando non solo la guerra ma i costumi, i trattenimenti,
i spassi del paese ov'ella si fa, lodando le città, aggradendo le conversationi
[...] ». Ibidem, pag.
149. Ranuccio aveva raggiunto il padre
in Fiandra e lo aveva poi seguito in Francia.
() VERNAZZA 1964, pag. 135.
() Ibidem, pagg. 148 e segg. Il Trattato
delle passioni dell'Animo diviso in Lettioni di Pompopnio Torelli è inedito
ed è conservato nella Biblioteca Palatina di Parma, Ms. 1273. Il Ms. 1274 corrisponde al secondo tomo
dello stesso volume ed è intitolato semplicemente Delle passioni dell'Animo.
() VERNAZZA 1964, pag. 150.
() Ibidem, pagg. 150-151.
() Ibidem, pagg. 151-152.
() Ibidem, pagg. 172-173.
() TORELLI 1600, libro 3, pag. 65. Per il testo si veda il Repertorio delle fonti a stampa.
() Come abbiamo visto prima il piacere ed il
dolore sono considerati « affetti semplici de quali si compongono tutti gli
altri ».
() TORELLI 1603, pag. 2. Più avanti: « [...] Hercole domator de
l'orco impuro / Con Himeneo scherzando Amor'estinse ». Ibidem, pag. 5.
() MAYLENDER 1976, vol. 3, pagg. 292-298,
partic. pag. 293. Il Torelli aveva
assunto il nome accademico di « Perduto ».
() Francesco Patrizi da Cherso fece da
intermediario tra la Signora Tarquinia Molza e Fulvio Orsini per ottenere tutte
le carte dell'avolo di lei, Francesco, che fossero eventualmente in possesso
dell'Orsini: «Ill.mo e R.mo S.r mi Orsino.
Io non ho mai per lo passato scritto a V.S. ho pero sempre honorato,
lodato, il nome et il suo valor singolare; che così obbliga me et tutti gli
huomini di giudicio a fare. ho car.ma
questa occasione, con la quale vengo la prima volta a farle riverenza et spero
sara fortunata, poichè nasce da persona che merita di esser favorita da tutto
il mondo, non che da V.S. che ama tutti i simili a se. La s.a Tarquinia Molza, miracolo di tutte
le donne, e per la incomparabile dottrina della lingua volgare, latina e greca,
e per la filosofia, e poesie sue, e per la musica, e per la bonta et altre
virtu singolari dell'animo, e per la bellezza et gratie corporali arde di
desiderio di rinovare et di mandare a posteri la memoria dell'Avolo suo Sr.
Maria Molza che fu già si caro servitore a Casa Farnese et ha raccolte molte
sue composizioni con animo di farle stampare.
Habbiamo pensato a V. S. come quella che è, possa favorire questo suo
nobile e pio desiderio, col mandarle alcuna cosa di detto Molza, così delle
raccolte dello suo studio, come di quello dell'Ill.mo suo Card.le spera ella
che V. S. per la sua nobiltà et cortesia, non vorra mancarle: et io la supplico
quanto posso, confidando che non meno mi sarà cortese per questa meritandiss.a
Sig.a di quello che fu a me in comunicarmi già lo Stobeo, et il Damascio et se
io per questo le restati obblig.mo oltre misura, questo nuovo obligo eccedera
ogni termino [...] di Modena, alli 22 di luglio 1577 [...]». Ms. Vat. Lat. 4105,
fol. 47. Francesco Patrizi era stato
chiamato ad insegnare filosofia platonica all'Università di Roma da Papa
Clemente VIII nel 1592.
() Paolo Giovio nel Ragionamento dell'imprese aveva attribuito a Francesco Molza la
paternità dell'impresa «Ball'outos» del cardinale Alessandro Farnese, il
Ruscelli sostiene invece che tale impresa fu inventata dallo stesso
cardinale. Si veda RUSCELLI 1566, pag.
45: « soggiunge, che ella fu inventione
del Poeta Molza Modenese. Nella qual cosa tengo, per certo che il Giovio fosse
stato mal informato. Perciochè Alessandro Farnese, ancorchè fosse stato
Cardinal molto fanciullo, non che giovene, era tuttavia ancor prima
ottiamamente instrutto nelle Lettere Latine & Greche, & di maraviglioso,
& vivace ingegno. Et tanto mostrava di dilettarsi di questa bella
profession dell'Imprese, che non solamente non averia mendicato per se stesso
l'aiuto altrui, ma si fa ancor certo, che egli fu inventore di questa
bellissima impresa, che usò Papa PAOLO TERZO, suo avo, la quale era un' arco
Celeste sopra la terra, con parole Greche, che diceano, DIKHS KRINON. La cui
inventione si può creder che fosse, che si come l'Arco Celeste, trovando il
Cielo torbido, & tempestoso, apporta serenità, così egli in quel
Pontificato l'apporterebbe a quelle torbulentie, in che allora si trovava il
mondo ».
() Bernardino Baldi (Urbino 5 giu. 1553 - 10
ott. 1617). Sul Baldi si vedano:
AMATURO 1963; ZACCAGNINI 1908. Per i
testi: BALDI 1590; BALDI 1873; BALDI 1854; BALDI 1859.
() Biblioteca Nazionale di Napoli, cod.
XIII.D.31 menzionato dallo ZACCAGNINI 1908, pag.79, nn.XI e XII.
() Si veda l'epistola dedicatoria della Galatea, carta +2r. trascritta nel Repertorio delle fonti a
stampa.
() MAYLENDER 1976, pag. 296.
() PANOFSKY 1933, pag.
193: « [...] Anteros, die Gottheit der "Gegenliebe", ist keine
ursprünglich mythische Gestalt, wohl aber entsprang ihre Konzeption einem
mythischen Bedürfnis, nicht nur den Liebenden, sondern auch den Geliebten einer
göttlichen Macht, zu unterstellen, die ihm die Erwiderung des ihm
entgegenbrachten Gefühles auferlegte.
Der Sinn der Elischen Gruppe ist also nicht etwa ein Kampf gegen die Liebe, sondern ein Wettstreit in der Liebe [...] ».
() MERRIL 1944. Sull'iconografia di Eros ed Anteros si vedano anche
VERHEYEN 1965 e TERVARENT 1965.
() Ibidem, pagg. 274-276.
() Si veda l'inventario della Biblioteca
Farnesiana conservato nell'Archivio di Stato di Napoli, busta 1853(I), fasc.1,
fol. 20r. Si tratta dell'inventario di consegna del 1569 relativo ai libri già
tenuti da Girolamo Mercuriale. Sono
presenti anche: « Nonni Dionisiaca » a fol. 3r., « Boccaccij Genealogia Deorum
» a fol 23 r., « Pierij Hieroglyphica » a fol. 25 v.; « Theologia mythologica.
Jacobus Comes » a fol. 35v. e un « Mercurius Trismegistus » a fol. 68 v. Si veda anche FOSSIER 1982, vol.3/2, ad
indicem.
() RAPONI 1960. Francesco Alciati (Milano 1522 - Roma 20 apr. 1580) teneva la
cattedra di Diritto Civile all'Università di Pavia. Fu chiamato a Roma nel
1560.
() PUTTFARKEN 1982. CUNO 1980, dove si indica il primo dei quattro dipinti come
fonte per il Bonheur de vivre di
Matisse.
() Il tema iconografico del castigo d'Amore è
tolto da un'incisione dell'Hypnerotomachia
Poliphili di Francesco Colonna, la celebre edizione aldina del 1499.
() « Del reciproco Amor, che nasce e viene / Da
pia cagion di virtuoso affetto /
Nasce a l'alme sincere almo diletto / Che reca a l'huom letitia e'l trahe di
pene »; « Come la palma indicio è di vittoria / Così d'Amor conveniente e il
frutto / Quella dolcezza, da cui vien produtto / Il seme, onde natura, e'l ciel
si gloria »; « Felice chi del fiume a l'onde arriva, / Che'l foco stingue al dishonesto Amore, / Et empie di
contento, e d'ogni honore / Chi del suo van piacer se stesso priva »; « Del
castigo d'Amor mira l'esempio / Di quell'Amor che fa gran torto al dritto: /
Che in precipitio, onde rimane afflitto, / Mena colui, che'l segue ingiusto et
empio ».
() Era stato il Bartsch a sviare gli iconologi
intitolando la prima stampa di Agostino Reciproco
Amore, ma egli seguiva una pratica comune estraendo il titolo dai versi che
accompagnano l'incisione. Il Malvasia
nella Felsina pittrice chiama
correttamente l'incisione Il Secolo
dell'Oro.
() PEPPER 1984, cat. 113, fig. 140, pag.
256. L'originale è nella Galleria
Doria Pamphilj di Roma, copie sono quelle del Palazzo del Senato di Roma (Foto
I.C.C.D. n° E 24150), del Museo Civico di Torino, del Museo di Cracovia (Inv.
n° XI-228), della vendita Christie's del 17.04.1812.
() VEEN 1615.
Sul Veen (Otho Vaenius) si veda MÜLLER HOFSTEDE
1957. Egli cita (nota 14, pag. 169) J.
Meyssens, Images de divers hommes
d'esprit, Anversa, 1649: « [...] il a etè paintre du Prince de Parma » e
Roger de Piles, Abrégé de la vie de
Peintres, 1715, pag. 380: « [...] il vint offrir son service au Prince de
Parma ».
() Ibidem, pag. 30. 2 Timoteo 4, 7-8.
() ROBERTSON 1990, pag. 21 e tavola 12.
() Si tratta di quattro olî su tela, si veda BERNARDINO 1987, pag. 208, nn. 46-49.
() È utile ricordare che Enrico Farnese faceva
parte dell'Accademia degli Intenti fondata in Pavia nel 1593, della quale erano
soci anche il duca Ranuccio Farnese, i cardinali Odoardo Farnese, Federico
Borromeo e Cinzio Passeri Aldobrandini.
MAYLENDER, op.cit. alla nota 193, vol.3, pag.321.
() Biblioteca Apostolica Vaticana, Ms. Barb.
Lat. 356. Scarse le notizie biografiche su Tommaso Aldobrandini. Uditore di Rota, il 30 nov.1568 fu nominato
da Pio V Segretario dei Brevi, morì nel 1570. Si veda MAZZUCHELLI 1753, vol. 1, pag. 396-397; utile anche
CRAVERI 1966, pagg. 698-702.
() ALDOBRANDINI
T 1594 (CRAVERI 1966).
() Ottob. Lat. 1853, solo lo scritto del
Benvoglienti fu stampato. Firenze,
presso Bartholomeo Semartelli, 1570.
Sul Benvoglienti, nato a Siena il 19 ottobre del 1518 e morto in data
imprecisata, si veda CRAVERI 1966.
Anch'egli faceva parte della corte di Alessandro, nella quale era
riuscito ad essere accettato per via di una raccomandazione di Annibal
Caro. Può essere interessante
ricordare che il Benvoglienti aveva accompagnato Papa Paolo III Farnese in
un'escursione in una villa del Tuscolano che si diceva essere appartenuta a
Lucullo
() Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Vat. Lat. 4104, fol. 252 r. Fulvio Orsini menziona
Tommaso Aldobrandini in un'epistola del 7 giugno 1572 indirizzata al card.
Alessandro Farnese. L'Orsini era stato incaricato di pronunciare un'orazione
quando il cardinale dovette prestare obbedienza a Papa Pio V, ma aveva
declinato l'invito per non aver egli «[...] l'ardire, la voce et l'attione che
si richiedono nel recitare [...]», indicando in sua vece proprio Tommaso
Aldobrandini. RONCHINI 1880 a, nota
67, pag. 52.
() FARNESE E 1600, c.3 r.
() Ibidem, c. 3 v.: « [...]
quod omne, eo praeclarum est magis, quo gloriosus est voluptate abstinere, quam
frui ». Il passo in questione è trascritto nel Repertorio delle fonti a stampa.
() ENRICO FARNESE, De Simulacro Reipublicae sive de imaginibus politicae et oeconomicae.
Pavia, Girolamo Bartoli, 1593. Il
capitolo si intitola De simulacro Pacis
et Concordiae, il paragrafo 1 Quod.Ro.Farnesiorum
insigne verum exemplo sit Pacis & concordiae. Ibidem, libro 3, fol.89v.
() Disegno di Annibale Carracci, 97 x 127
mm. Paris,
Louvre, inv. 7421. È lo studio per la cornice
di uno dei pannelli ottagonali della volta.
È riprodotto in MARTIN 1965, pag. 251 e cat. 49, fig. 153.
() DE LA PERRIERE 1539, n. 60: « Qui
d'une masque entreprend faire peur / Au fier lyon, bien petit il avance: Car le
lyon a si hault et gros cueur, / Qu'a l'estonner, fault bien aultre puissance.
/ Semblabement aulcuns par insolence, / Pensent les gens estonner de parolle: /
Mais tout soubdain est achevè leur rolle: / Car leurs effectz ne consonnent aux
ditz. / Vaine iactance, et menace frivole, / N'esbahiront iamais les cueurs
hardiz ».
() MANDOWSKY 1963, cat. 51.
() CAFERRI 1667, pag. 133.
() SALAZAR 1716. L'epistola del duca Ranuccio è spedita da Parma il 9
dicembre 1599; quella del Pontefice da Roma il 2 dicembre 1599.
() BELCREDI 1600; LONGHI 1600; MURTOLA 1600;
VILLANI 1601, posseduto dalla Biblioteca Statale di Lucca. Ibidem, pagg. 10-11. A questi quattro epitalami si aggiungano il
quinto già citato di Bernardino Baldi conservato ms. nella Biblioteca Nazionale
di Napoli: BALDI Nozze e anche
SANVITALE 1600; STELLA 1600 e QUINZANI 1600.
() TASSO T 1590. Cfr. DE GRAZIA 1984, pagg. 160-161, cat. 115-164, figg.
182-191. I disegni preparatori sono di
Bernardo Castello, undici incisioni, tutte firmate, spettano a Giacomo Franco,
altre due recano le iniziali « A. C. ».
() Le Rime
de gli Academici Gelati di Bologna furono stampate nel 1590 a spese
dell'Accademia stessa. DE GRAZIA,
ibidem, pagg.163-164, cat.165-174, figg.192-201.
() Ibidem, pag. 179, cat.
194, fig. 221.
() Ibidem, pagg. 179-180,
cat. 195, fig. 222.
() Ibidem, pagg. 180-181,
cat.196, fig. 223.
() Ibidem, pag. 181,
cat.197, fig. 224.
() Ibidem, pagg. 181-182,
cat.198, fig. 225.
() Ibidem, pagg. 182-183,
cat.200, fig. 227. Due sono le incisione per il
cardinale Alessandro Peretti, per la seconda ibidem, pagg. 200-201, cat. 224,
fig. 251.
() Ibidem, pag. 201, cat.
225, fig. 252.
() Ibidem, pag. 202, cat.
226, fig. 253.
() Ibidem, pag. 203, cat.
229, fig. 256.
() Ibidem, pag. 203, cat.
230, fig. 257.
() Ibidem, pagg. 205-206,
cat.234, fig.261.
() Cfr. il già citato studio di ROBERTSON 1990,
nota 65.
() RUSCELLI 1566, pag.46.
() MURTOLA 1600 c, carta B 2r.
() LONGHI 1600, carta A 3 v.
() Recentemente ripubblicato da ROBERTSON 1990,
fig. 19.
() LONGHI 1600, carta A 3 r.
(
) Sui preparativi per gli affreschi della ?Sala grande? si vedano ora due nuove
epistole nel Repertorio delle fonti manoscritte: FARNESE R 1.3.1595 e HALLER 8.3.1595.
() BELLORI 1976, pag. 396: « Francesco Perrier
borgognone si approfittò nella scuola del Lanfranco in tempo che dipingeva la
cupola di Santo Andrea. Seguitò in
Roma gli studi dall'antico, e diede in luce il libro delle Statue e l'altro dei
Bassirilievi da esso disegnati ed intagliati all'acqua forte. Dipinse in Parigi la galeria di mons. la
Vrilere, segretario di stato, la quale opera per la sua bellezza gli dà fama di
eccellente pittore».
() SCHLEIER 1968; DUPONT 1947, pagg. 125-129; VITZTHUM 1966 a; BLUNT 1970.
() Il Palazzo è anche denominato Fiano o
Almagià. Per la storia del Palazzo si
veda D'ONOFRIO 1961, pagg.171-176; REUMONT 1884.
() SCHLEIER 1968, pagg. 51-52.
()
ANGELONI 1611; ANGELONI 1616; ANGELONI 1638; ANGELONI 1641 (esiste anche
un'edizione del 1685); ANGELONI 1646 a; ANGELONI 1646 b, pagg. Hh i r.e ss.
() D'ONOFRIO 1961. Il cardinale Alessandro Peretti era succeduto al cardinale
Alessandro Farnese nella carica di cancelliere nel 1589.
() CICOGNINI 1614. Sul Cicognini si veda VIGILANTE 1981. Non capisco per quale ragione il Vigilante scriva che l'Amor pudico è opera rimasta inedita.
() « rapire a gl'alti giri » va inteso come
"sottrarre al cielo".
() CICOGNINI 1614, pag.6.
() Ibidem, pagg. 38 e 40.
() Si riferisce a Venere.
() ORSINI 1657, partic. pag. 24.
() Si veda l'argomentazione di Pomponio Torelli
nel Trattato delle passioni dell'animo.
() EMILIO DE'CAVALIERI, Rappresentazione di anima e corpo, in SOLERTI 1903, pagg. 1-39.
() CENZI A 1600. La relazione è datata Macerata 6 luglio 1600. Il Cenzi scrisse anche opere teatrali: CENZI
A 1617; CENZI A. Si veda anche CENZI
C 1617, trascritta nel Repertorio
delle fonti a stampa.
() Ovviamente si riferisce a Ranuccio Farnese.
() I fiori sono i gigli farnesiani.
() Come già ricordato, la Marzik rifiutava
l'interpretazione epitalamica della Galleria dei Carracci proposta dal Dempsey
perchè non riscontrava le insegne araldiche degli sposi nella Galleria stessa.
() Card. ODOARDO FARNESE, Epistola a Fulvio Orsini, ms. Vat. Lat. 9064. Si veda il Repertorio delle fonti manoscritte.
() « [Imeneo] coronato di fiori di amaraco, o
di persa, che maiorana communemente è detta, perchè è assai odorifera, sempre
verdeggiante, & gratissima alle Donne; & però se ne facevano ghirlande,
come disse Dioscoride. Tiene altresì
una face di bianco Spine, per molte cagioni; ma principalmente, perchè nel
ratto delle Sabine, tali furono portate da'primi Romani. Porta il Velo Flameo
per significare l'amore, & la perpetuità del matrimonio; essendo già
solamente usato dalle mogli de'Sacerdoti Flamei: alle quali non era lecito di
mai far divortio [...] ». Ibidem,
carte C 2 r. - C 2 v.
() « Giunone Iugale dipinta , col giogo nella
sinistra per l'unione degli sposi; ma non col papavero nella destra per la
fecondità; come è stata già disegnata: havendole noi per variare dato in vece
di quello un ramo di Sinape: non meno del papavero feconda: ma di molto più
nobile, più utile, & di più significante natura; massimamente presso le
Sacre lettere, & con una Corona regale in capo, mostrando che regiamente si
adorna nelle nozze beate de'Principi grandi, & de gli Heroi [...] ». Ibidem, carta C 2 v.
() « [...] Diana Lucina fu ritratta, la quale
alle parturienti per Protettrice si diede; perchè ella nella gravidezza, &
nel parto non haveva alla propria Madre fatto sentire dolore alcuno, Teneva
questa una mano vacua, & con l'altra portava una risplendente face: havendo
la fronte coronata di foglie, & di fiori di Dittamo. Con la mano vota, quasi che stia
apparecchiata di voler levare o sostenere l'Infante nascente, Con la face
nell'altra, per dimostrare, che alla luce della vita, & del mondo mena i
mortali; Con la ghirlanda di Dittamo, & de'suoi fiori, perchè il Dittamo ha
possanza grandissima di far partorire, & di tirare fuori de'corpi de gli
huomini, & de gli animali le saette, le spine, & simili, secondo
Dioscoride, il quale se bene dice, che tal herba non produce fiori; nondimeno
havemo seguito Teofrasto, & gli altri [...] Et così l'havemo figurata, secondo
Pausania: lassando di rappresentarla con lo scettro, & con la sferza, come
si vede fatto nelle medaglie di Lucilla in bronzo, secondo Guglielmo Choul; per
esser di troppo superstitioso, e troppo indegno significato. Si come non
l'havemo voluta con la tazza e con l'hasta, nella guisa che la dipinge il
Cartaro; di poco chiaro senso, & assai lontano dal proposito nostro ». Ibidem, carte C 2 v. - C 3 r.
() L'impresa del cardinale Alessandro: « [...]
Un Bersaglio (quasi un Dio Termine) con uno scudo avanti il petto; nel puntale
mezzo del quale si vedeva un dardo confitto, con il motto Greco, che nel nostro
linguaggio suona. Bisogna dare in carta
[...] ». Ibidem, carta D 4 v.
() L'impresa del cardinale Ranuccio: « [...] il
Tempio della Virtù congiunto con quello del Honore, Et se bene fu portata
ancora, e stampata nelle monete da Guidobaldo Duca d'Urbino, ponendole per
motto. Hic
Terminus haeret. & dal signor Francesco d'Este con le parole. Pari animo, de'quali l'Autore sopradetto;
non dimeno da sua Sig. Illustriss. non fu mai accompagnata con motto alcuno:
Bastandole forse il senso, e l'intentione, che da gl'Antichi fu nella fabrica
di quegli havuta; i quali vollero, che non si potesse intrare nel Tempio del
Honore: se prima non si passava per quello della Virtù; e ch'al essere virtuoso
seguiva di necessità l'essere honorato, & fu inventione di Claudio Tolomei
». Ibidem, carta E r.
() L'impresa del duca Ottavio « [...] Del quale
lassando quella del Fuoco, che mentre due venti più soffiano per ispegnerlo,
più l'accendono, con il motto, Vivida
bello Virtus, & quella del Monte Olimpo, che passa sopra le nuvole con
le parole. Nubes excedit. Si prese la
Clava, le Palle, & il filo, con che Teseo uccide il Minotauro, &
vincitore dal Laberinto uscì. Portata
in quella giostra, che sostenne in Fiandra contra il Conte d'Agamonte, &
altri simili Cavalieri, con il motto: His
Artibus. Volendo inferire (come
dice il Caro che autore ne fu) che con quelle medesime cose, le quali significano
la Fortezza, la Prudenza [...]». Ibidem,
carta E r.
() Si veda il saggio di YATES 1956, vol. 1,
pagg. 61-82. Il 6 marzo 1571 Carlo IX
di Francia entra solennemente in Parigi.
Due importanti avvenimenti segnavano la storia della città: la firma del
trattato di Saint-Germain con gli ugonotti e il matrimonio di Carlo IX con
Elisabetta d'Austria, figlia dell'imperatore Massimiliano II d'Asburgo.
Venivano quindi trattati i temi della pace e dell'impero con un apparato trionfale
preparato dai poeti della Pléiade Pierre Ronsard e Jean Dorat, con la
parteciapzione dello scultore Germain Pilon ed il pittore Nicolò
dell'Abate. Simon Bouquet, nel suo Bref et sommaire recueil..., Parigi,
1572 menzionò l'opera di Nonno di Panopoli tra le fonti dell'apparato
trionfale. La
Yates commenta così: « Au temps de Nonnos, Bacchus conquerant de l'Orient êtait
déjà assimilè a Alexandre. Pour
Nonnos, Bacchus est non seulement le dieu de la vigne amis un conquérant du
monde, il représent Alexandre et aussi l'empir romain que le poete admirait
beaucop ». Ibidem, pagg. 61, 69 e 79-80.
Bisogna anche ricordare che il Bellori nota che non a caso Annibale
Carracci aveva tralasciato la prima idea di raffigurare Bacco ubriaco per
attribuire più convenientemente l'ebbrezza a Sileno.
() CONTILE 1574, foll. 64 v. ? 65 r.
() Tra i documenti superstiti dell'Archivio di
Stato di Napoli si conserva ancora un'interessante epistola di Francesco
Paciotti spedita da Roma il 3 febbraio 1575 al duca Ottavio e propedeutica
all'ingaggio del pittore da parte dei Farnese. Si veda la busta 254-255, fasc. 7, carta 674 r.
() ZAPPERI in BRIGANTI 1987, pag. 49: « [...]
siamo tentati di considerare la Galleria Farnese come una sfida della più
potente delle famiglie romane contro quei valori morali che il papa stava
tentando con tanta virulenza di imporre ai suoi sudditi ».
() Il caso di suo fratello Tommaso Aldobrandini
o di Cinzio Passeri o di Pietro Aldobrandini, tutti personaggi di indiscutibile
cultura.
() AGUSTIN
12.11.1566. Si veda anche il Repertorio
delle fonti manoscritte.
[378]) scil. Antoine Perrenot Cardinale di
Granvelle.
() Ilerdensis. L'Agustin divenne Vescovo di Lerida il 13 ottobre del 1561. Così
in: F. LATASSA y ORTIZ, Biblioteca nueva de los Escritores Aragonenses ...
tomo 1, 1798, riprodotto in: SAUR,
microfiches.
[383]) Ranuccio I Farnese
[387]) Il duca di Parma e Piacenza Alessandro
Farnese.
[393]) [E' stata cancellata la seguente riga:]
dell'animo mio, il q.le alle prove mi rimetto, che venghi riconosciuto da lei,
et da SS.i suoi Nipoti.
[395]) Alessandro Corvini.
[405]) Alessandro Farnese.
[408]) scil.: Nonno di Panopoli, Nonnus
Panopolitanus.
() scil.: Lattanzio Gambara.
[412]) Ranuccio I Farnese duca di Parma e Piacenza.
[413]) E' Ranuccio Farnese
duca di Parma e Piacenza.
() E' il duca di Parma e Piacenza Alessandro
Farnese, padre di Ranuccio.
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